13 Maggio 2018

Ascensione del Signore


Oggi Gesù ci dice: “Andate e fate discepoli tutti i popoli. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo [Mt 28,19a.20b]” (Acclamazione al Vangelo).

Dal Vangelo secondo Marco: Questo brano fa parte della cosiddetta finale lunga del vangelo di Marco (16,9-20), di autore ignoto, ma che appartiene alla sacra Scrittura, è cioè ispirata, anche se non presenta lo stile e le caratteristiche dell’evangelista Marco. I versetti contengono una sintesi dei racconti di Pasqua; inizia con l’apparizione del Risorto a Maria di Magdala (16,9-11), continua ricordando l’apparizione a due discepoli (16,12-13) e poi a tutti gli Apostoli (16,14). Nel brano odierno vengono messi in evidenza: la missione universale affidata agli Apostoli, l’ascensione di Gesù al cielo e l’efficacia dell’azione apostolica in virtù della presenza del Risorto il quale «confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano» (16,20). Con queste premesse, il ritorno di Gesù al Padre non sgomentò gli Apostoli oltre misura perché acquisirono, in modo immantinènte, la certezza che, nella loro opera di evangelizzazione, i loro sforzi apostolici sarebbero stati sostenuti dalla potenza dello Spirito Santo: «Non preoccupatevi di ciò che dovrete dire, ma dite ciò che in quell’ora vi sarà dato: poiché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo» (Mc 13,11). Ora sanno che dinanzi alle enormi difficoltà che il mondo avrebbe loro opposto sarebbero stati sempre confortati e sostenuti dall’amore del Risorto («Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» Mt 28,20).

L’ascensione visibile - Ortensio Da Spinetoli (Ascensione di Gesù  in Schede Bibliche - Ed. Dehoniane): La «descrizione» di Luca 24,51 e di Atti 1,9-11 non ridà il mistero del trapasso reale di Gesù al cielo, ma l’ultima manifestazione visibile o apparizione del Cristo risorto. Lo stesso tono del racconto, sobrio e spoglio di ogni coreografia, non lascia pensare altro. Esso non imita le apoteosi degli eroi pagani o dei personaggi biblici (Enoc, Mosè, Elia), né si adegua allo stile delle teofanie che abbondano nel libro sacro. Ciò, mentre comprova la storicità dell’avvenimento, ne sottolinea il particolare significato.
La vera ascensione, cioè la trasfigurazione e il passaggio di Gesù nel mondo della gloria, avvenuta il mattino di Pasqua, è sfuggita ad ogni esperienza ed è fuori di ogni umano controllo. Come non è possibile determinare il momento preciso dell’evento, non è possibile neanche conoscere il modo del primo, reale ingresso di Gesù nel cielo. Se gli apostoli ne sono al corrente, è perché il Salvatore l’ha loro manifestato e ribadito negli incontri dopo la Pasqua.
La fede nell’ascensione non si arresta alla semplice scena del monte degli Ulivi. Questa rappresenta solo l’aspetto secondario e relativo del grande evento. I due aspetti del mistero - partenza visibile da questa terra e sessione alla destra di Dio - non sono tra loro in necessario rapporto. Il trionfo celeste non trova, cioè, la sua adeguata spiegazione nella contemplazione dell’ultima dipartita di Cristo al cielo.
L’ascensione visibile, come tutte le apparizioni pasquali, è un atto di misericordia divina, un’illustrazione esterna, un’accondiscendenza di Gesù ai discepoli e a tutti i credenti, in vista e a motivo della loro debolezza di esseri sensibili. Si tratta di una manifestazione accidentale e imperfetta di un fatto che sfugge, per sua natura, a una evidenza umana. Se vogliamo considerare la scena di Atti 1,9-11 come un’illustrazione visibile dell’esaltazione celeste di Cristo, per rispettare la tradizione e l’uso stabilito dalla Chiesa, possiamo farlo, ma non dobbiamo misconoscere la vera portata del racconto lucano.
Esso non intende né occultare, né comprovare l’esaltazione celeste, ma solo sottolineare i rapporti che il Cristo glorioso ha con la comunità apostolica rimasta a rappresentarlo sulla terra. In procinto di narrare le prime fasi della storia della Chiesa e la discesa dello Spirito, l’autore ha creduto indispensabile ricordare l’ultima manifestazione terrestre di Cristo e la sua salita visibile al cielo, che condizionano entrambi gli avvenimenti.

Essi partirono e predicarono dappertutto - Gesù risuscitato appare agli Undici «mentre stavano a mensa» e li rimprovera «per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto» (Mc 16,14) a Maria di Magdala e ai due discepoli innominati i quali avevano testimoniato agli Apostoli di avere incontrato il Risorto.
L’apparizione si situa in questo contesto di incredulità e, secondo l’evangelista Giovanni, anche di paura (Gv 20,19).
Sciolto ogni dubbio, ritrovata la pace e soprattutto in un clima di intimità e di familiarità, erano seduti a mensa, gli Apostoli ricevono da Gesù il mandato di andare in tutto il mondo a predicare il vangelo «ad ogni creatura». Apostolo è un termine di origine giudaica, che, significa «inviato» o «mandato»: nel Nuovo Testamento è applicato ai dodici discepoli scelti dal Cristo (Lc 6,13) per essere suoi testimoni, della sua vita, della sua morte e della sua risurrezione (At 1,8). Ad essi, il Signore risorto affida una missione che sarà estesa «ad ogni creatura», cioè a tutti gli uomini: il messaggio evangelico non ha più confini, dovrà arrivare «fino agli estremi confini della terra» (Atti 1,8).

Fede e Battesimo - Poiché la missione è un annuncio autorevole che non è soltanto insegnamento di una verità ma è soprattutto un rendere presente la realtà annunciata, cioè la salvezza, necessariamente all’annuncio dovrà seguire, da parte degli ascoltatori, la fede e il battesimo: «Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,16).
Da questa formulazione si intende chiaramente che il Battesimo non giova a nulla se ad esso non segue una vita aperta al vento impetuoso della fede: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21). Credere è accettare una Persona, il Cristo; è accogliere la parola della predicazione in un cuore nuovo; significa obbedienza alla fede (Rom 1,5).
La distinzione tra chi sarà salvo e chi sarà condannato, ci suggerisce P. Giuseppe Ferraro, «tocca la situazione definitiva e mostra nelle conseguenze l’efficacia dell’incarico conferito agli apostoli; di fronte all’annuncio e al sacramento che vengono offerti è possibile solo un duplice atteggiamento che è di natura sua discriminante: la fede con il battesimo, per la salvezza; il rifiuto della fede e del battesimo e la condanna per sempre».
Anche se non è citato dal brano marciano, non vi può essere Battesimo senza pentimento dei propri peccati: l’apostolo Pietro lo dirà a chiare lettere a chi lo ascoltava nel giorno di Pentecoste: «Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo» (Atti 2,38). Pentirsi significa riconoscere i propri peccati: il pentimento è frutto di una «grande saggezza! Il peccatore, infatti, comincia a rendersi conto del male compiuto dinanzi a Dio. Nell’intimo del suo cuore nasce il rimorso per le azioni cattive; egli allora si ravvede, smette di compiere il male e si dedica, anzi, ad ogni sorta di opere buone, umiliandosi e torturando la propria anima al pensiero delle colpe commesse» (Erma, Il Pastore).

Carismi e prodigi - La parola degli Apostoli sarà confermata da miracoli e da prodigi. Già in Mc 6,7-13, i Dodici appaiono dotati di facoltà di operare miracoli, come il potere sugli spiriti immondi e di guarire gli ammalati con unzione di olio. Qui si aggiunge la difesa dai serpenti e dai veleni propinati dai nemici del Vangelo; ed infine il dono delle lingue che è stato una delle caratteristiche della Chiesa primitiva. Ma soprattutto la missione sarà sostenuta e vivificata dalla continua presenza del Risorto, il quale si farà compagno degli Apostoli operando insieme con loro.
Come nell’Antico Testamento Dio protegge e assiste i suoi (Gen 26,15; Es 3,12), così Gesù assicura la sua presenza a quelli che manda nel mondo a diffondere la sua parola.
Gesù, avendo rincuorato i suoi amici (Gv 15,15) e dopo averli investiti di autorità e di poteri carismatici, ascende al cielo. L’ascensione segna la glorificazione di Gesù: «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre (Gv 16,28)». Essa viene sottolineata con due espressioni: fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio. Per la prima espressione, in altri passi si usano anche i termini: andare in cielo, salire, essere portato verso il cielo o penetrare i cieli. La Chiesa ha sempre preferito usare il verbo ascendere perché più adatto ad esprimere la virtù propria per la quale il Figlio di Dio entra nella gloria dei cieli. Per la seconda, si sedette alla destra di Dio, la Chiesa, che riprende il Salmo 110 (109) già applicato da Gesù a se stesso (cf Mc 12,35; 14,62), vuole esprimere la sua fede nel Cristo risorto, esaltato alla destra del Padre e costituito Giudice e Signore di tutte le genti. L’ascensione di Gesù al cielo e l’assìdersi alla destra del Padre rappresenta non soltanto il concludersi della vicenda terrena del Signore, ma la manifestazione piena della sua risurrezione, per cui «l’Uomo-Dio, Cristo Gesù, già vittorioso sulla morte, inizia ad esercitare il suo potere di giustizia e di pace offrendo a tutti il suo messaggio di salvezza mediante la predicazione dei suoi discepoli, che egli dirige e segue efficacemente dal cielo» (Adalberto Sisti).

Ascensione: festa del mandato - «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15). La Chiesa ha il dovere di annunziare fino alla fine dei tempi, con l’esempio e la parola, la fede che ha ricevuto. Dedicarsi con abnegazione all’affermazione e diffusione del Vangelo è il Dna della Chiesa: «La Chiesa è nata con il fine di rendere partecipi, mediante la diffusione del regno di Cristo su tutta la terra a gloria di Dio Padre, tutti gli uomini della redenzione salvifica e ordinare effettivamente per mezzo di essi il mondo intero a Cristo» (A A n. 2).
Predicando il Vangelo, la Chiesa «dispone gli uditori alla fede e alla confessione della fede, li prepara al Battesimo, li sottrae alla schiavitù dell’errore e li incorpora a Cristo, perché mediante la carità abbiano a crescere in lui fino alla pienezza» (LG n. 17). L’imperativo del Cristo: «Andate e predicate» è rivolto a tutti i battezzati : «La vocazione cristiana infatti è per sua natura anche vocazione all’apostolato» (AA n. 2). In modo particolare ricevono questa missione i vescovi, successori degli apostoli, ma anche i fedeli: «Nella Chiesa c’è diversità di ministero ma unità di missione. Gli apostoli e i loro successori hanno avuto da Cristo la funzione di insegnare, santificare e governare in suo nome e con la sua autorità. Ma i laici, resi partecipi della funzione sacerdotale, profetica e regale di Cristo [...] esercitano l’apostolato con la loro azione per l’evangelizzazione e la santificazione degli uomini, e animando e perfezionando con lo spirito evangelico l’ordine delle realtà temporali, in modo che la loro attività in questo ordine costituisca una chiara testimonianza a Cristo e serva alla salvezza degli uomini [...]. I laici derivano il dovere e il diritto all’apostolato dalla loro stessa unione con Cristo capo. Infatti, inseriti nel corpo mistico di Cristo per mezzo del Battesimo, fortificati dalla virtù dello Spirito Santo per mezzo della confermazione, sono deputati dal Signore stesso all’apostolato» (AA n. 2.3).
Urge quindi che ogni battezzato prenda coscienza  del suo diritto-dovere di essere missionario, di essere «testimone della Fede dovunque opera. Ma più che le parole, è l’esempio, la testimonianza di una vita che sconvolge certi immobilismi, che fa crollare tanti formalismi e crea comunità di gente che crede e offre proposte nuove» (L. Macchi).
Paolo di Tarso, «Israelita, della discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino» (Rom 11,1), cittadino romano per nascita (At 22,28), infaticabile missionario, fondatore e organizzatore di numerose comunità cristiane e per questo chiamato «apostolo delle genti», un giorno, partendo dalla verità che «chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato» (Rom 10,13), pose a se stesso e ai suoi collaboratori queste domande: «Ora, come potranno invocare il Signore senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? [...]. La fede dipende dunque dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo» (Rom 10,14-17).
Domande esiziàli per la nostra congenita pigrizia: domande che dovrebbero divorare i nostri sonni tranquilli. Il pensiero che molti si perdono per sempre dovrebbe veramente angosciarci!

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Andate e fate discepoli tutti i popoli. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. [Mt 28,19a.20b]”.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre, per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro capo, nella gloria. Egli è Dio, e vive e regna con te...