IL PENSIERO DEL GIORNO

26  Gennaio 2018

santi timoteo e tito, VESCOVI


Oggi Gesù ci dice: “Annunciate a tutti i popoli le meraviglie del Signore” (Salmo Responsoriale).


Dal Vangelo secondo Luca 10,1-9: Gesù è venuto a portare la pace destinandola a tutti gli uomini. Lo fa intendere anche il numero dei missionari inviati ad annunciare la Parola: settantadue erano, secondo i Giudei, i popoli della terra e presumibilmente l’evangelista Luca vuol prefigurare la missione universale. La missione ha le note della massima sollecitudine svolgendosi «sotto il segno di un’urgenza escatologica: si deve annunziare che il Regno è vicino; non è consentito attardarsi per via negli interminabili saluti caratteristici degli Orientali. È scoccata ormai l’ora della mietitura: tradizionale immagine del “Giorno di Jahvé”, l’intervento definitivo di Dio, salvifico e giudiziale al tempo stesso» (Don Vittorio Fusco).


Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi - Dopo la missione dei Dodici (Cf. Lc 9,3-5), Gesù manda settantadue discepoli ad annunziare il regno di Dio che è già vicino. Il numero dei discepoli forse è intenzionale.
Gen 10, nella versione dei Settanta, elenca settantadue nazioni, se Luca si attiene a questo dato il numero dei discepoli inviati vuole indicare l’universalità della missione: la salvezza supera gli angusti confini d’Israele per raggiungere tutti gli uomini. Sono mandati a due a due perché, per la legge mosaica, sono necessari due testimoni per attestare la veridicità di un avvenimento (Cf. Dt 19,15).
I settantadue discepoli sono mandati davanti a Gesù (Lc 9,52), quindi come precursori, e il Regno di Dio che essi annunziano è in relazione con la persona di Gesù.
La missione già si presenta ardua in quanto le forze sono impari: «vi mando come agnelli in mezzo a lupi». I discepoli si trovano come pecore tra i denti affilati dei lupi. E i lupi quando azzannano scarnificano la preda. Una missione tutta in salita. La persecuzione sarà sempre in agguato (Cf. Lc 6,22-23).
Gli inviati avranno in eredità il destino di Colui che li manda nel mondo: «Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). Non è una probabilità, è pura certezza: «Vi scacceranno dalle sinagoghe, anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio» (Gv 16,2). Gli inviati dalla loro parte avranno soltanto lo Spirito Santo: «Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi come discolparvi o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire: perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire» (Lc 12,11-12)».
Il loro sangue non sarà sparso invano, testimonierà contro i carnefici, cosicché ricadrà su di essi «tutto il sangue innocente versato sulla terra, dal sangue di Abele il giusto fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia, che avete ucciso tra il santuario e l’altare» (Mt 23,35).
Gesù esige, data l’urgenza della missione, la massima povertà e anche essenzialità nelle relazioni: non bisogna perdersi in chiacchiere inutili.
Gesù poi tratteggia il bon ton del missionario.
Innanzi tutto egli è un uomo di pace: è colui che porta la pace che per un israelita è la pienezza dei doni divini. Non bisogna vagabondare di casa in casa e di buon grado mangiare quello che sarà messo dinanzi. Una regola d’oro con la quale viene abrogata la distinzione mosaica tra cibi puri e impuri (Cf. Mc 7,19). Ridonare la salute agli infermi entra nell’opera missionaria: con essa si attesta il potere affidato agli inviati.
Gesù è sempre presente e continua a insegnare e a guarire (Cf. Mc 16,20). Se il missionario non viene accolto deve ritirarsi senza recriminare o polemizzare, anche se il ritiro deve essere accompagnato da un gesto molto forte ed eloquente.
Quando i pellegrini giungevano in Terra santa scrupolosamente pulivano i loro piedi per non portare alcuna impurità sul suolo di Dio. Gesù suggerisce di fare il gesto inverso: ai piedi dei missionari non deve restare attaccato alcunché di impuro. Un gesto che diventerà usuale della prima comunità cristiana (Cf. At 13,51).
I settantadue tornarono pieni di gioia: gli inviati tornano pieni di gioia per avere esperimentato la potenza del Nome di Gesù. Ma il Maestro smorza un po’ la loro contentezza. Possono soltanto rallegrarsi per il fatto che i loro nomi «sono scritti nei cieli». Come ricorda san Paolo, la croce, e soltanto la croce, è la ricompensa e la forza del discepolo. Invece di aggrapparsi alla gratificazione del loro lavoro apostolico, i cristiani, «abbandonandosi al Padre come il Cristo nel momento supremo della croce [Cf. Lc 23,46; Atti 7,59], restano saldi nella edificazione della Chiesa che il Cristo opera proprio attraverso la loro stessa tribolazione» (Maria Ignazia Danieli). E se questo è l’unico metodo che Cristo usa per edificare la sua Chiesa allora si può comprendere perché scarseggiano gli operai per il suo regno.


Santi Timoteo e Tito (Udienza Generale, 13 Dicembre 2006): … se consideriamo unitariamente le due figure di Timoteo e di Tito, ci rendiamo conto di alcuni dati molto significativi. Il più importante è che Paolo si avvalse di collaboratori nello svolgimento delle sue missioni. Egli resta certamente l’Apostolo per antonomasia, fondatore e pastore di molte Chiese. Appare tuttavia chiaro che egli non faceva tutto da solo, ma si appoggiava a persone fidate che condividevano le sue fatiche e le sue responsabilità. Un’altra osservazione riguarda la disponibilità di questi collaboratori. Le fonti concernenti Timoteo e Tito mettono bene in luce la loro prontezza nell’assumere incombenze varie, consistenti spesso nel rappresentare Paolo anche in occasioni non facili. In una parola, essi ci insegnano a servire il Vangelo con generosità, sapendo che ciò comporta anche un servizio alla Chiesa stessa. Raccogliamo infine la raccomandazione che l’apostolo Paolo fa a Tito nella lettera a lui indirizzata: «Voglio che tu insista su queste cose, perché coloro che credono in Dio si sforzino di essere i primi nelle opere buone. Ciò è bello e utile per gli uomini» (Tt 3,8). Mediante il nostro impegno concreto dobbiamo e possiamo scoprire la verità di queste parole...


La dimensione missionaria appartiene all’identità stessa della Chiesa e del cristiano: Catechismo degli Adulti 565: La Chiesa «riceve la missione di annunciare il regno di Dio e di Cristo e di instaurarlo fra tutte le genti; di questo regno essa costituisce sulla terra il germe e l’inizio». Lo annuncia con la predicazione; lo celebra con la liturgia; lo testimonia con il servizio e la condivisione dei beni spirituali e materiali. Annuncio, celebrazione e testimonianza costituiscono insieme il segno globale dell’Amore misericordioso che viene a salvare. Gli uomini possono quasi toccarlo con mano e aprirsi alla speranza di un mondo nuovo, che già adesso germoglia.


La via della testimonianza: Catechismo degli Adulti 568: L’evangelizzazione avviene per irradiazione, prima che per iniziative specifiche. Attraverso la testimonianza dei singoli credenti, delle famiglie e delle comunità, l’amore di Dio va a raggiungere le persone nella loro situazione concreta e le dispone a credere. Specialmente nel clima odierno, permeato di materialismo pratico, estraneità reciproca e indifferenza religiosa, molte porte si aprono solo per il fascino dell’amicizia e della solidarietà. Anche i distratti e i superficiali rimangono colpiti e si accostano al messaggio cristiano.


La via dell’annuncio: Catechismo degli Adulti 571-572: La presenza operosa non basta. La testimonianza cristiana include la professione pubblica della fede. L’evangelizzazione ha al suo centro l’annunzio esplicito che Dio ci dona la salvezza in Gesù Cristo, crocifisso e risorto. «La fede dipende dalla predicazione» (Rm 10,17); la Chiesa è generata dalla Parola. Anche i fedeli laici, devono saper annunciare Cristo agli altri credenti e ai non credenti. L’annuncio deve essere coraggioso e franco, ma anche umile: la verità, che abbiamo ricevuto in dono, non è un vanto per noi; è una responsabilità. L’amore per gli interlocutori esige che si rispetti la loro libertà e si tenga conto della loro situazione esistenziale, sociale e culturale, del loro linguaggio, delle loro aspirazioni, dei loro valori etici e religiosi. Intercessione, testimonianza e annuncio sono le vie della missione, per le quali devono incamminarsi i singoli cristiani, le famiglie e le comunità. Un radicale cambiamento di mentalità e una profonda revisione pastorale occorrono oggi per dare slancio alla missione universale. La missione della Chiesa è evangelizzare, cioè annunciare, celebrare e testimoniare l’amore di Dio, che si rivela e si dona in Cristo per la salvezza di tutti gli uomini. Le vie della missione sono la preghiera, avvalorata dal sacrificio, la testimonianza dell’amore reciproco e del servizio ai poveri e alla società, l’annuncio esplicito del vangelo.


La missione della Chiesa: Giovanni Paolo II (Messaggio, 19 Maggio 2002): La missione evangelizzatrice della Chiesa è essenzialmente l’annuncio dell’amore, della misericordia e del perdono di Dio, rivelati agli uomini mediante la vita, la morte e la risurrezione di Gesù Cristo, nostro Signore. È la proclamazione della lieta notizia che Dio ci ama e ci vuole tutti uniti nel suo amore misericordioso, perdonandoci e chiedendoci di perdonare a nostra volta agli altri anche le offese più gravi. È questa la Parola della riconciliazione, che ci è stata affidata perché, come afferma san Paolo, “è stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione” (2Cor 5,19). Sono questi l’eco e il richiamo al supremo anelito del cuore di Cristo sulla croce: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).


Andate, sembra fin troppo facile, un gioco da ragazzi. In fondo, il Maestro chiede ben poco, un po’ di buon senso, non salutare nessuno per strada, non per cattiva educazione, ma perché non bisogna perder tempo in convenevoli inutili, inutili per la causa del regno, perché a volte scambiare una parola fa bene. Adattarsi al cibo di chi ospita il missionario, portare il necessario, che non è quindi povertà, e poi la grazia di un buon sorriso, la buona educazione, e sulle labbra l’augurio che la pace di Dio scenda copiosamente sul consorzio umano. Tutto qui? In verità, nel mandato c’è qualcosa che mette i brividi, una parola che fa accapponare la pelle: “Andate: ecco, io vi mando come agnelli in mezzo a lupi”. E Gesù non si riferisce al candore che bisogna tenere sempre netto costi quel che costi, e non è nemmeno l’innocenza, perché altrove dice di essere furbi come i serpenti (Mt 10,16). Se si vuole usare un linguaggio più crudo potremmo tradurre così la parola del Maestro: Andate: ecco, io vi mando nel mondo, vi mando in un mondo di lupi e voi siete per il mondo carne da macello. Né più né meno. In altre parole, Gesù invita il missionario a spartire lo stesso destino del mandante: Come una pecora egli fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non apre la sua bocca (At 8,32). Solo nella morte, violenta o quel morire quotidiano, che dà fecondità all’apostolato. A molti missionari vien voglia di “divorare” il mondo, perché, così si dice, il mondo è perverso, è fradicio di peccato, l’aria che si respira è malsana, la disonestà e la perversione sono i cardini sui quali costruisce la sua ipocrita onestà, ama il lusso e il potere, la ricchezza e il godimento sfrenato … sarà vero, in fondo il ritratto non è tanto lontano dalla verità, ma Gesù capovolge il tutto: fatti agnello, probabilmente i lupi ti sbraneranno ma è in questa tua morte che il mondo troverà conversione e salvezza. Il mondo ha fatto così con il Figlio di Dio, lo ha inchiodato su una Croce, aveva esultato per la sua morte, ma è da questa morte che è un sorto un nuovo giorno, pieno di luce, un giorno caldo di vita, un giorno che non conosce tramonto. Gesù quindi non vuole terrorizzare il missionario, il terrore tarpa le ali dello zelo, ma gli vuole suggerire la ferrea logica del Vangelo: la vita nasce dalla morte, così come nelle paludi spesso spuntano fiori profumati e assai colorati, nonostante le acque putride della palude.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Annunciate a tutti i popoli le meraviglie del Signore.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, nostro Padre, che hai formato alla scuola degli Apostoli i santi vescovi Timoteo e Tito, concedi anche a noi per loro intercessione di vivere in questo mondo con giustizia e con amore di figli, per giungere alla gloria del tuo regno. Per il nostro Signore Gesù Cristo...