IL VANGELO DEL GIORNO

15 Marzo 2018

GIOVEDÌ FERIA IV SETTIMANA QUARESIMA


Oggi Gesù ci dice: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito; chiunque crede in lui ha la vita eterna” (cfr. Gv 3,16).


Dal Vangelo secondo Giovanni 5,31-47: Nel proseguo della polemica con i Giudei, il discorso si sposta sulla testimonianza e Gesù accetta il principio generale della giurisprudenza umana, secondo la quale la testimonianza che uno rende a se stesso, va suffragata con l’attestazione di altre persone, e Gesù chiama in causa a suo favore tre testimoni: Giovanni Battista, il quale ha dato testimonianza alla verità, le opere del Padre che egli compie e il Padre stesso. Anche le Scritture gli danno testimonianza, una nota che rimanda alla testimonianza complessiva dell’Antico Testamento: sono proprio le Scritture che danno testimonianza di me. Nonostante queste prove i Giudei si ostinano a non credere: non credono perché sono impastati di pregiudizi, e perché non hanno in loro l’amore di Dio. Alla fine il testimone che accuserà il popolo ebreo sarà proprio Mosè, nel quale ripongono la loro speranza.


Alain Marchadour (Vangelo di Giovanni): Tre testimoni (vv. 31-40). Giovanni Battista (vv. 33-35) mandato da Dio (Gv 1,6); i miracoli di Gesù (v. 36); nei sinottici a Giovanni Battista in prigione viene riportata la testimonianza dei miracoli di Gesù (Mt 11,5); il Padre stesso. La testimonianza del Padre, più che a un singolo avvenimento (come il battesimo di Gesù), rimanda alla testimonianza globale dell’Antico Testamento (sono proprio le Scritture che mi rendono testimonianza, v. 39).
L’incredulità (vv. 41-47). L’attacco si fa violento, quanto quello dei sinottici contro i farisei (Mt 23): i giudei non credono, perché non hanno in loro l’amore di Dio (42). Alla fine il testimone a carico che accuserà il popolo ebreo sarà Mosè, vale a dire quelle Scritture sulle quali essi si fondano per rifiutare Gesù.
In questo capitolo 5 il pensiero si sviluppa e si elabora secondo una logica tutta semitica, alquanto lontana dalla nostra logica occidentale. Il lettore potrà comprendere meglio se riprenderà questo capitolo sottolineando ciò che vi è descritto, attraverso il racconto e il discorso, del mistero di Gesù e del suo ruolo di salvatore. Ecco alcuni titoli cristologici tratti da questo capitolo:
- Gesù il guaritore, colui che è attento al più debole, lui povero per scelta, «da ricco che era, si è fatto povero» (2Cor 8,9), di fronte a un povero per necessità;
- Gesù il padrone del sabato, perché imita così suo Padre creatore;
- Gesù, il Figlio, in unione con il Padre;
- Gesù l’uguale a Dio (5,18); esempio di ironia giovannea: questa accusa dei giudei è vera agli occhi dei cristiani;
- Gesù centro delle Scritture: accusato di violare la legge, egli, per i cristiani, è il cuore delle Scritture;
- Gesù salvatore: la rivendicazione della sua identità da parte di Gesù è essenziale, perché da ciò che egli è dipende la sua capacità di dare la vita.


Cristo completa la Rivelazione: Dei Verbum 4: Dopo aver a più riprese e in più modi, parlato per mezzo dei profeti, Dio «alla fine, nei giorni nostri, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,1-2). Mandò infatti suo Figlio, cioè il Verbo eterno, che illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e spiegasse loro i segreti di Dio (cfr. Gv 1,1-18). Gesù Cristo dunque, Verbo fatto carne, mandato come «uomo agli uomini», «parla le parole di Dio» (Gv 3,34) e porta a compimento l’opera di salvezza affidatagli dal Padre (cfr. Gv 5,36; 17,4). Perciò egli, vedendo il quale si vede anche il Padre (cfr. Gv 14,9), col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione che fa di sé con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l’invio dello Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna. L’economia cristiana dunque, in quanto è l’Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai, e non è da aspettarsi alcun’altra Rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo (cfr. 1Tm 6,14 e Tt 2,13).


Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me: Dei verbum 15: L’economia del Vecchio Testamento era soprattutto ordinata a preparare, ad annunziare profeticamente (cfr. Lc 24,44; Gv 5,39; 1Pt 1,10) e a significare con diverse figure (cfr. 1Cor 10,11) l’avvento di Cristo redentore dell’universo e del regno messianico. I libri poi del Vecchio Testamento, tenuto conto della condizione del genere umano prima dei tempi della salvezza instaurata da Cristo, manifestano a tutti chi è Dio e chi è l’uomo e il modo con cui Dio giusto e misericordioso agisce con gli uomini. Questi libri, sebbene contengano cose imperfette e caduche, dimostrano tuttavia una vera pedagogia divina. Quindi i cristiani devono ricevere con devozione questi libri: in essi si esprime un vivo senso di Dio; in essi sono racchiusi sublimi insegnamenti su Dio, una sapienza salutare per la vita dell’uomo e mirabili tesori di preghiere; in essi infine è nascosto il mistero della nostra salvezza.


Gesù centro delle Scritture - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni): Nei passi finali del discorso di Gv 5, Gesù cita a suo favore la testimonianza delle Scritture, perché esse parlano della sua persona (Gv 5,39s). In effetti «solo la fede in Gesù Cristo assicura all’Antico Testamento la sua attualità, come parola di Dio, ossia il suo carattere teologico di rivelazione».
In realtà Gesù di Nazaret è la persona della quale hanno scritto Mosè nella legge e i profeti (Gv 1,45): è il Messia (Gv 1,41), il re d’Israele (Gv 1,49), descritto nell’Antico Testameno (Gv 1,45). Già Abramo aveva visto il suo giorno (Gv 8,56); anche Isaia ha contemplato la sua gloria e ha parlato di lui (Gv 12,41). Gli oracoli profetici riportati in Gv 12,15 sono stati scritti per Gesù (Gv 12,16). Il Verbo incarnato quindi è realmente il centro e il fine delle Scritture.
«Giovanni è convinto che tutta la storia d’Israele ha in Gesù la sua coesione, il suo senso e il suo valore. Tutte le tradizioni e tutti i filoni vi confluiscono: la parola e la sapienza, la liturgia, le attese, gli eventi della storia».
Questo fatto aumenta la responsabilità dei giudei per la loro incredulità (Gv 5,46ss), anzi per il loro atteggiamento ostile verso Gesù (Gv 5,16.18). L’Antico Testamento infatti ha come fine preparare l’accoglienza della persona del Messia. La Scrittura ha per oggetto la persona di Gesù, ossia gli rende testimonianza, perché è parola del Signore. Unico e identico è il Dio che ha parlato nell’Antico Testamento e adesso si manifesta ai giudei attraverso il Figlio.
Per il quarto evangelista tuttavia, se le Scritture hanno la funzione di condurre al Cristo, questi è in grado di dare l’interpretazione autentica dell’Antico Testamento. Per lui, «Gesù Cristo è “il principio ermeneutico fondamentale” di ogni interpretazione della Scrittura». «Il rapporto Scritture-Gesù contiene una ambivalenza che il lettore può vedere con facilità nelle pagine evangeliche. Da una parte le Scritture sono una chiave per comprendere Gesù: ecco perché Giovanni racconta la storia del Cristo sulla sfondo di continui richiami all’Antico Testamento... Dall’altra Gesù è la chiave che apre il vero senso delle Scritture: l’evangelista legge in modo nuovo l’Antico Testamento, perché ha accettato di ascoltarlo partendo dalla fede in Cristo». In realtà Gesù compì la Scrittura sino alla fine (Gv 19,28ss).
Non avendo ascoltato la testimonianza dell’Antico Testamento in favore del Verbo incarnato, i giudei saranno accusati proprio dall’autore della legge (Gv 5,45). «I giudei si considerano salvati dalla loro fedeltà alla legge: Mosè, che ha promulgato la legge, non parlerà forse a loro favore nel giudizio finale? Ma questo difensore sarà, in realtà, il loro accusatore».


Carlo Buzzetti (Il Vangelo di Giovanni): Io non ricevo gloria dagli uomini... vv. 41-47 - Io non ricevo gloria dagli uomini ... il tono polemico si fa ancora più deciso (paragonabile soltanto a quello di 8,37-58). Il brano si può spiegare con una parafrasi: Io non sono alla ricerca di un successo umano (v. 41); la mia amarezza deriva dalla constatazione che voi non amate Dio (v. 42). Infatti io vengo da parte del Padre (le mie opere e i testimoni citati lo dimostrano), eppure voi non mi accogliete, mentre sareste pronti ad accogliere persino uno che non presenta garanzie (v. 43). La gloria umana, ecco quello che interessa voi e che voi vi scambiate; ma non pensate a quell’altra gloria, che solamente Dio dà. Perciò non potete credere (v. 44). Alla fine, non sarà necessario che io vi accusi davanti al Padre. Lo stesso Mosè, sul quale voi fate tanto affidamento, non sarà dalla vostra parte, ma diventerà il vostro accusatore (v. 45). Infatti, se voi foste genuini seguaci di Mosè comprendereste che egli ha scritto di me, vi ha preparato ad accogliermi, e credereste in me (v. 46). Ma, in fondo, non credete a quello che egli ha scritto; come potete dunque “credere alle mie parole?” (v. 47).


Compostella (Messale per la Vita Cristiana): La lettura dell’Antico Testamento ci mette in guardia dalla tentazione di cercare il vitello d’oro, la divinità visibile e palpabile fatta su misura per noi. La lettura del Vangelo secondo Giovanni esige che noi crediamo in Gesù Cristo. Il fondamento della nostra fede è la testimonianza dell’Antico e del Nuovo Testamento. Testimonianza della verità che non si può apprendere né provare scientificamente, e neppure codificare in una legge. Gli Ebrei del tempo di Gesù avevano l’Antico Testamento, ma non capivano le parole di Mosè su Gesù. Avevano davanti ai loro occhi i miracoli compiuti dal profeta di Nazaret, ma i miracoli possono essere interpretati in molti modi. Bisogna credere per capire il loro contenuto. Gesù desiderava convincerli per dar loro la vita. Molti credettero in lui, ma gli eruditi e gli anziani lo rifiutarono. E noi, come interpretiamo il Vangelo? Crediamo veramente alla testimonianza di Dio Padre in Gesù di Nazaret? Crediamo che egli è il Verbo di Dio, il Messia atteso? Non abbiamo mai visto Dio, ma abbiamo le parole di Gesù Cristo. Esiste il Verbo di Dio in noi? E noi, esistiamo in Gesù Cristo? Forse ci si può rimproverare di non aver ricevuto Gesù e i suoi messaggeri, mentre riceviamo qualunque passante che arriva con la sua teoria (teoria a volte strana) perché è interessante, alla moda, esotica, o perché lo scetticismo che essa comporta si presta all’edificazione della nostra gloria...? A volte semplicemente ci vergogniamo di credere e di cercare di incontrare Dio nell’antico cristianesimo. Preghiamo per il dono della fede, della speranza e della carità, per vedere in Gesù il Figlio di Dio e per essere a nostra volta trasformati in figli di Dio, divinizzati nell’unione con il Figlio Unigenito.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** La lettura dell’Antico Testamento ci mette in guardia dalla tentazione di cercare il vitello d’oro, la divinità visibile e palpabile fatta su misura per noi.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che ci hai dato la grazia di purificarci con la penitenza e di santificarci con le opere di carità fraterna, fa’ che camminiamo fedelmente nella via dei tuoi precetti, per giungere rinnovati alle feste pasquali. Per il nostro Signore Gesù Cristo...