23 Aprile 2018

Lunedì IV Settimana di Pasqua


Oggi Gesù ci dice: “Io sono il buon pastore, dice il Signore; conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me” (Gv 10,14).  


Dal Vangelo secondo Giovanni 10,1-10: Gesù, con l’allegoria evangelica della «Porta delle pecore», si presenta anche come «il Pastore grande» (Eb 13,20) del popolo eletto e del mondo intero (cfr. Gv 10,16). Egli si rivolge alle guide spirituali del popolo eletto e contro di esse riprende le accuse che i profeti rivolgevano ai cattivi pastori i quali, pascendo se stessi, disperdevano il gregge loro affidato (cfr. Ez 34,2; Ger 23,1). Gesù è il buon pastore che le pecore seguono perché ne conoscono la voce come egli le conosce una ad una. L’immagine della porta è usata nella sacra Scrittura per designare l’accesso al mondo di Dio (cfr. Gen 28,17). Qui, affermando di essere la porta, Gesù dà all’immagine lo stesso significato positivo: passando attraverso di lui, e soltanto attraverso di lui, si accede alla salvezza, alla vita. Cristo Gesù è dunque il pastore-messia atteso dal popolo d’Israele, è «il pastore che finalmente redimerà il gregge di Iahvé e lo renderà giusto e santo agli occhi di Dio» (Giorgio Fornasari).


John L. McKenzie - (Dizionario Biblico - Cittadella Editrice): La figura del pastore è applicata a Gesù sia da lui stesso sia dagli altri. La sua missione come la prima missione dei suoi discepoli è diretta esclusivamente alle pecore perdute della casa d’Israele (Mt 10,6; 15,24). Egli è il pastore che lascia le 99 pecore sole nel deserto per ricercare quella che si è smarrita, e la sua gioia per il ricupero di un solo peccatore è simile alla gioia del pastore che trova la pecora smarrita (Mt 18,12-14; Lc 15,3-7). II suo arresto e la sua passione lasciano i discepoli dispersi come le pecore quando il pastore è percosso (Mt 26,31s: Mc 14,27, citazioni da Zc 13,7). Nel giudizio finale egli agirà come un pastore che separerà le pecore e le capre dopo che hanno condiviso un pascolo comune (Mr 25,32). Egli è il grande pastore (Eb 13,20), il capo dei pastori (1Pt 5,4). L’immagine del buon pastore (Gv 10,1-6,10-16) è interrotta dall’immagine di Gesù come porta dell’ovile (10,7-9), e molti critici hanno sospettato qualche spostamento o nel testo o nelle tradizioni orali. Il passo è certamente disposto in modo piuttosto libero, ma nessun riordino è riuscito a imporsi. L’immagine è un’eco di Ez 34,11-22, ma è trattata con originalità. L’accento della parabola cade sulla reciproca conoscenza tra Gesù e i suoi seguaci e sulla sua dedizione al gregge, culminante nella sua morte salvatrice. L’unità di un solo gregge sotto un solo pastore, in particolare, è un’eco di Ez 34, 23, 37, 22, 24; in Giovanni è espressa non solo l’unità del gregge, ma la missione apostolica della Chiesa. L’immagine di Gesù come buon pastore era una delle immagini preferite nei primi secoli cristiani, e forse le più antiche raffigurazioni artistiche di Gesù lo mostrano come buon pastore.  


Gesù è il pastore inviato per riunire le pecore disperse d’Israele (cfr. Mt 2,6; 15,24). Ma Giovanni 10,16 - ho altre pecore che non sono di quest’ovile ...- fa intendere che esistono altri ovili, diversi da quello del giudaismo, che un giorno formeranno un solo gregge sotto un solo pastore, Gesù. Sarà la missione della Chiesa (cfr. GS 92): una missione che superando i confini del popolo eletto raggiungerà ogni uomo sino agli angoli più sperduti della terra. Questo significa che i giudei, come eredi dell’elezione e delle promesse, dovevano ricevere per primi l’offerta della redenzione, ma la salvezza donata da Gesù non poteva interessare solo la nazione ebraica, ma tutto il mondo. Ebrei e pagani, schiavi e liberi, uomini e donne in Cristo costituiscono un unico gregge: «Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Se Gesù è il Pastore assediato da una banda di malvagi (cfr. Sal 22,17), i discepoli sono un piccolo gregge in mezzo a un branco di lupi: «Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Mt 10,16). I lupi, travestendosi da agnelli (Mt 7,15), si confonderanno nel gregge, uccideranno il Pastore e disperderanno le pecore: «Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge» (Mt 26,31). Il mondo allora si rallegrerà. I discepoli saranno afflitti, ma la loro afflizione si cambierà in gioia (Gv 16,20) perché il pastore risorgerà e ricostruirà il suo gregge (cfr. Mt 26,32). Salito al Cielo, Gesù continua a guidare il suo gregge fino al giorno in cui si ripresenterà a giudicare le sue pecore (cfr. 1Pt 5,4), separando queste dai capri, e premiando ciascuno secondo i propri meriti (cfr. Mt 25,3-46).


La porta delle pecore - Basilio Caballero (La Parola per ogni Giorno): Oggi e domani viene letta la parabola del buon pastore. Questa parabola contiene varie immagini parziali: porta, pastore e pecore, che sono poi sviluppate in tappe successive: la porta (Gv 10,6-10), il pastore (vv. 11-18) e le pecore (vv. 26-30). Ma tutto indica una stessa idea: Gesù è il buon pastore, cioè la sua autorità e la sua missione sono autentiche e si realizzano nel servizio, fino al punto di dare la propria vita per la salvezza eterna delle sue pecore.
Gesù ha appena chiamato ciechi i farisei, in seguito alla guarigione del cieco dalla nascita che hanno poi cacciato dalla sinagoga. Egli continua con la parabola del buon pastore, che nella prima parte definisce chiaramente i farisei, più che guide religiose del popolo, «ladri e briganti» che non entrano dalla porta ma saltano dal muro di cinta.
La porta è la prima immagine che identifica il pastore autentico, il quale entra attraverso di essa, chiama ogni pecora per nome, le porta fuori e cammina davanti al gregge che lo segue fiducioso. Il ladro fa tutto il contrario: come il lupo entra nell’ovile solo per rubare, uccidere e distruggere.
L’immagine del buon pastore, penetrata tanto profondamente nella tradizione cristiana, ha un ampio sostrato biblico. La metafora del pastore e delle pecore è adoperata abbondantemente nell’Antico Testamento per riferirsi a Dio e al suo popolo, con estensione anche ai capi religioso-politici visti come pastori del gregge. Un brano classico a questo proposito, che fa da sotto fonda alla parabola del buon pastore, è il capitolo 34 del profeta Ezechiele: Dio s’impegna a essere lui stesso il pastore del suo popolo, sfruttato dai cattivi pastori.
Nel testo evangelico di oggi, Gesù comincia definendosi porta delle pecore. Egli è la porta che conduce alla vita e all’immortalità, aprendoci l’ingresso del paradiso perduto che dà l’accesso al Padre e al suo regno.
«Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».


Io do la mia vita: CCC 606-607: Il Figlio di Dio “disceso dal cielo non per fare” la sua “volontà ma quella di colui che” l’ha “mandato” (Gv 6,38), “entrando nel mondo dice: ... Ecco, io vengo ... per fare, o Dio, la tua volontà ... Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del Corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre” (Eb 10,5-10). Dal primo istante della sua Incarnazione, il Figlio abbraccia nella sua missione redentrice il disegno divino di salvezza: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4,34). Il sacrificio di Gesù “per i peccati di tutto il mondo” (1Gv 2,2) è l’espressione della sua comunione d’amore con il Padre: “Il Padre mi ama perché io offro la mia vita” (Gv 10,17). “Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato” (Gv 14,31). Questo desiderio di abbracciare il disegno di amore redentore del Padre suo anima tutta la vita di Gesù perché la sua Passione redentrice è la ragion d’essere della sua Incarnazione: “Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora!” (Gv 12,27). “Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?” (Gv 18,11). E ancora sulla croce, prima che tutto sia compiuto, egli dice: “Ho sete” (Gv 19,28).


Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro - Alain Marchadour (Vangelo di Giovanni): Il versetto 6 precisa che si tratta di una parabola. Questa figura del linguaggio è un modo di comunicazione enigmatico e allusivo. Nel vangelo di Giovanni la parabola si contrappone al discorso esplicito: «Dicono i suoi discepoli: “Ecco che ora parli apertamente e non usi nessuna figura”» (16,29). Qui Gesù, attraverso quest’insegnamento segreto ed enigmatico, vuole condurre i suoi ascoltatori verso una rivelazione più piena e una rimessa in discussione. La parabola destabilizza l’ascoltatore, trascinandolo su un terreno inaspettato per renderlo più ricettivo.
Essa può essere letta a un livello ordinario come un racconto ispirato alla vita quotidiana. Gesù contrappone il vero pastore (quello che entra per la porta, ossia la via normale) a quello che entra per effrazione come un ladro e un bandito. Poiché le greggi appartenevano a diversi proprietari, spettava ad ogni pastore farsi riconoscere dalle sue pecore attraverso la sua voce e i nomi con cui le chiamava.
Radicata nell’esperienza ordinaria, la parabola implica sempre un significato nascosto che si esprime in maniera velata nel contesto testuale e geografico, nelle parole a doppio senso. Nel capitolo 9, il cieco guarito poteva apparire come una pecora espulsa dal gregge d’Israele. La parabola permette di capire che egli fa parte di quelle pecore che hanno saputo riconoscere la voce di Gesù e mettersi alla sua sequela.
L’immagine del gregge è familiare all’uomo biblico. Dio è il pastore che conduce il suo popolo nel deserto (Sai 79,13; 95,7; 100,3). Per guidare questo popolo, egli si sceglie dei servi che, come Giosuè, «escano davanti a loro ed entrino davanti a loro, li facciano uscire e li facciano entrare, in modo che la comunità non sia come un gregge che non ha pastore» (Nm 27,17). In nome di Dio, Geremia denuncia i pastori «sperperatori e dissipatori del gregge del mio pascolo» (Ger 23,1-4). La parola greca tradotta con «le fa uscire» si ritrova spesso nella Bibbia greca per descrivere l’uscita dall’Egitto (Es 3,10; 6,27; Lv 19,36). Non bisogna mai dimenticare che l’evangelista si rivolge a lettori provenienti per la maggior parte dal giudaismo e che hanno seguito Gesù in questo nuovo esodo.
L’incomprensione dei farisei permette al narratore d’introdurre la parte esplicativa incentrata sui due temi della porta e del pastore.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita a l’abbiano in abbondanza.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che nell’umiliazione del tuo Figlio hai risollevato il mondo dalla sua caduta, donaci la santa gioia pasquale, perché, liberi dall’oppressione della colpa, partecipiamo alla felicità eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo...