2 Luglio 2018

  Lunedì XIII Settimana T. O.


Oggi Gesù ci dice: “Oggi non indurite il vostro cuore, ma ascoltate la voce del Signore (Cfr. Sal 94,8ab - Acclamazione al Vangelo).  

Dal Vangelo secondo Matteo 8,18-22: Le due sentenze di Gesù rivolte a coloro che lo vogliono seguire mettono in evidenza il tema della sequela e le esigenze del discepolato. La prima sentenza suggerisce che farsi discepolo non è semplicemente seguire un messaggio e accettare una dottrina ma è condividere in tutto il destino del Figlio dell’Uomo, è lasciare la propria sicurezza per una vita incerta, è perdere la vita per causa di Cristo (Mt 10,39). La seconda sentenza pone la rinuncia ai legami di famiglia come una delle condizioni per il discepolato: non si può procrastinare o aspettare finché si sia assolto a tutti i doveri familiari, non si sarebbe mai in grado di seguire la propria vocazione. Il tempo è adesso: “Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me” (Mt 10,37).

Prologo: un appello rigoroso (8,18-22) - Claude Tassin (Vangelo di Matteo): All’inizio della sezione precedente (Mt 4,18-22) i chiamati sembravano seguire Gesù del tutto spontaneamente. Qui, due personaggi incontrano la difficoltà di quella che i maestri spirituali chiamerebbero «la seconda chiamata».
Il v. 18 abbina due citazioni di Marco (4,1.35) per creare un quadro. Gesù si separa dalla folla e ordina ai discepoli di passare sull’altra riva, presso i pagani del territorio chiamato Decapoli: è un’avventura che, da parte dei discepoli, richiede riflessione.
Il dialogo (vv. 19-22) che segue, tratto dalle stesse fonti di Lc 9,57-60, ha il ritmo di un valzer «esitazione»: il primo aspirante si fa avanti, Gesù ne frena l’ardore; il secondo esita, Gesù lo spinge a compiere il passo. Secondo Matteo, il primo personaggio è uno scriba che ha trovato il suo «Maestro»: questo interprete ufficiale della Bibbia ha senza dubbio scoperto in Gesù la chiave delle Scritture. Ma attenzione: seguirlo nella sua missione implica una rinuncia e un disagio che potrebbero fargli rimpiangere la propria cattedra nella sinagoga. Qui compare per la prima volta l’espressione il Figlio dell’uomo, che deve lasciare lo scriba perplesso: infatti, nella tradizione giudaica, si tratta di una figura prestigiosa, ben lontana dal tenore di vita delle volpi e degli uccelli.
Il secondo aspirante si rivolge a Gesù come al proprio «Signore» e gli fa capire che non sarebbe capace di mettersi subito al suo seguito, poiché gli onori da rendere a un defunto sono uno dei più importanti atti di misericordia (cfr. Tb 1,17-18); e, nel caso di parenti defunti questi onori sono prescritti dal comandamento: «Onora il padre e la madre». Ma ecco che seguire Gesù (v. 22) è ancora più importante di questo dovere, si deve lasciare questo genere di problemi (il decesso) al loro corso naturale.
Lo scriba e il discepolo in lutto finirono con l’impegnarsi? L’evangelista non risponde alla domanda: spetta al lettore chiedersi se lui stesso si sarebbe a sua volta impegnato. In Luca l’episodio si conclude con queste parole: «Tu va’ a predicare il regno di Dio» (Lc 9,60). Matteo tralascia questa frase; infatti, in questa sezione, solo Gesù è il missionario del regno. Ai discepoli è sufficiente spezzare i loro legami e seguirlo con fiducia negli eventi che egli sta per affrontare.

Due incontri di vocazioni - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): Nella cornice della narrazione di vari miracoli di Gesù che stiamo leggendo in questi giorni, ecco due brevi racconti di vocazione. A uno scriba o dottore della legge mosaica che gli dice: «Ti seguirò dovunque andrai», Gesù risponde: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». Allo stesso modo, a un altro che era già suo discepolo e gli chiede: «Fammi prima andare a seppellire mio padre», Gesù dice: «Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti».
Quest’ultima richiesta, superiore al dovere sacro di seppellire i propri genitori (o far loro compagnia negli ultimi giorni), si applicava per legge solo al sommo sacerdote e ai nazirei consacrati a Dio (Lv 21,11; Nm 6,6s). Ma Gesù è il «santo» di Dio per eccellenza e il sommo sacerdote della nuova alleanza; perciò questa massima poco « umanitaria» si capisce solo in relazione alla missione di Cristo.
Gesù non solo apprezzava il quarto comandamento, ma denunciò perfino le tradizioni rabbiniche che lo indebolivano, come quella del korban (cfr. Mc 7,10ss). Egli non proibisce di sotterrare i morti, ma vuole segnalare l’urgenza della sua sequela per sfuggire alla morte totale, che è la morte dello spirito, non quella del corpo. Accompagnare Gesù significa seguire colui che è la risurrezione e la vita. Perciò afferma: «Lascia i morti (spiritualmente) seppellire i loro morti (fisicamente)». «Tu va’ e annunzia il regno di Dio», aggiunge Gesù (secondo Luca 9,60).
Il vangelo di oggi mette in bella evidenza che la sequela di Cristo ha un prezzo. Essere suo discepolo non vuol dire limitarsi ad accettare la sua dottrina; implica la partecipazione alla sua vita e la comunione con il suo destino di sofferenza e di gioia.

Le volpi hanno le loro tane ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): La risposta di Gesù è solenne e strutturata con perfetta simmetria.
Mentre i rabbini offrivano ai loro discepoli la prospettiva allettante di una professione redditizia e onorata, Gesù disinganna crudamente il suo ammiratore; gli descrive la sua situazione di estrema indigenza, essendo privo persino di una dimora fissa. Per la prima volta in Mt Gesù si autodesigna come «Figlio dell ‘uomo». Una caratteristica che contraddistingue il discepolato di Gesù da quello degli scribi è costituita dalla situazione di povertà e dalla mancanza d’ogni sicurezza materiale. Anche la vita del Maestro fu «un unico ininterrotto vagabondare ... , la rinuncia a dimora e famiglia, a successo e sicurezza» (Schniewind, p. 202). Non si sa se lo scriba abbia seguito Gesù. Probabilmente no. A Mt non interessa la storia di questo individuo, quanto la lezione permanente, valida per ogni vocazione cristiana. Il detto ha un’impronta sapienziale, con una probabile allusione alla sapienza rifiutata dagli uomini (cf. Pro 1,20-33). Ciò spiega anche la situazione precaria di Gesù, dovuta non ad una scelta di vita ascetica, bensì all’ostilità degli uomini (cf. Gnilka, I, p. 458). I suoi discepoli devono predisporsi a sopportare le medesime privazioni per conseguire la vita eterna nella parusia del Figlio dell’ uomo, quando tornerà come giudice escatologico per la piena attuazione del regno di Dio.

E un altro dei suoi discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Ma Gesù gli rispose: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti» - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Matteo): Un altro ancora si offre come discepolo. Questi non è trattenuto dalle comodità terrene, ma dai legami familiari. La sua richiesta ci appare un naturale dovere di pietà. Vuol soltanto attendere fino alla morte del vecchio padre. Ma Cristo avanza la richiesta divina, davanti alla quale deve ammutolire ogni richiesta umana. Allorché Dio ha chiamato un uomo, questi deve guardare soltanto a lui, senza più riguardi per nessuno. Il Dio vivente è talmente grande, che tutto il resto, paragonato a lui, è morto, non conta più.
Anche qui la misura è data dalla considerazione dell’eternità. Nella vita eterna non c’è matrimonio. Neque nubent, neque nubentur. I rapporti puramente umani d’amor terreno, quindi, cadono. Per questo devono cadere subito per colui che si dedica completamente al discepolato di Cristo. Egli non appartiene più alla piccola famiglia, perché è assunto in servizio nella grande famiglia di Dio dei redenti. Come Cristo lascia Nazareth, per «essere in quello ch’è del Padre», così il discepolo deve rinunziare alla Nazareth della vita familiare, per trovare nel Dio vivente la familiarità con Dio.
In tal modo il discepolato non è una parte, staccata a intima, della vita umana, bensì un’unità, una richiesta totale e quindi una totale dedizione. Questa è l’unica rimasta possibile al richiamo di Dio.

Il radicalismo evangelico: Pastores dabo vobis 27: Per tutti i cristiani, nessuno escluso, il radicalismo evangelico è un’esigenza fondamentale e irrinunciabile, che scaturisce dall’appello di Cristo a seguirlo e a imitarlo, in forza dell’intima comunione di vita con lui, operata dallo Spirito (cfr. Mt 8,18ss; Mt 10,37ss; Mc 8,34ss; 10,17-21; Lc 9,57ss). Questa stessa esigenza si ripropone per i sacerdoti, non solo perché sono “nella” chiesa, ma anche perché sono “di fronte” alla chiesa, in quanto sono configurati a Cristo capo e pastore, abilitati e impegnati al ministero ordinato, vivificati dalla carità pastorale. Ora, all’interno e come manifestazione del radicalismo evangelico si ritrova una ricca fioritura di molteplici virtù ed esigenze etiche che sono decisive per la vita pastorale e spirituale del sacerdote, come, ad esempio, la fede, l’umiltà di fronte al mistero di Dio, la misericordia, la prudenza. Espressione privilegiata del radicalismo sono i diversi “consigli evangelici”, che Gesù propone nel discorso della montagna (cfr. Mt 5-7) e tra questi i consigli, intimamente coordinati tra loro, d’obbedienza, castità e povertà: il sacerdote è chiamato a viverli secondo quelle modalità, e più profondamente secondo quelle finalità e quel significato originale, che derivano dall’identità propria del presbitero e la esprimono.

Povero o avaro: Divini Redemptoris 63: Ma il più efficace mezzo di apostolato tra le folle dei poveri e degli umili è l’esempio del sacerdote, l’esempio di tutte le virtù sacerdotali, quali le abbiamo descritte nella Nostra Enciclica Ad catholici sacerdotii; ma nel caso presente in modo speciale è necessario un luminoso esempio di vita umile, povera, disinteressata, copia fedele del Divino Maestro che poteva proclamare con divina franchezza: «Le volpi hanno delle tane e gli uccelli dell’aria hanno dei nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». Un sacerdote veramente ed evangelicamente povero e disinteressato fa miracoli di bene in mezzo al popolo, come un San Vincenzo de’ Paoli, un Curato d’Ars, un Cottolengo, un Don Bosco e tanti altri; mentre un sacerdote avaro e interessato, come abbiamo ricordato nella già citata Enciclica, anche se non precipita come Giuda, nel baratro del tradimento, sarà per lo meno un vano «bronzo risonante» e un inutile «cembalo squillante», e troppo spesso un impedimento piuttosto che uno strumento di grazia in mezzo al popolo. E se il sacerdote secolare o regolare per obbligo del suo ufficio deve amministrare dei beni temporali, si ricordi che non soltanto deve scrupolosamente osservare tutto ciò che prescrivono la carità e la giustizia, ma deve mostrarsi in modo particolare veramente un padre dei poveri.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Catechismo della Chiesa Cattolica 562: I discepoli di Cristo devono conformarsi a lui, finché egli sia formato in loro. «Per questo siamo assunti ai misteri della sua vita, resi conformi a lui, morti e risuscitati con lui, finché con lui regneremo».
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che ci hai reso figli della luce con il tuo Spirito di adozione, fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore, ma restiamo sempre luminosi nello splendore della verità. Per il nostro Signore Gesù Cristo...