19 Gennaio 2019
  
SABATO DELLA I SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO


Oggi Gesù ci dice: «Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori.» (Vangelo).

Vangelo: Dal Vangelo secondo Marco 2,13-17: Il mestiere di Matteo è quello di esattore delle tasse e per questo motivo è esecrato dal popolo perché creduto ladro (cfr. Lc 3,11) e disprezzato dai Farisei i quali, considerandolo peccatore pubblico perché impuro, lo ritenevano hic et nunc un condannato alla Geenna. Forse al soldo di Erode Antipa o degli odiati Romani, Matteo, a differenza dei suoi detrattori si mostra pronto ad accogliere con gioia la parola della salvezza: è il mercante accorto il quale avendo trovato «una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra» (cfr. Mt 13,45-46). Gesù non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori, perché diventino giusti attraverso la loro fede in lui (cfr. Gal 2,16), attraverso l’abbandono totale e fiducioso in lui, che «è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione» (Rom 4,25). Con la chiamata di un pubblicano viene smantellata quella peregrina idea che faceva considerare la salvezza come una miscela di obbedienza pedissequa della Legge e di supererogazione di opere buone (cfr. Lc 18,9-14). Tutto è grazia e come corrispondenza al dono gratuito della salvezza Dio desidera unicamente il nostro amore (cfr. Dt 6,5), come Matteo il pubblicano immantinènte gli ha dato.

Gesù, vide Levi, il figlio di Alfeo - Il racconto della vocazione di Matteo introduce tre controversie sul comportamento di Gesù: una con i farisei sul suo atteggiamento verso pubblicani e peccatori (Cf. Mc 2,13-17), la seconda con i discepoli di Giovanni Battista sul digiuno (Cf. Mc 2,18-22), e la terza sull’“osservanza del sabato” con i farisei. Ognuna di esse diventa per Gesù occasione per presentarsi come autorità superiore e definitiva. Egli è il medico dell’umanità (Cf Mc 2,18), è lo sposo messianico (Cf. Mc 219), ed signore anche del sabato (Cf Mc 228).
La vocazione di Matteo è raccontata anche da Matteo e da Luca, ma con una differenza degna di nota: nei vangeli di Marco e di Luca il nome del vocato è Levi, in quello di Matteo è chiamato Matteo. Le soluzioni di tale diversità sono varie: o il gabelliere aveva due nomi o Gesù gli diede il sopranome di Matteo, che significa dono di Dio, oppure, come alcuni credono, sono stati «Marco e Luca a sostituire il nome di Matteo con Levi per non offuscare la dignità di uno dei Dodici, trattandosi di un pubblicano» (Angelico Poppi). Ma, alla fine, come sostengono altri, può darsi che «si tratti effettivamente di due persone diverse, e che Levi sia stato sostituito per il ruolo che questi svolse nell’evangelizzazione delle comunità matteane, dove ebbe origine il nostro vangelo, anche se Matteo non ne fu necessariamente il redattore» (Angelico Poppi).
Il mestiere di Matteo è quello di esattore delle tasse e per questo motivo è esecrato dal popolo. Il mestiere portava ad approfittare e a fare la cresta sulle somme da riscuotere, un uomo senza scrupoli, come tanti altri dello stesso mestiere, ma qualcosa di buono doveva essere nascosto nel profondo del suo cuore, se, a differenza dei suoi detrattori si mostra pronto ad accogliere con gioia la parola della salvezza: è il mercante accorto che ha trovato «una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra» (Cf. Mt 13,45-46).
Non viene specificato se la casa dove viene apparecchiato il banchetto è quella di Matteo o quella di Gesù dove dimorava da quando aveva abbandonato Nazaret (Cf. Mt 4,13). Nel testo parallelo di Luca (5,27-32) è il pubblicano divenuto discepolo che prepara in casa sua un banchetto per Gesù al quale invita anche i suoi pari. Per Angelo Lancellotti «è probabilmente il banchetto d’addio che il nuovo “apostolo” dà ai suoi ex-colleghi per sottolineare la serietà e il carattere definitivo della sua risposta alla singolare chiamata del Maestro di Nazaret». In ogni caso mettersi a tavola con i pubblicani e i peccatori significa rendersi impuri. Alle proteste dei farisei, sempiterni scandalizzati di tutti e di tutto quello che non rientrava nel loro modo di pensare, Gesù risponde con un proverbio abbastanza eloquente: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».
Gesù non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori, perché diventino giusti attraverso la loro fede in lui (Cf. Gal 2,16), attraverso l’abbandono totale e fiducioso in lui, che «è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione» (Rom 4,25).
Viene smantellata quella peregrina idea che faceva considerare la salvezza come una miscela di obbedienza pedissequa della Legge e di supererogazione di opere buone (Cf. Lc 18,9-14). Tutto è grazia e come corrispondenza al dono gratuito della salvezza Dio desidera unicamente il nostro amore (Cf. Dt 6,5), come Matteo il pubblicano immantinènte gli ha dato.

... vide Levi, figlio di Alfeo - Costante Brovetto: La chiamata che Dio rivolge agli uomini in vista d’una missione o di un servizio da rendere. Vocazione e Alleanza nell’Antico Testamento. Le scene di vocazione sono tra le pagine più forti della Bibbia. La vocazione di Abramo (Gn 12), la comunicazione a Mosè della sua missione al roveto ardente (Es 12), la vocazione di Isaia nel Tempio (Is 6), il dialogo tra JWIIW e il giovane Geremia (Ger l) mettono a confronto il mistero di Dio e la verità più profonda dell’uomo, strappato ai suoi limiti e alle sue certezze e gettato nella grande epopea della storia della salvezza. Talora il chiamato dà una risposta prontissima (Is 1,8), talora con molta esitazione, come Mosè (Es 4,1-16); talora il chiamato prevede le enormi difficoltà connesse al compito e poi si arrende: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di scherno ogni giorno... La parola del Signore è diventata per me motivo di obbrobrio...” (Ger. 20,7s.).
All’origine di ogni vocazione c’è un’elezione divina per portare a termine il piano divino di salvezza. Indispensabile è la libera adesione dell’uomo alla chiamata, per rispondere alla quale egli abbandona ogni altro suo disegno. Talora Dio, per meglio significare questo cambiamento di esistenza, dà un nome nuovo al suo eletto, indicativo della sua funzione.
“Non ti chiamerai più Abram, ma ti chiamerai Abraham, perché padre di una moltitudine di popoli ti renderò” (Gn 17,5). Vocazione per eccellenza è quella del popolo di Israele, conclusa con la stipulazione dell’Alleanza. Mediante Mosè, Dio chiama: “Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa”, e “tutto il popolo rispose assieme: ‘Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!’” (Es 19,6-8). La Parola biblica domanda a ogni credente di cogliere l’Alleanza come una chiamata rivolta al cuore di ciascuno. La Torà e i Profeti sono pieni di questi appelli. “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze!” (Dt 6,4).
La chiamata di Cristo. Nel Nuovo Testamento Gesù chiama alla propria sequela anzitutto i dodici apostoli. La estende a tutti gli uomini, anche se prevede tanti rifiuti: “Molti sono chiamati, ma pochi eletti” (Mt 22,14). Nella Chiesa nascente l’argomento della vocazione è forte: “Considerate la vostra chiamata, fratelli! ... Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti!” (1Cor 1,26). Come Israele, popolo di Dio, la Chiesa è “comunità di chiamati”. Essa invita a considerare vocazione l’inizio stesso della vita umana: “In Cristo il Padre ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità” (Ef 1,4). Nel battesimo c’è la fondamentale e universale vocazione alla santità. Possono poi essere individuate vocazioni specifiche: quelle al matrimonio, al sacerdozio ministeriale e in genere alla vita consacrata, o anche, più genericamente, vocazioni a ministeri laicali legate ai carismi ricevuti. Tutte le vocazioni sono tra loro complementari nella Chiesa “corpo ben compagninato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro” (Ef 4,16).

I pubblicani e le prostitute ci precedono... - Catechismo della Chiesa Cattolica 587: Se la Legge e il Tempio di Gerusalemme hanno potuto essere occasione di «contraddizione» da parte di Gesù per le autorità religiose di Israele, è però il suo ruolo nella redenzione dei peccati, opera divina per eccellenza, a rappresentare per costoro la vera pietra d’inciampo.
588 Gesù ha scandalizzato i farisei mangiando con i pubblicani e i peccatori con la stessa familiarità con cui pranzava con loro. Contro quelli tra i farisei «che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri» (Lc 18,9), Gesù ha affermato: «Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi» (Lc 5,32).
Si è spinto oltre, proclamando davanti ai farisei che, essendo il peccato universale, coloro che presumono di non avere bisogno di salvezza, sono ciechi sul proprio conto.
589 Gesù ha suscitato scandalo soprattutto per aver identificato il proprio comportamento misericordioso verso i peccatori con l’atteggiamento di Dio stesso a loro riguardo. È arrivato a lasciar intendere che, sedendo a mensa con i peccatori, li ammetteva al banchetto messianico. Ma è soprattutto perdonando i peccati, che Gesù ha messo le autorità religiose di Israele di fronte a un dilemma. Costoro non erano nel giusto quando, costernati, dicevano: «Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?» (Mc 2,7)? Perdonando i peccati, Gesù o bestemmia perché è un uomo che si fa uguale a Dio, oppure dice il vero e la sua persona rende presente e rivela il nome di Dio.

Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): «Non hanno bisogno del medico i sani, ma i malati. Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori». Il proverbio del medico era noto anche fuori del giudaismo. Gesù se ne serve forse per esprimere la sua premura verso i peccatori. Però rimane incerto il contesto originale in cui pronunciò questa sentenza: forse fu tramandata in forma isolata. Il secondo detto, concernente la chiamata dei peccatori, quadra meglio con il presente contesto. Gesù è venuto a chiamare (kaléò) i peccatori al banchetto escatologico, simbolo del regno dei cieli. I giusti non ne saranno certamente esclusi, ma egli deve interessarsi soprattutto dei pecca­tori, che rischiano di perdersi eternamente, venendo privati della comunione di vita con Dio. La chiamata di un pubblico peccatore, Levi, tra i Dodici e la commensalità con i pubblicani manifestavano concretamente la bontà salvifica di Dio, attraverso la missione del suo Inviato definitivo. Gesù aveva il compito di annunciare e di attuare tale progetto dell’amore misericordioso e universale del Padre.
La controversia riflette una problematica molto viva nella chiesa primitiva: l’aggregazione sempre più consistente alla comunità dei pagani, che si convertivano al vangelo. I giudeocristiani non dovevano rifiutare la loro commensalità, perché anch’essi erano figli di Dio. Paolo ebbe occasione di rimproverare Pietro per il suo comportamento ambiguo ad Antiochia di Siria (Gal 2,11-21). Inoltre, nella chiesa non mancavano peccatori (ch’erano la zizzania nel buon grano; cf. Mt 13,24-30.36-43). Anche costoro non andavano discriminati e segregati, ma ricercati con premura, a imitazione di Gesù, per portarli alla conversione.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori». 
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Ispira nella tua paterna bontà, o Signore, i pensieri e i propositi del tuo popolo in preghiera, perché veda ciò che deve fare e abbia la forza di compiere ciò che ha veduto. Per il nostro Signore Gesù Cristo...