17 Gennaio 2019
  
GIOVEDÌ DELLA I SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO


Oggi Gesù ci dice: «Lo voglio, sii purificato!» (Vangelo).


Vangelo: Dal Vangelo secondo Marco 1,40-45: La guarigione del lebbroso rivela il cuore misericordioso e compassionevole di Gesù, ma è anche un messaggio chiaro ai suoi discepoli e al popolo d’Israele: Gesù con i suoi miracoli mostra che le sue opere inaugurano veramente l’èra messianica, ma sotto forma di doni e di salvezza e non di condanna e di castigo (Cf. Lc 4,17-21).

Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): v. 40 La predicazione nella Galilea durò più settimane (cf. Mt., 4, 23; 9, 35; Lc., 4, 44) e, durante questo periodo, vennero compiuti vari miracoli. Marco riferisce soltanto la guarigione di un lebbroso. Mi puoi mondare; «mondare» era il termine in uso per indicare la guarigione dalla lebbra, malattia che rendeva legalmente impuro il paziente; l’espressione equivale quindi alla seguente: mi puoi guarire.
v. 41 Lo toccò; tutti e tre i Sinottici hanno conservato il ricordo del tocco miracoloso della mano di Gesù; la guarigione fu operata con questo gesto accompagnato da un comando:  (lo voglio), sii mondato.
v.43 Con tono severo; stupisce questa dura espressione dopo l’atto misericordioso e compassionevole compiuto dal Maestro (cf. vers. 41). Marco, nel racconto, ha omesso alcuni particolari che possono illuminare questo comando di Gesù; secondo Luca (cf. Lc., 5,12) il miracolo fu operato quando il Maestro si trovava «in una città» della Galilea; il lebbroso aveva quindi violato le prescrizioni della legge mosaica che gl’interdicevano di avvicinare gli altri per evitare il contagio della terribile malattia. Cristo tollerò la presenza del lebbroso in un centro abitato e gli concesse la guarigione richiesta con tanto accoramento e fervore. Il Maestro comandò al risanato di allontanarsi dal luogo, non soltanto per fargli eseguire il precetto della legge che prescriveva ai guariti dalla lebbra di presentarsi ai sacerdoti per essere dichiarati «mondi», ma soprattutto per non diffondere tra gli abitanti la notizia del miracolo compiuto, che poteva sollevare un’ondata di entusiasmo popolare, dannosa per la penetrazione del suo messianismo spirituale nelle menti dei contemporanei.
                                                                                                              
Se vuoi - Pur consapevole di infrangere la Legge di Mosè che lo voleva segregato, il lebbroso si prostra ai piedi di Gesù per implorare la guarigione.
Se vuoi, puoi purificarmi: con questa decisa invocazione vuole dare forza alla sua preghiera; egli è profondamente certo che la guarigione può scaturire solo da un atto positivo della volontà del Cristo. Escluso dalla comunità ebraica a motivo della sua malattia, non chiede semplicemente di essere guarito, ma di tornare ad essere “puro”, reintrodotto nel consorzio umano, quello sociale e religioso.
Ne ebbe compassione, «in greco abbiamo un verbo, che risente della mentalità semitica, giacché indica propriamente un movimento delle viscere, considerate come sede dei sentimenti. Nella nostra lingua abbiamo qualcosa di simile quando parliamo di “amore sviscerato”» (Adalberto Sisti).
Ma a conturbare è il gesto di toccare il lebbroso.
Gesù rompendo ogni schema legale e ogni norma di prudenza scandalizza i presenti. Una affermazione che non è esagerata se si tiene presente che il lebbroso, era considerato alla stregua di un morto.
La lebbra, considerata come una punizione inflitta da Dio (Cf. Num 12,9s; 2Sam 3,29; 2Re 5,27; 15,5), rendeva impuri con conseguenze aberranti e degradanti per l’infettato: non solo era tagliato fuori dal consorzio civile, ma soprattutto era reso inabile alla liturgia del tempio e quindi escluso dalla stessa salvezza. La sua presenza infettava e rendeva impuri. Toccare un lebbroso era come toccare un morto. Una conferma viene dallo storico ebreo Giuseppe Flavio: i lebbrosi stavano «sempre fuori dalle città; dal momento che essi non potevano incontrare nessuno non erano in nulla diversi da un cadavere» (Antichità Giudaiche, III, 11,3).
Lo voglio, sii purificato! cioè sii puro: Gesù, toccandolo, lo purifica e lo restituisce alla vita.
Ma quello che veramente sconcerta è il modo con il quale Gesù allontana il lebbroso dopo la guarigione: ammonendolo severamente, lo cacciò via subito (letteralmente: sdegnandosi con lui subito lo rimandò). Un gesto che è palesemente in contraddizione con la compassione mostrata inizialmente verso il lebbroso. Perché Gesù si è comportato in questo modo? L’atteggiamento di Gesù «sembra duro; ma può essere stato provocato sia dal fatto che il lebbroso non aveva tenuto conto delle regole di segregazione, sia dal desiderio dello stesso Gesù di non provocare un eccessivo entusiasmo tra la folla, come appare dal successivo comando di non parlare della cosa a nessuno» (Adalberto Sisti).
Va’, invece, a mostrarti al sacerdote: la Legge infatti prescriveva che l’avvenuta purificazione doveva essere comprovata dai sacerdoti e suggellata da sacrifici. Sarebbe servito anche come testimonianza per loro: si credeva che nel tempo della salvezza non ci sarebbe stata più la lebbra. Le guarigioni dalla lebbra compiute da Gesù indicano perciò che il tempo della salvezza è giunto (Cf. Mt 8,2-4; 11,5). L’uomo, per Rinaldo Fabris, ormai «purificato deve essere riammesso nella comunità. Là dove arriva il regno di Dio cadono le barriere e le esclusioni; i tutori dell’antica legislazione devono riconoscere che questo è una prova del tempo nuovo. Il lebbroso guarito allora può diventare un “annunciatore della parola” [...], colui che comunica il messaggio nuovo racchiuso nel gesto di Gesù».
All’ordine tassativo di non dire nulla a nessuno, segue l’evidente violazione della consegna da parte dell’uomo, ormai guarito dalla lebbra. Gesù vuole evitare facili entusiasmi, non vuole che il popolo sia attratto unicamente dai suoi miracoli, ma è difficile nascondere un fatto così clamoroso.
Come è già successo altre volte, Gesù, a motivo del miracolo svelato dall’improvvisato banditore, non può più entrare nei centri abitati, ma è obbligato a starsene riparato in luoghi solitari. Ma questo non scoraggia la gente che numerosa si affolla attorno alla sua persona. La gente forse non ha capito il mistero del Cristo e lo cerca per un tornaconto personale, ma certamente ha compreso in modo netto una cosa: incontrare quel giovane Maestro, essere toccati da lui, ascoltare la sua parola è come l’essere introdotti in un nuovo mondo dove si respira il profumo della libertà, della sanità corporale e spirituale, della salvezza.

Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro - Jacque Hervieux (Vangelo di Marco): Indirizzandolo dal sacerdote, Gesù vuole assicurargli il suo reinserimento nella comunità religiosa: ufficialmente, era al sacerdote che spettava constatare la guarigione (Lv 14,1-9ss). Questo procedimento rituale presso i rappresentanti del popolo servirà da «testimonianza» ai giudei: essi constateranno il compimento da parte di Gesù dell’attesa secolare del messia; e dovranno concludere che il tempo della salvezza è giunto.
Ma ecco un fatto sorprendente: il lebbroso trasgredisce l’ordine impartito da Gesù di tacere la propria guarigione (v. 45a); l’uomo «proclama» la notizia. Il verbo è quello che indica l’annuncio del vangelo: è evidente che Marco ha valicato l’ epoca di Gesù per collocare i propri lettori nell’ attualità. Il lebbroso guarito è un simbolo del missionario della buona novella. Con la risurrezione di Gesù, il «segrete messianico» è diventato inutile. Adesso, i lettori illuminati dagli eventi della salvezza sono invitati, sull’esempio di questo miracolato, a diffondere il gioioso messaggio liberatore di Gesù.
Tuttavia l’evangelista, concludendo il suo racconto, torna al tempo di Gesù. A motivo di questo atto salvifico e della pubblicità che ne riceve, il maestro è costretto a fuggire la folla che viene a lui da ogni dove (v. 45b). Il cerchio così si chiude. All’inizio della storia, vediamo un malato emarginato, costretto all’isolamento, che osa avvicinarsi a Gesù; alla conclusione, una gran folla accorre dal guaritore. Per questa folla, come per il lettore, la domanda non fa che rimbalzare: «Chi è costui» che porta con sé la riabilitazione degli esclusi, la loro comunione con Dio e la vita con i loro fratelli? 

Paolo VI (Omelia, 29 Gennaio 1978): La lebbra! Il solo nome, ancor oggi, ispira a tutti un senso di sgomento e di orrore. Sappiamo dalla storia che tale sentimento era fortemente percepito presso gli antichi, in particolare presso i popoli dell’Oriente, ove, per motivi climatici ed igienici, tale morbo era molto avvertito. Nell’Antico Testamento (Cfr. Lev. 13-14) riscontriamo una puntuale e minuta casistica e legislazione nei confronti dei colpiti dalla malattia: le paure ancestrali, la concezione diffusa circa la fatalità, l’incurabilità ed il contagio, costringevano il popolo ebraico ad usare le opportune misure di prevenzione, mediante l’isolamento del lebbroso, il quale, considerato in stato di impurità rituale, veniva a trovarsi fisicamente e psicologicamente emarginato ed escluso dalle manifestazioni familiari, sociali e religiose del popolo eletto. Inoltre, la lebbra si configurava come un marchio di condanna, in quanto la malattia era considerata un castigo di Dio. Non rimaneva se non la speranza che la potenza dell’Altissimo volesse guarire i colpiti.
Gesù, nella sua missione di salvezza, ha spesso incontrato i lebbrosi, questi esseri sfigurati nella forma, privi del riflesso dell’immagine della gloria di Dio nell’integrità fisica del corpo umano, autentici rottami e rifiuti della società del tempo.
L’incontro di Gesù con i lebbrosi è il tipo e il modello del suo incontro con ogni uomo, il quale viene risanato e ricondotto alla perfezione dell’originaria immagine divina e riammesso alla comunione del popolo di Dio. In questi incontri Gesù si manifestava come il portatore di una nuova vita, di una pienezza di umanità da tempo perduta. La legislazione mosaica escludeva, condannava il lebbroso, vietava di avvicinarlo, di parlargli, di toccarlo. Gesù, invece, si dimostra, anzitutto, sovranamente libero nei confronti della legge antica: avvicina, parla, tocca, e addirittura guarisce il lebbroso, lo sana, riporta la sua carne alla freschezza di quella di un bimbo. «Allora venne a lui un lebbroso - si legge in Marco -, lo supplicava in ginocchio e gli diceva: “Se vuoi, puoi guarirmi!”. Mosso a compassione Gesù stese la mano lo toccò e gli disse: “Lo voglio, guarisci!”. Subito la lebbra scomparve ed egli guarì» (Marc. 1,40-42; cfr. Matth. 8,2-4; Luc. 5,12-15). Lo stesso avverrà per altri dieci lebbrosi (Cfr. Luc. 17,12-19). «I lebbrosi sono guariti!», ecco il segno che Gesù dà per la sua messianicità ai discepoli di Giovanni il Battista, venuti ad interrogarlo (Matth. 11,5). E ai suoi discepoli Gesù affida la propria stessa missione: «Predicate che il regno dei cieli è vicino.., sanate i lebbrosi» (Matth 10,7ss.). Egli inoltre affermava solennemente che la purità rituale è completamente accessoria, che quella veramente importante e decisiva per la salvezza è la purezza morale, quella del cuore, della volontà, che non ha nulla a che vedere con le macchie della pelle o della persona (Cfr. Ibid. 15,10-20).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  Ascoltate oggi la voce del Signore: non indurite il vostro cuore. (Salmo Responsoriale)
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che hai ispirato a sant’Antonio abate di ritirarsi nel deserto, per servirti in un nuovo modello di vita cristiana, concedi anche a noi per sua intercessione di superare i nostri egoismi per amare te sopra ogni cosa. Per il nostro Signore Gesù Cristo...