IL PENSIERO DEL GIORNO

14 Febbraio 2018

MERCOLEDÌ DELLE CENERI


Oggi Gesù ci dice: “Laceratevi il cuore e non le vesti” (I Lettura).


Dal Vangelo secondo Matteo 6,1-6.16-18: Oggi con l’imposizione delle ceneri, inizia la Quaresima, tempo di penitenza, revisione e introspezione di sé. Ed è il tempo propizio per maturare, nella preghiera, propositi e decisioni che ci permetteranno di pronunciare il nostro si alla volontà di Dio e alla sua Legge, preparandoci in questo modo fruttuosamente alla Pasqua. Ecco perché è importante per noi cristiani accostarci alla Liturgia della Ceneri, poiché ci invita a riflettere sulla nostra condotta di vita e ci spinge a intraprendere un cammino più adatto all’essere umano creato a immagine e somiglianza di Dio. Le ceneri poste sul nostro capo ci ricordano la potenza creatrice di Dio: noi eravamo polvere che l’Onnipotente ha plasmato e a cui ha dato vita, attraverso il suo soffio generatore (Gen 2,6). Ma ci ricorda anche la nostra contingenza: «Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai» (Gen 3,19). La Quaresima ci ricorda il nostro peccato, e la vita nuova che ci è stata donata in Cristo. Ci ricorda la misericordia di Dio, e, allo stesso tempo, il nostro impegno per conquistare, con l’aiuto della grazia divina, la vita eterna.


La Penitenza - Costituzione Apostolica Paenitemini cap. I: Nell'Antico Testamento si rivela con sempre maggiore ricchezza il senso religioso della penitenza. Anche se ad essa l'uomo ricorre per lo più dopo il peccato per placare l'ira divina, o in occasione di gravi calamità, o nell'imminenza di particolari pericoli, o comunque allo scopo di ottenere benefici dal Signore, possiamo tuttavia costatare come l'opera penitenziale esterna sia accompagnata da un atteggiamento interiore di «conversione», di condanna cioè e di distacco dal peccato e di tensione verso Dio. Ci si priva del cibo e ci si spoglia dei propri beni - il digiuno è generalmente accompagnato non solo dalla preghiera, ma anche dall'elemosina, - anche dopo che il peccato è stato perdonato, anche indipendentemente dalla domanda di grazie; si digiuna e si usa il cilicio per affliggere «la propria anima», per umiliarsi al cospetto del proprio Dio, per volgere la faccia verso Iahvè, per disporsi con più facilità alla preghiera, per comprendere più intimamente le cose divine, per prepararsi all'incontro con Dio. La penitenza è quindi, già nell'Antico Testamento, un atto religioso, personale, che ha come termine l'amore e l'abbandono nel Signore: digiunare per Dio, non per se stessi.
Tale essa deve rimanere anche nei diversi riti penitenziali sanciti dalla legge. Quando ciò non si realizza, così il Signore si lamenta con il suo popolo: «Oggi voi non avete digiunato in modo da far udire la vostra voce in alto». «Stracciatevi il cuore e non le vesti...».
Non manca nell'Antico Testamento l'aspetto sociale della penitenza: le liturgie penitenziali, infatti, dell'Antica Alleanza non sono soltanto una presa di coscienza collettiva del peccato, costituiscono anche la condizione di appartenenza al Popolo di Dio.
Possiamo costatare inoltre come la penitenza sia presentata, anche prima di Cristo, come mezzo e segno di perfezione e di santità: Giuditta, Daniele, la profetessa Anna e tante altre anime elette, «servirono Dio notte e giorno con digiuni e orazioni», nella gioia e nell'allegrezza.
Troviamo infine, presso i giusti dell'Antico Testamento, chi si offre a soddisfare, con la propria penitenza personale, per i peccati della comunità: così fece Mosè nei quaranta giorni in cui digiunò per placare il Signore per le colpe del popolo infedele; così soprattutto ci si presenta la figura del «Servo di Iahvè», il quale «si addossò le nostre infermità» e nel quale «il Signore ha fatto cadere le colpe di noi tutti».
Tutto questo però non era che l'ombra delle cose future. La penitenza, esigenza della vita interiore confermata dalla esperienza religiosa dell'umanità e oggetto di un particolare precetto della divina rivelazione, assume in Cristo e nella Chiesa dimensioni nuove, infinitamente più vaste e profonde.
Cristo, che sempre nella sua vita fece ciò che insegnò, prima di iniziare il suo ministero, passò quaranta giorni e quaranta notti nella preghiera e nel digiuno, e inaugurò la sua missione pubblica col lieto messaggio: «Il regno di Dio è vicino», cui tosto aggiunse il comando: «Ravvedetevi e credete nel Vangelo».
Queste parole costituiscono in certo modo il compendio di tutta la vita cristiana. al Regno annunciato da Cristo si può accedere soltanto mediante la «metánoia», cioè attraverso quell'intimo e totale cambiamento e rinnovamento di tutto l'uomo, di tutto il suo sentire, giudicare e disporre, che si attua in lui alla luce della santità e della carità di Dio, che, nel Figlio, a noi si sono manifestate e si sono comunicate con pienezza.
L'invito del Figlio alla «metánoia» diviene più indeclinabile in quanto egli non soltanto la predica, ma offre anche esempio di penitenza. Cristo infatti è il modello supremo dei penitenti: ha voluto subire la pena per i peccati non suoi, ma degli altri.


Paolo VI (Omelia, 8 Febbraio 1978): È il «Mercoledì delle Ceneri», primo giorno di Quaresima. Lezione austera, quella che ci imparte oggi la Liturgia! Lezione drammatizzata in un rito di plastica efficacia. L’imposizione delle ceneri reca con sé un significato così chiaro ed aperto, che ogni commento si rivela superfluo: essa ci induce ad una riflessione realistica sulla precarietà della nostra condizione umana, votata allo scacco della morte, la quale riduce in cenere, appunto, questo nostro corpo, sulla cui vitalità, salute, forza, bellezza, intraprendenza tanti progetti ogni giorno noi costruiamo. Il rito liturgico ci richiama con energica franchezza a questo dato oggettivo: non c’è nulla di definitivo e di stabile quaggiù; il tempo fugge via inesorabile e come un fiume veloce sospinge senza sosta noi e le cose nostre verso la foce misteriosa della morte.
La tentazione di sottrarsi all’evidenza di questa constatazione è antica. Non potendo sfuggirle, l’uomo ha tentato di dimenticare o di minimizzare la morte, privandola di quelle dimensioni e risonanze, che ne fanno un evento decisivo della sua esistenza. La massima di Epicuro : «Quando ci siamo noi, la morte non c’è, e quando c’è la morte, noi non ci siamo» è la formula classica di questa tendenza, ripresa e variata in mille toni, dall’antichità ai giorni nostri. Ma in realtà, si tratta di «un artificio che fa sorridere più che pensare» (M. Blondel). La morte infatti fa parte della nostra esistenza e ne condiziona dall’interno lo sviluppo. Lo aveva ben intuito Sant’Agostino, il quale così argomenta: «se uno comincia a morire, cioè ad essere nella morte, dal momento in cui la morte comincia ad agire in lui, sottraendogli la vita..., allora certamente l’uomo comincia ad essere nella morte dal momento in cui comincia ad essere nel corpo» (S. AUGUSTINI De Civitate Dei, 13, 10). Perfettamente in sintonia con la realtà, dunque, il linguaggio della Liturgia ci ammonisce: «Ricordati, o uomo, che sei polvere e che in polvere ritornerai»; sono parole, che mettono a fuoco il problema non eludibile del nostro lento sprofondare nelle sabbie mobili del tempo e pongono con drammatica urgenza la «questione del senso» di questo nostro provvisorio emergere alla vita, per essere poi fatalmente risucchiati nell’ombra buia della morte. Davvero «in faccia alla morte, l’enigma della condizione umana diventa sommo» (Gaudium et spes, 18).


Giovanni Paolo II (Omelia 28 Febbraio 2001): La Quaresima, che oggi inizia, è sicuramente, nel corso dell'anno liturgico, un “momento favorevole” per accogliere con maggiore disponibilità la grazia di Dio. Proprio per questo, essa è definita “segno sacramentale della nostra conversione” (orazione colletta, Iª Domenica di Quaresima): segno e strumento efficace di quel radicale mutamento di vita che nei credenti chiede di essere costantemente rinnovato. La sorgente di tale straordinario dono divino è il Mistero pasquale, il mistero della morte e risurrezione di Cristo, da cui scaturisce la redenzione per ogni uomo, per la storia e per l'intero universo. A questo mistero di sofferenza e di amore si richiama, in un certo modo, il tradizionale rito dell'imposizione delle ceneri, illuminato dalle parole che l'accompagnano: “Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15). A questo stesso mistero fa riferimento anche il digiuno che oggi osserviamo, per iniziare un cammino di vera conversione, in cui l'unione con la passione di Cristo ci permetta di affrontare e vincere il combattimento contro lo spirito del male (cfr orazione colletta, Mercoledì delle Ceneri).


Benedetto XVI (Omelia, 13 Febbraio 2013): Nella pagina del Vangelo di Matteo, che appartiene al cosiddetto Discorso della montagna, Gesù fa riferimento a tre pratiche fondamentali previste dalla Legge mosaica: l’elemosina, la preghiera e il digiuno; sono anche indicazioni tradizionali nel cammino quaresimale per rispondere all’invito di «ritornare a Dio con tutto il cuore». Ma Gesù sottolinea come sia la qualità e la verità del rapporto con Dio ciò che qualifica l’autenticità di ogni gesto religioso. Per questo Egli denuncia l’ipocrisia religiosa, il comportamento che vuole apparire, gli atteggiamenti che cercano l’applauso e l’approvazione. Il vero discepolo non serve se stesso o il “pubblico”, ma il suo Signore, nella semplicità e nella generosità: «E il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,4.6.18). La nostra testimonianza allora sarà sempre più incisiva quanto meno cercheremo la nostra gloria e saremo consapevoli che la ricompensa del giusto è Dio stesso, l’essere uniti a Lui, quaggiù, nel cammino della fede, e, al termine della vita, nella pace e nella luce dell’incontro faccia a faccia con Lui per sempre (cfr 1 Cor 13,12).


Papa Francesco (Omelia, 1 Marzo 2017): Quaresima è il tempo per dire no. No all’asfissia dello spirito per l’inquinamento causato dall’indifferenza, dalla trascuratezza di pensare che la vita dell’altro non mi riguarda; per ogni tentativo di banalizzare la vita, specialmente quella di coloro che portano nella propria carne il peso di tanta superficialità. La Quaresima vuole dire no all’inquinamento intossicante delle parole vuote e senza senso, della critica rozza e veloce, delle analisi semplicistiche che non riescono ad abbracciare la complessità dei problemi umani, specialmente i problemi di quanti maggiormente soffrono. La Quaresima è il tempo di dire no; no all’asfissia di una preghiera che ci tranquillizzi la coscienza, di un’elemosina che ci lasci soddisfatti, di un digiuno che ci faccia sentire a posto. Quaresima è il tempo di dire no all’asfissia che nasce da intimismi che escludono, che vogliono arrivare a Dio scansando le piaghe di Cristo presenti nelle piaghe dei suoi fratelli: quelle spiritualità che riducono la fede a culture di ghetto e di esclusione.
Quaresima è tempo di memoria, è il tempo per pensare e domandarci: che sarebbe di noi se Dio ci avesse chiuso le porte?; che sarebbe di noi senza la sua misericordia che non si è stancata di perdonarci e ci ha dato sempre un’opportunità per ricominciare di nuovo? Quaresima è il tempo per domandarci: dove saremmo senza l’aiuto di tanti volti silenziosi che in mille modi ci hanno teso la mano e con azioni molto concrete ci hanno ridato speranza e ci hanno aiutato a ricominciare?
Quaresima è il tempo per tornare a respirare, è il tempo per aprire il cuore al soffio dell’Unico capace di trasformare la nostra polvere in umanità. Non è il tempo di stracciarsi le vesti davanti al male che ci circonda, ma piuttosto di fare spazio nella nostra vita a tutto il bene che possiamo operare, spogliandoci di ciò che ci isola, ci chiude e ci paralizza. Quaresima è il tempo della compassione per dire con il salmista: “Rendici [, Signore,] la gioia della tua salvezza, sostienici con uno spirito generoso”, affinché con la nostra vita proclamiamo la tua lode (cfr Sal 51,14), e la nostra polvere - per la forza del tuo soffio di vita - si trasformi in “polvere innamorata”.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “La disciplina dei sentimenti si integra con la disciplina del corpo. In concreto, quest’ultima comprende i seguenti elementi: sobrietà nel cibo, nell’abbigliamento, nelle comodità, nei consumi superficiali e banali; controllo degli sguardi e delle conversazioni; rinuncia agli interessi inutili e pericolosi; dominio dell’istinto sessuale” (Catechismo degli Adulti n° 947).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, nostro Padre, concedi al popolo cristiano di iniziare con questo digiuno un cammino di vera conversione, per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male. Per il nostro Signore Gesù Cristo...