22 Ottobre 2018

Lunedì XXIX Settimana T. O


Oggi Gesù ci dice: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.” (Mt 5,3 - Acclamazione al Vangelo)

Dal Vangelo secondo Luca 12,13-21: Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità: Un tale chiede a Gesù di far da giudice in una questione di eredità che in innumerevoli casi è fonte di litigi e perniciose divisioni. Gesù, non acconsentendo di fare da mediatore o da giudice, ricusa un ruolo che era molto ambito dalle guide spirituali d’Israele le quali ben volentieri si avventuravano in queste vicende: essendo attaccate al denaro erano pronte ad assumere questo compito più per guadagno che per giustizia (Cf. Mc 12,40; Lc 20,47).
Così commenta Nicola di Lira: «Col fatto che il Signore non volle intromettersi nella divisione dell’eredità tra i fratelli, si vuole mostrare che i predicatori del Vangelo non devono interessarsi della determinazione degli affari di questo mondo».
La risposta di Gesù all’anonimo interlocutore, come sempre, tout court, va al cuore del problema: mettendo in evidenza il vero motivo della disputa sulla eredità, invita l’uomo a tenersi «lontano da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni».
L’uomo ricco della parabola (vv. 16-21) è stolto non perché agogna il riposo dopo la fatica o perché ha saputo approfittare della insperata fortuna che lo ha messo tra le file dei ricchi, ma perché non ha elevato mai il pensiero a Dio; perché ha escluso Dio dalla sua vita, fonte della ricchezza vera e datore di «ogni buon regalo e ogni dono perfetto» (Gc 1,17; Cf. Gv 3,27).
L’uomo ricco della parabola, dando eccessivo peso ai beni terreni come se tutto dipendesse dalla loro abbondanza, si è chiuso in una triste avventura umana dalla quale è stato bandito il Cielo.

«O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?»: La risposta di Gesù è in sintonia con gli insegnamenti sapienziali. Già Ben Sirach suggeriva ai suoi lettori: «Chi ama l’oro non sarà esente da colpa, chi insegue il denaro ne sarà fuorviato. Molti sono andati in rovina a causa dell’oro, e la loro rovina era davanti a loro. È una trappola per quanti ne sono infatuati, e ogni insensato vi resta preso» (Sir 31,5-7).
Lo stolto, secondo l’Antico Testamento, è colui che «non informa la condotta alle regole insegnate dai saggi. Anzi, egli si oppone alla verità che la creazione stessa gli manifesta e rifiuta un ordine che gli sarebbe invece salutare. Alla base del suo comportamento vi è una lacuna nella “conoscenza”, una errata valutazione della realtà» (A. Z.). Lo stolto è «colui che si comporta male con Dio e con gli uomini» (Bibbia di Gerusalemme); è il ficcanaso che si immischia in tutto (Cf. Prov 17,24); è colui che nega l’esistenza di Dio e la sua provvidenza (Cf. Sir 5,3); lo stolto è l’uomo ribelle, scettico e libertino (Cf. Sir 22,9-11); stolto è il popolo che abbandona il suo vero Dio per mettersi tra le braccia di idoli che sono inutili e vani (Cf. Ger 2,11). Lo stolto è colui che non si domina, che non controlla le sue passioni (Cf. Prov 29,11 ).
La rovina dello stolto sarà improvvisa, «in un attimo, crollerà senza rimedio» (Prov 6,15).
Il peccato dell’uomo ricco della parabola non sta nella cupidigia, infatti, non ha cercato affannosamente di arricchirsi: è solo un uomo che è stato baciato dalla fortuna; non è nemmeno un uomo perverso o vizioso: in un’ultima analisi, è semplicemente un uomo che fa progetti e vuol godersi la sua fortuna. Il suo vero errore sta nel fatto di non attendere «alle cose del cielo» (Cf. Col 3,1-2): il pesante metallo aureo, come sporco cerume, ha occluso l’udito dello spirito impedendogli di captarle. Oltre ad essere sordo è anche un povero cieco pur dicendo di vedere (Cf. Gv 9,39): una cecità che lo trascina ad escludere Dio dalla sua vita e ad assolutizzare e a riporre la sua fiducia in quello che è soltanto transeunte, fumo, apparenza.
Tradotto nel linguaggio biblico, questo agire è idolatria perché «pur conoscendo Dio» non gli ha «dato gloria né gli ha reso grazie» e «vaneggiando nei suoi ragionamenti si è ottenebrata la sua mente ottusa» (Cf. Rom 1,21). Ha invertito ruoli e valori. Invece di dare lode a Dio, dal quale dipende la sorte di ogni uomo, ha esaltato le creature e i valori terreni che, come la scena di questo mondo (Cf. 1Cor 7,31), passeranno inesorabilmente. È come quel tale che dopo una pesca abbondante invece di ringraziare Dio «offre sacrifici alle sue sciabiche e brucia incenso alle sue reti, perché, grazie a loro, la sua parte è abbondante e il  suo cibo succulento» (Abacuc 1,16).
L’uomo della parabola è stolto perché invece di procurarsi un tesoro inesauribile presso Dio ha pensato solo di accumulare per sé.
In ultima istanza, Gesù ha voluto porre l’anonimo interlocutore dinanzi al suo vero destino; gli ha insegnato che il pensare alla morte personale è più importante del tesoreggiare: questo significa arricchirsi dinanzi a Dio. La prospettiva, quindi, è «quella della morte personale: è in questo momento che i beni della terra vengono meno e che importa disporre di tesori indefettibili... Il discepolo di Gesù si preoccupa del tesoro di cui potrà disporre in cielo presso Dio, nel momento in cui Dio gli chiederà l’anima» (J. Dupont). E questa è sapienza cristiana!

Maestro, di’ a mio fratello… - Non desiderare: il decimo comandamento: Catechismo della Chiesa Cattolica nn. 2536-2537: Il decimo comandamento proibisce l’avidità e il desiderio di appropriarsi senza misura dei beni terreni; vieta la cupidigia sregolata, generata dalla smodata brama delle ricchezze e del potere in esse insito. Proibisce anche il desiderio di commettere un’ingiustizia, con la quale si danneggerebbe il prossimo nei suoi beni temporali: «La formula: Non desiderare è come un avvertimento generale che ci spinge a moderare il desiderio e l’avidità delle cose altrui. C’è infatti in noi una latente sete di cupidigia per tutto ciò che non è nostro; sete mai sazia, di cui la Sacra Scrittura scrive: L’avaro non sarà mai sazio del suo denaro (Qo 5,9)». Non si trasgredisce questo comandamento desiderando ottenere cose che appartengono al prossimo, purché ciò avvenga con giusti mezzi. La catechesi tradizionale indica con realismo «coloro che maggiormente devono lottare contro le cupidigie peccaminose» e che, dunque, «devono con più insistenza essere esortati ad osservare questo comandamento»: «Sono, cioè, quei commercianti e quegli approvvigionatori di mercati che aspettano la scarsità delle merci e la carestia per trarne un profitto con accaparramenti e speculazioni; [...] quei medici che aspettano con ansia le malattie; quegli avvocati e magistrati desiderosi di cause e di liti...».

Tenetevi lontani da ogni cupidigia: Catechismo degli Adulti n. 146: La ricchezza diventa padrona, quando uno ripone in essa la misura del proprio valore e la sicurezza della vita: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni» (Lc 12,15). Si tratta di un pericolo molto concreto. Il giovane ricco non riesce a liberarsi dei suoi averi; volta le spalle a Gesù e se ne va triste. Il ricco della parabola è senza cuore verso Lazzaro, il mendicante affamato e coperto di piaghe; e i suoi cinque fratelli continuano a gozzovigliare spensierati, al punto che nemmeno un morto risuscitato potrebbe scuoterli. Le folle, che seguono Gesù, si aspettano da Dio facile abbondanza di beni materiali e, invece di accogliere nella fede lui e la sua volontà, lo strumentalizzano ai propri desideri e interessi.

La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante...: L’ansia di produrre e possedere: Catechismo degli Adulti n. 1120: La qualità più considerata nella nostra cultura è la capacità professionale. Si tratta indubbiamente di un valore autentico. Ma facilmente può degenerare in assillo produttivo, smania di guadagnare, ambizione di carriera e ricerca del successo ad ogni costo. Il potere e la ricchezza diventano misura di riuscita personale, modello di vita proposto e riproposto dai mezzi di comunicazione. Si è qualcuno se si è professionisti altamente specializzati, se si possiede una seconda casa, una seconda macchina, se si frequentano certi ambienti raffinati, eleganti, se si fanno certi viaggi. I più deboli finiscono inesorabilmente emarginati dalla concorrenza. Si affonda nel materialismo pratico, incapaci di amore disinteressato, indifferenti verso Dio, spiritualmente ciechi. La Chiesa contesta decisamente questa mentalità: «Il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro». L’uomo non vale per quello che produce o possiede o consuma, ma per se stesso. È il messaggio che viene dalla rivelazione biblica.

Evangelium vitae n. 32: Sono i «poveri» ad essere interpellati particolarmente dalla predicazione e dall’azione di Gesù. Le folle di malati e di emarginati, che lo seguono e lo cercano (cf. Mt 4,23-25), trovano nella sua parola e nei suoi gesti la rivelazione di quale grande valore abbia la loro vita e di come siano fondate le loro attese di salvezza.
Non diversamente accade nella missione della Chiesa, fin dalle sue origini. Essa, che annuncia Gesù come colui che «passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui» (At 10,38), sa di essere portatrice di un messaggio di salvezza che risuona in tutta la sua novità proprio nelle situazioni di miseria e di povertà della vita dell'uomo. Così fa Pietro con la guarigione dello storpio, posto ogni giorno presso la porta «Bella» del tempio di Gerusalemme a chiedere l'elemosina: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!» (At 3,6). Nella fede in Gesù, «autore della vita» (At 3,15), la vita che giace abbandonata e implorante ritrova consapevolezza di sé e dignità piena.
La parola e i gesti di Gesù e della sua Chiesa non riguardano solo chi è nella malattia, nella sofferenza o nelle varie forme di emarginazione sociale. Più profondamente toccano il senso stesso della vita di ogni uomo nelle sue dimensioni morali e spirituali. Solo chi riconosce che la propria vita è segnata dalla malattia del peccato, nell'incontro con Gesù Salvatore può ritrovare la verità e l'autenticità della propria esistenza, secondo le sue stesse parole: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi» (Lc 5,31-32).
Chi, invece, come il ricco agricoltore della parabola evangelica, pensa di poter assicurare la propria vita mediante il possesso dei soli beni materiali, in realtà si illude: essa gli sta sfuggendo, ed egli ne resterà ben presto privo, senza essere arrivato a percepirne il vero significato: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?» (Lc 12,20).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** È stolto colui che vive come se la morte non dovesse mai arrivare ed è stolto colui che crede che con la morte finisce tutto; è saggio invece colui che arricchisce presso Dio.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente ed eterno crea in noi un cuore generoso e fedele, perché possiamo sempre servirti con lealtà e purezza di spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio...