28 Settembre 2018
Venerdì XXV Settimana T. O.
Oggi Gesù ci dice “Il Figlio dell’uomo è venuto per servire e dare la propria vita in riscatto per molti.” (Mc 10,45 - Acclamazione al Vangelo).
Dal Vangelo secondo Luca 9,18-22: ... «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio»: questa confessione di Pietro, che parla in nome dei Dodici, è di grande importanza e segna una svolta decisiva nella vita terrena di Gesù. Mentre la folla si smarrisce nei suoi pensieri sul conto di lui allontanandosene sempre di più, i suoi discepoli riconoscono per la prima volta in maniera esplicita che egli è il Cristo di Dio, il Messia. Gesù, prima che si compia il suo ministero apostolico nella città santa su una croce, dedica i suoi sforzi a formare gli Apostoli e a purificare la loro fede. Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno: con questo annunzio, che sarà seguito da molti altri (Lc 9,44; 12,50; 17,25; Lc 18,31-33; 24,7.25-27), Gesù vuol rendere salda la fede dei Dodici, perché è necessario e urgente che gli Apostoli imparino a tenere fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Su colui che di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore (cfr. Eb 12,2).
Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare - Catechismo della Chiesa Cattolica 2600: Il Vangelo secondo san Luca sottolinea l’azione dello Spirito Santo e il senso della preghiera nel ministero di Cristo. Gesù prega prima dei momenti decisivi della sua missione: prima che il Padre gli renda testimonianza, al momento del suo Battesimo e della Trasfigurazione, e prima di realizzare, mediante la sua Passione, il disegno di amore del Padre. Egli prega anche prima dei momenti decisivi che danno inizio alla missione dei suoi Apostoli: prima di scegliere e chiamare i Dodici, prima che Pietro lo confessi come “il Cristo di Dio” e affinché la fede del capo degli Apostoli non venga meno nella tentazione. La preghiera di Gesù prima delle azioni salvifiche che il Padre gli chiede di compiere, è un’adesione umile e fiduciosa della sua volontà umana alla volontà piena d’amore del Padre.
Le folle, chi dicono che io sia? Angelico Poppi (Sinossi e Commento): v. 20 L’opinione della gente era inadeguata, perché difforme dal mistero del Messia crocifisso, Figlio di Dio. Pertanto, Gesù interpellò direttamente i discepoli per condurli al superamento della concezione corrente del messia: «Ma voi, chi dite che io sia?». L’espressione usata da Pietro, “il Cristo di Dio” era nota nel linguaggio biblico (cf. 1Sam 24,7.11; 26,9ss.); ma in questo contesto assume una valenza pregnante: in Gesù era presente e operante Dio stesso. La medesima espressione risuonerà per bocca dei capi dei giudei, quando derideranno il Crocifisso, invitandolo a scendere dalla croce, se era “il Cristo di Dio, l’Eletto” (23,35).
Benché la confessione di Pietro in Luca non abbia la rilevanza che assume nella struttura di Marco, tuttavia ne costituisce un punto nodale. L’apostolo rappresentava il portavoce degli altri apostoli, che si era elevato sopra le attese messianiche dei giudei, ma la sua fede era ancora superficiale e fragile.
Infatti, dì fronte allo scandalo della croce avrebbe rinnegato il Maestro; comunque, si sarebbe ravveduto subito, grazie alla preghiera di Gesù, e avrebbe ricevuto l’incarico di corroborare i fratelli nella fede al Cristo crocifisso (22,31-32).
v, 21 La confessione di Gesù come Messia da parte di Pietro non esprimeva in modo adeguato il mistero della sua identità, perché prescindeva dalla kenosi del Figlio dell ‘uomo.
Gesù, ammonendo i discepoli di conservare il segreto sulla sua messianicità, non rifiutava la confessione di Pietro, ma ne indicava i limiti. La concezione comune del Messia andava ripensata e integrata alla luce del mistero della croce.
Ma voi, chi dite che io sia? - Benedetto XVI (Angelus, 24 Agosto 2008): La liturgia di questa domenica rivolge a noi cristiani, ma al tempo stesso ad ogni uomo e ogni donna, la duplice domanda che Gesù pose un giorno ai suoi discepoli. Dapprima chiese loro: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”. Essi gli risposero che per alcuni del popolo Egli era Giovanni Battista redivivo, per altri Elia, Geremia o qualcuno dei profeti. Allora il Signore interpellò direttamente i Dodici: “Voi chi dite che io sia?”. A nome di tutti, con slancio e decisione fu Pietro a prendere la parola: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Solenne professione di fede, che da allora la Chiesa continua a ripetere. Anche noi quest’oggi vogliamo proclamare con intima convinzione: Sì, Gesù, tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente! Lo facciamo con la consapevolezza che è Cristo il vero “tesoro” per il quale vale la pena di sacrificare tutto; Lui è l’amico che mai ci abbandona, perché conosce le attese più intime del nostro cuore. Gesù è il “Figlio del Dio vivente”, il Messia promesso, venuto sulla terra per offrire all’umanità la salvezza e per soddisfare la sete di vita e di amore che abita in ogni essere umano. Quale vantaggio avrebbe l’umanità accogliendo quest’annuncio che porta con sé la gioia e la pace!
Pietro rispose - «Il Cristo di Dio»: Catechismo della Chiesa Cattolica 443: Se Pietro ha potuto riconoscere il carattere trascendente della filiazione divina di Gesù Messia, è perché egli l’ha lasciato chiaramente intendere. Davanti al sinedrio, alla domanda dei suoi accusatori: “Tu dunque sei il Figlio di Dio?”, Gesù ha risposto: “Lo dite voi stessi: io lo sono” (Lc 22,70). Già molto prima, egli si era designato come “il Figlio” che conosce il Padre, che è distinto dai “servi” che Dio in precedenza ha mandato al suo popolo, superiore agli stessi angeli. Egli ha differenziato la sua filiazione da quella dei suoi discepoli non dicendo mai “Padre nostro” tranne che per comandar loro: “Voi dunque pregate così: Padre nostro” (Mt 6,9); e ha sottolineato tale distinzione: “Padre mio e Padre vostro” (Gv 20,17).
Il Cristo di Dio - Catechismo della Chiesa Cattolica 436: Cristo viene dalla traduzione greca del termine ebraico «Messia» che significa «unto». Non diventa il nome proprio di Gesù se non perché egli compie perfettamente la missione divina da esso significata. Infatti in Israele erano unti nel nome di Dio coloro che erano a lui consacrati per una missione che egli aveva loro affidato. Era il caso dei re, dei sacerdoti e, raramente, dei profeti. Tale doveva essere per eccellenza il caso del Messia che Dio avrebbe mandato per instaurare definitivamente il suo Regno. Il Messia doveva essere unto dallo Spirito del Signore, ad un tempo come re e sacerdote ma anche come profeta. Gesù ha realizzato la speranza messianica di Israele nella sua triplice funzione di sacerdote, profeta e re.
Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno - Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 4 marzo 1987): [...] vicino a Cesarea di Filippo. “Gesù... interrogava i suoi discepoli dicendo: Chi dice la gente che io sia? Ed essi gli risposero: Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti. Ma egli replicò: E voi chi dite che io sia? Pietro gli rispose: Tu sei il Cristo” (Mc 8,27-29; cfr. anche Mt 16,13-16 e Lc 9,18-21), cioè il Messia. Secondo il Vangelo di Matteo questa risposta fornisce a Gesù l’occasione di preannunziare il primato di Pietro nella Chiesa futura (cfr. Mt 16,18). Secondo Marco, dopo la risposta di Pietro, Gesù ordinò severamente agli apostoli “di non parlare di lui a nessuno” (Mc 8,30). Possiamo dedurne che Gesù non solo non proclamava di essere il Messia, ma non voleva neppure che gli apostoli diffondessero per allora la verità della sua identità. Voleva infatti che i contemporanei raggiungessero questa convinzione guardando le sue opere e ascoltando il suo insegnamento. D’altra parte il fatto stesso che gli apostoli erano convinti di ciò che Pietro aveva espresso a nome di tutti proclamando: “Tu sei il Cristo” prova che le opere e le parole di Gesù costituirono una base sufficiente, sulla quale la fede in lui come Messia poté fondarsi e svilupparsi.
Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto - CCC 440: Gesù ha accettato la professione di fede di Pietro che lo riconosceva quale Messia, annunziando la passione ormai vicina del Figlio dell’uomo. Egli ha così svelato il contenuto autentico della sua regalità messianica, nell’identità trascendente del Figlio dell’uomo «che è disceso dal cielo» (Gv 3,13), come pure nella sua missione redentrice quale Servo sofferente: «Il Figlio dell’uomo [...] non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,28). Per questo il vero senso della sua regalità si manifesta soltanto dall’alto della croce. Solo dopo la risurrezione, la sua regalità messianica potrà essere proclamata da Pietro davanti al popolo di Dio: «Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!» (At 2,36).
Gianfranco Ravasi (Gesù di Nazaret in Schede Bibliche Pastorali - Vol V): L’espressione «il Figlio dell’uomo» si trova solo in bocca a Gesù nei vangeli. Tale formula è quasi scomparsa negli scritti apostolici. Mai ricorre nella lettere di Paolo per designare il ruolo di Gesù Cristo. I pochi testi che la riproducono, Atti degli apostoli e Apocalisse, la riferiscono all’immagine e ruolo di Gesù nella sua condizione di risorto, giudice e signore della storia.
Nel dialetto della Galilea si usava sostituire il pronome di prima persona con un’espressione che suona così: «un/il figlio di (dell)’uomo», ar. barnashà (enashà), quando si voleva accentuare il ruolo della persona ma senza coinvolgere direttamente colui che parlava. Gesù di fronte alla domanda che attraversa i vari ambienti: Chi sei? Chi pretendi di essere?, incomincia a parlare riferendosi a questa figura misteriosa, con la quale egli va identificandosi progressivamente. «Il Figlio dell’uomo» è uno che condivide il destino degli altri uomini e fa appello ad un rapporto particolare con Dio. Il Figlio dell’uomo non ha un luogo dove posare il capo; è randagio e perseguitato (Mt 8,19; Le 9,58). Il Figlio dell’uomo entra in conflitto con le attese popolari e gli schemi stereotipi delle istituzioni politiche e religiose. Egli non può avere fortuna e successo. Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere riprovato dalle autorità e alla fine venire ucciso (Mc 8,31 e par.). Gesù dunque corregge quella che è l’attesa maturata all’interno del gruppo dei discepoli di fronte alle sue prese di posizione e annunci. Egli contesta l’immagine di un messia che compie le attese umane, e presenta la sua identità attraverso l’immagine simbolica del Figlio dell’uomo, che segue una via alternativa, che si conclude nella capitale in modo tragico. La nuova immagine del Figlio dell’uomo rimanda ad una duplice relazione: a Dio da una parte e alla solidarietà con gli uomini dall’altra. Egli rimanda come spiegazione ultima della sua identità, connessa con il suo destino, al futuro che sta nelle mani di Dio. Il Figlio dell’uomo si rivela nella negazione: soffrire, essere rigettato come compimento di tutti i rigetti che si sono via via svelati a causa delle sue scelte.
Dietro l’immagine del Figlio dell’uomo, solidale con il destino di una storia umana tormentata, si va profilando una nuova immagine di Dio che non si rivela come potenza, ma come il Dio fedele in una storia di solidarietà, portata fino all’estremo.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Il vero senso della regalità di Gesù si manifesta soltanto dall’alto della croce (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 440).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che nell’amore verso di te e verso il prossimo hai posto il fondamento di tutta la legge, fa’ che osservando i tuoi comandamenti meritiamo di entrare nella vita eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo…