28 Giugno 2018

Giovedì XII Settimana T. O.


Oggi Gesù ci dice: «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Canto al Vangelo).

Dal Vangelo secondo Matteo 7,21-29: Una pagina che fa tremare i polsi ai soliti cristiani della domenica. Non basta aver ricevuto il battesimo per salvarsi, perché chi non crede sarà condannato (cfr. Mc 16,16). Anche gli esorcisti se la loro fede è solo di facciata non si salveranno, così quelli che vomitano preghiere immaginando di allontanare il diabolico dalla vita dell’uomo o quelli che vanno avanti a forza di visioni o messaggi ultraterreni. La Parola di Gesù è chiara: solo chi mette in pratica la sue parole, tutti i santi giorni dell’anno, si salverà. Il contrario è sinonimo di eterna perdizione. L’immagine della casa era così chiara che per la folla venne spontaneo fare un confronto tra l’insegnamento di Gesù e quello degli scribi: pur non addentro alla teologia e alla esegesi, la folla riconosce la veridicità dell’insegnamento di Gesù da cui scaturisce autorità e prestigio.

Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli  - Ortensio Da Spinetoli (Matteo): La voce del falso profeta risuona qualche volta nel cuore dello stesso cristiano. Egli cerca di illudersi di essere seguace di Cristo, mentre in realtà è solo un «ciarlatano», come tale è il profeta che parla senza un incarico. Per entrare nel regno, ottenere cioè la salvezza, non basta stare a ripetere solennemente e pomposamente il nome del Signore, ma occorre convertirsi e fare penitenza, come ha già ricordato più sopra (3,8; 4,17); ora aggiunge che bisogna, prima di tutto, compiere la volontà di Dio, cioè quello che egli comanda a ciascuno (cfr. Mt. 5,17-19). La volontà ... è il disegno salvifico di Dio, ma si estende anche alle esigenze pratiche della vita quotidiana.
Fare la volontà del Padre è la sintesi della spiritualità vetero-neotestamentaria. Quel che Gesù e la chiesa esigono dai fedeli è una pietà fattiva, operosa, impegnata. Non bastano le buone parole, la buona fede, le buone aspirazioni; non è sufficiente camminare per la via spaziosa con il pensiero verso il regno, invocando di tanto in tanto o anche frequentemente il nome del Signore, per aver parte alla salvezza. Se durante la vita si è vissuti fuori del regno, senza rapporti di reale sudditanza con il sovrano, alla fine egli rifiuterà di riconoscere per suoi sudditi questi suoi nascosti adoratori. Possono aver fatto miracoli, la condanna che li attende è inevitabile.
Quando avverrà questo dialogo? Tutto fa pensare che si tratti di un momento dell’ultimo giudizio, sia per la somiglianza con Mt. 25,36, che per la moltitudine indistinta che è in scena, come per la forma categorica o definitiva della condanna: «Allontanatevi da me», cui si potrebbe aggiungere: «nel fuoco eterno», riprendendo l’idea sottintesa in 7,19 e chiaramente espressa alla fine della grande sintesi escatologica (Mt. 25,41).
Il discorso della montagna si va chiudendo con un tono minaccioso. È l’ultima carta, l’alternativa della perdizione, che ogni predicatore gioca con il suo uditorio. Se fallisce anche questa non c’è più nulla da fare e da sperare.

Non chiunque mi dice: “Signore, Signore” - Gottfried Hierzenberger: Il nome Signore fu riferito soltanto un po’ alla volta a Gesù. La comunità primitiva che professava Gesù come il Risorto, lo confessava “alla destra di Dio” acquisendo in tal modo, al di là del rapporto discepolo-maestro, una comprensione religiosa fondata sulla fede.
Quando i discepoli si identificarono con i servi delle parabole, ciò suggerì di riferire a lui stesso le affermazioni fatte da Gesù sul Signore (per es. Mt 13,27). Ciò veniva favorito dall’esperienza della pretesa assoluta di sequela. Quando nella vita di fede della chiesa primitiva, nell’annuncio dell’evangelo, nella preghiera, durante il pasto del Signore, nell’atteggiamento d’amore verso il fratello e perfino verso il nemico, nella complessiva comprensione di sé, del mondo e di Dio, Gesù dimostrò di essere il centro totale della comunità, superiore a tutti i tipi di relazioni del passato, l’assunzione del titolo tradizionalmente religioso di signore diventò ovvio. Nell’ambito cristiano questo titolo fu assunto in senso assoluto per esprimere la signoria illimitata, onnicomprensiva, divina di Gesù (Mt 28,18).
Negli scritti più recenti del Nuovo Testamento il titolo di Signore è già ovvio: tutti i passi della LXX (JHWH = Signore) vengono riferiti senza esitazione a Gesù; ciò significa che si riconosce che in Gesù, Dio agisce così come l’Antico Testamento proclama nei riguardi di JHWH. Così Dio manda il Signore (cf. Sal 110,1) in maniera definitiva per attuare la pienezza conchiusa del tempo e per ricapitolare tutto - quello che è in cielo e quello che è sulla terra - in Cristo, il capo (Ef 1,10). Al tempo stesso, però, il “Figlio” manda lo Spirito (At 2,33) e guida la comunità cristiana in modo tale che essa può dire: “Il Signore è lo Spirito!” (2Cor 3,17). Nella teologia storico-salvifica cosmica e cristologico ecclesiale della Lettera agli Efesini e di quella ai Colossesi, questo pensiero raggiunge il suo vertice (Col 1,18-20).
Nella preghiera al Signore (2Tm 2,22) questa visuale acquista anche un ‘espressione religiosa personale.

Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica - Claude Tassin (Vangelo di Matteo) - Iniziato con le metafore della via e della porta, l’avvertimento si conclude con l’immagine della casa. Costruire la propria abitazione simboleggia perfettamente i progetti più importanti (non si dice «costruire la propria vita»?). Ora, il salmista scriveva già: «Se il Signore non costruisce la casa, invano ci faticano i costruttori» (Sal 127,1). E spesso i salmi contengono anche quest’invocazione: «Signore, mia roccia!»: risultano quindi evidenti le fonti dell’immagine adoperata da Gesù. Come può il vero discepolo basare la propria vita su Dio? Non solo ascoltando quello che Gesù ha insegnato, ma mettendolo in pratica (cfr. i versetti 24 e 26).

Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Matteo): Allorché il Signore ebbe terminato il discorso della montagna, «le turbe restarono stupite». Motivo: il suo modo di parlare: «Le ammaestrava come uno che ha autorità». Cristo non espone una problematica oscura, come i filosofi, non parla in concetti astratti inanimati o in sillogismi classicamente elaborati, come i sofisti. Le sue parole non sono neppure impregnate di untuoso pietismo, che in realtà mette in mostra se stesso e spiega solennemente la ruota della vanità personale, come un pavone, secondo l’uso dei farisei. Le sue esposizioni non sono una noiosa casistica morale, in cui vengono spiegati i paragrafi della legge e casi artificiosamente costruiti, lontani dalla vita reale e ancor più lontani dalla schietta religiosità. Questo era il modo degli scribi. Non parI neppure come i demagoghi che lusingano le masse e rinfocolano le passioni soltanto per esaltare la propria volontà di potenza. Cristo parla in tutt’altro modo, non come uno che cerca la potenza, ma come uno che ha autorità. Ed egli la possiede. Egli è il plenipotenziario dell’Onnipotente. La sua persona è il Logos, la parola di Dio e perciò egli è il linguaggio di Dio. L’incarnazione del Logos è il linguaggio di Dio nell’umanità. Nelle sue parole si rivela in tal modo la sua personalità. La forza e la grandezza di questa personalità sono il mistero del suo linguaggio. Egli è l’Onnipotente. Perciò parla come uno che detiene il potere. E la sua personalità è anche quella che trascina le masse. Egli non è soltanto l’annunziatore, ma anche la personificazione del discorso della montagna, il suo autentico interprete. La sua vita è commento alle sue parole. Le beatitudini si concretizzano nella sua persona e nella sua azione. Egli è il sale della terra e la luce del mondo. Egli è la città, visibile da lontano, in vetta al monte. La sua vita nasce dall’intimo, perché in lui tutto è vivificato dallo spirito dell’amore.
Egli non fa mai il bene per egoismo, ma con lo sguardo rivolto al Padre ch’è nei cieli. Ci ha offerto l’esempio vivente del retto contegno di fronte a quanto appartiene alla terra, non si è preoccupato dei tesori materiali, non è mai stato preda di cure timorose per il cibo e il vestiario. Col suo amore fino alla fine ha illustrato visibilmente anche i rapporti verso il prossimo. Dai frutti si riconosce la bontà del tronco e della radice. Perciò egli ha costruito la Chiesa come la casa che sta sulla roccia e non sulla sabbia. La tempesta del Venerdì santo e tutti gli uragani nella storia della Chiesa non l’hanno potuta travolgere.

Gesù insegnava come uno che ha autorità - CCC 581: Gesù è apparso agli occhi degli Ebrei e dei loro capi spirituali come un “rabbi”. Spesso egli ha usato argomentazioni che rientravano nel quadro dell’interpretazione rabbinica della Legge. Ma al tempo stesso, Gesù non poteva che urtare i dottori della Legge; infatti, non si limitava a proporre la sua interpretazione accanto alle loro: “Egli insegnava come uno che ha autorità e non come i loro scribi” (Mt 7,29). In lui, è la Parola stessa di Dio, risuonata sul Sinai per dare a Mosè la Legge scritta, a farsi di nuovo sentire sul Monte delle Beatitudini. Essa non abolisce la Legge, ma la porta a compimento dandone in maniera divina l’interpretazione definitiva: “Avete inteso che fu detto agli antichi ... ma io vi dico” (Mt 5,33-34). Con questa stessa autorità divina, Gesù sconfessa certe “tradizioni degli uomini” (Mc 7,8) care ai farisei i quali annullano “ la Parola di Dio ” (Mc 7,13).

Conclusione redazionale (7,28-29) - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): Matteo conclude il discorso con la consueta formula stereotipa, «Quando Gesù ebbe finito queste parole», che contrassegna l’importanza anche degli altri quattro grandi discorsi di Gesù. L’evangelista aveva interrotto Marco dopo 1,21, dove l’accenno all’insegnamento di Gesù gli aveva offerto lo spunto per introdurre il grande discorso inaugurale del regno. Ora lo conclude riallacciandosi testualmente a Mc 1,22. Lo stupore provocato dalla novità della dottrina di Gesù, ne sottolinea l’origine soprannaturale. Infatti, egli non si rifaceva alla Toràh o alle interpretazioni che ne davano i rabbini più celebri ma «insegnava come uno che ha autorità» (exousia), cioè in nome proprio, rivendicandosi il diritto di completare la Legge e persino di modificarla. Si trattava di una cosa inaudita per la mentalità del tempo, che aveva sacralizzato la Legge mosaica. Gesù appare in tale maniera il Legislatore definitivo di Dio, il Rivelatore totale della sua volontà.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli».
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che al vescovo sant’Ireneo hai dato la grazia di confermare la tua Chiesa nella verità e nella pace, fa’ che per sua intercessione ci rinnoviamo nella fede e nell’amore, e cerchiamo sempre ciò che promuove l’unità e la concordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo.