21 Luglio 2018


Sabato XV Settimana T. O.


Oggi Gesù ci dice: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui” (Gv 6,56 - Antifona alla Comunione).  

Dal Vangelo secondo Matteo 12,14-21: All’odio dei farisei Gesù risponde con l’amore, sanando compassionevolmente tutti i malati. L’imposizione di non divulgare il miracolo forse potrebbe far pensare al segreto messianico, in verità raramente presente nel Vangelo di Matteo (cfr. Mt 8,4). La citazione, con la quale si chiude il brano evangelico, è  tratta dal libro del profeta Isaia (42,1-4), e si riferisce non solo alla missione del Servo del Signore a favore dei pagani, ma è intesa come una forte contrapposizione all’accusa dei farisei riportata nel brano successivo dove Gesù verrà accusato di  scacciare i demòni per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni.

Benedetto XVI (Angelus, 5 febbraio 2012): I quattro Evangelisti sono concordi nell’attestare che la liberazione da malattie e infermità di ogni genere costituì, insieme con la predicazione, la principale attività di Gesù nella sua vita pubblica. In effetti, le malattie sono un segno dell’azione del Male nel mondo e nell’uomo, mentre le guarigioni dimostrano che il Regno di Dio, Dio stesso è vicino. Gesù Cristo è venuto a sconfiggere il Male alla radice, e le guarigioni sono un anticipo della sua vittoria, ottenuta con la sua Morte e Risurrezione. Un giorno Gesù disse: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati” [Mc 2,17]. In quella circostanza si riferiva ai peccatori, che Egli è venuto a chiamare e a salvare. Rimane vero però che la malattia è una condizione tipicamente umana, in cui sperimentiamo fortemente che non siamo autosufficienti, ma abbiamo bisogno degli altri. In questo senso potremmo dire, con un paradosso, che la malattia può essere un momento salutare in cui si può sperimentare l’attenzione degli altri e donare attenzione agli altri! Tuttavia, essa è pur sempre una prova, che può diventare anche lunga e difficile. Quando la guarigione non arriva e le sofferenze si prolungano, possiamo rimanere come schiacciati, isolati, e allora la nostra esistenza si deprime e si disumanizza. Come dobbiamo reagire a questo attacco del Male? Certamente con le cure appropriate - la medicina in questi decenni ha fatto passi da gigante, e ne siamo grati - ma la Parola di Dio ci insegna che c’è un atteggiamento decisivo e di fondo con cui affrontare la malattia ed è quello della fede in Dio, nella sua bontà. Lo ripete sempre Gesù alle persone che guarisce: La tua fede ti ha salvato (cfr Mc 5,34.36). Persino di fronte alla morte, la fede può rendere possibile ciò che umanamente è impossibile. Ma fede in che cosa? Nell’amore di Dio. Ecco la vera risposta, che sconfigge radicalmente il Male. Come Gesù ha affrontato il Maligno con la forza dell’amore che gli veniva dal Padre, così anche noi possiamo affrontare e vincere la prova della malattia tenendo il nostro cuore immerso nell’amore di Dio. Tutti conosciamo persone che hanno sopportato sofferenze terribili perché Dio dava loro una serenità profonda. Penso all’esempio recente della beata Chiara Badano, stroncata nel fiore della giovinezza da un male senza scampo: quanti andavano a farle visita, ricevevano da lei luce e fiducia! Tuttavia, nella malattia, abbiamo tutti bisogno di calore umano: per confortare una persona malata, più che le parole, conta la vicinanza serena e sincera.

... perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa - Catechismo della Chiesa Cattolica 712-714: I tratti del volto del Messia atteso cominciano a emergere nel Libro dell’Emmanuele, in particolare in Is 11,1-2: Un germoglio spunterà dal tronco di Jesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore.
I tratti del Messia sono rivelati soprattutto nei canti del Servo. Questi canti annunziano il significato della passione di Gesù, e indicano così in quale modo egli avrebbe effuso lo Spirito Santo per vivificare la moltitudine: non dall’esterno, ma assumendo la nostra «condizione di servi» (Fil 2,7). Prendendo su di sé la nostra morte, può comunicarci il suo Spirito di vita.
Per questo Cristo inaugura l’annunzio della Buona Novella facendo suo questo testo di Isaia (Lc 4,18-19): Lo Spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di misericordia del Signore.

Ecco il mio servo - Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 25 Febbraio 1987): I Carmi sul servo di Jahvè trovano ampia risonanza “nel Nuovo Testamento”, fin dall’inizio dell’attività messianica di Gesù. Già la descrizione del battesimo nel Giordano permette di stabilire un parallelismo con i testi di Isaia. Scrive Matteo: “Appena battezzato (Gesù) ... si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui” (Mt 3,16); in Isaia è detto: “Ho posto il mio spirito su di lui” (Is 42,1). L’evangelista aggiunge: “Ed ecco una voce dal cielo che disse: Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto” (Mt 3,17) mentre in Isaia Dio dice del servo: “il mio eletto in cui mi compiaccio” (Is 42,1). Giovanni Battista indica Gesù che si avvicina al Giordano, con le parole: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato dal mondo” (Gv 1,29), esclamazione che rappresenta quasi una sintesi del contenuto del terzo e del quarto Carme sul servo di Jahvè sofferente. Un rapporto analogo lo si trova nel brano in cui Luca riporta le prime parole messianiche pronunziate da Gesù nella sinagoga di Nazaret, quando Gesù legge il testo di Isaia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore” (Lc 4,17-19). Sono le parole del primo Carme sul servo di Jahvè (Is 42,1-7; cf. anche 61,1-2).
Se poi guardiamo alla vita e al ministero di Gesù, egli ci appare come il Servo di Dio, che porta salvezza agli uomini, che liguarisce, che li libera dalla loro iniquità, che li vuole guadagnare a sé non con la forza ma con la bontà. Il Vangelo, specialmente quello secondo Matteo, fa spesso riferimento al Libro di Isaia, il cui annuncio profetico viene attuato in Cristo, come quando narra che “Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie” (Mt 8,16-17; cf. Is 53, 4). E altrove: “Molti lo seguirono ed egli guarì tutti ... perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta Isaia: Ecco il mio servo ...” (Mt 12,15-21), e qui l’evangelista riporta un lungo brano dal primo Carme sul servo di Jahvè.

Non spezzerà una canna già incrinata: non spegnerà una fiamma smorta: Reconciliatio et paenitentia 34: Ritengo di dover fare a questo punto un accenno, sia pur brevissimo, a un caso pastorale che il Sinodo ha voluto trattare – per quanto gli era possibile farlo –, contemplandolo anche in una delle “Propositiones”. Mi riferisco a certe situazioni, oggi non infrequenti, in cui vengono a trovarsi cristiani desiderosi di continuare la pratica religiosa sacramentale, ma che ne sono impediti dalla condizione personale in contrasto con gli impegni liberamente assunti davanti a Dio e alla Chiesa. Sono situazioni che appaiono particolarmente delicate e quasi inestricabili. Non pochi interventi nel corso del Sinodo, esprimendo il pensiero generale dei padri, hanno messo in luce la coesistenza e il mutuo influsso di due principi, egualmente importanti, in merito a questi casi. Il primo è il principio della compassione e della misericordia, secondo il quale la Chiesa, continuatrice nella storia della presenza e dell’opera di Cristo, non volendo la morte del peccatore ma che si converta e viva (cfr. Ez 18,23), attenta a non spezzare la canna incrinata e a non spegnere il lucignolo che fumiga ancora (cfr. Is 42,3 Mt 12,20), cerca sempre di offrire, per quanto le è possibile, la via del ritorno a Dio e della riconciliazione con lui. L’altro è il principio della verità e della coerenza, per cui la Chiesa non accetta di chiamare bene il male e male il bene. Basandosi su questi due principi complementari, la Chiesa non può che invitare i suoi figli, i quali si trovano in quelle situazioni dolorose, ad avvicinarsi alla misericordia divina per altre vie, non però per quella dei sacramenti della penitenza e dell’eucaristia, finché non abbiano raggiunto le disposizioni richieste.

Modo di agire di Cristo - Dignitatis humanae 11: Dio chiama gli esseri umani al suo servizio in spirito e verità; per cui essi sono vincolati in coscienza a rispondere alla loro vocazione, ma non coartati. Egli, infatti, ha riguardo della dignità della persona umana da lui creata, che deve godere di libertà e agire con responsabilità. Ciò è apparso in grado sommo in Cristo Gesù, nel quale Dio ha manifestato se stesso e le sue vie in modo perfetto. Infatti Cristo, che è Maestro e Signore nostro, mite ed umile di cuore ha invitato e attratto i discepoli pazientemente. Certo, ha sostenuto e confermato la sua predicazione con i miracoli per suscitare e confortare la fede negli uditori, ma senza esercitare su di essi alcuna coercizione. Ha pure rimproverato l’incredulità degli uditori, lasciando però la punizione a Dio nel giorno del giudizio. Mandando gli apostoli nel mondo, disse loro: «Chi avrà creduto e sarà battezzato, sarà salvo. Chi invece non avrà creduto sarà condannato» (Mc 16,16), ma conoscendo che la zizzania è stata seminata con il grano, comandò di lasciarli crescere tutti e due fino alla mietitura che avverrà alla fine del tempo. Non volendo essere un messia politico e dominatore con la forza preferì essere chiamato Figlio dell’uomo che viene «per servire e dare la sua vita in redenzione di molti» (Mc 10,45). Si presentò come il perfetto servo di Dio che «non rompe la canna incrinata e non smorza il lucignolo che fuma» (Mt 12,20). Riconobbe la potestà civile e i suoi diritti, comandando di versare il tributo a Cesare, ammonì però chiaramente di rispettare i superiori diritti di Dio: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,21). Finalmente ha ultimato la sua rivelazione compiendo nella croce l’opera della redenzione, con cui ha acquistato agli esseri umani la salvezza e la vera libertà. Infatti rese testimonianza alla verità, però non volle imporla con la forza a coloro che la respingevano. Il suo regno non si erige con la spada ma si costituisce ascoltando la verità e rendendo ad essa testimonianza, e cresce in virtù dell’amore con il quale Cristo esaltato in croce trae a sé gli esseri umani.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Se aveste compreso che cosa significhi: “Misericordia io voglio e non sacrifici”, non avreste condannato persone senza colpa.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che mostri agli erranti la luce della tua verità, perché possano tornare sulla retta via,concedi a tutti coloro che si professano cristiani di respingere ciò che è contrario a questo nome e di seguire ciò che gli è conforme. Per il nostro Signore Gesù Cristo…