29 Luglio 2018

XVII Domenica T. O.

Oggi Gesù ci dice: “Beati i misericordiosi: essi troveranno Misericordia. Beati i puri di cuore: essi vedranno Dio” (Mt 5,7-8 - Antifona alla Comunione).

Dal Vangelo secondo Giovanni 6,1-15: La moltiplicazione dei pani e dei pesci ha un posto di rilievo nel quarto Vangelo: il prodigio segna il culmine del ministero di Gesù in Galilea e segna anche il momento decisivo per la opzione di fede o per il rifiuto nei confronti di Gesù. Il miracolo è ambientato in un contesto liturgico ben preciso: la pasqua dei Giudei. Questa indicazione temporale liturgica orienta il lettore alla comprensione del vero significato del gesto di Gesù: il pane dato da lui sarà la nuova pasqua. La moltiplicazione dei pani è registrata anche dagli evangelisti Matteo, Marco e Luca.

Era vicina la Pasqua - I capitoli 6-12 del Vangelo di Giovanni formano il ‘Libro dei segni’. Contiene il racconto di sette miracoli che dall’evangelista vengono chiamati ‘segni’ perché hanno lo scopo di svelare in modo progressivo il mistero della identità di Gesù. La moltiplicazione dei pani e dei pesci è il quarto ‘segno’ ed è presente anche in Matteo, Marco e Luca.
È incerto il luogo dove avviene il miracolo, ma più che il luogo è importante sottolineare alcune indicazioni che Giovanni non trascura di registrare: la traversata di Gesù, «Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea»; la sua salita sul monte dove «si pose a sedere con i suoi discepoli»; il contesto liturgico nel quale viene collocato il ‘segno’, «Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei».
Questi particolari stabiliscono un chiaro parallelismo tra Gesù e Mosè: rievocando il passaggio del mar Rosso in occasione della Pasqua di liberazione dalla cattività egiziana, Gesù, nuovo Mosè, sale sul monte e sfama miracolosamente «circa cinquemila uomini». A ridosso di queste considerazioni, possiamo dire che le intenzioni dell’evangelista sono oltremodo chiare: Gesù è la nuova guida spirituale e con la moltiplicazione prodigiosa dei pani dà inizio al nuovo esodo. Nel deserto, dove la Chiesa si è rifugiata per sfuggire all’ira di satana (Cf. Ap 12,14), Colui che è «disceso dal cielo» (Gv 3,16; 6,41-42.51.58) sfamerà il suo popolo non con un pane corruttibile, ma con un Pane misterioso: il suo Corpo offerto e inchiodato sulla croce per la salvezza di tutto il mondo (Cf. Gv 2,2).

Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che si erano seduti e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero - I Giorni del Signore (Commento alla Letture Domenicali): Questi gesti ricordano, in modo affascinante, i gesti di Gesù al momento dell’istituzione dell’eucaristia, «la vigilia della sua passione» (Mt 26,26; Mc 14,22; Lc 22,19; 1Cor 11,23-24). Allo stesso modo, la conclusione del racconto si rivela particolarmente suggestiva. «Riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato» a sazietà. Coloro che avevano condiviso quel pasto «erano circa cinquemila uomini». Questo elemento sottolinea l’abbondanza del pane moltiplicato da Gesù. Ma i «pezzi», i «resti», che avanzano e che Gesù fa raccogliere «perché nulla vada perduto», fanno pensare all’antico nome dell’eucaristia: «la frazione del pane» (Lc 24,35; At 2,42). Infine la tradizione cristiana ha visto un nesso tra questi «restii accuratamente raccolti e il pasto eucaristico che le comunità cristiane, diffuse nel tempo e nello spazio, continuano a celebrare fino al giorno in cui Cristo raccoglierà gli eletti attorno alla mensa celeste (Mt 26,29; Lc 22,26). Il pane eucaristico, «nutrimento che dura per la vita eterna» (Gv 6,27), non mancherà mai nella Chiesa: tutti ne saranno saziati e ne avanzerà.

E quando furono saziati... - I miracoli sono fenomeni sensibili straordinari, che avvengono al di fuori delle normali leggi della natura. Attribuiti all’intervento divino, i miracoli come «segni, rivelano chi è Dio o autenticano una missione, come prodigi e meraviglie, manifestano un intervento trascendente del Dio nascosto; come azioni potenti e terribili, fanno conoscere la potenza e la santità di Dio» (L. Sabourin). Per il Catechismo della Chiesa Cattolica, i «numerosi “miracoli, prodigi e segni”» compiuti da Gesù «manifestano che in lui il Regno è presente. Attestano che Gesù è il Messia annunziato... testimoniano che il Padre lo ha mandato... sollecitano a credere in lui... testimoniano che egli è il Figlio di Dio» (547-548).
I miracoli di Cristo, «manifestazione della onnipotenza divina nei riguardi della creazione, che si rivela nel suo potere messianico su uomini e cose, sono nello stesso tempo i “segni” mediante i quali si rivela l’opera divina della salvezza, l’economia salvifica che con Cristo viene introdotta e si attua in modo definitivo nella storia dell’uomo e viene così inscritta in questo mondo visibile, che è pure sempre opera divina. La gente che - così come gli apostoli sul lago - vedendo i “miracoli” di Cristo s’interroga: “Chi è... costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?” (Mc 4,41), mediante questi “segni” viene preparata ad accogliere la salvezza offerta all’uomo da Dio nel suo Figlio. Questo è lo scopo essenziale di tutti i miracoli e segni fatti da Cristo agli occhi dei suoi contemporanei, e di quei miracoli che nel corso della storia saranno compiuti dai suoi apostoli e discepoli in riferimento alla potenza salvifica del suo nome: “Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!” [At 3,6]» (Giovanni Paolo II, 2 dicembre 1987).
Quindi, i miracoli non «mirano a soddisfare la curiosità e i desideri di qualcosa di magico» (CCC 547) e l’uomo non deve attendersi i miracoli a carattere retributivo, in quanto Dio non elargisce i miracoli secondo i meriti individuali.
Ma se per i credenti i miracoli «rendono più salda la fede in [Gesù] che compie le opere del Padre suo», per altri «possono essere motivo di scandalo» (CCC 548). Infatti, Gesù, nonostante i miracoli compiuti, fu trascinato sulla Croce.
Stupefacente e volgare la sentenza di Voltaire: «osare attribuire a Dio dei miracoli significa in effetti insultarlo [ammesso che degli uomini possano insultare Dio]: è come dirgli “voi siete un essere debole e incoerente” ».
Per i credenti invece sono dolce, tenera testimonianza della paternità di Dio: un Padre che è pronto a violare le leggi della natura pur di lenire il dolore dei suoi figli.

I miracoli: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 16 dicembre 1987): I “miracoli e segni” che Gesù faceva per confermare la sua missione messianica e la venuta del regno di Dio, sono ordinati e legati strettamente alla chiamata alla fede. Questa chiamata in relazione al miracolo ha due forme: la fede precede il miracolo, anzi è condizione perché esso si realizzi; la fede costituisce un effetto del miracolo, perché provocata da esso nell’anima di coloro che lo hanno ricevuto, oppure ne sono stati i testimoni.
È noto che la fede è una risposta dell’uomo alla parola della rivelazione divina. Il miracolo avviene in legame organico con questa parola di Dio rivelante. È un “segno” della sua presenza e del suo operare, un segno, si può dire, particolarmente intenso. Tutto ciò spiega in modo sufficiente il particolare legame che esiste tra i “miracoli-segni” di Cristo e la fede: legame delineato così chiaramente nei Vangeli.

Il pane, dono di Dio - A. Z. (Pane in Schede Bibliche Pastorali): Il pane è per gli uomini un mezzo di sussistenza, una necessaria sorgente di energia (Sal. 104,14-15); mancare del pane vuol dire mancare di tutto (Am. 4, 6; Cf. Gen. 28, 20).
Nella bibbia Dio, dopo avere creato l’uomo e dopo il diluvio (Gen. 1,29; 9,3), indica alla sua creatura ciò che può costituire il suo cibo. Ma solo a prezzo di una dura fatica l’uomo peccatore può procurarselo (Gen. 3,17-19). Dunque, se il pane per il suo carattere di necessità ricorda all’uomo che è una creatura (Cf. Dt. 8,10-18), per il faticoso lavoro che esige è il simbolo della maledizione alla quale egli è soggetto. Israele vede normalmente nell’abbondanza di pane il segno della benedizione di Dio (Sal. 37,25; Prov. 12,11) e nella mancanza di pane il segno del castigo per il peccato (Ger. 5,17; Ez. 4,16-17; Lam. 1,11; 2,12; 2Sam. 3,29).
In questa visione religiosa delle cose, è naturale che l’uomo chieda umilmente a Dio il pane, cioè tutto ciò che gli è necessario, e lo attenda con fiducia. Sono significativi, a questo riguardo, gli episodi di moltiplicazione dei pani dell’antico e del nuovo Testamento. La moltiplicazione operata da Eliseo vuole indicare la sovrabbondanza del dono divino («mangiarono e ne avanzarono», 2Re 4, 42-44). La stessa cosa nelle narrazioni evangeliche: come Iahvé nel deserto aveva nutrito il suo popolo distribuendo «il pane dei forti» (Sal. 78,25), così ora Gesù nutre sovrabbondantemente i suoi discepoli e ascoltatori: «Gesù dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini» (Mt. 14,19-21; Cf. testi par.; Mt. 15,37 e par.; Gv. 6,12.).
In questo contesto di idee può essere posto l’invito di Gesù a chiedere nella preghiera «il pane quotidiano» (Mt. 6,11; Lc. 11,3). Il pane sembra riassumere qui tutti i doni che ci sono necessari.
Epioùsion vuol dire appunto, probabilmente, «necessario alla sussistenza». Ma comunque si traduca questo termine difficile, la cui etimologia e il cui significato sono discussi dagli esegeti, il pensiero di Gesù è chiaro: si deve chiedere a Dio l’alimento indispensabile alla vita. La maggior parte degli studiosi ritiene che si tratti qui proprio dell’alimento materiale; tuttavia è evidente il carattere «spirituale» della preghiera: i credenti attendono tutto dalla bontà del loro Padre celeste e lo chiedono in vista del regno di Dio (Mt. 6, 24-34).
Se il pane è un dono di Dio ed è necessario alla vita, esso deve essere condiviso con chi non l’ha.
Nell’ospitalità, il pane di ognuno diventa il pane dell’ospite inviato da Dio (Gen. 18,5; Lc. 11,5-8).
In Israele, soprattutto a partire dall’esilio, si insiste sulla necessità di condividere il pane con l’affamato: questa è la espressione migliore della carità fraterna (Prov. 22,9; Ez. 18,7.16; Is. 58,7; Giob. 31,17; Tob. 4,16).
Il pane è presentato anche come uno dei doni caratteristici dei tempi escatologici: un pane «sostanzioso» sarà donato a tutta la comunità degli eletti raccolta nel banchetto messianico: «Egli darà la pioggia per la semente con cui avrai seminato il suolo; il pane, prodotto della terra, sarà pingue e sostanzioso...» (Is. 30,23; Cf. Ger. 31,12). È un pane che si potrà ottenere senza fatica e senza spesa. La manna, che si otteneva nel deserto senza fatica, era già un segno di questo pane: era un dono di Iahvé, un «pane (proveniente) dal cielo» (Es. 16,4.15). Anche i pasti di Gesù con i suoi amici e discepoli preludevano già al banchetto escatologico (Mt. 11,19); in particolare, il pasto eucaristico, dove si riceve in cibo il corpo stesso di Cristo, è l’anticipazione dell’autentico dono di Dio, riservato per gli ultimi tempi: «Poi prese un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Questo è il mio corpo che viene dato per voi; fate questo in memoria di me” » (Lc. 22,19).

 Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Il pane eucaristico, «nutrimento che dura per la vita eterna» (Gv 6,27), non mancherà mai nella Chiesa: tutti ne saranno saziati e ne avanzerà.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che nella Pasqua domenicale ci chiami a condividere il pane vivo disceso dal cielo, aiutaci a spezzare nella carità di Cristo anche il pane terreno, perché sia saziata ogni fame del corpo e dello spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo...