1 Giugno 2018

Venerdì Feria VIII settimana «per annum»

Oggi Gesù ci dice: «La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni. Abbiate fede in Dio!» (Vangelo)

Dal Vangelo secondo Marco 11,11-25: Il fico che non porta frutto simboleggia Israele, ma anche ogni cristiano che arido nelle opere rimane senza frutti per la vita eterna. Israele non è più la fonte di salvezza per gli uomini, il regno di Dio è aperto a tutti i popoli. Con questo racconto Marco vuol affermare l’universalità della casa di Dio.

Due gesti profetici - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): Gesù è entrato in Gerusalemme, e nel vangelo di Marco inizia la sezione dedicata all’attività del Salvatore nella città santa, prima della sua passione. Oggi vediamo due gesti profetici del Signore: la maledizione di un fico e la cacciata dei mercanti dal tempio. Segue una conclusione nella quale, partendo dal fatto del fico inaridito, Gesù parla del potere della fede e dell’efficacia della preghiera, che deve essere preceduta dal perdono fraterno. Conclusione che appartiene a un altro contesto della tradizione sinottica.
I due gesti di Gesù sono segni profetici del giudizio di Dio già in atto, e si riferiscono al popolo d’Israele e alle sue autorità, simbolizzati nel fico senza frutto, anche se con molte foglie e nel culto del tempio, pieno di ritualismi ma vuoto di religiosità. Alcuni autori vedono nell’episodio del fico maledetto la messa in scena della parabola del fico sterile (Lc 13,6-9).
Gesù cerca un frutto sul fico quando non è tempo di fichi. Particolare che conferma il carattere di segno dell’episodio. Non è l’infruttuosità del fico che lo interessa, ma quella del popolo israelita, che non ha scuse dopo tante attenzioni e avvertimenti di Dio; perciò è arrivato il momento del suo giudizio di condanna, come prova l’episodio della purificazione del tempio (cfr. Lc 19,45ss) I venditori e i cambiavalute del tempio, vendendo animali per il sacrificio (buoi, pecore e colombe) e cambiando le monete grecoromane con denaro ebraico per il pagamento dell’imposta del tempio, prestavano un servizio necessario. Spesso, però, i pellegrini venivano sfruttati e con questo commercio la casa di Dio aveva smesso di essere casa di preghiera per tutti i popoli, diventando un covo di banditi, dice Gesù citando i profeti Isaia e Geremia.

Gesù insegna a pregare - Catechismo della Chiesa Cattolica

2607 Quando Gesù prega, già ci insegna a pregare. Il cammino teologale della nostra preghiera è la sua preghiera al Padre. Ma il Vangelo ci offre un esplicito insegnamento di Gesù sulla preghiera. Come un pedagogo, egli ci prende là dove siamo e, progressivamente, ci conduce al Padre. Rivolgendosi alle folle che lo seguono, Gesù prende le mosse da ciò che queste già conoscono della preghiera secondo l’Antica Alleanza e le apre alla novità del Regno che viene. Poi rivela loro tale novità con parabole. Infine, ai suoi discepoli, che dovranno essere pedagoghi della preghiera nella sua Chiesa, parlerà apertamente del Padre e dello Spirito Santo.

2608 Fin dal Discorso della montagna, Gesù insiste sulla conversione del cuore: la riconciliazione con il fratello prima di presentare un’offerta sull’altare, l’amore per i nemici e la preghiera per i persecutori, la preghiera al Padre “nel segreto” (Mt 6,6), senza sprecare molte parole, il perdono dal profondo del cuore nella preghiera, la purezza del cuore e la ricerca del Regno. Tale conversione è tutta orientata al Padre: è filiale.

2609 Il cuore, deciso così a convertirsi, apprende a pregare nella fede. La fede è un’adesione filiale a Dio, al di là di ciò che sentiamo e comprendiamo. È diventata possibile perché il Figlio diletto ci apre l’accesso al Padre. Egli può chiederci di “cercare” e di “bussare”, perché egli stesso è la porta e il cammino.

2610 Come Gesù prega il Padre e rende grazie prima di ricevere i suoi doni, così egli ci insegna questa audacia filiale: “Tutto quello che domandate nella preghiera,abbiate fede di averlo ottenuto”(Mc 11,24). Tale è la forza della preghiera: “Tutto è possibile per chi crede” (Mc 9,23), con una fede che non dubita. Quanto Gesù è rattristato dalla “incredulità” (Mc 6,6) dei discepoli e dalla “poca fede” (Mt 8,26) dei suoi compaesani, tanto si mostra pieno di ammirazione davanti alla fede davvero grande del centurione romano e della cananea.

2611 La preghiera di fede non consiste soltanto nel dire: “Signore, Signore”, ma nel disporre il cuore a fare la volontà del Padre (Mt 7,21). Gesù esorta i suoi discepoli a portare nella preghiera questa passione di collaborare al Disegno divino.

2612 In Gesù “il Regno di Dio è molto vicino”; esso chiama alla conversione e alla fede, ma anche alla vigilanza. Nella preghiera, il discepolo veglia attento a colui che È e che Viene, nella memoria della sua prima Venuta nell’umiltà della carne e nella speranza del suo secondo Avvento nella Gloria. La preghiera dei discepoli, in comunione con il loro Maestro, è un combattimento, ed è vegliando nella preghiera che non si entra in tentazione.

La forza della fede - Ortensio Da Spinetoli (I Quattro Vangeli): Il disseccamento del fico secondo Mt avvenne, sull’istante, appena Gesù lo maledisse; invece Mc scrive che i discepoli se ne accorsero il mattino seguente, cioè al martedì. Mc ha staccato la maledizione del fico (vv. 12-14) dal disseccamento (vv. 20-21) e ha inserito tra i due momenti la purificazione del tempio, formando una cornice molto significativa, in quanto il fico sterile simboleggia l’infedeltà dei giudei. Il brano seguente, vv. 23-25, raggruppa alcuni detti di Gesù sulla forza della fede c sulla preghiera, la cui efficacia dipende da due condizioni: una sconfinata fiducia nell’aiuto di Dio e il perdono verso i fratelli. Il gesto simbolico della maledizione del fico offre a Mc l’opportunità di impartire una parenesi importante alla comunità cristiana sulla necessità di una fede incrollabile nella potenza di Dio.
La si ottiene soltanto mediante la preghiera fiduciosa e sincera, la quale presuppone il perdono delle colpe dei fratelli.
Questi detti sono inseriti in questo contesto in modo redazionale, perché se ne conosce un ‘altra collocazione in Mt (17,20) e Lc (17.6) in dipendenza dalla fonte Q, con sfumature diverse. In Mc. comunque il disseccamento miracoloso del fico diventa un esempio per illustrare la potenza della fede e della preghiera.
[...]
v. 25 «Quando state (ritti] pregando, perdonate se avete qualcosa contro qualcuno ...». Secondo l’usanza ebraica, la preghiera veniva fatta stando in piedi.
Chi prega deve innanzitutto riconoscere la propria miseria e situazione di peccato. L’esaudimento dipende unicamente dalla bontà del Padre celeste, che viene incontro con premura alle sue creature. Dio ama tutti, anche i peccatori. Pertanto, è necessario che colui che lo invoca imiti la sua bontà, perdonando le colpe dei fratelli, prima di rivolgersi a lui. I doni che egli ci elargisce non dipendono dai nostri meriti, ma provengono dalla sua liberalità. Anche nella sesta petizione del Padre nostro e nel passo successivo, in parte parallelo al presente v. marciano, viene ribadita la stessa esigenza del perdono (Mc 6,12.14-15), una condizione indispensabile per l’esaudimento della preghiera.
Mc indirizza queste esortazioni alla comunità cristiana, per ravvivare la sua adesione di fede a Cristo.
Al momento della redazione finale del suo vangelo, il tempio probabilmente era già stato distrutto e la chiesa era ormai consapevole di costituire il vero tempio del Dio vivente, la «casa di preghiera per tutte le nazioni» (v. 17). Perciò alla preghiera comunitaria, radicata in una fiducia illimitata in lui, vissuta in unione profonda con i fratelli (cf. Mt 18,19), veniva attribuita un’efficacia particolare e una funzione essenziale per la sua esistenza e per la sua crescita.

San Giustino Martire - Benedetto XVI (Udienza Generale 21 Marzo 2007): Nel complesso la figura e l’opera di Giustino segnano la decisa opzione della Chiesa antica per la filosofia, per la ragione, piuttosto che per la religione dei pagani. Con la religione pagana, infatti, i primi cristiani rifiutarono strenuamente ogni compromesso. La ritenevano idolatria, a costo di essere tacciati per questo di «empietà» e di «ateismo». In particolare Giustino, specialmente nella sua prima Apologia, condusse una critica implacabile nei confronti della religione pagana e dei suoi miti, considerati da lui come diabolici «depistaggi» nel cammino della verità. La filosofia rappresentò invece l’area privilegiata dell’incontro tra paganesimo, giudaismo e cristianesimo proprio sul piano della critica alla religione pagana e ai suoi falsi miti. «La nostra filosofia...»: così, nel modo più esplicito, giunse a definire la nuova religione un altro apologista contemporaneo di Giustino, il Vescovo Melitone di Sardi (citato in Eusebio, Storia Eccl. 4,26,7).
Di fatto la religione pagana non batteva le vie del Logos, ma si ostinava su quelle del mito, anche se questo era riconosciuto dalla filosofia greca come privo di consistenza nella verità. Perciò il tramonto della religione pagana era inevitabile: esso fluiva come logica conseguenza del distacco della religione - ridotta a un artificioso insieme di cerimonie, convenzioni e consuetudini - dalla verità dell’essere. Giustino, e con lui gli altri apologisti, siglarono la presa di posizione netta della fede cristiana per il Dio dei filosofi contro i falsi dèi della religione pagana. Era la scelta per la verità dell’essere contro il mito della consuetudine. Qualche decennio dopo Giustino, Tertulliano definì la medesima opzione dei cristiani con una sentenza lapidaria e sempre valida: «Dominus noster Christus veritatem se, non consuetudinem, cognominavit - Cristo ha affermato di essere la verità, non la consuetudine» (La velazione delle vergini 1,1). Si noti in proposito che il termine consuetudo, qui impiegato da Tertulliano in riferimento alla religione pagana, può essere tradotto nelle lingue moderne con le espressioni «moda culturale», «moda del tempo».
In un’età come la nostra, segnata dal relativismo nel dibattito sui valori e sulla religione - come pure nel dialogo interreligioso -, è questa una lezione da non dimenticare. A tale scopo vi ripropongo - e così concludo - le ultime parole del misterioso vegliardo, incontrato dal filosofo Giustino sulla riva del mare: «Tu prega anzitutto che le porte della luce ti siano aperte, perché nessuno può vedere e comprendere, se Dio e il suo Cristo non gli concedono di capire» (Dial. 7,3).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi le vostre colpe.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che hai donato al santo martire Giustino una mirabile conoscenza del mistero del Cristo, attraverso la sublime follia della Croce, per la sua intercessione allontana da noi le tenebre dell’errore e confermaci nella professione della vera fede. Per il nostro Signore Gesù Cristo...