5 Gennaio 2019

Tempo di Natale - Feria propria del 5 Gennaio


Oggi Gesù ci dice: «Chi non ama rimane nella morte.» (I Lettura).

Vangelo: Dal Vangelo secondo Giovanni 1,43-51: Filippo è, dopo Andrea e Simon Pietro, il terzo discepolo che viene chiamato con il suo nome: tutti e tre vengono da Betsaida, città di pescatori situata in riva al lago di Tiberiade. Lo scetticismo di Natanaele è comprensibile: il messia non poteva venire da una città insignificante come Nazaret. Questo contrasto tra il messia glorioso atteso e l’origine umile di Gesù è lo scandalo dell’Incarnazione. Solo la fede può vincere questo scetticismo ed entrare nel mistero del Cristo, solo la fede può sollevare il velo della  povertà della carne è conoscere che Gesù di Nazaret è il Figlio di Dio, il Verbo fatto Carne (Gv 1,14). Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi:  nel vangelo di Giovanni, Gesù dà spesso prova di una conoscenza superiore degli avvenimenti e delle persone, e di essere padrone di ogni situazione che gli si presenta. Il titolo Figlio dell’uomo nel vangelo di Giovanni si ispira alla scala di Giacobbe (Gn 28,10-17), a differenza dei sinottici che fanno riferimento al libro di Daniele (7,13). Come in quell’episodio della Genesi, il riferimento agli angeli significava l’incontro e la comunicazione di Dio con gli uomini, così qui Gesù, in quanto Figlio dell’uomo, è diventato il luogo d’incontro tra Dio e l’uomo, tra il cielo e la terra.

Filippo incontrò Natanaele: La Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): vv. 45-51. L’apostolo Filippo, tutto emozionato, non poté fare a meno di esprimere all’amico Natanaèle (Bartolomeo) la gioia della sua scoperta (v. 45).
«Natanaèle [ ... ] conosceva dalle Scritture che il Cristo doveva venire da Betlemme, dalla città di Davide. Tale era la credenza dei Giudei, radicata nel vaticinio del profeta: “E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele” (Mic 5,1). Pertanto Natanaèle, ascoltando che il Messia proveniva da Nàzaret, si turbò ed espresse dubbi, poiché non sapeva come conciliare le parole di Filippo con l’annunzio profetico» (Om. sul Vangelo di san Giovanni,20,1).
Sappia il cristiano che, ogni qual volta comunica la sua fede agli altri, costoro possono muovergli delle obiezioni. Che fare allora? Ciò che fece Filippo: non riporre fiducia nelle proprie argomentazioni, ma invitarli ad avvicinarsi personalmente a Gesù: «Vieni e vedi» (v. 46). Il cristiano deve dunque condurre gli uomini suoi fratelli alla presenza del Signore tramite i mezzi della grazia che il Redentore stesso ha elargito e che la Chiesa è demandata ad amministrare: frequenza dei sacramenti e pratica della pietà cristiana.
Natanaèle, uomo verace (v. 47), accompagna Filippo da Gesù. S’instaura così il contatto personale con il Signore (v. 48): ne deriva come conseguenza la fede del nuovo discepolo, frutto della sua buona disposizione alla grazia, che gli giunge attraverso l’umanità di Cristo (v. 49).
Come possiamo dedurre dai Vangeli, Natanaèle è il primo apostolo a confessare in modo esplicito la fede in Gesù quale Messia e Figlio di Dio. Più tardi san Pietro. in forma più solenne, riconoscerà la divinità del Signore (cfr Mr 16,16). Qui (v. 51) Gesù evoca un testo di Daniele (7,13) per confermare le parole proferite dal nuovo discepolo e dare ad esse maggiore profondità.

Seguimi: Giovanni Paolo II (Lettera Apostolica - A tutte le persone consacrate delle Comunità Religiose e degli Istituti Secolari in occasione dell’Anno Mariano): La vocazione - prima di diventare un fatto interiore nella persona, prima di rivestire la forma di una scelta e di una decisione personale - rimanda ad un’altra scelta che ha preceduto, da parte di Dio, la scelta e la decisione umana. Cristo parlò di questo agli apostoli durante il discorso d’addio: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15,16). Questa scelta ci sollecita - così come è stato per Maria nell’annunciazione - a ritrovare nel profondo dell’eterno mistero di Dio che è amore. Ecco, quando Cristo ci sceglie, quando ci dice “Seguimi”, allora - come proclama la lettera agli Efesini - “Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo”, ci sceglie in lui: “In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo..., predestinandoci a essere suoi figli adottivi... E questo a lode e gloria della grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto”. Infine, “ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito” (Ef 1,4-6.9). Queste parole hanno un’estensione universale, parlano dell’eterna scelta di tutti e di ciascuno in Cristo, della vocazione alla santità che è propria dei figli adottivi di Dio. Nello stesso tempo, esse ci permettono di approfondire il mistero di ogni vocazione, in particolare di quella che è propria delle persone consacrate. In questo modo ciascuno e ciascuna di voi, cari fratelli e sorelle, può prendere coscienza di come sia profonda e soprannaturale la realtà che si sperimenta, quando si segue Cristo che invita dicendo: “Seguimi”. Allora la verità delle parole di Paolo: “La vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3) diventa per noi vicina e limpida. La nostra vocazione è nascosta nel mistero eterno di Dio prima di diventare in noi un fatto interiore, un nostro umano “si”, una nostra scelta e decisione.

Vieni e vedi: Benedetto XVI (Udienza Generale, 6 settembre 2006): Il Quarto Vangelo racconta che, dopo essere stato chiamato da Gesù, Filippo incontra Natanaele e gli dice: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe, di Nazaret” (Gv 1,45). Alla risposta piuttosto scettica di Natanaele (“Da Nazaret può forse venire qualcosa di buono?”), Filippo non si arrende e controbatte con decisione: “Vieni e vedi!” (Gv 1,46). In questa risposta, asciutta ma chiara, Filippo manifesta le caratteristiche del vero testimone: non si accontenta di proporre l’annuncio, come una teoria, ma interpella direttamente l’interlocutore suggerendogli di fare lui stesso un’esperienza personale di quanto annunciato. I medesimi due verbi sono usati da Gesù stesso quando due discepoli di Giovanni Battista lo avvicinano per chiedergli dove abita. Gesù rispose: “Venite e vedrete” (cfr. Gv 1,38-39). Possiamo pensare che Filippo si rivolga pure a noi con quei due verbi che suppongono un personale coinvolgimento. Anche a noi dice quanto disse a Natanaele: “Vieni e vedi”. L’Apostolo ci impegna a conoscere Gesù da vicino. In effetti, l’amicizia, il vero conoscere l’altro, ha bisogno della vicinanza, anzi in parte vive di essa. Del resto, non bisogna dimenticare che, secondo quanto scrive Marco, Gesù scelse i Dodici con lo scopo primario che “stessero con lui” (Mc 3,14), cioè condividessero la sua vita e imparassero direttamente da lui non solo lo stile del suo comportamento, ma soprattutto chi davvero Lui fosse. Solo così infatti, partecipando alla sua vita, essi potevano conoscerlo e poi annunciarlo. Più tardi, nella Lettera di Paolo agli Efesini, si leggerà che l’importante è “imparare il Cristo” (4,20), quindi non solo e non tanto ascoltare i suoi insegnamenti, le sue parole, quanto ancor più conoscere Lui in persona, cioè la sua umanità e divinità, il suo mistero, la sua bellezza. Egli infatti non è solo un Maestro, ma un Amico, anzi un Fratello. Come potremmo conoscerlo a fondo restando lontani? L’intimità, la familiarità, la consuetudine ci fanno scoprire la vera identità di Gesù Cristo. Ecco: è proprio questo che ci ricorda l’apostolo Filippo. E così ci invita a “venire”, a “vedere”, cioè ad entrare in un contatto di ascolto, di risposta e di comunione di vita con Gesù giorno per giorno.

Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Ecco veramente un israelita; l’avverbio ἀληθῶς (veramente) ha il valore di un aggettivo; il termine è caratteristico del quarto vangelo e significa: dichiaro che è degno del nome di Israelita, cioè che risponde intrinsecamente al nome con il quale lo designo. La solenne dichiarazione del Salvatore ha il seguente valore: ecco un uomo che va chiamato Israele; Gesù non considera tanto l’individuo isolato, quanto invece l’individuo che rappresenta l’autentico Israele, cioè il popolo dell’elezione divina. Un testo di Isaia svela il ricco contenuto dottrinale delle compiaciute parole di Cristo; ai tempi messianici il popolo sarà fedele a Jahweh e si glorierà di appartenere a lui, allora veramente sarà chiamato Israele (cf. Isaia, 44, 5). La dichiarazione di Gesù, oltre ad affermare che Natanaele è degno del nome di Israele perché è un fedele jahwista, richiama il senso etimologico del nome Israele, senso accolto nell’antichità; secondo questa etimologia corrente il nome Israele implica l’idea di vedere Dio. In tal modo Natanaele è il vero Israele non soltanto perché è fedele a Jahweh, ma anche perché vede Dio (cioè: lo conosce). Nel quale non vi è falsità; l’espressione non fa che esplicitare quanto è stato detto nella prima parte del versetto. Il sostantivo δόλος significa «astuzia», «artificio»; ma esso nel greco dei Settanta traduce i due termini miremah eremjiah (frode, inganno, menzogna). La parola greca è condizionata al significato biblico dei termini che essa traduce; ora nel linguaggio profetico l’infedeltà religiosa, cioè l’abbandono di Jahweh per seguire falsi dèi, è chiamata «falsità», «menzogna». La dichiarazione di Cristo a Natanaele non si mantiene sul livello di una forma di cortesia, come se il Maestro volesse compiacersi con l’israelita per la sua rettitudine ed onestà, ma esprime una valutazione religiosa; Natanaele è elogiato per la sua provata fedeltà a Jahweh, fedeltà che lo ha tenuto lontano da ogni compromesso o sincretismo religioso.

Bruno Maggioni (Il Vangelo di Giovanni): In verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo. Questa affermazione di Gesù, che è il punto culminante dell’intero brano, si presenta con una particolare solennità, come appare dalla duplice ripetizione «in verità, in verità» (nel testo greco amen, amen). È la formula che Gesù usa allorché intende rivelare qualcosa di particolarmente profondo. Ed è una formula carica già in se stessa di significato cristologico: «nell’amen, che Gesù pone prima di: dico a voi, è contenuta in nuce tutta la cristologia: colui che enuncia la propria parola come vera è nello stesso tempo colui che dichiara la propria fede in essa e la invera nella propria vita, e la fa divenire, in quanto realizzata, imperativo nei confronti degli altri».
Questa affermazione di Gesù è una promessa: «vedrete». Una promessa la cui realizzazione ci è già stata an­ticipata dal prologo (1,14) e di cui vedremo subito un compimento a Cana, dove i discepoli videro la sua gloria (2,11).
Ma quale il contenuto di questa solenne affermazione di Gesù? Lo si comprende sullo sfondo di Gn 28,12, cioè nel racconto della visione di Giacobbe. Giustamente J. Fritsch fa notare che il punto preciso del confronto fra il sogno di Giacobbe e il testo di Giovanni sta nel fatto di trovarci di fronte alla «casa di Dio e alla porta del cielo» (Gn 28,17). Per Giovanni il sogno di Giacobbe - letto alla luce di Dt 32,9 e Is 9,7 per i quali Giacobbe rappresenta Israele - prefigura ciò che i discepoli, cioè il nuovo popolo di Dio, avrebbero visto l’abitazione terrestre di Dio. L’idea è molto giovannea: basta ricordare 1,14 (il Logos si fece carne e pose la sua dimora in mezzo a noi...).

Vedrete il cielo aperto... CCC 326: «Il cielo», o « i cieli», può indicare il firmamento, ma anche il «luogo» proprio di Dio: il nostro «Padre che è nei cieli» (Mt 5,16) e, di conseguenza, anche il «cielo» che è la gloria escatologica. Infine, la parola «cielo» indica il «luogo» delle creature spirituali – gli angeli – che circondano Dio.

... e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo: Catechismo della Chiesa Cattolica 350-352: Gli angeli sono creature spirituali che incessantemente glorificano Dio e servono i suoi disegni salvifici nei confronti delle altre creature: «Ad omnia bona nostra cooperantur angeli – Gli angeli cooperano ad ogni nostro bene». Gli angeli circondano Cristo, loro Signore. Lo servono soprattutto nel compimento della sua missione di salvezza per tutti gli uomini. La Chiesa venera gli angeli che l’aiutano nel suo pellegrinaggio terreno e che proteggono ogni essere umano.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Seguimi.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che nella nascita del tuo unico Figlio hai dato mirabile principio alla nostra redenzione, rafforza la fede del tuo popolo, perché sotto la guida del Cristo giunga alla meta della gloria eterna. Egli è Dio, e vive e regna con te...