21 Aprile 2018


Sabato III Settimana di Pasqua


Oggi Gesù ci dice: “È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita” (Vangelo).


Dal Vangelo secondo Giovanni 6,60-69: Dopo il discorso pronunciato da Gesù nella sinagoga di Cafarnao, molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, manifestano il loro dissenso. Gesù accetta l’abbandono dei suoi discepoli, anche perché per preveggenza, essendo Dio, «sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito». I Dodici per bocca di Pietro, riconfermano, invece, la loro fede in Lui, la loro piena fiducia nel Signore e nella sua parola di vita. Così la fede in Cristo Gesù viene a costituire il confine che divide gli uomini: gli uomini che credono in Lui sono giustificati, liberati dal peccato e dalla morte, salvi; quelli che non credono si autocondannano alla morte eterna.


Questo linguaggio è duro - Mentre i Giudei protestano rumorosamente, i discepoli mormorano come se avessero paura di manifestare il loro dissenso. Ma le parole pronunciate sottovoce non sfuggono a Gesù, il quale, scrutando il loro cuore e la loro mente, al loro disaccordo timidamente pronunciato a fior di labbra da una risposta a tutto tondo: “Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla”.
La carne, l’intellettualismo che bracca ancora oggi pensatori e teologi, non serve a nulla: soltanto le parole di Gesù sono “spirito e vita”. Questo significa che Gesù rivelando comunica lo Spirito che conferisce la vera vita che rende i credenti «partecipi della natura divina» (1Pt 1,4).
Gesù conosce i pensieri degli uomini perché è Dio e non per un dono di preveggenza (Gv 2,24-25). Ed egli conosce “colui che lo avrebbe tradito”. 
Tra le righe, la polemica tra Gesù e i discepoli dalla sinagoga di Cafarnao sembra spostarsi nelle prime comunità cristiane: è come se Giovanni, ricordando il fallimento del Maestro, volesse rincuorare quei cristiani della prima ora scandalizzati dalle molte defezioni. L’autore, per attenuare lo scandalo che poteva bruciare la neonata fede dei discepoli delle prime comunità cristiane, fa appello a un principio dal tipico sapore giudaico: «Nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio».
Praticamente, all’origine della salvezza «c’è il disegno del Padre, ma anche la sua attuazione e applicazione nei singoli casi dipende pure da una sua scelta e decisione. È il Padre che attrae e consegna gli uomini a Gesù; è lui che parla, sempre tramite Gesù, istruendo le persone fino a renderle discepole di Cristo. In fondo Dio muove gli uomini tramite il suo Spirito ad accogliere le proposte del figlio, fino a ritrovarsi in comunione di vita con lui. Un’affermazione categorica, ma da prendersi sempre con molte cautele. Dio è il motore primo della storia, ma la sua azione non sostituisce la scelta degli uomini» (Ortensio Da Spinetoli).
Molti discepoli, «da quel momento ... tornarono indietro e non andavano più con lui». La sottolineatura temporale “da quel momento” colloca con precisione la diserzione e questo significa che si allontanarono dopo il discorso di Gesù: è la prova che i disertori avevano ben capito e avevano anche compreso quanta alta era la posta in gioco, per questo si tirarono indietro. Gesù si ritrova sempre più solo a un passo dalla terrificante prova: affronterà da solo la passione, il progetto della salvezza dovrà essere realizzato al di là del consenso popolare.
Gesù accetta questa decisione e non fa nulla per arginare le perdite, anzi rincara la dose ed è a questo punto che si rivolge ai Dodici i quali, a loro volta per nulla intimoriti dalle numerose defezioni, per bocca di Simon Pietro manifestano la loro fede: «Tu sei il Santo di Dio». Questa professione ricorda quella di Cesarea (Mt 16,19; Mc 8,27-30; Lc 9,18-21) e palesemente vuole mettere in evidenza la sorgente della autorità petrina nella Chiesa: essa non promana dalla carne e dal sangue, ma da una elezione divina: «E io a te dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,18-19).
Il titolo «Santo di Dio» indica l’identità di Gesù «nel suo rapporto unico con Dio. Solo Dio è santo. A lui solo, nella liturgia celeste, i serafini proclamarono: “Santo, Santo, Santo è il Signore” [Is 6,3]. Gesù entra in questa identità. La sua unione con Dio, la sua intimità con Dio è tale che egli sta in parità con lui, egli è il Santo di Dio» (P. Giuseppe Ferraro). È la Chiesa che proclama la sua fede in Cristo per bocca del suo Capo: ai suoi occhi Gesù è il «Santo di Dio», colui che Dio ha scelto e consacrato mediante il suo Spirito per portare a compimento, nella pienezza dei tempi (Gai 4,4), il suo disegno di amore a favore di tutti gli uomini.


La Chiesa era in pace per tutta la Giudea (Prima Lettura), con un breve sommario si descrive la situazione felice della Chiesa che, feconda di nuovi figli, cresce nel progresso spirituale custodita dal dono della pace. È messa in evidenza l’azione dello Spirito Santo che rende la fede dei credenti gioiosa e contagiosa. La risurrezione di Tabità ricorda la risurrezione di Lazzaro. Non nel nome di Pietro, ma nel nome di Gesù avviene la prodigiosa risurrezione di Tabità. È il Risorto che accompagna con miracoli, segni, e prodigi la predicazione apostolica


La Chiesa era in pace per tutta la Giudea - Gottfried Hierzenberger: Il contenuto biblico del termine pace oltrepassa largamente le sfumature di significato oggi comuni. Il termine ebraico shalom significa originariamente “essere sano, intatto, ordinato, felice” e deriva dal desiderio struggente dell’uomo diviso di una nuova totalità. Shalom intende l’armonia psicofisica dell’uomo, il suo sentirsi bene. Di ciò fa parte, fra l’altro, il possesso pacifico della terra (Dt 12,9-12) [...] Nel Nuovo Testamento la visuale antica continua ad avere una forte risonanza; viene però integrata dalla concezione greca. La pace intesa come “benedizione della polis” lascia intravedere, a sua volta, delle radici magiche e, a causa della sua precarietà quotidiana, si trasforma in anelito e in oggetto di un’aspettativa religiosa di salvezza (religioni misteriche). L’annuncio neotestamentario ha a disposizione, con il termine pace, un concetto precostituito con il quale poter esprimere con estrema facilità il significato salvifico di Gesù Cristo. L’azione di Cristo viene riassunta complessivamente come istituzione di pace in Ef 2,14-16. “Cristo è la nostra pace perché ha abbattuto il muro della potenza del mondo, la Legge e la sua ostilità. Egli è la nostra pace perché per il fatto di aver spodestato la Legge, ha creato in sé gli uomini, giudei e pagani, come un uomo nuovo nel suo corpo ha riconciliato tutti a Dio. Dove avvenne questo? Sulla croce c nel suo corpo crocifisso” (H. Schlier). La pace, di conseguenza, è efflusso della salvezza messianica (Mc 5,34), connotazione della chiesa di Cristo (At 9,31), effetto dello Spirito (Rm 8,6), fattore essenziale della nuova esistenza nel regno di Dio (Rm 14,17) mediata per mezzo di Cristo (Gv 6,15), segno del compimento (Gv 14,27). Il saluto cristiano della p. è espressione di questa speranza sicura di vivere, partendo da Dio e credendo nel Signore, nella pace complessiva e di avere già in essa parte al compimento escatologico (1Cor 1,3).


Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui - Benedetto XVI (Angelus, 26 Agosto 2012): Perché? Perché non credettero alle parole di Gesù che diceva: Io sono il pane vivo disceso dal cielo, chi mangia la mia carne e beve il mio sangue vivrà in eterno (cfr Gv 6,51.54); veramente parole in questo momento difficilmente accettabili, comprensibili. Questa rivelazione - come ho detto - rimaneva per loro incomprensibile, perché la intendevano in senso materiale, mentre in quelle parole era preannunciato il mistero pasquale di Gesù, in cui Egli avrebbe donato se stesso per la salvezza del mondo: la nuova presenza nella Sacra Eucaristia. Vedendo che molti dei suoi discepoli se ne andavano, Gesù si rivolse agli Apostoli dicendo: «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,67). Come in altri casi, è Pietro a rispondere a nome dei Dodici: «Signore, da chi andremo? - Anche noi possiamo riflettere: da chi andremo? - Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,68-69). Su questo passo abbiamo un bellissimo commento di Sant’Agostino, che dice, in una sua predica su Giovanni 6: «Vedete come Pietro, per grazia di Dio, per ispirazione dello Spirito Santo, ha capito? Perché ha capito? Perché ha creduto. Tu hai parole di vita eterna. Tu ci dai la vita eterna offrendoci il tuo corpo [risorto] e il tuo sangue[, Te stesso]. E noi abbiamo creduto e conosciuto. Non dice: abbiamo conosciuto e poi creduto, ma abbiamo creduto e poi conosciuto. Abbiamo creduto per poter conoscere; se, infatti, avessimo voluto conoscere prima di credere, non saremmo riusciti né a conoscere né a credere. Che cosa abbiamo creduto e che cosa abbiamo conosciuto? Che tu sei il Cristo Figlio di Dio, cioè che tu sei la stessa vita eterna, e nella carne e nel sangue ci dai ciò che tu stesso sei» (Commento al Vangelo di Giovanni, 27,9). Così ha detto sant’Agostino in una predica ai suoi credenti.
Infine, Gesù sapeva che anche tra i dodici Apostoli c’era uno che non credeva: Giuda. Anche Giuda avrebbe potuto andarsene, come fecero molti discepoli; anzi, avrebbe forse dovuto andarsene, se fosse stato onesto. Invece rimase con Gesù. Rimase non per fede, non per amore, ma con il segreto proposito di vendicarsi del Maestro. Perché? Perché Giuda si sentiva tradito da Gesù, e decise che a sua volta lo avrebbe tradito. Giuda era uno zelota, e voleva un Messia vincente, che guidasse una rivolta contro i Romani. Gesù aveva deluso queste attese. Il problema è che Giuda non se ne andò, e la sua colpa più grave fu la falsità, che è il marchio del diavolo. Per questo Gesù disse ai Dodici: «Uno di voi è un diavolo!» (Gv 6,70). Preghiamo la Vergine Maria, che ci aiuti a credere in Gesù, come san Pietro, e ad essere sempre sinceri con Lui e con tutti.


Tu hai parole di vita eterna: Giovanni Paolo II (Omelia, 13 novembre 1990): “Tu hai parole di vita eterna”! L’apostolo Pietro ha forse voluto affermare soltanto che Cristo proclama la verità sulla vita eterna? La “parola” nella tradizione ebraica è una realtà dinamica, una forza che attua ciò che esprime. Nel prologo del Vangelo di Giovanni la Parola, “il Verbo”, è Persona, il Figlio eterno di Dio, della stessa sostanza del Padre, Dio da Dio e Luce da Luce. Le “parole di vita eterna”, quindi, non solo significano, ma attuano la realtà della vita eterna. Gesù parla di questa realtà agli apostoli, alla vigilia della sua passione, nel cenacolo: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). La vita eterna è Dio stesso nella realtà ineffabile dell’eterna Trinità che abita nell’anima dell’uomo. La vita eterna è la Vita di Dio innestata nell’anima dell’uomo: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Signore, tu solo hai parole di vita eterna.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che nell’acqua del Battesimo hai rigenerato coloro che credono in te, custodisci in noi la vita nuova, perché possiamo vincere ogni assalto del male e conservare fedelmente il dono del tuo amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo...