IL PENSIERO DEL GIORNO

24  Gennaio 2018

MERCOLEdÌ III SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI)


Oggi Gesù ci dice: “Darò a voi dei pastori secondo il mio cuore, essi vi guideranno con sapienza e dottrina” (Ger 3,15).


Dal Vangelo secondo Marco 4,1-20: La parabola del seminatore può essere divisa in due parti: nella prima parte vi è il racconto della semina del seme che cade ora lungo la strada, oppure sul terreno sassoso, o tra i rovi, e infine, altre parti cadono sul terreno buono; nella seconda parte v’è la spiegazione della parabola. Il seme è la Parola che ha una forza intrinseca (Is 55,10-11), ma la sua maturazione è determinata anche dal terreno e dalla azione degli eterni nemici della Parola. I diversi terreni sono gli uditori, la loro capacità e disponibilità nell’accogliere la Parola, mentre gli operatori che tendono a neutralizzare la Parola sono Satana, la tribolazione o la persecuzione a causa della Parola, le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, che soffocano la Parola. L’insegnamento della Parabola sta nell’invito a farsi terreno buono per portare frutto: ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre (Gc,1,17), ma “Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te” (Sant’Agostino, Sermo CLXIX,13).


La parabola del seminatore - Jacques Hervieux (Vangelo di Marco): Lo scenario in cui l’episodio si svolge è già noto (v. 1a): la riva del lago, la gran folla, la barca sulla quale Gesù si siede per allontanarsi dalla riva (2,13; 3,7-9); tutto ciò conferisce al quadro una certa solennità. È da seduto nella barca che Gesù insegna, come i rabbini nella sinagoga (v. 1c). La folla radunata a terra sembra trovarsi in una situazione di ascolto favorevole: ciò nonostante, Gesù incomincia invitandola a prestare particolare attenzione alla sua parola (v. 3a) e conclude il suo insegnamento con quest’espressione sorprendente: «Chi ha orecchi da intendere, intenda!» (v. 9). Perché questo duplice richiamo a una particolare attenzione? Il fatto è che, per la prima volta, egli si rivolge al suo uditorio «per mezzo di parabole» (v. 2a). Nella sua forma più semplice, la parabola è una storia tratta dalla natura a dalla vita di tutti i giorni: grazie al suo carattere singolare, è fatta per colpi l’ascoltatore e obbligarlo a riflettere su ciò che attraverso le immagini è effettivamente proposto. Ne abbiamo qui un primo esempio: il seminatore che si reca a seminare (v. 3b). La storia richiama subito l’attenzione del lettore sui diversi tipi di terreno e sulla loro resa (vv. 4-7). Ecco allora tre casi di situazioni sfavorevoli: il sentiero (v. 4), il suolo roccioso (v. 5), le spine (v. 7), sono, per diversi motivi, improduttivi. Ma quando il seme cade su terreno favorevole, produce frutti straordinari: i numeri 30, 60,100 indicano una progressione stupefacente (v. 8).
Non possiamo fare a meno di pensare che per mezzo di queste immagini semplici e vivaci Gesù tracci un pri­mo bilancio della sua attività. Egli si è impegnato nella sua missione: è lui il seminatore «uscito» da Dio (1,38) per seminare la buona novella. Il suo seme ha incontrato il terreno degli uomini con esiti diversi: i risultati so­no là: vi sono degli evidenti insuccessi. Il racconto insiste per tre volte sugli ostacoli che hanno impedito la crescita della parola. Gesù si è spesso battuto contro le forze distruttrici del male (i demoni, gli scribi e i farisei, la sua stessa famiglia). Ma rimane anche la speranza del successo, legata a coloro h hanno creduto: i discepoli. Non è molto, ma è un risultato incoraggiante! Marco riprende le parole di Gesù indirizzandole ai propri lettori di Roma. E si non si devono scoraggiare di fronte agli ostacoli della diffusione del vangelo in Palestina: devono contribuire alla sua riuscita fuori delle frontiere di Israele, là dove essi si trovano, cioè nel cuore stesso dell’impero romano.


La parola opera e rivela - A. Feuillet e P. Grelot (Parola di Dio, in Dizionario di Teologia Biblica): Non si dice mai che la parola di Dio sia indirizzata a Gesù come si diceva un tempo per i profeti. Tuttavia, sia in Giovanni che nei sinottici, la sua parola si presenta esattamente come la parola di Dio nel Vecchio Testamento: potenza che opera e luce che rivela.
*Potenza che opera: con una parola Gesù compie i miracoli che sono i segni del regno di Dio (Mt 8,8.16; Gv 4,50-53). Sempre con una parola egli produce nei cuori gli effetti spirituali di cui questi miracoli sono i simboli, come il perdono dei peccati (Mt 9,1-7 par.). Con una parola trasmette ai Dodici i suoi poteri (Mt 18,18; Gv 20,23) ed istituisce i segni della nuova alleanza (Mt 26,26-29 par.). La parola creatrice agisce quindi in lui e per mezzo di lui, operando in terra la salvezza.
*Luce che rivela: Gesù annunzia il vangelo del regno, «annunzia la parola» (Mc 4,33), facendo conoscere in parabole i misteri del regno di Dio (Mt 13,11 par.). Apparentemente egli è un profeta (Gv 6,14) od un dottore che insegna in nome di Dio (Mt 22,16 par.). In realtà parla «con autorità» (Mc 1,22 par.), come in proprio, con la certezza che «le sue parole non passeranno» (Mt 24,35 par.). Questo atteggiamento lascia intravvedere un mistero, sul quale il quarto vangelo si china con predilezione. Gesù «dice le parole di Dio» (Gv 3,34), dice «ciò che il Padre gli ha insegnato» (Gv 8, 28). Perciò «le sue parole sono spirito e vita» (Gv 6,63). A più riprese l’evangelista usa con enfasi il verbo «parlare» per sottolineare l’importanza di questo aspetto di Gesù (ad es. Gv 3,11; 8,25-40; 15,11; 16,4...), perché Gesù «non parla da sé» (Gv 12,49 s; 14,10), ma «come il Padre gli ha parlato prima» (Gv 12,50). Il mistero della parola profetica, inaugurato nel Vecchio Testamento, raggiunge quindi in lui il suo perfetto compimento.
Perciò agli uomini viene intimato di prendere posizione di fronte a questa parola che li mette in contatto con Dio stesso. I sinottici riferiscono discorsi di Gesù che mostrano chiaramente la posta di questa scelta. Nella parabola del seme, la parola - che è il vangelo del regno - è accolta diversamente dai suoi diversi uditori: tutti «sentono»; ma soltanto quelli che la «comprendono» (Mt 13,23) o l’«accolgono» (Mc 4,20 par.) o la «custodiscono» (Lc 8,15), la vedono portare in essi il suo frutto. Così pure, al termine del discorso della montagna in cui ha proclamato la nuova legge, Gesù oppone la sorte di coloro che «ascoltano la sua parola e la mettono in pratica» alla sorte di coloro che «l’ascoltano senza metterla in pratica» (Mt 7,24.26; Lc 6,47.49): casa fondata sulla roccia, da una parte; sulla sabbia, dall’altra.
Queste immagini introducono una prospettiva di giudizio; ognuno sarà giudicato sul suo atteggiamento di fronte alla parola: «Se uno avrà arrossito di me e delle mie parole, il figlio dell’uomo arrossirà anche di lui quando verrà nella gloria del Padre suo» (Mc 8,38 par.)


La parabola del seminatore: Card. Angelo Sodano (Omelia, 10 luglio 2005): È un invito ad accogliere la parola che il Signore sparge a larghe mani in mezzo a noi, attraverso il ministero della sua Santa Chiesa. È soprattutto un invito a far fruttificare ciò che si è ricevuto. La parabola ci dà poi la chiave per comprendere il mistero del bene e del male esistente nel mondo, e cioè il mistero della libertà umana, che può aprirsi o chiudersi all’opera della grazia di Dio. La stessa pagina del Vangelo ci dà pure un senso di grande speranza, facendoci notare l’intimo dinamismo della semente che viene sparsa nel mondo. Essa sempre cresce, lo avverta o meno l’agricoltore che l’ha gettata nel solco. È questa la sua innata vitalità. Lo ricordava Gesù ai suoi discepoli anche con l’analoga parabola del granello di senapa “che un uomo prese e seminò nel suo campo. Certo, è il più piccolo di tutti i semi, ma cresciuto che sia, ... diventa un albero in modo che gli uccelli del cielo vanno a posarsi fra i suoi rami” (Mt 13,31-32). Questa è la Chiesa: un albero che ha messo le sue radici nella profondità della storia umana, offrendo poi i suoi rami come rifugio sicuro a tutti gli uomini di buona volontà.


Le parabole: Catechismo degli Adulti 125: Le parabole sono racconti simbolici, in cui il paragone fra due realtà viene elaborato in una narrazione. Si tratta di un genere letterario che aveva precedenti nell’Antico Testamento, come ad esempio la severa parabola con cui il profeta Natan indusse a conversione il re David; ma Gesù lo impiega in modo estremamente originale. Vi fa ricorso per lo più quando si rivolge a quelli che non fanno parte della cerchia dei discepoli: i notabili, le autorità, la folla dei curiosi. Narra con eleganza piccole storie verosimili, ambientandole nella vita ordinaria, quasi a insinuare che il Regno è già all’opera con la sua potenza nascosta. Ma ecco, nel bel mezzo della normalità, uscir fuori spesso l’imprevedibile, l’insolito, come ad esempio la paga data agli operai della vigna: uguale per tutti, malgrado il diverso lavoro. È la novità del Regno, il suo carattere di dono gratuito e incomparabile. Gesù fa appello all’esperienza delle persone. Invita a riflettere e a capire, a liberarsi dai pregiudizi. Il suo punto di vista si pone in contrasto con quello degli interlocutori. Ascoltando la parabola, costoro si trovano coinvolti dentro una dinamica conflittuale e sono costretti a scegliere, a schierarsi con lui o contro di lui. Anzi, la provocazione risulterebbe ancor più evidente, se conoscessimo le situazioni originarie concrete, in cui le parabole furono pronunciate. La loro forza comunque è ben superiore a quella di una generica esortazione moraleggiante.


I generi letterari - Dei Verbum 12: Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l’interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole. Per ricavare l’intenzione degli agiografi, si deve tener conto fra l’altro anche dei generi letterari. La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa in testi in vario modo storici, o profetici, o poetici, o anche in altri generi di espressione. È necessario dunque che l’interprete ricerchi il senso che l’agiografo in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso, intendeva esprimere ed ha di fatto espresso. Per comprendere infatti in maniera esatta ciò che l’autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve far debita attenzione sia agli abituali e originali modi di sentire, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell’agiografo, sia a quelli che nei vari luoghi erano allora in uso nei rapporti umani.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** È necessario dunque che l’interprete ricerchi il senso che l’agiografo in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso, intendeva esprimere ed ha di fatto espresso.  
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che nel tuo Figlio ci hai dato la pienezza della tua parola e del tuo dono, fa’ che sentiamo l’urgenza di convertirci a te e di aderire con tutta l’anima al Vangelo, perché la nostra vita annunzi anche ai dubbiosi e ai lontani l’unico Salvatore, Gesù Cristo. Egli è Dio, e vive e regna con te...