9 Dicembre 2018

II Domenica di Avvento

Oggi Gesù ci dice: «Preparate la via dl Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!» (Lc 3,4-6).

Dal Vangelo Luca 3,1-6: Voce di uno che grida nel deserto: Il deserto è il luogo della prova, della tentazione, della purificazione. Il luogo dove trovano dimora i demoni. Ma è anche il luogo dove Dio parla al cuore dell’uomo (Os 2,16). È la ‘cattedrale di Dio’ dove Egli celebra le nozze con l’umanità smarrita, dispersa: «La attirerò a me, la condurrò nel deserto... Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore» (Os 2,16.21). È il luogo dove l’uomo tocca con mano la fedeltà e l’amore di Dio, ne assapora l’amiciza e la salvezza: «Tu sei un Dio pronto a perdonare, pietoso e misericordioso, lento all’ira e di grande benevolenza e non li hai abbandonati... Per quarant’anni li hai nutriti nel deserto e non è mancato loro nulla; le loro vesti non si sono logorate e i loro piedi non si sono gonfiati» (Ne 9,17.21). In questo luogo arido, memoria della debolezza dell’uomo e della potenza misericordiosa di Dio, Luca presenta la vocazione profetica di Giovanni Battista come un’irruzione della Parola di Dio su di lui, che lo chiama e lo abilita a compiere la missione che gli viene affidata.

Nell’anno decimo quinto dell’impero di Tiberio Cesare… : Benedetto XVI (Angelus, 6 dicembre 2009): Cari fratelli e sorelle! In questa seconda domenica di Avvento, la liturgia propone il brano evangelico in cui san Luca, per così dire, prepara la scena su cui Gesù sta per apparire e iniziare la sua missione pubblica (cfr. Lc 3,1-6). L’Evangelista punta il riflettore su Giovanni Battista, che del Messia fu il precursore, e traccia con grande precisione le coordinate spazio-temporali della sua predicazione. Scrive Luca: “Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconitide, e Lisania tetrarca dell’Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto” (Lc 3,1-2). Due cose attirano la nostra attenzione. La prima è l’abbondanza di riferimenti a tutte le autorità politiche e religiose della Palestina nel 27/28 d.C. Evidentemente l’Evangelista vuole avvertire chi legge o ascolta che il Vangelo non è una leggenda, ma il racconto di una storia vera, che Gesù di Nazaret è un personaggio storico inserito in quel preciso contesto. Il secondo elemento degno di nota è che, dopo questa ampia introduzione storica, il soggetto diventa “la parola di Dio”, presentata come una forza che scende dall’alto e si posa su Giovanni il Battista.

La parola di Dio venne su Giovanni... nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano... Una espressione cara agli autori sacri: sta a indicare l’investitura profetica da parte di Dio. Giovanni, già pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre (Lc 1,15), nel deserto viene nuovamente investito dalla potenza dello Spirito Santo che lo abilita al ministero profetico. Luca lo presenta come un predicatore itinerante. L’annuncio profetico del figlio di Zaccaria è teso a svelare al popolo eletto che il tempo della attesa del Messia è ormai compiuto ed è arrivato il momento di deporre «la veste del lutto e dell’afflizione» (Bar 5,1): il cuore dell’uomo sarà inondato di gioia perché vedrà la salvezza di Dio.
Sempre con l’esattezza dello storico, Luca qui indica due luoghi: il deserto e il Giordano. Luoghi cari alla spiritualità ebraica: nel deserto il «silenzio rende possibile la percezione della parola di Dio, e l’asprezza della vita fa intendere meglio l’amore di Dio... Presso il Giordano è caduta la fortezza di Gerico sotto la potenza di Dio, ed ora deve crollare il baluardo spirituale di satana, che sbarra il passo al regno di Dio. Deserto e Giordano sono quindi significativi. Sono luoghi nei quali la parola di Dio viene pronunciata ed intesa in maniera speciale. Luoghi di grazie dove il popolo si reca in pellegrinaggio, luoghi di speciali effetti divini, dove si ergono templi, perché in essi Dio è particolarmente vicino» (Richard Gutzwiller).
Per Luca Giovanni è un predicatore itinerante e non il battezzatore o il battista, perché il suo battesimo non poteva produrre la salvezza che sarà inaugurata e portata a compimento dal Cristo. Per Luca la missione del figlio di Zaccaria è quella di chiamare gli uomini alla conversione per il perdono dei peccati così come già era stato preannunciato dall’angelo: camminerà innanzi al Signore «con lo spirito e la forza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto» (Gv 1,17).
Il brano evangelico si chiude con una citazione tratta dal libro del profeta Isaia (40,1-3) che Luca prolunga più di Matteo e Marco per giungere fino all’annunzio della salvezza universale.
Il testo di Isaia annuncia la liberazione del popolo eletto, ora questo annuncio si adempie perfettamente: ora con la venuta del Cristo a spezzarsi non saranno i ceppi di ferro, ma i legami di morte che tenevano gli uomini schiavi di satana. L’umanità «deve uscire ora da una schiavitù e da un esilio spirituale e avviarsi con una marcia irresistibile al Regno di Dio. Questa marcia è guidata da Dio, che si è messo alla testa, e precisamente dell’Uomo-Dio, dal Messia, da Gesù Cristo. Perciò gli devono essere spianate le vie spirituali, preparandogli lo spirito e i cuori. Giovanni è l’araldo, il grande banditore, che appiana questa via, nell’imminenza dell’arrivo del gran Re» (Richard Gutzwiller).

Giovanni, Precursore, Profeta e Battista: CCC 717-720: «Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni » (Gv 1,6). Giovanni è riempito «di Spirito Santo fin dal seno di sua madre» (Lc 1,15) da Cristo stesso che la Vergine Maria aveva da poco concepito per opera dello Spirito Santo. La «visitazione» di Maria ad Elisabetta diventa così visita di Dio al suo popolo. Giovanni è «quell’Elia che deve venire»: il fuoco dello Spirito abita in lui e lo fa «correre avanti» (come «precursore») al Signore che viene. In Giovanni il Precursore, lo Spirito Santo termina di «preparare al Signore un popolo ben disposto» (Lc 1,17). Giovanni è «più che un profeta». In lui lo Spirito Santo termina di «parlare per mezzo dei profeti». Giovanni chiude il ciclo dei profeti inaugurato da Elia. Egli annunzia che la consolazione di Israele è prossima; è la «voce» del Consolatore che viene. Come farà lo Spirito di verità, egli viene «come testimone per rendere testimonianza alla Luce» (Gv 1,7). In Giovanni, lo Spirito compie così le «indagini dei profeti» e il «desiderio» degli angeli: «L’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio. [...]. Ecco l’Agnello di Dio» (Gv 1,33-36). Infine, con Giovanni Battista lo Spirito Santo inaugura, prefigurandolo, ciò che realizzerà con Cristo e in Cristo: ridonare all’uomo «la somiglianza» divina. Il battesimo di Giovanni era per la conversione, quello nell’acqua e nello Spirito sarà una nuova nascita.

Voce di uno che grida... - Nel cristianesimo, penitenza indica un processo di conversione a Dio staccandosi «dal peccato, guardando addolorati e contriti al proprio passato; è l’inizio di un movimento che trova il suo compimento nell’affidarsi a Dio e nel rinnovamento del cuore» (F. Hauss).
Per la sacra Scrittura, la penitenza nasce in vista del giudizio di Dio (cfr. Mt 12,1; Atti 17,30; Ap 3,19; ecc.) e alla comprensione della bontà e dell’amore di Dio: «È scoprendo la grandezza dell’amore di Dio che il nostro cuore viene scosso dall’orrore e dal peso del peccato e comincia a temere di offendere Dio con il peccato e di essere separato da lui» (Catechismo della Chiesa Cattolica 1432; cfr. Mt 9,13; Rom 2,4; ecc.). Ma soprattutto essa nasce in virtù della potente testimonianza del Cristo, Crocifisso e Risorto, che ad un tempo giudica e dà grazia: «Il cuore umano si converte guardando a colui che è stato trafitto dai nostri peccati [cfr. Gv 19,37]. Teniamo fisso lo sguardo sul sangue di Cristo, e consideriamo quanto sia prezioso per Dio suo Padre; infatti, sparso per la nostra salvezza, offrì al mondo intero la grazia della conversione» (ibidem 1432; cfr. At 2,36-38; 3,19).
Il pentimento è opera di Dio che offre all’uomo possibilità di conversione e di penitenza (cfr. Sap 2,10): «Il cuore dell’uomo è pesante e indurito. Bisogna che Dio dia all’uomo un cuore nuovo [cfr. Ez 36,26-27]. La conversione è anzitutto un’opera della grazia di Dio che fa ritornare a lui i nostri cuori: “Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo” (Lam 5,21 ). Dio ci dona la forza di ricominciare» (Catechismo della Chiesa Cattolica 1432).
Ma la conversione è anche opera degli uomini, i quali, accogliendo il Vangelo della salvezza, raddrizzano i loro sentieri e fanno dritti i loro passi.
Se penitenza significa innanzi tutto distacco dal male, il distacco va significato con la risoluta decisione di immergersi nelle acque salutari della purificazione confessando i peccati (cfr. Lc 15,21; 18,13; 23,41) e con l’affliggersi sinceramente della propria miseria spirituale: «Gemete sulla vostra miseria, fate lutto e piangete; il vostro riso si muti in lutto e la vostra allegria in tristezza» (Gc 4,9; cfr. Lc 7,38; 22,62).
Solo dalla penitenza derivano frutti di salvezza, di onestà e di rettitudine morale. Un frutto che non si manifesta nello straordinario, ma nel quotidiano, nella vita di ogni giorno con tutti i suoi chiaroscuri.
Per il Catechismo della Chiesa Cattolica, la penitenza serve a «farci acquisire il dominio sui nostri istinti e la libertà del cuore» (2043). Ecco perché concretamente la penitenza è fatta anche di gesti e opere esteriori, come il «sacco e la cenere», i digiuni e le mortificazioni. Ma sarebbe infruttuosa se non si puntasse alla conversione del cuore, alla «penitenza interiore. Senza di essa, le opere di penitenza rimangono sterili e menzognere; la conversione interiore spinge invece all’espressione di questo atteggiamento in segni visibili, gesti e opere di penitenza» (ibidem 1430).
Giovanni grida, noi facciamo silenzio. O muoviamo appena le labbra, perché non bisogna traumatizzare, non bisogna spaventare. Un’Ave Maria va bene anche per l’usuraio, per il corruttore, per chi bestemmia ... Bastano due giorni l’anno per il digiuno e l’astinenza, perché il Signore ci vuole, gioiosi, canterini, felici. E così sembriamo essere i cittadini del paese di Bengòdi e non della Gerusalemme celeste nella quale non entrerà nulla di impuro (Ap 21,27) e per non essere impuri bisogna essere puri e per essere puri occorre convertirsi, fare penitenza. Vale molto per il cristiano il detto: «La pace si ottiene con la guerra».
Non perché il cristiano sia un guerrafondàio, ma perché se vuole la salvezza bisogna che egli combatta contro «la carne, il mondo e il demonio» e solo il vincitore sarà posto «come colonna» nel tempio di Dio «e non ne uscirà mai più» (Ap 3,12).

… nel deserto - Giuliano Vigini: Il deserto (erémos) - inteso come terra arida (anydros, senz’acqua: Mt 12,43; Lc 11,24) e disabitata, o semplicemente come luogo solitario (erémia, Mt 15,33; Mc 8,4; 2Cor 11,26; Eb 11,38) - rappresenta nel Nuovo Testamento l’habitat naturale della presenza e della grazia di Dio, della vicinanza e dell’incontro con lui. Può però anche indicare il luogo del pericolo e della tentazione, dove agiscono gli spiriti maligni, e dunque prefigurare il tempo della prova e della purificazione.
Nel deserto Dio ha manifestato ad Israele, per circa quarant’anni, prodigi di grazia (At 7,36.38.44; 13,18). Il serpente di bronzo (Gv 3,14), l’acqua zampillante (Gv 4,14) e la manna (Gv 6,31.49) vengono evocati dal racconto dell’esodo come segni di salvezza nella morte, risurrezione ed esaltazione gloriosa di Cristo. Le stesse dure esperienze vissute da Israele nel deserto sono servite come lezione ed esempio per temprare la fede nel vero Signore (1Cor 10,5-13).
Dal deserto Giovanni Battista inizia la sua predicazione (Mt 3,1; Lc 3,2) e Gesù, prima della sua vita pubblica, trascorre quaranta giorni nel deserto, dove viene tentato dal diavolo (Mt 4,1; Mc 1,12; Lc 4,1- 2). Anche dopo, da solo o con i suoi discepoli, più volte si ritira nel deserto a pregare a a riposarsi (cfr., ad es., Mc 1,35; 6,31). Anche la “donna” dell’Apocalisse (12,6.14) - che simboleggia la Chiesa, la nuova comunità di Gesù - si rifugia nel deserto per attendere sicura l’ora del ritorno di Cristo, quando le forze del male saranno definitivamente sconfitte.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Nella città santa, la nuova Gerusalemme non entrerà nulla d’impuro, né chi commette orrori o falsità, ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello. (Ap 21,27)
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio grande nell’amore, che chiami gli umili alla luce gloriosa del tuo regno, raddrizza nei nostri cuori i tuoi sentieri, spiana le alture della superbia, e preparaci a celebrare con fede ardente la venuta del nostro salvatore, Gesù Cristo tuo Figlio. Egli è Dio, e vive e regna con te...