8 Aprile 2018

II Domenica di Pasqua


Oggi Gesù ci dice: «Come bambini appena nati, bramate il puro latte spirituale, che vi faccia crescere verso la salvezza» (1Pt 2,2).


Dal Vangelo secondo Giovanni 20,19-31: Una pagina densissima. Viene sottolineato, con molto pathos, il dono della pace. L’apostolo Tommaso assurge a modello di incredulità e di fede. Ed è evidenziato anche il fine che Giovanni s’è proposto scrivendo il suo Vangelo: è stato redatto affinché gli uomini credano che Gesù è il Messia, il Cristo annunziato nell’Antico Testamento dai profeti; il Figlio di Dio, e così, credendo questa verità, salvarsi e avere «la vita nel suo nome». Il brano evangelico odierno è composto di tre parti: prima apparizione di Gesù agli Apostoli con l’invio in missione (vv. 19-23), seconda apparizione con la presenza di Tommaso, il discepolo incredulo (vv. 24-29); prima conclusione del Vangelo (vv. 30-31). Oggi, il Risorto, oltre la pace, dà ai suoi amici (Cf. Gv 15,15) tre doni: il dono della missione; l’esaltante mandato di portare a tutti gli uomini la Buona Notizia; il dono dello Spirito Santo, che trasformerà i discepoli in nuove creature; il potere di perdonare i peccati.


A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati - Reconcilatio et paenitentia 30: Dalla rivelazione del valore di questo ministero e del potere di rimettere i peccati, da Cristo conferito agli apostoli e ai loro successori, si è sviluppata nella Chiesa la coscienza del segno del perdono, conferito mediante il sacramento della penitenza. La certezza, cioè, che lo stesso Signore Gesù ha istituito e affidato alla Chiesa - quale dono della sua benignità e della sua «filantropia», da offrire a tutti - uno speciale sacramento per la remissione dei peccati commessi dopo il battesimo.
La pratica di questo sacramento, per quanto riguarda la sua celebrazione e la sua forma, ha conosciuto un lungo processo di sviluppo, come attestano i più antichi sacramentari, gli atti di concili e di sinodi episcopali, la predicazione dei padri e l’insegnamento dei dottori della Chiesa. Ma circa la sostanza del sacramento è rimasta sempre solida e immutata nella coscienza della Chiesa la certezza che, per volontà di Cristo, il perdono è offerto a ciascuno per mezzo dell’assoluzione sacramentale, data dai ministri della penitenza: è certezza riaffermata con particolare vigore sia dal Concilio di Trento, che dal Concilio Vaticano II: «Quelli che si accostano al sacramento della penitenza ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui e, nello stesso tempo, la riconciliazione con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato: la Chiesa che coopera alla loro conversione con la carità, con l’esempio e la preghiera» («Lumen Gentium», 11). E come dato essenziale di fede sul valore e lo scopo della penitenza si deve riaffermare che il nostro salvatore Gesù Cristo istituì nella sua Chiesa il sacramento della penitenza, perché i fedeli caduti in peccato dopo il battesimo ricevessero la grazia e si riconciliassero con Dio.


Tommaso, uno dei Dodici... - Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): L’incredulità dell’apostolo Tommaso induce il Signore a dargli una speciale prova della realtà del suo corpo risorto. Così, al tempo stesso, Gesù conferma la fede di coloro che più tardi avrebbero creduto in lui. «Attribuite - commenta san Gregorio Magno - a un caso puramente fortuito che quel discepolo chiamato da Gesù allora non fosse presente, che sentisse poi il racconto del fatto senza prestarvi fede, che, nel dubbio, costatasse visibilmente e solo allora credesse? Tutto questo non avvenne a caso, ma per un disegno di Dio. La bontà infinita del Signore dispose che quel discepolo, coi suoi dubbi, toccando sulle carni del Maestro le cicatrici, risanasse in noi le ferite dell’incredulità [...]. In questo modo quel discepolo, dubitando e costatando, divenne un testimone della verità della Risurrezione» (In Evangelia homiliae, 26,7).
La risposta di Tommaso non è una semplice esclamazione; è un’asserzione, un meraviglioso atto di fede nella divinità di Gesù Cristo: «Mio Signore e mio Dio!». Queste parole sono una giaculatoria che i cristiani ripetono di frequente, soprattutto come atto di fede nella presenza reale di Cristo Gesù nella Sacra Eucaristia.


... non essere incredulo - Giovanni Paolo II (Omelia, 19 Agosto 2000): [...] il Cenacolo di Gerusalemme fu per gli Apostoli una sorta di “laboratorio della fede”. Nel Cenacolo ci troviamo di fronte ad una dialettica della fede e dell’incredulità più radicale e, allo stesso tempo, di fronte ad una ancor più profonda confessione della verità su Cristo. Non era davvero facile credere che fosse nuovamente vivo Colui che avevano deposto nel sepolcro tre giorni prima.
Il Maestro divino aveva più volte preannunciato che sarebbe risuscitato dai morti e più volte aveva dato le prove di essere il Signore della vita. E tuttavia l’esperienza della sua morte era stata così forte, che tutti avevano bisogno di un incontro diretto con Lui, per credere nella sua resurrezione: gli Apostoli nel Cenacolo, i discepoli sulla via per Emmaus, le pie donne accanto al sepolcro... Ne aveva bisogno anche Tommaso. Ma quando la sua incredulità si incontrò con l’esperienza diretta della presenza di Cristo, l’Apostolo dubbioso pronunciò quelle parole in cui si esprime il nucleo più intimo della fede: Se è così, se Tu davvero sei vivo pur essendo stato ucciso, vuol dire che sei “il mio Signore e il mio Dio”.
Con la vicenda di Tommaso, il “laboratorio della fede” si è arricchito di un nuovo elemento. La Rivelazione divina, la domanda di Cristo e la risposta dell’uomo si sono completate nell’incontro personale del discepolo col Cristo vivente, con il Risorto. Quell’incontro divenne l’inizio di una nuova relazione tra l’uomo e Cristo, una relazione in cui l’uomo riconosce esistenzialmente che Cristo è Signore e Dio; non soltanto Signore e Dio del mondo e dell’umanità, ma Signore e Dio di questa mia concreta esistenza umana. Un giorno san Paolo scriverà: “Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore: cioè la parola della fede che noi predichiamo. Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo” (Rm 10, 8-9).


Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto - Salvatore Alberto Panimolle ( Lettura pastorale del Vangelo di Giovanni, III Volume, EDB.): Le ultime parole di Gesù riportate nel vangelo autenticamente giovanneo (Gv 20,29) costituiscono il vertice della scena drammatica delle apparizioni del Cristo risorto ai discepoli. Con queste espressioni il Maestro proclama beata la condizione dei suoi futuri seguaci che crederanno senza averlo visto, fidandosi solo della parola dei testimoni oculari. In realtà per il quarto evangelista, la fede pura non si fonda sui segni, anche se da essi può essere suscitata o approfondita.
La rivelazione del Cristo dovrebbe bastare ad aprire il cuore e la mente all’azione del Padre che attrae l’uomo verso il Figlio suo. La parola del Rivelatore escatologico costituisce una garanzia più che sufficiente per credere nella sua persona divina. L’adesione di fede al Signore Gesù non dovrebbe basarsi sui miracoli, anche se essa costituisce un ossequio razionale.
Il messaggio di questa beatitudine evangelica riveste un significato particolarmente attuale ai nostri giorni, perché oggi tanti cristiani fondano la fede su pretese apparizioni della Madonna o dei santi, perciò vanno in cerca del prodigioso. Spesso in questi ultimi decenni è stato dato tanto risalto a messaggi celesti per il popolo di Dio, affidati a veggenti. Non di rado folle di cristiani sono state attirate da veri o supposti miracoli di Crocifissi che sanguinano, di statue della Vergine che piangono.
Eppure Gesù proclama beati coloro che credono, senza aver visto!
La costituzione dogmatica del concilio Vaticano II sulla divina rivelazione ricorda autorevolmente che non ci si deve aspettare nessun’altra rivelazione pubblica prima della parusia (Cf. Dei verbum, 4).
Dio si è manifestato in modo autentico nella sacra Scrittura, che rappresenta la regola suprema della fede della chiesa, il nutrimento sano e sostanzioso della vita del popolo di Dio (Cf. Dei verbum, 21).


Cuore di Gesù, nostra pace e riconciliazione abbi pietà di noi - Giovanni Paolo II (Angelus, 3 Settembre 1989): 1. Carissimi fratelli e sorelle. Recitando con fede questa bella invocazione delle litanie del Sacro Cuore, un senso di fiducia e di sicurezza si diffonde nel nostro animo: Gesù è veramente la nostra pace, la nostra suprema riconciliazione.
Gesù è la nostra pace. È noto il significato biblico del termine “pace”: esso indica, in sintesi, la somma dei beni che Gesù, il Messia, ha portato agli uomini. Per questo, il dono della pace segna l’inizio della sua missione sulla terra, ne accompagna lo svolgimento, ne costituisce il coronamento. “Pace” cantano gli angeli presso il presepe del neonato “Principe della Pace” (cf. Lc 2,14; Is 9,5). “Pace” è l’augurio che sgorga dal Cuore di Cristo, commosso dinanzi alla miseria dell’uomo infermo nel corpo (cf. Lc 8,48) o nello spirito (cf. Lc 7,50). “Pace” è il saluto luminoso del Risorto ai suoi discepoli (cf. Lc 24,36; Gv 20,19.26), che egli, al momento di lasciare questa terra, affida all’azione dello Spirito, sorgente di “amore, gioia, pace” (Gal 5,22).
2. Gesù è, al tempo stesso, la nostra riconciliazione. In seguito al peccato si è prodotta una profonda e misteriosa frattura tra Dio, il creatore, e l’uomo, sua creatura. Tutta la storia della salvezza altro non è che il resoconto mirabile degli interventi di Dio in favore dell’uomo perché questi, nella libertà e nell’amore, ritorni a lui; perché alla situazione di frattura succeda una situazione di riconciliazione e di amicizia, di comunione e di pace. Nel Cuore di Cristo, pieno di amore per il Padre e per gli uomini, suoi fratelli, ha avuto luogo la perfetta riconciliazione tra cielo e terra: “Siamo stati riconciliati con Dio - dice l’Apostolo - per mezzo della morte del Figlio suo” (Rm 5,10).
Chi vuol fare l’esperienza della riconciliazione e della pace deve accogliere l’invito del Signore e andare da lui (cf. Mt 11,28). Nel suo Cuore troverà pace e riposo; là, il suo dubbio si muterà in certezza; l’affanno, in quiete; la tristezza, in gioia; il turbamento, in serenità. Là troverà sollievo al dolore, coraggio per superare la paura, generosità per non arrendersi all’avvilimento e per riprendere il cammino della speranza.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio che in ogni Pasqua domenicale ci fai vivere le meraviglie della salvezza, fa’ che riconosciamo con la grazia dello Spirito il Signore presente nell’assemblea dei fratelli, per rendere testimonianza della sua risurrezione. Per il nostro Signore Gesù cristo, tuo Figlio che è Dio...