29 Settembre 2018
Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele
Oggi Gesù ci dice “Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo.” (Vangelo).
Dal Vangelo secondo Giovanni 1,47-51: ... io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi: un’espressione difficile da interpretare e che “in questo contesto può alludere a un luogo di riposo, simbolicamente evocativo della prosperità e della pace messianica [cfr. 1Re 4,25; Is 36,16; Mi 4,4; Zc 3,10], oppure a un luogo di raccoglimento per la meditazione delle Scritture e per la preghiera” (Il Nuovo Testamento, Ed. Paoline). Ma al di là di queste interpretazioni, è da sottolineare come Gesù conosca soprannaturalmente gli uomini e gli avvenimenti: Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo (Gv 2,24-25). Allo stupore segue la professione di fede: Rabbi, tu sei figlio di Dio. Gesù replica a Natanaele ricordando la visione di Giacobbe: gli Angeli sono sempre al servizio del Figlio dell’uomo, ma anche al servizio degli uomini. Essi ci aiutano ad avere un senso più profondo della santità e maestà Dio e contemporaneamente un senso di grande fiducia in quanto sono nostri amici e inseparabili compagni di viaggio.
Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): L’incontro Gesù-Natanaele è ben descritto. Gesù gli fa capire che lo conosce in profondità; anzi, che l’ha conosciuto e visto, e perciò scelto, prima ancora che Filippo lo chiamasse. Gesù già sapeva che Natanaele era un vero israelita, cioè che apparteneva a quel resto di Israele, povero e umile, che viveva, alimentandosi alle Scritture, l’ansiosa attesa del Messia.
Di fronte a questa esperienza Natanaele pronuncia il suo atto di fede, premettendo di riconoscersi discepolo. Egli chiama Gesù «Rabbi», cioè «Maestro», e poi aggiunge: «Tu sei il Figlio di Dio; tu sei il re d’Israele». Il suo atto di fede è unicamente fondato sulle Scritture ed è strettamente legato alle profezie messianiche davidiche. L’espressione «Figlio di Dio» non ha qui la solennità di 1,34. Qui è spiegata dall’espressione: «Tu sei il re d’Israele». Il Messia, attese come discendente di Davide, era, secondo la promessa, chiamato «Figlio di Dio» (2Sam 7,14; Sal 89,4-5.27-28). Natanaele si mantiene come Filippo, in un orizzonte puramente nazionalistico. È Gesù che lo porta a conoscere il di più: «Vedrai cose maggiori di queste»; e poi passa all’uso del plurale, chiaro indizio che qui Natanaele è visto come tipo di un gruppo: «Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo» (l,51).
Natanaele, sentendo Gesù, è subito riportato alle Scritture, a quanto scrisse Mosè; in particolare al sogno di Giacobbe (Gn 28,10-22). Ora però, si parla di «cielo aperto», e non si parla di «terra»; perciò non si può dire con Giacobbe: «Quanto è terribile questo luogo! Questa è la casa di Dio; questa è la porta del cielo». Ora questo luogo, questa casa, questa porta è il Figlio dell’uomo, come ama chiamarsi Gesù; ed è lui che apre la via del cielo.
È difficile dire che cosa, quel giorno, abbia capito Natanaele, ma è certo che per l’evangelista e la comunità cristiana Gesù è il tempio di Dio, il luogo di incontro tra Dio e l’umanità, tra Dio e ciascun uomo. Certamente le Scritture (per noi cristiani l’ Antico Testamento) ci parlano e ci conducono a Gesù, come hanno condotto Filippo e Natanaele. Il compimento delle Scritture, però, va oltre il previsto: la realtà supera sempre la promessa.
Gesù, visto Natanaèle...: Benedetto XVI (Udienza generale, 4 Giugno 2010): Tradizionalmente, l’apostolo Bartolomeo viene identificato con Natanaele: un nome che significa “Dio ha dato”. Questo Natanaele proveniva da Cana (Gv 21,2) ed è quindi possibile che sia stato testimone del grande “segno” compiuto da Gesù in quel luogo (Gv 2,1-11). L’identificazione dei due personaggi è probabilmente motivata dal fatto che questo Natanaele, nella scena di vocazione raccontata dal Vangelo di Giovanni, è posto accanto a Filippo, cioè nel posto che ha Bartolomeo nelle liste degli Apostoli riportate dagli altri Vangeli. A questo Natanaele, Filippo aveva comunicato di aver trovato “colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti: Gesù, figlio di Giuseppe, da Nazaret”. Come sappiamo, Natanaele gli oppose un pregiudizio piuttosto pesante: “Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?”. Questa sorta di contestazione è, a suo modo, importante per noi. Essa, infatti, ci fa vedere che, secondo le attese giudaiche, il Messia non poteva provenire da un villaggio tanto oscuro come era appunto Nazaret (cfr. Gv 7,42). Al tempo stesso, però, pone in evidenza la libertà di Dio, che sorprende le nostre attese facendosi trovare proprio là dove non ce lo aspetteremmo. D’altra parte, sappiamo che Gesù in realtà non era esclusivamente “da Nazaret”, ma che era nato a Betlemme e che ultimamente veniva dal cielo, dal Padre che è nei cieli. Un’altra riflessione ci suggerisce la vicenda di Natanaele: nel nostro rapporto con Gesù non dobbiamo accontentarci delle sole parole. Filippo, nella sua replica, fa a Natanaele un invito significativo: “Vieni e vedi!”. La nostra conoscenza di Gesù ha bisogno soprattutto di un’esperienza viva: la testimonianza altrui è certamente importante, poiché di norma tutta la nostra vita cristiana comincia con l’annuncio che giunge fino a noi ad opera di uno o più testimoni. Ma poi dobbiamo essere noi stessi a venir coinvolti personalmente in una relazione intima e profonda con Gesù.
Angelo - Gottfried Hermann: Gli scritti biblici conoscono diversi angeli, che si distinguono per il modo di apparire e soprattutto di agire. La maggior parte delle volte gli angeli appaiono come messaggeri e portavoce di Dio: il malak JHWH comanda ad Abramo di risparmiare suo figlio (Gen 22,11). Questo angelo di JHWH a volte non è distinguibile dallo stesso JHWH (Gen 18). Agli angeli viene spesso attribuito un potere di devastazione o di castigo, per es. all’angelo sterminatore, oppure allo spirito che causa dissidi politici, Gdc 9,23. In questo caso non si possono separare gli angeli dalla sventura che essi portano; questo è particolarmente chiaro nel Sal 78,49. Talvolta gli angeli sono visti come cherubim, cioè esseri ibridi alati, come quelli noti soprattutto a Babilonia: Gen 3,24 è uno di questi angeli che fa la guardia all’albero della vita; nel Sal 18,11 esso è colui che accompagna JHWH che discende dai cieli. Ezechiele si è servito in modo particolare di questa immagine. Altri angeli costituiscono una corte celeste che celebra JHWH (Is 6), a lo consiglia (Gb l,6ss). Soltanto più tardi gli angeli hanno un nome (Daniele, Tobia) e sono visti ora come angeli custodi personali (Raffaele per Tobia), come protettori dei popoli (On 10,11ss), come intercessori presso Dio (Zc 3), come interpreti dei progetti divini (Zc l,9.11ss). Nell’apocalittica tardogiudaica, ma anche nell’Apocalisse neotestamentaria, essi svolgono un ruolo molto importante. La credenza veterotestamentaria negli angeli è una mescolanza variopinta e disarmonica di antica fede popolare (cf. Gen 6,1-4), dèi stranieri denigrati (Lv 16,8ss)e divinità sbiadite (serpente di rame) d’influenza babilonese e (più tardi) iraniana. Come dimostra Rm 8,38s, Paolo condivide ancora la concezione degli angeli di sventura; parlando di “troni” e “dominazioni” (Col 1,16) Paolo intende angeli dei popoli, cioè soprattutto la potenza della Roma pagana. Soltanto nei Sinottici gli angeli, in quanto messaggeri di Dio e interpreti dell’evento della salvezza (Lc 1; 2; At l,10s), vengono separati dai demoni quali cause di malattia e di possessione (Mc 3,23-27). Gesù, manifestandosi padrone dei demoni dimostra di essere colui che possiede la potenza del creatore e introduce il regno di Dio escatologico (Mc 3,27).
Gli angeli di Iahve e l’Angelo di Iahve - M. Galopin e P. Grelot: Riprendendo un elemento corrente nelle mitologie orientali, ma adattandolo alla rivelazione del Dio unico, il VT rappresenta sovente Dio come un sovrano orientale (1 Re 22,19; Is 6,1 ss). I membri della sua corte sono pure i suoi servi (Giob 4,18); sono anche chiamati i santi (Giob 5,1; 15,15; Sal 89,6; Dan 4,10: oppure i figli di Dio (Sal 29,1; 89,7; Deut 32,8). Tra essi, i Cherubini (il cui nome è di origine mesopotamica) sostengono il suo trono (Sal 80,2; 99,1), tirano il suo carro (Ez 10,1 s), gli servono da cavalcatura (Sal 18,11) oppure custodiscono l’ingresso del suo dominio per interdirlo ai profani (Gen 3,24); i serafini (gli «ardenti») cantano la sua gloria (Is 6,2s), ed uno di essi purifica le labbra di Isaia durante la sua visione inaugurale (Is 6,7). Si ritrovano i cherubini nella iconografia del tempio, dove riparano l’arca con le loro ali (1Re 6,23-29; Es 25,18s). Tutto un esercito celeste (1Re 22,19; Sal 148,2; Neem 9,6) fa cosi risaltare la gloria di Dio, ed è a sua disposizione per governare il mondo ed eseguire i suoi ordini (Sal 103,20); stabilisce un legame tra il cielo e la terra (Gen 28,12).
Tuttavia, a fianco di questi messaggeri enigmatici, gli antichi racconti biblici conoscono pure un Angelo di Jahve (Gen 16,7; 22,11; Es 3,2; Giud 2,1), che non è diverso da Jahve stesso, manifestato quaggiù in una forma visibile (Gen 16, 13; Es 3,2): abitando in una luce inaccessibile (1Tim 6,16), Dio non può lasciar vedere la sua faccia (Es 33,20); gli uomini non ne scorgono mai se non un misterioso riflesso. L’ Angelo di Jahve dei testi antichi serve quindi ad esprimere una teologia ancora arcaica che, con l’appellativo «Angelo del Signore» lascia tracce fin nel NT (Mt 1,20.24; 2,13.19; Lc 1,11; 2,9), e persino nella patristica.
Tuttavia, a misura che la rivelazione progredisce, la sua funzione è sempre più devoluta agli angeli, messaggeri ordinari di Dio.
Michele, Gabriele, Raffaele - Sviluppo della credenza israelitica - Giuseppe Barbaglio: A partire dall’esilio, soprattutto nel periodo postesilico, si assiste a un progressivo incremento dell’attenzione per il mondo angelico. Vi hanno influito due fattori complementari. Anzitutto Israele è venuto contatto con culture che possedevano un sviluppata angelologia e ne è stato sollecitato. E poi andata crescendo in Israele la sensibilità teologica per la trascendenza di Dio, per cui i suoi contatti con il mondo sono stati preferibilmente intesi e decritti non con immediatezza, ma mediati dalla presenza e dall’azione appunto degli angelo. D’altra parte, era svanito il pericolo della adorazione degli esseri celesti: la credenza nell’unico Dio si era fatta forte per dover temere infiltrazioni idolatriche di questo genere.
Voci emblematiche sono il libro di Tobia e soprattutto Daniele. Il primo, espressione della pietà giudaica, si caratterizza per la credenza dell’angelo custode. Tra parentesi vedi in proposito Mt 18,10. Raffaele sarà per Tobia un fidato compagno di viaggio e una guida sicura (5,4ss). Egli realizzerà di fatto il voto del pio padre: «il buon angelo infatti lo accompagnerà» (5,22). Il viaggio non potrà che avere successo. Anzi Raffaele libererà Sara dai demoni che la possiedono e così Tobia la sposerà felicemente (cc. 7-10). Di ritorno alla casa paterna poi, l’angelo accompagnatore di Tobia procurerà anche la guarigione del cieco Tobi (c. 11). Non può manca» alla fine il disvelamento del misterioso personaggio che ha fatto da amico e da guida a Tobia: «Io sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre pronti ad entrai alla presenza della maestà del Signore (12,15). In realtà, egli ha agito come servitore di Dio, a cui soltanto va tributata gloria e lode (12,17-20).
Il libro di Daniele segna un passo successivo nel processo di evoluzione dell’angelologia veterotestamentaria. Conosce angeli «vigilanti», chiamati anche «i santi» (4,10.14.20). Sono miriadi di miriadi gli esseri celesti che attorniano il trono di Dio (7,9-10). L’interesse crescente del libro di Daniele per il mondo angelico è testimoniato anche dal fatto che vi appaiono i nomi propri di Gabriele (8,15-16; 9,21) e di Michele (10,13.20.21; 12,1). Il primo ha il ruolo di rivelatore e interprete del significato della visione di Daniele. Il secondo è il protettore di Israele contro gli avversari. Ormai nell’universo biblico tra Dio e l’umanità trovano stabile collocazione gli intermediari celesti.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Benedite il Signore, voi tutte sue schiere, suoi ministri, che eseguite la sua volontà. (Sal 102,21)
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che chiami gli Angeli e gli uomini a cooperare al tuo disegno di salvezza, concedi a noi pellegrini sulla terra la protezione degli spiriti beati, che in cielo stanno davanti a te per servirti e contemplano la gloria del tuo volto. Per il nostro Signore Gesù Cristo...