IL PENSIERO DEL GIORNO


14 Novembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui» (Gv 14,23).  


Vangelo secondo Luca 17,7-10: Il brano appartiene agli insegnamenti di Gesù dettati lungo il cammino verso Gerusalemme. Tali insegnamenti riguardano la vita del cristiano come sequela del Cristo. Il Vangelo, proclama la potenza della fede nel Padre e indica come trovarla e gli strumenti adatti per tenerla viva: «La purezza della fede non si conquista senza una autentica e profonda umiltà di cuore, senza una devozione pia, senza una costante assiduità nella preghiera. Per questo occorre pregare spesso e dire: “Signore, accresci in noi la fede!”» (Sant’Antonio da Padova). Il breve dialogo tra Gesù e gli Apostoli viene completato da una parabola, che invita a ridimensionare ogni sopravvalutazione delle proprie opere. Le parole di Gesù non vogliono umiliare l’uomo o la sua intelligenza creativa, ma semplicemente gli vogliono ricordare che tutto è grazia.


Siamo servi inutili:  Benedetto Prete (Vangelo secondo Luca): Siamo dei semplici servi; l’aggettivo αχϱειοϛ significa: inutile, da nulla; la Volgata traduce: servi inutiles sumus. Nel contesto l’aggettivo inutile non è appropriato, né rende con fedeltà il pensiero; infatti il servo dopo aver lavorato e compiuto fedelmente tutto ciò che gli è stato ordinato non può dire di essere inutile, poiché sarebbe insincero. È meglio quindi tradurre con l’espressione indicata nel testo [semplici servi ndr], la quale puntualizza meglio lo spirito del sublime insegnamento di Cristo. Dalla parabola che presenta una situazione, giudicata dal lettore moderno eccessiva e tirannica, emerge questo confronto: come lo schiavo non si gloria del lavoro compiuto per il padrone, né può esigere da lui una qualsiasi ricompensa, poiché per lo schiavo la più grande soddisfazione consiste nel poter dire: ho servito in tutto il mio padrone, così deve essere anche per i discepoli; essi quindi si guardino dall’insuperbirsi per ciò che hanno compiuto, né possono esigere delle ricompense per l’opera prestata, ma debbono ritenersi dei semplici servi che hanno eseguito ciò che era stato loro comandato.


Se aveste fede... - Qualche esegeta considera Lc 17,5-10 (la petizione degli Apostoli e la parabola del servo umile) un brano unitario. Gesù «risponde agli Apostoli con un ragionamento a fortiori: se con la vostra poca fede potete ottenere un risultato straordinario, tanto più potrete adempiere il vostro incarico di servi, paghi e felici soltanto di agire sotto lo sguardo benevolo del Padre celeste, che non attende altro dagli esseri umani, se non di essere lodato nel loro servizio umile, riconoscente e filiale» (Angelico Poppi).
Alla richiesta degli Apostoli - Aumenta la nostra fede - Gesù risponde con un detto paradossale, caratteristico del suo linguaggio (Cf. Mc 11,23; Lc 17,2; 18,5).
Anche se non è del tutto chiaro il rapporto tra la domanda e la risposta, il linguaggio iperbolico serve a Gesù a illustrare la potenza della fede: da una parte il gelso, una pianta praticamente inestir­pabile; dall’altra, una fede piccola quanto un granello di senape, «che era assunto come parametro per indicare la minima traccia visibile ad occhio nudo. Il senso è chiaro: la fede anche nella più piccola quantità ipotizzabile, racchiude una forza straordinaria» (Vittorio Fusco).
Certamente gli Apostoli avevano intuito la potenza e la preziosità della fede e comprendendo che essa è un dono del Signore la invocano da lui con fermezza: la risposta di Gesù non fa altro che sottolineare la felice comprensione dei Dodici.
Il breve insegnamento sulla potenza della fede viene completato dalla parabola del servo inutile che va compresa facendo memoria dei rapporti sociali esistenti nel mondo greco-romano.
La parabola non vuole assolvere il comportamento collerico del padrone dispotico e sopra tutto non vuole svelare il volto del Padre, il quale, invece, nonostante tutto, ha sempre i lineamenti del Dio amorevole sempre pronto a chinarsi sull’uomo per guarirlo, consolarlo, salvarlo. Gesù ha rivelato agli uomini il vero, dolce volto del Padre; il Dio di Gesù non è un padre-padrone esoso, arcigno e tirannico: Dio, nella sua generosità e bontà, «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45).
Quindi, si può ben dire che la parabola evangelica non vuole mettere in luce l’agire di Dio verso l’uomo, ma vuole illustrare l’atteggiamento dell’uomo verso Dio mettendo in questo modo in evidenza il giusto valore delle opere umane al cospetto del Signore.
I Farisei sopravvalutavano le loro opere (Lc 18,9-14). Erano convinti che esse dessero loro il diritto ad un’adeguata retribuzione, che fossero esse a far ottenere loro il perdono e l’amicizia di Dio. A questa concezione Gesù contrappone una diversa immagine dell’uomo che decide di mettersi al servizio di Dio. Totalmente impegnato nel servizio affidatogli non deve accampare meriti, diritti o ricompense particolari, ma sentirsi sempre in debito e mai in credito, sempre a mani vuote davanti al Signore.
L’uomo «deve ricordare che quando ha fatto il suo dovere, la ricompensa Dio gliela dà. Non gliela fa mancare perché Dio è un buon pagatore, che non si lascia vincere da nessuno e mai in generosità. Il dono però non risponde ad un’esigenza umana naturale, ma esclusivamente alla munificenza divina» (Vincenzo Raffa).
L’espressione servi inutili non va intesa nel senso di incapaci. Il servo inutile è colui che fa semplicemente ciò che gli viene comandato.
Dio invece prende sul serio l’impegno dell’uomo, lo sollecita, lo desidera, lo chiede accurato e completo! Il bene va fatto bene! È il Padre che interpella i figli, li chiama, li vuole impegnati nella sua casa, li sollecita ad andare a lavorare nella sua vigna (Mt 20,1ss), ma senza le fronde dell’alterigia, della vanità o della superbia. Un lavoro fatto in silenzio e in umiltà, nel nascondimento, senza montarsi la testa, senza sentirsi i primi della classe. Nessuno di noi è indispensabile, perché la Chiesa è la casa dei servi inutili.
Quello che il Signore Gesù vuole sottolineare non è la inutilità del servizio in se stesso, ma la risonanza interiore; la consapevolezza che il nostro impegno non è che una risposta, doverosa e sempre inadeguata, all’amore infinito di Dio.
Alla parabola possiamo dare anche un risvolto ecclesiale: praticamente Luca sta mostrando agli Apostoli e ai discepoli come essi dovranno servire la Chiesa. Lo fa mostrando loro come modello di servizio Gesù, il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (Mt 20,28): «chi nella comunità è incaricato di un servizio, compreso quello dell’autorità, né si consideri un “benefattore” [Lc 12,37] né avanzi pretese, quasi avesse diritto a speciale ricompensa: è un semplice “servo” e deve compiere fedelmente il suo servizio» (F. Mosetto).


Il discepolo è umile - Mario Galizzi (Vangelo secondo Luca): «Supponiamo che qualcuno tra voi abbia un servo che si trova nei campi ad arare o a pascolare. Quando quello ritorna dai campi, gli dirà forse: “In fretta, vieni e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Preparami la cena; cingiti il grembiule e servimi finché io abbia mangiato e bevuto, e poi mangerai e berrai tu”? Si riterrà forse obbligato verso il suo servo, perché ha fatto quanto gli ha comandato? Così anche voi: quando avete fatto quello che vi è stato comandato, dite: “Siamo dei poveri servi, abbiamo solo fatto quello che dovevamo”».
Come in 15,3-7.8-10 e 16,l-9ss, anche qui c’è un racconto parabolico, seguito dalla sua applicazione. È Gesù che secondo Luca spiega molte volte il senso delle sue parabole. Caratteristica di questa è che si struttura su tre domande e si appella alla esperienza dei discepoli, come del resto ha già fatto altre volte (11,5.11).
Quanto qui racconta è normale nel mondo degli affari: c’è un dare e un ricevere; si dà un servizio e se ne riceve la paga. Fatto questo ci si sente alla pari, nessuno è debitore dell’altro. Perciò il padrone non si ritiene obbligato ad altro verso il suo servo, che si è limitato a fare quello che doveva fare.
Ora, Gesù, nella sua spiegazione, non si interessa dell’atteggiamento del padrone; si fissa unicamente sull’agire del servo. Sta parlando ai suoi discepoli (16,1) e, in particolare, agli apostoli (17,5), a quelli che come lui hanno accettato di essere «servi di Dio»; a coloro che già sanno che quando il Signore verrà e li troverà intenti a compiere il loro dovere, li farà sedere alla sua mensa, si cingerà e li servirà (12,37). Più tardi prometterà anche di farli sedere alla sua mensa nel suo regno (22,30). Ma sia ben chiaro che ciò è un puro dono, non è un dovuto. Finché compiono la missione che è loro stata affidata si sentano dei poveri (non è affatto bella la traduzione inutili) servi; vivano cioè il loro servizio nell’umiltà e nella gioia del dono di sé agli altri. Imitino il loro Maestro.
Su questa raccomandazione all’umiltà si conclude il racconto della seconda tappa di Gesù verso Gerusalemme. Lo sguardo qui è rivolto a quello che si fa, e che dev’essere fatto nella semplicità e senza vanagloria. Ma subito gli orizzonti torneranno ad allargarsi sino all’eternità.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Per lo schiavo la più grande soddisfazione consiste nel poter dire: ho servito in tutto il mio padrone, così dev’essere anche per i discepoli.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Dio grande e misericordioso,allontana ogni ostacolo nel nostro cammino verso di te, perché, nella serenità del corpo e dello spirito,possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo.