28 Maggio 2018

Lunedì VIII Settimana T. O.


Oggi Gesù ci dice: «Vendi quello che hai e vieni! Seguimi!» (Vangelo).  

Dal Vangelo secondo Marco 10,17-27: Il brano evangelico si divide in due parti: la prima descrive l’incontro di Gesù con un giovane ricco desideroso di ottenere la vita eterna; la seconda riporta una riflessione del Maestro a proposito delle ricchezze. Due parti che in ogni caso sono unite da un unico tema: il serio pericolo che rappresentano le ricchezze per il possesso dei beni celesti.

Ortensio da Spinetoli (I Quattro Vangeli): L’uomo ricco (10, 17-22) - Alle istruzioni di Gesù, concernenti il matrimonio indissolubile e l’accoglienza dei bambini, ora l ‘evangelista fa seguire una catechesi riguardante il tema scottante della ricchezza, che in qualche modo si riallaccia al logion sulla necessità di accogliere il regno di Dio come un bambino, rinunciando alle lusinghe della grandezza mondana e alle sicurezze terrene per entrare in esso (v. 15). Si trattava di una problematica molto importante per la comunità cristiana, impegnata a seguire il Maestro sulla via della croce. L ‘atteggiamento di Gesù verso la ricchezza dovette rappresentare qualcosa di nuovo, anzi di paradossale nell’ambiente giudaico, dove l’abbondanza dei beni terreni era considerata un segno della benedizione di Dio. La chiesa primitiva si rifece al suo insegnamento e comportamento, per inculcare il distacco dalla ricchezza soprattutto ai numerosi pagani che si convertivano. Si trattava di una scelta radicale, forse per taluni traumatica, ma necessaria per esprimere la piena adesione al vangelo, che ha come obiettivo l ‘acquisto del regno. La salvezza eterna rappresenta un dono gratuito della bontà misericordiosa di Dio a coloro che si affidano al me saggio del suo Inviato definitivo e non fondano la loro sicurezza sulle proprie risorse umane, che sono effimere e ingannevoli. Sembra esulare completamente dal pensiero dell’evangelista la distinzione tra «precetti» e «consigli evangelici». Si parlerà sotto di questo problema. Forse Mc (o la sua fonte) ha qui riunito in modo redazionale tre brani distinti: 1) il racconto della chiamata fallita del ricco, sotto forma di dialogo didattico, culminante nella sentenza apoftegmatica del v. 21 (vv. 17-22); 2) l’ammaestramento dei discepoli sul pericolo costituito dalla ricchezza, incentrato sul detto autentico (v. 25) del cammello che pa sa per la cruna (vv. 23-27); 3) il dialogo con i discepoli sulla ricompensa per chi rinuncia ai beni terreni per causa di Gesù (vv. 28-31). La tematica della ricchezza è stata ampliata e unificata con quella della sequela in un secondo momento (il senso del v. 21 viene ripreso dal v. 28).

Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Marco soltanto rileva che Gesù fissò con un o sguardo compiacente il suo interlocutore (fissò lo sguardo su di lui e lo amò). Il Maestro, vedendo, l’atteggiamento generoso dell’uomo che gli era davanti, sente per lui un vero affetto ed il suo sguardo s’illuminò di compiacenza. Le disposizioni attuali di quella persona matura erano ottime ed il Maestro desiderava che diventasse ancora più perfetta (cf. Mt., 19,21). Una cosa ti manca; il Salvatore considera il caso concreto ed individuale; all’interlocutore che aveva dimostrato di avere un desiderio sincero di perfezione e che gli aveva chiesto direttamente di conoscere la via più sicura per raggiungerla, egli risponde che gli mancava una cosa: il distacco cioè dai beni terreni. Avrai un tesoro in cielo; non la privazione dei beni è proposta come scopo ultimo della perfezione, ma il tesoro da possedere in cielo; a quell’uomo per acquistare il tesoro celeste occorreva spogliarsi delle proprie ricchezze terrene, distribuendole generosamente ai poveri.
Poi vieni e seguimi; il Maestro concede all’interlocutore di attendere alla benefica elargizione dei propri beni e poi di ritornare a lui per mettersi al suo seguito.
Al desiderio di quell’anima Cristo mosse incontro con la bella prospettiva di chiamarla al proprio seguito e di associarla alla propria opera evangelizzatrice.

Ricchezza - Christa Breuer - Nell’Antico Testamento il ricco era considerato un uomo particolarmente benedetto da Dio. La ricchezza era un segno di un particolare favore divino (per es. Abramo, Gen 13,2). Ma quando più tardi si abusò della ricchezza, i profeti biasimarono spesso i ricchi (per es. Ger 34,8ss). Nel Nuovo Testamento, di fronte al lieto messaggio del regno di Dio e all’attesa imminente, si esige la totale abnegazione per amore del regno dei cieli (cf. la parabola della perla preziosa, Mt 13,45s). Soprattutto Luca condanna ripetutamente il cattivo uso della ricchezza. I ricchi e i sazi vengono esclusi dal regno di Dio; ai poveri e a quanti hanno fame viene promessa la ricompensa in cielo (Lc 6,20ss). Ricercare i beni terreni è stoltezza. Quando giunge la morte, il ricco non può portare con sé ciò a cui ha attaccato la propria anima (Lec 12,16). L’uomo può servire un solo padrone: Dio o mammona (Lc 16,13). Il significato del possesso dei beni in rapporto alla salvezza eterna dell’uomo viene rivelato nella parabola dell’uomo ricco e del povero Lazzaro (Lc 16,19-31). Chi vuole entrare nel regno di Dio deve sciogliere il suo cuore dal legame con la ricchezza (Lc 18,29s). Per il credente però, la ricchezza è un dono di Dio che deve essere impiegato per il servizio del prossimo (Lc 16.10-12). 

Illusioni e pericoli della salvezza - É Beaucamp e J. Guillet: Se Dio arricchisce i suoi amici, non ne consegue che ogni ricchezza sia frutto della sua benedizione. L’antica sapienza popolare non ignora che esistono fortune ingiuste; ma, si ripete, i beni male acquistati non giovano (Prov 21,6; 23,4 s; cfr. Os 12,9) e l’empio ammassa per far infine ereditare il giusto (Prov 28,8). Di fatto è male acquistata la ricchezza che finisce per escludere la massa degli uomini dai beni della terra, riservandoli a pochi privilegiati: «Guai a coloro che aggiungono casa a casa ed uniscono campo a campo, al punto da occupare tutto lo spazio, restando i soli abitanti del paese» (Is 5,8); «le loro case sono piene di rapine, perciò sono diventati importanti e ricchi, grossi e grassi» (Ger 5,27s).
Empi, ancora, i ricchi che credono di poter fare a meno di Dio: confidano nei loro beni e se ne fanno una fortezza (Prov 10,15), dimenticando Dio, la sola fortezza valida (Sal 52,9). Un paese «pieno d’argento e d’oro ... di cavalli e di carri innumerevoli diventa presto «un paese ripieno di idoli» (Is 2,7s).
«Chi confida nella ricchezza, vi si inabisserà» (Prov 11,28; cfr. Ger 9,22). Invece di rafforzare l’alleanza, i doni divini possono offrire l’occasione di rinnegarla: «Sazi, i loro cuori si gonfiarono, e perciò mi hanno dimenticato» (Os 13,6; cfr. Deut 8,12ss).
Israele dimentica costantemente donde gli vengono i beni di cui è ricolmo (Os 2) e corre a prostituirsi con gli ornamenti di cui è debitore all’amore del suo Dio (Ez 16). E difficile rimanere fedeli nella prosperità, perché il grasso chiude il cuore (Deut 31,20; 32,15; Giob 15,27; Sal 13,4-9). È sapienza diffidare dell’argento e dell’oro, quand’anche si fosse re (Deut 17,17), e ripetere la preghiera in cui Agur riassume dinanzi a Dio la sua esperienza: «Non darmi né povertà né ricchezza; lasciami gustare la mia porzione di pane; per tema che, sazio, io non ti rinneghi e dica: “Chi è Jahve?” oppure che “nella miseria, non rubi e non profani il nome del mio Dio» (Prov 30,8s).
Il Nuovo Testamento fa sue tutte le riserve del Vecchio Testamento nei confronti della ricchezza. Le invettive di Giacomo contro i ricchi pasciuti e la loro ricchezza imputridita eguagliano quelle dei profeti più violenti (Giac 5,1-5). «Ai ricchi di questo mondo» si raccomanda «di non montare in superbia, di non porre la loro fiducia in ricchezze precarie, ma in Dio che ci provvede con larghezza di tutto» (1Tim 6,17). «L’orgoglio della ricchezza» è il mondo, e non si può amare Dio ed il mondo (1Gv 2,15s).

Dio si prende cura dei nostri bisogni: CCC 270-271: Dio è Padre onnipotente. La sua paternità e la sua potenza si illuminano a vicenda. Infatti, egli mostra la sua onnipotenza paterna attraverso il modo con cui si prende cura dei nostri bisogni; attraverso l’adozione filiale che ci dona («Sarò per voi come un padre, e voi mi sarete come figli e figlie, dice il Signore onnipotente»: 2Cor 6,18); infine attraverso la sua infinita misericordia, dal momento che egli manifesta al massimo grado la sua potenza perdonando liberamente i peccati. L’onnipotenza divina non è affatto arbitraria: «In Dio la potenza e l’essenza, la volontà e l’intelligenza, la sapienza e la giustizia sono una sola ed identica cosa, di modo che nulla può esserci nella potenza divina che non possa essere nella giusta volontà di Dio o nella sua sapiente intelligenza».

Abbandonarsi alla Provvidenza: Jean Pierre de Caussade (L’abbandono alla Provvidenza Divina, Cap. IV): L’anima non deve attaccarsi a niente, “ma gettandosi perdutamente tra le braccia della Provvidenza deve seguire con costanza l’amore attraverso la via delle croci, dei propri doveri e delle attrattive non sospette. Quanto è chiara e luminosa questa via! Io non temo di difenderla e di insegnarla con vigore. Vedo che tutti mi capiscono quando dico che tutto il lavoro della nostra santificazione consiste nell’accettare, di momento in momento, tutte le pene e i doveri del proprio stato come veli che nascondono e dànno Dio. Nell’abbandono, l’unica regola ci viene dal momento presente . In esso l’anima si muove leggera come una piuma, fluida come l’acqua, semplice come un bambino; è mobile come una palla di gomma per ricevere e seguire tutti gli impulsi della grazia. Queste anime hanno la fluidità e la malleabilità di un metallo fuso; come questo accoglie tutte le impronte dello stampo in cui lo si fa colare, così queste anime si piegano e si adattano con altrettanta facilità a tutte le forme che Dio vuole imprimere in esse. In una parola, la loro maneggevolezza è come quella dell’aria che si muove a ogni soffio e si configura a ogni cosa. Qui è il caso di fare un’osservazione importante. Cioè, che in questo stato di abbandono, in questa via di fede, tutto quello che avviene nell’anima, nel corpo, negli affari e nei diversi avvenimenti, offre un aspetto di morte che non deve stupire. Che volete? È la natura propria di questo stato. Dio ha i suoi disegni sulle anime e li esegue alla perfezione sotto questi veli oscuri. Con questo nome intendo gli insuccessi, le infermità del corpo, le debolezze dello spirito. Tra le mani di Dio tutto riesce, tutto si volge in bene”.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Mons. Vincenzo Paglia: Quell’uomo conservò le sue ricchezze, ma perse il sorriso e il senso vero della vita. Potremmo chiederci: ma l’invito di Gesù non è troppo severo? Non si tratta di una parola troppo esigente che, tra l’altro rischia di farlo rimanere solo? Gesù non potrebbe attutirlo almeno un poco? Non potrebbe renderlo meno esigente e un po’ più accomodante? Le parole che Gesù aggiunge subito dopo il rifiuto del ricco non ammettono replica. “Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!” E conclude: “E più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio”.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Concedi, Signore, che il corso degli eventi nel mondo si svolga secondo la tua volontà nella giustizia e nella pace, e la tua Chiesa si dedichi con serena fiducia al tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo...