IL PENSIERO DEL GIORNO

29 Ottobre 2017



Oggi Gesù ci dice: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui» (Gv 14,23; Cf. Acclamazione al Vangelo).


G. B. (Amore, in Schede Bibliche, Volume I, Ed. Dehoniane - Bologna): Amerai il prossimo tuo come te stesso - Nel Nuovo Testamento s’impone subito all’attenzione nostra un detto di Gesù che, rispondendo alla domanda di un rabbino circa il comandamento più importante, anzitutto riporta letteralmente dal libro del Dt il comandamento dell’amore totale di Dio, ma poi aggiunge la citazione del comandamento dell’amore del prossimo di Lv 19,18 (Cf. Mt 22,34-40; Mc 12,28-34; Lc 10,25-28). La conclusione del dialogo appare diversa nei tre sinottici: Luca esorta alla pratica dei due comandamenti necessaria per la vita eterna (10,28). Marco mette in risalto il rabbino che mostra il suo accordo con la risposta di Gesù e ne riceve un lusinghiero encomio (12,32-34). Matteo invece riporta il seguente detto conclusivo di Gesù: «Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti» (22,40).
Già nell’Antico Testamento era presente la problematica del comandamento più importante. Nello schema della conclusione dell’alleanza era prevista la proclamazione della stipulazione fondamentale che precedeva l’elenco delle condizioni secondarie. Nel Dt il comandamento dell’amore di Dio era inteso appunto come stipulazione principale. Gesù dunque nella prima parte della sua risposta non fa che ripetere un luogo tradizionale. Più originale invece si mostra nell’abbinare il comandamento dell’amore del prossimo. Infatti, è vero che nel giudaismo questa prescrizione del Lv era intesa come sintesi di tutta la legge e che non erano mancate voci che avevano accostato i due comandamenti.
Ma prima di Gesù nessuno li aveva equiparati con tanta chiarezza e forza.
Ma che cosa significa di fatto parlare del comandamento più grande? Vuol dire che le esigenze divine sono ricondotte ad unità. Cristo è venuto come portavoce autorizzato della parola definitiva del Padre all’umanità: parola che, a suo giudizio, ruota attorno al perno dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo. Il confronto di chi si apre nella fede alla prospettiva del regno annunciato da Cristo non avviene sulla base di numerose prescrizioni e proibizioni, ma in rapporto a un atteggiamento fondamentale capace di dare coesione alla vita religiosa ed etica della persona. Nella stessa visuale si colloca la cosiddetta regola d’oro dell’azione umana, testimoniata da Matteo e da Luca: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti» (Mt 7,12; Cf. Lc 6,31). Sia pure in forma negativa, era già nota nel mondo giudaico. Gesù l’ha fatta propria dandole forma positiva. Non si pensi però che questo sia un cambiamento di grande importanza. Più significativo nella parola di Cristo è invece l’orizzonte in cui è fatta valere: il regno di Dio viene incontro all’uomo e lo provoca ad un atteggiamento di apertura e disponibilità. Ebbene, l’amore fattivo del prossimo costituisce la quintessenza della conversione dell’uomo al lieto annuncio del messia. Non è poi senza peso che nella regola d’oro l’amore sia inteso come un fare: si tratta di amore che chiama in causa la prassi dell’uomo.
Infine, non deve passare inosservato che si tratta di un comandamento. Ci si meraviglierà che l’amore sia comandato: il proverbio popolare non dice forse che al cuore non si comanda? Ma in questo modo non si comprende il significato vero dell’amore. In realtà, la Bibbia mette a confronto la volontà dell’uomo con la volontà di Dio. L’amore del prossimo esprime la nostra obbedienza al Padre, che vuole catturare la nostra volontà, ma per volgerne la prassi verso gli altri.
Resta da determinare chi è il prossimo per Gesù.
Soprattutto Luca ci aiuta a dare una risposta.
Infatti il terzo evangelista ci ha conservato il seguito del dialogo tra Gesù e il rabbino riguardante appunto l’identità del prossimo da amare. Alla domanda: «E chi è il mio prossimo?» Gesù risponde con una parabola incentrata sul diverso atteggiamento assunto da tre persone emblematiche di fronte alla vittima di un’aggressione: un sacerdote e un levita passano oltre, mentre un samaritano si cura del poveretto. Poi, a sua volta, domanda all’interrogante quale dei tre è stato il prossimo. Riferendosi al samaritano, il rabbino da una descrizione precisa del prossimo: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù allora conclude esortandolo a fare altrettanto. Sono così superati i confini del particolarismo religioso ed etnico del comandamento di Lv 19, ma soprattutto sono superati i limiti di un discorso teorico. In primo piano Cristo mette l’agire concreto da prossimo. Il concetto di prossimo cessa di essere una categoria più o meno comprensiva del mondo circostante e diventa esigenza operativa di amore  rivolta a ciascuno di noi.


Amerai il Signore tuo Dio, e il tuo prossimo come te stesso - Benedetto XVI, Caritas in veritate n. 2: La carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa. Ogni responsabilità e impegno delineati da tale dottrina sono attinti alla carità che, secondo l’insegnamento di Gesù, è la sintesi di tutta la Legge (Cf. Mt 22,36-40). Essa dà vera sostanza alla relazione personale con Dio e con il prossimo; è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici. Per la Chiesa - ammaestrata dal Vangelo - la carità è tutto perché, come insegna san Giovanni (Cf. 1Gv 4,8; 1Gv 4,16) e come ho ricordato nella mia prima Lettera enciclica, «Dio è carità» (Deus caritas est): dalla carità di Dio tutto proviene, per essa tutto prende forma, ad essa tutto tende. La carità è il dono più grande che Dio abbia dato agli uomini, è sua promessa e nostra speranza.


Il più grande comandamento della legge - I farisei per mettere alla prova Gesù, questa volta, si alleano con i sadducei, loro naturali nemici. Una coalizione anomala che mette in evidenza l’esasperazione dei farisei. Un’alleanza atipica perché i sadducei, diversamente dai farisei, riconoscevano come legittima solo la Legge scritta, non l’interpretazione che era stata fatta dalla tradizione orale in corrispondenza alle esigenze dei tempi; rifiutavano come normativi anche gli scritti dei Profeti; inoltre, negavano l’esistenza degli angeli, la risurrezione del corpo e la continuazione della vita dopo la morte (Cf. Mt 22,23-32). Predominanti nel sinedrio erano aperti al mondo orientato verso l’ellenismo. Interessati a cercare un compromesso con Roma, la loro influenza decadde dopo la distruzione di Gerusalemme e del Tempio (70 d.C.). In Atti 23,6ss si narra come Paolo abbia sfruttato a suo favore i dissidi che c’erano tra queste due sette.
Il racconto della controversia è comune a Marco (12,28-31) e a Luca (10,25-28). Matteo e Luca attribuiscono alla domanda del dottore della Legge un’intenzione non corretta. Al contrario, Marco presenta lo scriba come una persona posata, intelligente, aperta al dialogo, meritevole di lode, quindi, non lontano dal regno di Dio (Mc 12,34).
La disputa ha come sfondo i precetti della legge mosaica, ripartiti dai rabbini in 613 norme, 248 precetti positivi (come il numero delle membra del corpo umano) e 365 negativi (come i giorni dell’anno). In questa cornice, la domanda posta dal dottore della legge non è capziosa, poiché, in tale selva di comandamenti, era di capitale importanza statuire una gerarchia per stabilire un primo ed un ultimo. E in questo senso va compresa la domanda che viene posta a Gesù, anche se le intenzioni degli interlocutori erano ben altre.
Gesù nel rispondere salda due precetti, il primo tratto dal libro del Deuteronomio (6,5), il secondo dal libro del Levitico: «Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore».
Quest’ultimo brano biblico descrive l’orizzonte strettamente etnico che l’amore verso il prossimo aveva per l’israelita: l’amore del prossimo prendeva senso dalla solidarietà che doveva legare nell’unità del popolo tutti i discendenti di Israele.
Il secondo poi è simile, il senso di questa affermazione non è chiaro perché l’aggettivo omoios (simile) nella sacra Scrittura ha diverse valenze. Può designare «una somiglianza lontana [Cf. Cant 2,9; Prov 19,22; Gv 9,9; Ap 1,13)] o più stretta [tra esseri della stessa natura: Cf. Gen 2,20, la donna è simile all’uomo], come un’identità assoluta [Cf. Sap 18,11]. Altre volte l’omoios introduce una qualifica d’eccellenza. Per esaltare un patriarca [Cf. Prov 44,19], un giusto [Cf. Giob 1,8; 2,3], i re d’Israele [Cf. 1Sam 10,24; 1Re 3,12-13, ecc.], Dio [Cf. Es 15,11; Sal 35,10, ecc.]. L’ebreo ricorre a una frase stereotipa: “Chi è come te? Nessuno ti assomiglia, nessuno è a te simile. Tu sei senza eguali, ecc.”. In considerazione di quest’uso si può ritenere che il secondo comandamento è della medesima natura o della medesima portata del primo. Costituisce col primo una classe, una categoria di precetti assolutamente distinta da tutti gli altri» (Ortensio da Spinetoli).
Ma Gesù, saldando i due precetti, voleva far comprendere ben altro al suo interlocutore; una sfumatura che il dottore della Legge certamente non sapeva cogliere ed era la sua Persona: Colui che gli stava dinanzi non era venuto «per abolire la Legge o i Profeti..., ma per dare compimento» (Mt 5,17). Praticamente, i comandamenti mosaici devono essere letti alla luce della sua Persona e del suo insegnamento: soltanto se si effettua questa operazione, allora, la risposta di Gesù, anche per i credenti, diventa dirompente, di una novità assoluta rispetto alla mentalità giudaica. In concreto, essendo Cristo Gesù il sacramento dell’amore del Padre, il prossimo va amato come il Padre ama gli uomini (Cf. Gv 3,16). E poiché Lui si è fatto «carne» per amore degli uomini (Cf. Gv 1,14), il prossimo va amato come il Padre ama il Figlio, perché nel Figlio v’è ogni uomo (Cf. Gv 17,21).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** La carità è il dono più grande che Dio abbia dato agli uomini, è sua promessa e nostra speranza.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che fai ogni cosa per amore e sei la più sicura difesa degli umili e dei poveri, donaci un cuore libero da tutti gli idoli, per servire te solo e amare i fratelli secondo lo Spirito del tuo Figlio, facendo del suo comandamento nuovo l'unica legge della vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo...