28 Gennaio 2019

 LUNEDÌ III SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO


Oggi Gesù ci dice: «In verità io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna.» (Vangelo).

Vangelo - Dal Vangelo secondo Marco 3,22-30: Rifiutare Cristo, e quindi la salvezza, è in definitiva il peccato che non sarà perdonato in eterno. I farisei avanzando malignamente l’ipotesi che Gesù è posseduto da uno spirito impuro danno a vedere di non aver capito bene la lezione, e così, passando dalla teoria alla pratica, si dichiarano rei di colpa eterna. In Gesù non vi è gusto alcuno di mandare all’inferno chi si oppone al suo insegnamento, ma essendosi rivelato Via Vita e Verità chi lo rifiuta smarrisce la Via e precipita nel disordine, sopra tutto etico; perde la vera Vita, la vita eterna, facendosi in questo modo discepolo di mille vane verità: in sostanza si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con un’immagine e una figura di uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili (Rm 1,21-23). Chi rifiuta Gesù ha già fissato il suo destino eterno.

Gli scribi che erano scesi da Gerusalemme, dicevano -Jean Radermakers (Lettura Pastorale del Vangelo di Marco): Siamo al centro del dibattito: la resistenza che gli scribi oppongono a Gesù viene smascherata dal linguaggio parabolico usato nei loro confronti, non solo perché egli si serve di immagini, ma anche perché manifesta con azioni che la potenza del Satana è scossa nei loro cuori, così come la loro sufficienza. E si scoprono alienati. L’uomo forte, che ognuno di loro credeva d’essere, si trova improvvisamente soggiogato dalla potenza di uno «più forte»: colui che era stato annunziato da Giovanni Battista (1,7). Egli distrugge la casa di Satana (cf. Is 49,24-26), inaugurando il regno del perdono.
C’è, nell’uomo, qualcosa di demoniaco quando si ripiega in se stesso e rifiuta la luce dello Spirito santo. Colui che smaschera le forze del male è anche colui che salva. L’accusa degli scribi non è solamente una calunnia: offendendo Dio direttamente o opponendosi alle manifestazioni del suo potere (cf. Es 22,27; Is 52,5; 2Mac 15,24), si sono messi a bestemmiare, e sanno che solo la lapidazione può lavare questo crimine (Lv 24,11-16). Se Gesù promette il perdono universale, fa tuttavia una restrizione: attribuire al Satana la potenza di cui egli dispone, significa non solo opporsi all’azione dello Spirito, ma anche rendere inefficace la misericordia divina. L’unico caso in cui il perdono può essere inefficace è il rifiuto del perdono. Affermare che Gesù agisce sotto l’influsso di «uno spirito impuro», significa in definitiva rifiutare di riconoscere la sua santità e contemporaneamente affermare la propria impurità.

La parabola - Alice Baum: Genere retorico nel quale un determinato pensiero viene illustrato servendosi di un’immagine. Il termine greco parabole usato nel Nuovo Testamento significa accostamento. Nelle parabole vengono accostate due realtà, una religiosa, la “metà oggettiva”, e una tratta dalla vita quotidiana dell’uomo, la “metà illustrativa”. Laddove la metà oggettiva, ciò che veramente la parabola vuol dire, rimane il più delle volte ine­spressa. L’uditore, o il lettore, la deve ricavare lui stesso dalla metà illustrativa. Così per es. nella parabola del seme che spunta da solo (Mc 4,26-29) la metà oggettiva va completata con l’immagine: il regno di Dio viene in maniera così inarrestabile come la messe dopo la semina. La parabola  va distinta dall’allegoria. Mentre in un’allegoria ogni tratto dell’immagine ha un significato proprio, a ciò che è presentato nella parabola corrisponde un’unica realtà religiosa.
Nei discorsi di Gesù in parabole  possiamo distinguere tre diverse forme. La parabola vera e propria si serve di un procedimento, o di un dato di fatto per esprimere una verità religiosa (parabola del granello di senape, la pecora smarrita e altre). La cosiddetta parabola è una storia inventata che racconta un caso singolo, talvolta fuori del comune (dieci vergini, Mt 25,1-13; figlio prodigo - o meglio: padre amorevole -, Lc 15,11-32). Nel racconto esemplare non viene traslata un’immagine o una storia nella realtà religiosa, “ma un pensiero religioso-morale viene illustrato per mezzo di un caso singolo”. Non si tratta tanto della conoscenza della verità, quanto del retto agire (buon samaritano, Lc 10,30-37; fariseo e pubblicano, Lc 18,9-14). Le parabole di Gesù fanno parte dello “strato originario della tradizione”. Per i suoi uditori non erano nulla di nuovo. Le si trovano anche nell’Antico Testamento e nell’insegnamento rabbinico. Nuovo era il contenuto: il regno di Dio che viene e la pretesa di Gesù di esserne il portatore. Le parabole rispecchiano l’ambiente palestinese in maniera così chiara che non si può dubitare della loro autenticità. Una spiegazione obiettiva non è tuttavia possibile se non si tiene presente che le parabole hanno un triplice Sitz im Leben, vale a dire vanno comprese a partire da tre diverse situazioni: l’annuncio di Gesù, la vita della chiesa primitiva e la prospettiva teologica del singolo evangelista.

Perché le parabole? - Bruno Maggioni: Se Gesù ha raccontato parabole non è semplicemente perché egli amava i paragoni, né semplicemente perché voleva che il suo parlare fosse chiaro c accessibile , ma perché quando si vuole parlare di Dio e del suo mistero non si può fare diversamente.
Il parlare simbolico dci Vangeli nasce da un’esigenza teologica, cioè dal fatto che non si può parlare direttamente del Regno di Dio, ma solo parabolicamente, indirettamente, mediante paragoni presi dalla vita. Per parlare di Dio non si può che partire dalle cose dell’uomo. Ed è proprio da questa origine che derivano le tre proprietà che caratterizzano il linguaggio parabolico. È un linguaggio inadeguato, perché desunto dal vissuto quotidiano, eppure pretende esprimere qualcosa che sta oltre c nel profondo.
Ma è nello stesso tempo un linguaggio aperto, in grado non certo di esprimere il Regno ma di alludervi: perché se è vero che il Regno non si identifica con la nostra storia, rimane pur vero che ha una profonda relazione con essa. Ed è un linguaggio che costringe a pensare: non definisce, non è un traguardo riposante, ma allude, provoca, invita ad andare oltre, rende pensosi. La parabola è un discorso globale che lascia intatto il discorso del Regno, mostrandone però l’impatto con l’esistenza dell’uomo.
Per questo la parabola inquieta e interroga. Di qui, però, l’ambivalenza delle parabole: sono luminose c oscure, rivelano c nascondono, richiedono uno sforzo di interpretazione c di decisione.
Lasciano trasparire il mistero di Dio a chi ha gli occhi penetranti c il cuore pronto; rimangono oscure per chi ha il cuore ottenebrato o distratto.

È posseduto da uno spirito impuro: Catechismo degli Adulti 214-215: Già al suo tempo [di Gesù] la gente, presa dallo stupore, si domandava: da dove gli viene questa autorità, questa potenza nell’operare e questa sapienza nel parlare? qual è la vera identità di quest’uomo? I discepoli stessi non finivano di meravigliarsi e si dicevano tra loro: «Chi è dunque costui?» (Mc 4,41). Presto «il suo nome era diventato famoso» (Mc 6,14) e in Galilea si affermava sempre più, nell’opinione popolare, l’idea che Gesù fosse un grande profeta taumaturgo; tant’è vero che, in occasione dell’ingresso solenne a Gerusalemme, ai cittadini che chiedono spiegazioni la folla dei pellegrini galilei risponderà: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea» (Mt 21,11). Per alcuni farisei era invece un falso profeta, posseduto da Satana, perché violava la legge e si intratteneva con i peccatori. Gesù, da parte sua, induce la gente a interrogarsi e lascia la domanda sempre aperta. Per non essere frainteso in senso politico nazionalista, evita di proclamarsi esplicitamente Messia, sebbene riceva pressioni in questo senso: «Fino a quando terrai l’animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente» (Gv 10,24). Invece di rispondere, invita a riflettere sul carattere misterioso di questo personaggio da tutti atteso: «Come mai dicono gli scribi che il Messia è figlio di Davide?... Davide stesso lo chiama Signore: come dunque può essere suo figlio?» (Mc 12,35.37).

In verità io vi dico: Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): In verità io vi dico; per la prima volta l’evangelista usa questa formula solenne; in verità traduce la parola ἀμήν, che è trascrizione dell’ebraico ‘amen (= veramente, sicuramente). Nel Vecchio Testamento il termine serviva ad approvare l’affermazione di un altro o a confermare un giuramento, e si riferiva a ciò che precedeva; Gesù invece la usa per dar forza all’espressione che segue. Tutto sarà perdonato ai figli degli uomini; il Maestro, dopo aver confutato con una logica serrata l’accusa degli Scribi, dà loro un severo ammonimento, indicando quale responsabilità essi abbiano nell’ostinarsi a non vedere e nell’impedire che altri vedano. Tutti i peccati saranno perdonati agli uomini che sono fragili ed inclinati al male (l’espressione «figli degli uomini» accentua l’idea della debolezza umana), ma a quelli che avranno bestemmiato contro lo Spirito Santo, non sarà rimesso il loro peccato. Bestemmiare (βλασφεμεῖν) significa: calunniare, diffamare, dir male; ma nel contesto il verbo designa un peccato particolare (cf. vers. 30) cioè: attribuire a Satana, lo spirito del male per antonomasia, ciò che è opera dello Spirito Santo, il principio di ogni bene. Non avrà perdono in eterno; l’espressione, quantunque in sé molto energica ed assoluta, non vuole affermare che la bestemmia contro lo Spirito Santo non può essere perdonata da Dio, ma che l’uomo, il quale si ostina a negare le opere dello Spirito Santo, si mette nella condizione di non esser perdonato. S. Tommaso spiega il testo evangelico dicendo che il peccato contro lo Spirito è irremissibile, perché l’uomo con esso esclude ciò che lo dispone alla remissione dei peccati (cf. Summa Theologiae, II-II, q. 14, a. 3). Chi è ostinatamente sordo ai richiami della grazia, come gli Scribi, non potrà ottenere il perdono della sua colpa.

... chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 25 luglio 1990): I Vangeli sinottici riportano un’altra affermazione di Gesù nelle sue istruzioni ai discepoli, che non può non impressionare. Riguarda la “bestemmia contro lo Spirito Santo”. Egli dice: “Chiunque parlerà contro il Figlio dell’uomo gli sarà perdonato, ma chi bestemmierà lo Spirito Santo non gli sarà perdonato” (Lc 12,10; cfr. Mt 12,32; Mc 3,29). Queste parole creano un problema di vastità teologica ed etica maggiore di quanto si possa pensare, stando alla superficie del testo. “La ‘bestemmia’ (di cui si tratta) non consiste propriamente nell’offendere con le parole lo Spirito Santo; consiste, invece, nel rifiuto di accettare la salvezza che Dio offre all’uomo mediante lo Spirito Santo, e che opera in virtù del sacrificio della croce... Se la bestemmia contro lo Spirito Santo non può essere rimessa né in questa vita né in quella futura, è perché questa “non-remissione” è legata, come a sua causa, alla “non-penitenza”, cioè al radicale rifiuto di convertirsi... Ora la bestemmia contro lo Spirito Santo è il peccato commesso dall’uomo, che rivendica un suo presunto “diritto” di perseverare nel male - in qualsiasi peccato - e rifiuta così la redenzione... (Esso) non permette all’uomo di uscire dalla sua autoprigionia e di aprirsi alle fonti divine della purificazione delle coscienze e della remissione dei peccati” (Dominum et vivificantem, 46). È l’esatto rovesciamento della condizione di docilità e di comunione col Padre, in cui vive Gesù orante e operante, e che egli insegna e raccomanda all’uomo come atteggiamento interiore e come principio di azione.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  La bestemmia contro lo Spirito Santo è il peccato commesso dall’uomo, che rivendica un suo presunto “diritto” di perseverare nel male - in qualsiasi peccato - e rifiuta così la redenzione.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che in san Tommaso d’Aquino hai dato alla tua Chiesa un modello sublime di santità e di dottrina, donaci la luce per comprendere i suoi insegnamenti e la forza per imitare i suoi esempi. Per il nostro Signore Gesù Cristo...