MERCOLEDÌ 27 SETTEMBRE 2023

 SAN VINCENZO DE’ PAOLI, PRESBITERO – MEMORIA

 Esd 9,5-9; Salmo Responsoriale Dal Da Tb13; Lc 9,1-6

 

Colletta
O Dio, che per il servizio ai poveri e la formazione
dei tuoi ministri hai ricolmato di virtù apostoliche
il santo presbitero Vincenzo [de’ Paoli],
fa’ che, animati dal suo stesso spirito,
amiamo ciò che egli ha amato
e mettiamo in pratica i suoi insegnamenti.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Eucaristia e Unzione degli infermi - Sacramentum caritatis 22 Gesù non ha soltanto inviato i suoi discepoli a curare gli infermi (cfr Mt 10,8 Lc 9,2 Lc 10,9), ma ha anche istituito per loro uno specifico sacramento: l’Unzione degli infermi. La Lettera di Giacomo ci attesta la presenza di questo gesto sacramentale già nella prima comunità cristiana (cfr Gc 5,14-16). Se l’Eucaristia mostra come le sofferenze e la morte di Cristo siano state trasformate in amore, l’Unzione degli infermi, da parte sua, associa il sofferente all’offerta che Cristo ha fatto di sé per la salvezza di tutti, così che anch’egli possa, nel mistero della comunione dei santi, partecipare alla redenzione del mondo. La relazione tra questi Sacramenti si manifesta, inoltre, di fronte all’aggravarsi della malattia: «A coloro che stanno per lasciare questa vita, la Chiesa offre, oltre all’Unzione degli infermi, l’Eucaristia come viatico». Nel passaggio al Padre, la comunione al Corpo e al Sangue di Cristo si manifesta come seme di vita eterna e potenza di risurrezione: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,54). Poiché il Santo Viatico schiude all’infermo la pienezza del mistero pasquale, è necessario assicurarne la pratica. L’attenzione e la cura pastorale verso coloro che si trovano nella malattia ridonda sicuramente a vantaggio spirituale di tutta la comunità, sapendo che quanto avremo fatto al più piccolo lo avremo fatto a Gesù stesso (cfr Mt 25,40).
 
Prima Lettura: La preghiera di Esdra è determinata da un fatto increscioso nella vita della nuova comunità: i matrimoni di Israeliti con pagani, che mettevano in pericolo la fede jahvista. Esdra fa memoria di tutti i peccati del popolo verso il suo Dio, cui hanno fatto seguito la schiavitù e la deportazione in terre straniere, ma, nello stesso tempo, fa pure leva sulla fedeltà e sulla misericordia di Dio manifestata con grande potenza e liberalità della liberazione dall’esilio.
 
Vangelo
Li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi.
 
Gesù chiama i Dodici e li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi. Dal proseguo del racconto si intende che è una elezione che costa sacrifici e rinunzie; è una chiamata che colloca il missionario in uno stato totale di precarietà. Senza mezzi termini vien detto che il corredo del missionario deve essere la povertà. Se il missionario deve essere povero, anche la missione deve essere povera, soprattutto di mezzi umani: Disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche. Il missionario che pensa di procurarsi tutti i mezzi umani necessari per una buona riuscita della missione la vota al più sicuro fallimento. Gesù vuole una Chiesa povera, che non abbia fiducia sui mezzi umani, ma che si abbandoni fidente a Dio. Quindi le parole di Gesù vanno al di là del puro significato letterale: quello che conta «per l’apostolo è “la passione” per la sua missione, per cui non trova tempo neppure per progettare ciò che è strettamente necessario per il viaggio; e soprattutto è la immensa fiducia in Dio che non gli farà mancare l’indispensabile per vivere» (Settimio Cipriani).
Come il fallimento deve essere preventivato, così deve essere registrato; cioè deve essere messo in evidenza con un gesto molto forte al di là del puro significato simbolico: Quanto a coloro che non vi accolgono, uscite dalla loro città e scuotete la polvere dai vostri piedi come testimonianza contro di loro. Per chi si ostina a non ascoltare o a non accogliere la parola di salvezza l’appuntamento con la giustizia divina è soltanto rimandato: la polvere dei sandali dei missionari sarà un capo d’accusa indelebile dinanzi agli occhi del Cristo redentore e giusto giudice.
La conclusione del brano evangelico, Allora essi uscirono e giravano di villaggio in villaggio, ovunque annunciando la buona notizia e operando guarigioni, mette in evidenza una Chiesa decisamente carismatica: la parola e i prodigi sono complementari; il potere di scacciare i demòni e di guarire gli ammalati danno alla parola il sigillo della veridicità e l’annunzio conferma che i miracoli sono doni salvifici; non sono fine a se stessi, ma donati gratuitamente da Dio agli uomini per la loro salvezza. Gesù trasmette ai Dodici il potere di fare miracoli e di scacciare i demòni, per indicare la continuità della sua opera con l’opera degli Apostoli e della Chiesa.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 9,1-6
 
In quel tempo, Gesù convocò i Dodici e diede loro forza e potere su tutti i demòni e di guarire le malattie. E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi.
Disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche. In qualunque casa entriate, rimanete là, e di là poi ripartite. Quanto a coloro che non vi accolgono, uscite dalla loro città e scuotete la polvere dai vostri piedi come testimonianza contro di loro».
Allora essi uscirono e giravano di villaggio in villaggio, ovunque annunciando la buona notizia e operando guarigioni.
 
Parola del Signore.

Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 1 Chiamati i Dodici; oppure; «avendo convocato i Dodici» se si vuole dar rilievo alla particella σύν (con) che fa parte del verbo. Diede loro potere ed autorità; l’abbinamento dei due sostantivi (potere ed autorità) proprio di Luca rafforza la stessa idea e significa che gli apostoli hanno ricevuto un potere per espellere i demoni dai posseduti e guarire le varie infermità. Non si può pensare che i due termini abbinati si riferiscono a due settori distinti cioè: al potere di esorcizzare e di guarire da una parte e all’autorità di annunziare la buona novella dall’altra, poiché di questo secondo mandato conferito agli apostoli si parlerà nel vers. seguente. Per la stessa formula abbinata si veda Lc., 4, 36. Si noti l’espressione fortemente accentuata: «su tutti i demoni»; Marco dice semplicemente: «il potere sopra gli spiriti immondi»; inoltre l’evangelista ha in proprio la dichiarazione «di guarire le malattie», che ripeterà al vers. seguente. Il rilievo gli viene suggerito dalla sua professione di medico come anche dal desiderio di segnalare la compassione che il Salvatore sentiva per le infermità umane. In quanto all’ordine dei fatti Luca segue quello di Marco; egli tuttavia, avendo già parlato della cacciata di Gesù da Nazareth – episodio, questo, riferito da Marco immediatamente prima della missione dei Dodici (cf. Mc., 6, 1-6) non ha bisogno di narrarla nel presente contesto, ma passa subito a trattare l’invio degli apostoli (cf. Mc., 6, 7-13).
2 Li mandò ad annunziare il regno di Dio; i Dodici hanno la missione di annunziare il regno; il loro compito tuttavia, in questo primo invio, consiste nel proclamare la venuta del regno più che manifestarne la dottrina (cf. Mt., 9, 7); essi infatti dovranno disporre gli animi a ricevere la predicazione evangelica. Il gesto del Maestro ha un carattere innovatore nell’ebraismo: i Rabbi raccoglievano intorno a sé dei discepoli per istruirli nella legge, ma ad essi non affidavano nessuna missione, né tantomeno trasmettevano poteri particolari sugli spiriti malvagi e sugli infermi. E ad operar guarigioni; questi miracoli compiuti sugli infermi serviranno per confermare la verità della loro parola. Luca, come anche Marco, tralasciano la raccomandazione che, secondo il testo di Matteo, Gesù ha fatta agli apostoli in quella circostanza («non andate nelle regioni dei pagani...»; Mt., 10, 5), poiché essa poteva urtare la sensibilità dei lettori che provenivano dal paganesimo.
Il vers. è parallelo a quello di Matteo e di Marco; in Luca il detto insinua lo spogliamento più assoluto, poiché estende la rinunzia fino alle cose più necessarie per il viaggio. Né bastone: in Marco invece è permesso prendere il bastone (cf. commento a Mc., 6, 8). Né abbiate per ciascuno due tuniche; nell’originale greco la frase è irregolare (letteral.: né di avere per ciascuno due tuniche»). Il presente vers., accentuando fortemente lo spogliamento che devono avere gli inviati di Cristo, fa risaltare la generosità e la totale dedizione con la quale essi si consacrano alla causa del vangelo.
4 Qui restate e da qui partite; cioè: restate nella casa che vi ha accolti fino alla vostra partenza. La Volgata, seguendo la lettura di un codice, aggiunge nel testo una negazione (ne) che altera il senso della frase; essa legge: et inde ne exeatis. Il consiglio è dato per evitare che si offenda chi ha offerto generosamente l’ospitalità al missionario; lo stesso ammonimento è ripetuto in una forma più chiara in Lc., 10, 7.
5 Quando non vi accolgono...; in greco la proposizione presenta delle irregolarità che non permettono una traduzione fluida e corrente; letteral.: «se quelli non vi accolgono, uscite da quella città...». Scuotete la polvere dai vostri piedi; per il senso dell’immagine si veda la nota a Mc., 6, l1. In testimonianza contro di essi; la preposizione «contro di...» (ἐπί), con la quale Luca integra il testo di Marco che ha il semplice pronome, rileva l’aspetto negativo di questa testimonianza accentuando la colpevolezza di coloro che hanno rigettato il messaggio evangelico.
Gli inviati del Figlio -Joseph Pierron e Pierre Grelot: 1. La missione di Gesù si prolunga con quella dei suoi inviati, i Dodici, che per questo stesso motivo portano il nome di apostoli. Già durante la sua vita Gesù li manda innanzi a sé (cfr. Lc 10, 1) a predicare il vangelo ed a guarire (Lc 9, 1 s par.), il che costituisce l’oggetto della sua missione personale. Essi sono gli operai mandati dal padrone alla messe (Mt 9, 38 par.; cfr. Gv 4, 38); sono i servi mandati dal re per condurre gli invitati alle nozze del figlio suo (Mt 22, 3 par.). Non devono farsi nessuna illusione sul destino che li attende: l’inviato non è maggiore di colui che lo manda (Gv 13, 16); come hanno trattato il padrone, così tratteranno i servi (Mt 10, 24 s). Gesù li manda «come pecore in mezzo ai lupi» (10, 16 par.). Egli sa che la «generazione perversa» perseguiterà i suoi inviati e li metterà a morte (23, 34 par.). Ma ciò che sarà fatto loro, sarà fatto a lui stesso, e in definitiva al Padre: «Chi ascolta voi, ascolta me, chi rigetta voi, rigetta me, e chi rigetta me, rigetta colui che mi ha mandato» (Lc 10, 16); «Chi accoglie voi, accoglie me, e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato» (Gv 13, 20). Di fatto la missione degli apostoli si collega nel modo più stretto a quella di Gesù: «Come il Padre ha mandato me, così io mando voi» (20, 21). Questa frase illumina il senso profondo dell’invio finale dei Dodici in occasione delle apparizioni di Cristo risorto: «Andate...». Essi andranno dunque ad annunziare il vangelo (Mc 16, 15), a reclutare discepoli di tutte le nazioni (Mt 28, 19), a portare dovunque la loro testimonianza (Atti 1, 8). Così la missione del Figlio raggiungerà effettivamente tutti gli uomini, grazie alla missione dei suoi apostoli e della sua Chiesa.
2. Questo appunto intende il libro degli Atti quando racconta la vocazione di Paolo. Riprendendo i termini classici delle vocazioni profetiche, Cristo risorto dice al suo strumento eletto: «Va’ perché io ti invierò lontano presso i pagani» (Atti 22, 21); e questa missione ai pagani si inserisce nella linea esatta di quella del servo di Jahvè (Atti 26, 17; cfr. Is 42, 7. 16). Infatti il servo è venuto nella persona di Gesù, e gli inviati di Gesù portano a tutte le nazioni il messaggio di salvezza che egli personalmente aveva notificato soltanto alle «pecore perdute della casa di Israele» (Mt 15, 24). Di questa missione, ricevuta sulla strada di Damasco, Paolo si farà sempre forte per giustificare il suo titolo di apostolo (1 Cor 15, 8 s; Gal 1, 12). Sicuro della sua estensione universale, egli porterà il vangelo ai pagani per ottenere da essi l’obbedienza della fede (Rom 1, 5) e magnificherà la missione di tutti i messaggeri del vangelo (10, 14 s): non è forse grazie ad essa che nasce nel cuore degli uomini la fede nella parola di Cristo (10, 17)? Al di là della missione personale degli apostoli, tutta la Chiesa nella sua funzione missionaria si ricollega in tal modo alla missione del Figlio.
 
Papa Francesco (Messaggio alla Famiglia Vincenziana 27 Settembre 2017): San Vincenzo de Paoli ha vissuto sempre in cammino, aperto alla ricerca di Dio e di sé. In questa costante ricerca si è inserita l’azione della grazia: da Pastore, ebbe un folgorante incontro con Gesù Buon Pastore nelle persone dei poveri. Ciò avvenne, in modo particolare, quando si lasciò toccare dallo sguardo di un uomo assetato di misericordia e dai volti di una famiglia bisognosa di tutto. Lì avvertì lo sguardo di Gesù che lo scuoteva, invitandolo a non vivere più per sé stesso, ma a servirlo senza riserve nei poveri, che San Vincenzo avrebbe poi chiamato «signori e padroni» (Correspondance, entretiens, documents, XI, 393). La sua vita si trasformò così in un tempo di servizio fino all’ultimo respiro. Una parola della Scrittura gli aveva trasmesso il senso della sua missione: «Il Signore mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (cfr Lc 4,18).
Infiammato dal desiderio di far conoscere Gesù ai poveri, si dedicò intensamente all’annuncio, specialmente attraverso le missioni al popolo, e curando in maniera particolare la formazione dei sacerdoti. Egli attuava con naturalezza un “piccolo metodo”: parlare prima di tutto con la vita e poi con grande semplicità, in modo colloquiale e diretto. Lo Spirito fece di lui uno strumento che suscitò uno slancio di generosità nella Chiesa. Ispirato dai cristiani delle origini, che erano «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32), San Vincenzo fondò le “Carità”, perché ci si prendesse cura dei più bisognosi vivendo in comunione e mettendo a disposizione i propri beni con gioia, nella certezza che Gesù e i poveri sono il tesoro prezioso, e che, come amava ripetere, «quando vai dai poveri incontri Gesù».
Questo “granello di senape”, seminato nel 1617, ha fatto germogliare la Congregazione della Missione e la Compagnia delle Figlie della Carità, si è ramificato in istituti e associazioni, è divenuto un grande albero (cfr Mc 4,31-32): la vostra Famiglia. Ma tutto è cominciato da quel granello di senape: San Vincenzo non volle mai essere un protagonista o un trascinatore, ma un “piccolo seme”. Era convinto che l’umiltà, la mansuetudine e la semplicità sono condizioni essenziali per incarnare la legge del seme che dà la vita morendo (cfr Gv 12,20-26), quella legge che, sola, rende la vita cristiana feconda, quella legge per la quale si riceve donando, ci si trova perdendosi e si splende quando non si appare. Ed era pure convinto che tutto questo non si può fare da soli, ma insieme, nella Chiesa, nel Popolo di Dio. Mi piace al riguardo ricordare la sua profetica intuizione di valorizzare le straordinarie capacità femminili, affiorate nella finezza spirituale e nella sensibilità umana di Santa Luisa de Marillac.
 
La preparazione dei popoli alla venuta di Cristo - Origene (Contro Celso, 2,30): Le parole della Scrittura: In questi giorni è fiorita la giustizia, insieme con l’abbondanza della pace (Sal 71,7) presero a realizzarsi all’indomani della venuta di Cristo. Iddio, frattanto, preparava le nazioni ad accogliere il suo insegnamento, sottomettendole tutte a un unico sovrano, l’imperatore di Roma, e impedendo, in tal modo, che l’isolamento in cui si sarebbero trovate a causa della pluralità dei regni, non rendesse più difficile agli apostoli mandare ad effetto l’ordine del Cristo: Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli (Mt 28,19). È noto a tutti, infatti, che Gesù nacque sotto il regno di Augusto che aveva, per così dire, ridotto a un’entità omogenea, grazie al suo potere accentratore, la maggior parte degli uomini della terra. L’esistenza d’una pluralità di regni sarebbe stata d’ostacolo alla divulgazione del messaggio di Gesù attraverso tutta la terra: non soltanto per il motivo già rilevato, ma a causa, altresì, della necessità imposta agli uomini d’ogni latitudine di prendere le armi e di far la guerra per difendere la propria patria. Il che, prima dell’epoca inaugurata da Augusto, si era ripetutamente verificato, come quando, ad esempio, si scatenò il conflitto fra gli abitanti del Peloponneso e quelli di Atene e, al seguito di questi, fra altri popoli contrapposti. In qual modo, perciò, quest’insegnamento di pace, che non consente di vendicarsi neppure dei nemici, avrebbe mai potuto trionfare, se la situazione della terra, alla venuta di Gesù, non fosse stata dovunque mutata in una condizione più pacifica?
 
Il Santo del Giorno - 27 Settembre 2023 - Vincenzo de Paoli. Dare voce a chi è ai margini: ecco la missione dei cristiani - Non ci sono scuse: ai cristiani è affidata la missione di prendersi cura dell’umanità ferita, abbandonata, emarginata, privata di tutto. E fu questo lo stile di vita di san Vincenzo de’ Paoli, che ci ha lasciato in eredità una famiglia di persone impegnate accanto agli ultimi. Nato a Pouy in Guascogna il 24 aprile 1581, da giovane era stato guardiano dei porci. Fu ordinato sacerdote a 19 anni e nel 1605, mentre era in viaggio da Marsiglia a Narbona fu fatto prigioniero dai pirati turchi e venduto come schiavo a Tunisi. Nel 1607 venne liberato dal suo stesso «padrone», che grazie a lui si era convertito al cristianesimo. Arrivò quindi a Roma e poi a Parigi: divenne parroco nel 1612 nei pressi della città, dedicandosi in particolare ai bisognosi. Alla sua scuola si formarono sacerdoti, religiosi e laici che divennero poi gli animatori della Chiesa francese. Promosse una forma semplice e popolare di evangelizzazione. Fondò i Preti della Missione (Lazzaristi) e, insieme a santa Luisa de Marillac, le Figlie della Carità (1633). Diceva ai sacerdoti di San Lazzaro: «Amiamo Dio, fratelli miei, ma amiamolo a nostre spese, con la fatica delle nostre braccia, col sudore del nostro volto». Per lui la regina di Francia inventò il Ministero della Carità. E da insolito «ministro» organizzò gli aiuti ai poveri su scala nazionale. Morì a Parigi il 27 settembre 1660 e fu canonizzato nel 1737. (Matteo Liut)
 
Nutriti dei sacramenti del cielo,
umilmente ti preghiamo, o Padre:
come l’esempio di san Vincenzo [de’ Paoli]
ci sprona a imitare il tuo Figlio,
venuto a evangelizzare i poveri,
così la sua intercessione sempre ci soccorra.
Per Cristo nostro Signore.
 
 

 26 SETTEMBRE 2023
 
MARTEDÌ DELLA XXV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO DISPARI)
 
Esd 6,7-8.12b.14-20; Salmo Responsoriale Dal Salmo121 (122); Lc 8,19-21
 
Colletta
O Dio, che nell’amore verso di te e verso il prossimo
hai posto il fondamento di tutta la legge,
fa’ che osservando i tuoi comandamenti
possiamo giungere alla vita eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Giovanni Paolo II (Udienza Generale 12 marzo 1997): 1. Il Concilio Vaticano II, dopo aver ricordato l’intervento di Maria alle nozze di Cana, sottolinea la sua partecipazione alla vita pubblica di Gesù: “Durante la predicazione di Lui raccolse le parole, con le quali il Figlio, esaltando il Regno al di sopra dei rapporti e dei vincoli della carne e del sangue, proclamò beati quelli che ascoltano e custodiscono la Parola di Dio (cfr Mc 3,35 par.; Lc 11,27-28) come essa fedelmente faceva (cfr Lc 2,19 e 51)” (LG, 58).
L’inizio della missione di Gesù ha segnato anche il suo distacco dalla Madre, la quale non sempre ha seguito il Figlio durante il suo peregrinare per le strade della Palestina. Gesù ha scelto deliberatamente la separazione dalla Madre e dagli affetti familiari, come si evince dalle condizioni che pone ai suoi discepoli per seguirlo e per dedicarsi all’annunzio del Regno di Dio.
Ciò nonostante, Maria ha ascoltato talvolta la predicazione del Figlio. Si può supporre che essa fosse presente nella Sinagoga di Nazaret, quando Gesù, dopo aver letto la profezia d’Isaia, ne commentò il testo, applicando a se stesso il contenuto (cfr Lc 4,18-30). Quanto deve aver sofferto in tale occasione, dopo aver condiviso lo stupore generale per le parole di grazia che uscivano dalla sua bocca” (Lc 4,22), nel constatare la dura ostilità dei concittadini che cacciarono Gesù dalla Sinagoga e tentarono perfino di ucciderlo! Dalle parole dell’evangelista Luca emerge la drammaticità di quel momento: “Si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma Egli, passando in mezzo a loro, se ne andò” (4,29-30).
Dopo quell’evento, Maria, intuendo che ci sarebbero state altre prove, confermò ed approfondì la sua totale adesione alla Volontà del Padre, offrendo a Lui la sua sofferenza di madre e la sua solitudine.
2. Stando ai Vangeli, Maria ha avuto modo di ascoltare suo Figlio anche in altre circostanze. Anzitutto a Cafarnao, dove Gesù si reca, dopo le nozze di Cana, “insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli” (Gv 2,12). Inoltre, è probabile che lo abbia potuto seguire anche a Gerusalemme, in occasione della Pasqua, nel Tempio, che Gesù qualifica come casa del Padre suo, per la quale Egli arde di zelo (cfr Gv 2,16-17). Ella, poi, si trova tra la folla, allorché non riuscendo ad avvicinarsi a Gesù, lo sente rispondere a chi gli annunzia la presenza sua e dei parenti: “Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8,21).
Con tale espressione il Cristo, pur relativizzando i legami familiari, rivolge un grande elogio alla Madre, affermando un vincolo ben più alto con Lei. Maria, infatti, ponendosi in ascolto del Figlio, accoglie tutte le sue parole e le mette fedelmente in pratica.
 
Prima Lettura: La benevolenza del re Dario permette al popolo d’Israele di ricostruire il tempio di Dio. Al termine della costruzione gli Israeliti, i sacerdoti, i leviti e gli altri rimpatriati celebrano “con gioia la dedicazione di questo tempio di Dio”. La radice di questa gioia non è soltanto nella libertà ritrovata, ma nella possibilità di poter celebrare con maggiore slancio e fedeltà la misericordia di Dio. Una gioia che è una porta spalancata a un nuovo cammino nel quale si fa presente il ritrovato amore di Dio che non abbandona mai il suo popolo.
 
Vangelo
Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica.
 
La scena, presente anche in Mc 3,33-34, è staccata dal suo contesto naturale. Nel racconto evangelico il soggetto che viene posto in risalto è la madre. La venuta dei familiari offre a Gesù l’occasione per pronunciare un detto importante sui veri parenti: l’ascolto fattivo della Parola crea un legame più forte del sangue.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 8,19-21
 
In quel tempo, andarono da Gesù la madre e i suoi fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla. 
Gli fecero sapere: «Tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e desiderano vederti».
Ma egli rispose loro: «Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica».
 
Parola del Signore.
 
La famiglia di Gesù - Javer Pikaza: Questa scena servì per definire l’atteggiamento che assumono davanti a Gesù due gruppi di persone molto diversi: la gente che lo circonda e i parenti che lo cercano. Su questo sfondo è definito il vero senso della famiglia di Gesù.
Della gente è precisato un solo particolare: circondano Gesù. Tutto ci permette di supporre che lo cerchino an­siosamente e che si stringano fortemente intorno a lui, così che diviene impossibile avvicinarglisi e l’aggiungerlo.
Non sappiamo che cosa pensasse Gesù di questo fenomeno, ma permise almeno che lo cercassero. Gli uomini hanno bisogno di lui; egli conosce la loro miseria e permette che gli si accostino.
I parenti, la madre e i fratelli vogliono «vederlo»: è assai difficile precisare che cosa si voglia dire con questa parola. Nel testo corrispondente di Marco, che Luca ebbe sotto gli occhi quando redasse il suo vangelo, l’intenzione della famiglia è indicata con chiarezza: cercano Gesù per condurlo a casa, perché pensano che sia pazzo (Mc 3,20-21). Lo stimano pazzo, perché annunzia alla gente cose che si oppongono alle vecchie tradizioni del loro popolo. In altre parole, la loro accusa si identifica con quella che elevano contro di lui i farisei: «è posseduto da Beelzebul» o satana, così che la sua vita e il suo messaggio sono al servizio delle forze del male (cf 3,22). Si tenga presente l’unità costituita da Mt 3,20-21 e 3,31-35. Luca, molto più rispettoso riguardo alla famiglia di Gesù (e specialmente a Maria), ha soppresso questo motivo (l’intenzione della famiglia). Tutto però ci permette di supporre che l’intervento della famiglia rivesta anche per il vangelo di Luca un aspetto negativo: i parenti vogliono monopolizzare Gesù, approfittando dei privilegi di parentela. In questo contesto, sì comprende la risposta di Gesù: «Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (8,21).
Di fronte alla vecchia parentela del sangue, Gesù getta le basi della nuova famiglia del suo regno, della quale fanno parte coloro che accolgono e vivono la sua parola.
Si tengano presenti i due elementi: a) è necessario «ascoltare la parola», cioè essere aperti alla grazia, ricevendo il dono dell’amore che Dio ci offre per mezzo del Cristo. b) è necessario mettere in pratica la parola. Solo chi la vive l’ha ascoltata pienamente.
Il messaggio di Gesù è centrato su questi due aspetti di grazia e di esigenza. Essere cristiani vuoi dire vivere nel mistero dell’amore che Dio ci comunica come nuova possibilità di esistenza; ma, allo stesso tempo, suppone che il dono i espanda così da divenire per noi un principio di vita. Dall’amore di Dio dobbiamo arrivare a essere ponte d’amore per gli altri.
Coloro che ascoltano e mettono in pratica la parola di Gesù divengono la sua famiglia. Non sono servi che stanno fuori e che ricevono il dono dell’amore per pura compassione. Sono la madre e i fratelli, e quindi formano con Gesù un focolare di comunione e di fiducia. Le barriere di questo mondo (divisioni sociali, politiche, religiose) perdono il loro senso. In Gesù e per mezzo di Gesù tutti gli uomini costituicono una sola famiglia, essendo membra gli uni degli altri.
 
Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica - Augustin George: La rivelazione biblica è essenzialmente parola di Dio all’uomo. Ecco perché, mentre nei misteri greci e nella gnosi orientale la relazione dell’uomo con Dio si fonda soprattutto sulla visione, secondo la Bibbia «la fede nasce dall’ascolto» (Rom 10,17).
1. L’uomo deve ascoltare Dio. a) Ascoltate, grida il profeta con l’autorità di Dio (Am 3,1; Ger 7,2). Ascoltate, ripete il sapiente in nome dell’esperienza e della conoscenza della legge (Prov 1,8). Ascolta, Israele, ripete ogni giorno il pio israelita per compenetrarsi della volontà del suo Dio (Deut 6,4; Mc 12,29). Ascoltate, riprende a sua volta Gesù stesso, parola di Dio (Mc 4,3.9 par.). Ora, secondo il senso ebraico della parola verità, ascoltare, accogliere la parola di Dio, non significa soltanto prestarle attento orecchio, significa aprirle il proprio cuore (Atti 16,14), metterla in pratica (Mt 7,24 ss), obbedire. Questa è l’obbedienza della fede richiesta dalla predicazione ascoltata (Rom 1,5; 10,14ss). b) Ma l’uomo non vuole ascoltare (Deut 18,16.19), ed è questo il suo dramma. È sordo agli appelli di Dio; il suo orecchio ed il suo cuore sono incirconcisi (Ger 6,10; 9,25; Atti 7,51). Ecco il peccato dei Giudei denunziato da Gesù: «Voi non potete ascoltare la mia parola... Chi è da Dio ascolta le parole di Dio; se voi non ascoltate, è perché non siete da Dio» (Gv 8, 43. 47). Di fatto Dio solo può aprire l’orecchio del suo discepolo (Is 50,5; cfr. 1 Sam 9,15; Giob 36,10), «forarglielo» perché obbedisca (Sal 40,7s). Quindi, nei tempi messianici, i sordi sentiranno, ed i miracoli di Gesù significano che infine il popolo sordo comprenderà la parola di Dio e gli obbedirà (Is 29,18; 35,5; 42,18s; 43,8; Mt 11,5). È quel che proclama ai discepoli la voce dal cielo: «Questo è il mio Figlio diletto, ascoltatelo» (Mt 17,5 par.). Maria, abituata a conservare fedelmente le parole di Dio nel proprio cuore (Lc 2,19.51), è stata proclamata beata dal figlio Gesù, quando ha rivelato il senso profondo della sua maternità: «Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la custodiscono» (Lc 11,28).
2. Dio ascolta l’uomo. - Nella sua preghiera l’uomo domanda a Dio di ascoltarlo, cioè di esaudirlo. Dio non ascoltà né gli ingiusti, né i peccatori (Is 1,15; Mi 3,4; Gv 9,31); ma ascolta il povero, la vedova e l’orfano, gli umili, i prigionieri (Es 22,22-26; Sal 10, 17; 102,21; Giac 5,4). Ascolta i giusti, coloro che sono pii e fanno la sua volontà (Sal 34,16.18; Gv 9,31; 1Piet 3,12), coloro che domandano secondo la sua volontà (1Gv 5,14s). E lo fa perché ascolta «sempre» il suo Figlio Gesù (Gv 11,41s), attraverso il quale passa per sempre la preghiera del cristiano.
 
La nuova famiglia di Gesù ascolta la parola e la mette in pratica - Cirillo di Alessandria  (Commento a Luca, omelia l47): La presente lezione ci insegna che l’ obbedienza e l’ ascolto di Dio sono le cause di ogni benedizione. Alcuni sono entrati e hanno parlato con rispetto della santa madre di Cristo e dei suoi fratelli. Egli ha risposto con quelle parole: Mia madre e i miei fratelli sono quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica.
Ora, non lasciamo che nessuno immagini che Cristo abbia tralasciato l’onore dovuto a sua madre e che abbia disprezzato con orgoglio l’ amore dovuto ai suoi fratelli. Egli ha parlato secondo la legge di Mosè e ha detto chiaramente: Onora il padre e la madre, perché tu possa stare bene (Dt 5, 16). Chiedo, come può aver rifiutato l’amore dovuto ai suoi fratelli, lui che a noi ha comandato anche di amare non solo i nostri fratelli, ma anche quelli che ci sono nemici? Dice: Amate i vostri nemici (Mt 5,44; Lc 6,27). Che cosa vuole insegnare Cristo?
Il suo obiettivo è quello di esaltare il suo amore nei confronti di coloro che vogliono piegare il collo ai suoi comandamenti. Spiegherò il modo in cui lo fa. I più grandi onori l’affetto più completo sono quelli che tutti dobbiamo alle nostre madri e ai nostri fratelli. Se dice che quelli che ascoltano la sua parola e la mettono i pratica sona sua madre e i suoi fratelli, non è chiaro a tutti che egli dona a quelli che lo seguono un amore completo e degno di essere accettato da loro? Egli avrebbe fatto loro abbracciare prontamente il desiderio di cedere se stessi alle sue parole e di sottomettere la loro mente al suo giogo per mezzo di una completa obbedienza.
 
Il Santo del Giorno - 26 Settembre 2023 - Santi Cosma e Damiano Martiri: Sulla vita di Cosma e Damiano le notizie sono scarse. Si sa che erano gemelli e cristiani. Nati in Arabia, si dedicarono alla cura dei malati dopo aver studiato l’arte medica in Siria. Ma erano medici speciali. Spinti da un’ispirazione superiore infatti non si facevano pagare. Di qui il soprannome di anàrgiri (termine greco che significa «senza argento», «senza denaro»). Ma questa attenzione ai malati era anche uno strumento efficacissimo di apostolato. «Missione» che costò la vita ai due fratelli, che vennero martirizzati. Durante il regno dell’imperatore Diocleziano, forse nel 303, il governatore romano li fece decapitare. Successe a Ciro, città vicina ad Antiochia di Siria dove i martiri vengono sepolti. Un’altra narrazione attesta invece che furono uccisi a Egea di Cilicia, in Asia Minore, per ordine del governatore Lisia, e poi traslati a Ciro. Il culto di Cosma e Damiano è attestato con certezza fin dal V secolo. (Avvenire)
 
Guida e sostieni, o Signore, con il tuo continuo aiuto
il popolo che hai nutrito con i tuoi sacramenti,
perché la redenzione operata da questi misteri
trasformi tutta la nostra vita.
Per Cristo nostro Signore.
 
 25 SETTEMBRE 2023
 
LUNEDÌ DELLA XXV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO DISPARI)
 
Esd 1,1-6; Salmo responsoriale Dal Salmo 125 (126): Lc 8,16-18
 
Colletta
O Dio, che nell’amore verso di te e verso il prossimo
hai posto il fondamento di tutta la legge,
fa’ che osservando i tuoi comandamenti
possiamo giungere alla vita eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Fate attenzione dunque a come ascoltate - Sinodo dei Vescovi - XII Assemblea Generale Ordinaria (2008): La Parola di Dio trasforma la vita di coloro che vi si accostano con fede. La Parola non è mai esaurita, è ogni giorno nuova. Ma perché questo avvenga occorre una fede che ascolta. La Scrittura attesta a più riprese che l’ascolto è ciò che rende Israele popolo di Dio: «Se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli» (Es 19,5; cfr. Ger 11,4). L’ascolto crea un’appartenenza, un legame, fa entrare nell’alleanza. Nel Nuovo Testamento l’ascolto è diretto alla persona di Gesù, il Figlio di Dio: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo» (Mt 17,5 e par.). Il credente è uno che ascolta. Chi ascolta confessa la presenza di colui che parla e vuole coinvolgersi con lui; chi ascolta scava in sé uno spazio all’inabitazione dell’altro; chi ascolta si dispone con fiducia all’altro che parla. Perciò i vangeli chiedono discernimento su ciò che si ascolta (cfr. Mc 4,24) e su come si ascolta (cfr. Lc 8,18): infatti, noi siamo ciò che ascoltiamo! La figura antropologica che la Bibbia vuole costruire è dunque quella di un uomo capace di ascoltare, abitato da un cuore che ascolta (cfr. 1Re 3,9). Essendo questo ascolto non una mera audizione di frasi bibliche ma discernimento pneumatico della Parola di Dio, esso richiede la fede e deve avvenire nello Spirito Santo.
 
Prima Lettura: La tolleranza religiosa di Ciro, atto fondante della sua politica, permette  ai Giudei di ritornare nella Giudea per ricostruire il tempio a Jhwh, ponendo in questo modo fine alla cattività babilonese. L’evento viene posto al primo anno di regno sull’impero babilonese dopo la presa della città (539 a.C.). Al di là delle strategie politiche, l’autore ama mettere in evidenza che in verità a muovere il cuore di Ciro non è la sua liberalità ma Dio, così come sottolinea Isaia 45,1ss.
 
Vangelo
La lampada si pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce.

Questi versetti sono un richiamo alla missione apostolica di cui ogni cristiano è investito per il fatto di essere tale. Ciascun cristiano è tenuto a lottare per la santificazione personale, ma anche per la santificazione degli altri. È Gesù a insegnarcelo con la analogia della luce: Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce. Come la luce illumina e fa arretrare le tenebre, così il cristiano deve svolgere questa medesima funzione tra i propri simili.
L’esortazione a stare attenti a come si ascolta vuol sottolineare che l’efficacia della Parola di Dio non dipende unicamente dal suo valore intrinseco, ma anche dal mondo in cui viene ascoltata e accolta.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 8,16-18
 
In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce.
Non c’è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce. Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere».
 
Parola del Signore.

Parabola della lampada - Hugues Cousin (Vangelo di Luca): Ognuna di queste tre istruzioni si incontrerà una seconda volta (11,33; 12,2; 19,26). La ripetizione dimostra bene che qui occorre intenderle come un insieme che costituisce la conclusione dell’insegnamento in parabola sull’accoglienza della parola di Dio. D’altronde, l’accento è posto sul modo in cui si ascolta questa parola rimanda chiaramente alla spiegazione della parabola del seme (vv. 12-15).
L’immagine della lampada suggerisce quale dev’essere il comportamento dei cristiani: le azioni che si compiono (cfr. v. 15) devono essere chiare e illuminare gli altri. Infatti, se Dio ha concesso ai discepoli la conoscenza dei misteri del suo regno (cfr. v. 10), non è perché questi rimangano nascosti! Nel tempo della Chiesa, la parola di Dio dev’essere diffusa dall’intera vita di coloro che l’hanno ricevuta. Gesù ricorre infine a un proverbio popolare - i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri - per trasmettere un ultimo insegnamento. Più si compie fedelmente ciò che si è ascoltato, più si avanza lungo il cammino della maturità cristiana. E meno questo avviene, meno la parola di Dio è un fermento nella vita; la conoscenza dei misteri del regno diventa astratta e senza conseguenze pratiche nella vita quotidiana.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Ponete quindi attenzione al modo con cui ascoltate! In Marco, 4, 24 questo ammonimento è preceduto da una formula introduttiva («ed egli disse loro») che Luca omette per non spezzare l’unità della esortazione. Il monito è rivolto ai discepoli che, con queste parole, sono richiamati a considerare il compito che dovranno svolgere in futuro; essi infatti sono destinati a far risplendere nel mondo la luce della dottrina evangelica che hanno ascoltata dalla viva voce del Maestro; per questo motivo essi, presentemente, devono prestare viva attenzione a ciò che ascoltano per afferrarne pienamente l’esatto significato. A chi ha sarà dato etc.; il detto è rivolto ai discepoli e per essi non può avere che un senso coerente con gli ammonimenti che precedono. I discepoli devono sforzarsi di prestare attenzione e di riflettere sugli insegnamenti di Gesù, perché la riflessione darà loro una intelligenza più penetrante ed approfondita della dottrina del Maestro. Ad essi quindi che hanno già ricevuto una nozione iniziale del messaggio evangelico la riflessione apporterà una conoscenza più chiara e più vasta del medesimo; di conseguenza i discepoli, per questo loro sforzo ed apporto personale, avranno di più, cioè raggiungeranno una conoscenza piena ed esauriente della dottrina di Cristo. Al contrario a chi non ha (cioè: a chi non ha posto attenzione all’insegnamento evangelico e non vi ha riflettuto) sarà tolto anche ciò che crede di avere, vale a dire quelle nozioni iniziali sul regno di Dio.
Luca attenua il contrasto tra le due parti della proposizione scrivendo «a chi crede di avere»; Marco invece dice semplicemente: «a chi ha». Il detto ricorre ancora in Lc., 19, 26 (cf. Mt., 13,12; 25,29).
 
Confessione della fede - Richard Gutzwiller (Meditazione su Luca): Non basta aver la fede solo nell’intimo del cuore.
Bisogna professarla anche apertamente. Non si accende una luce per metterla sotto il moggio o sotto il letto, ma sullo stipite, perché possa risplendere.
La fede non deve tenersi nascosta e segreta. La si deve praticare alla luce del giorno. Chi nasconde la sua fede corre il rischio di perderla. Chi invece la professa crescerà in essa. La fede non è qualche cosa che si esaurisce, come l’acqua di un recipiente, ma è una fonte che zampilla sempre fresca.
Essa non dice timidezza e cauto riserbo, ma esuberanza, ricchezza e quindi impegno e lavoro. La fede non appartiene solo al tempio inaccessibile del cuore, ma anche alle strade e alle piazze della vita. Essa non è solo un gioiello chiuso nello scrigno, un brillante nella sua custodia, ma è pure un ornamento che l’uomo porta visibilmente a gloria di Dio, una bandiera che sventola in vetta, qualche cosa che si pone in piena evidenza e di cui si parla senza impaccio, con naturalezza.
 
Lampada - Jean-Baptiste Brunon (Lampada in Dizionario di Teologia Biblica): Con la sua luce, la lampada significa una presenza viva, quella di Dio, quella dell’uomo
1. La lampada, simbolo della presenza divina.- «La mia lampada sei tu, o Jahvè» (2 Sam 2, 29). Con questo grido il salmista proclama che Dio solo può dare luce e vita. Non è egli forse il creatore dello spirito che è nell’uomo come «una lampada di Jahvè» (Prov 20, 27)? Non rischiara forse egli come una lampada la via del fedele con la sua parola (Sal 119, 105), con i suoi comandamenti (Prov 6, 23)? Le Scritture profetiche non sono forse «una lampada che brilla in luogo oscuro, sino a che il giorno incominci a spuntare e l’astro del mattino si levi nei nostri cuori» (2 Piet 1, 19)? Quando verrà questo giorno supremo non ci sarà più «notte; gli eletti faranno a meno di lampada o di sole per farsi luce», perché «l’agnello sarà la loro lucerna» (Apoc 22, 5; 21, 23).
2. La lampada, simbolo della presenza umana.- Il simbolismo della lampada si ritrova nel piano più umile della presenza umana. A David, Jahvè promette una lampada, cioè una discendenza perpetua (2 Re 8, 19; 1 Re 11, 36; 15, 4). Per contro, se il paese è infedele, Dio minaccia di fare sparire da esso «la luce della lampada» (Ger 25, 10): allora non ci sarà più felicità duratura per il malvagio la cui lampada presto si spegne (Prov 13, 9; Giob 18, 5 s). Per esprimere la sua fedeltà a Dio e la continuità della sua preghiera, Israele fa ardere in perpetuo una lampada nel santuario (Es 27, 20 ss; 1 Sam 3, 3); lasciarla spegnere, significherebbe far intendere a Dio che lo si abbandona (2 Cron 29, 7). Per contro, beati coloro che vegliano nell’attesa del Signore, come le giovani donne prudenti (Mt 25, 1-8) od il servo fedele (Lc 12, 35), le cui lampade restano accese. Dio attende ancora di più dal suo fedele: invece di lasciare la sua lampada sotto il moggio (Mt 5, 15 s par.), egli deve brillare come un luminare in mezzo ad un mondo perverso (Fil 2, 15), come già il profeta Elia, la cui «parola bruciava come una fiaccola» (Eccli 48, 1), come ancora Giovanni Battista, questa «lucerna che arde e risplende» (Gv 5, 35) per rendere testimonianza alla vera luce (1, 7 s). Così anche la Chiesa, fondata su Pietro e Paolo, «i due olivi e le due lucerne che stanno dinanzi al Signore della terra» (Apoc 11, 4), deve far risplendere fino alla fine dei tempi la gloria del figlio dell’uomo (1, 12 s).
 
Nicola di Lira (Postilla super Lucam, VIII): Nessuno accende una fiaccola per poi coprirla con il moggio...: questa fiaccola è la dottrina evangelica, che non deve essere nascosta, né insegnata solo nei nascondigli, come le dottrine errate o sospette, ma deve essere manifestata davanti a tutti... Copre questa fiaccola col moggio colui che la espone con parole complicate ed esteriori cercando vanitosamente la notorietà; la pone sotto il letto colui che, con la sua esposizione perversa, la accende col fuoco dell’eresia... e la mette sul candelabro colui che rende efficaci le proprie parole mettendole in pratica con un buon comportamento.
 
Il Santo del Giorno - 25 Settembre 2023 - San Giuseppe Calasanzio Presbitero: Nato nel 1557 a Peralta de la Sal, in Spagna, Giuseppe diventa sacerdote a ventisei anni. Ricopre importanti mansioni in diverse diocesi spagnole. A Roma, colpito dalla miseria in cui vivevano i ragazzi abbandonati, fonda un nuovo ordine religioso con l’obiettivo di dare un’istruzione ai più poveri e combattere così l’analfabetismo, l’ignoranza e la criminalità. Nascono le «Scuole Pie» e i suoi religiosi vengono chiamati «scolopi». Scrive il santo: «È missione nobilissima e fonte di grandi meriti quella di dedicarsi all’educazione dei fanciulli, specialmente poveri, per aiutarli a conseguire la vita eterna. Chi si fa loro maestro e, attraverso la formazione intellettuale, s’impegna a educarli, soprattutto nella fede e nella pietà, compie in qualche modo verso i fanciulli l’ufficio stesso del loro angelo custode, ed è altamente benemerito del loro sviluppo umano e cristiano». Giuseppe muore il 25 agosto del 1648; è canonizzato nel 1767 e nel 1948 è dichiarato da papa Pio XII «patrono Universale di tutte le scuole popolari cristiane del mondo». Oggi l’ordine degli Scolopi è presente in 4 continenti e 32 paesi. (Avvenire)
 
Guida e sostieni, o Signore, con il tuo continuo aiuto
il popolo che hai nutrito con i tuoi sacramenti,
perché la redenzione operata da questi misteri
trasformi tutta la nostra vita.
Per Cristo nostro Signore.
 
 24 SETTEMBRE 2023
 
XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A
 
Is 55,6-9; Salmo Responsoriale Dal Salmo 144 (145); Fil 1,20c-24.27a; Mt 20,1-16
 
Colletta
O Padre, le tue vie sovrastano le nostre vie
quanto il cielo sovrasta la terra:
concedi a noi la gioia semplice
di essere operai della tua vigna
senza contare meriti e fatiche,
lieti solo di portare frutti buoni
per la speranza del mondo.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore - La Chiesa professa la misericordia di Dio e la proclama - Dives in Misericordia 13: La Chiesa deve professare e proclamare la misericordia divina in tutta la verità, quale ci è tramandata dalla rivelazione. Abbiamo cercato, nelle pagine precedenti del presente documento, di delineare almeno il profilo di questa verità che trova così ricca espressione in tutta la Sacra Scrittura e nella sacra tradizione. Nella vita quotidiana della Chiesa la verità circa la misericordia di Dio, espressa nella Bibbia, risuona quale eco perenne attraverso numerose letture della sacra liturgia. La percepisce l’autentico senso della fede del Popolo di Dio, come attestano varie espressioni della pietà personale e comunitaria. Sarebbe certamente difficile elencarle e riassumerle tutte, poiché la maggior parte di esse è vivamente iscritta nell’intimo dei cuori e delle coscienze umane. Se alcuni teologi affermano che la misericordia è il più grande fra gli attributi e le perfezioni di Dio, la Bibbia, la tradizione e tutta la vita di fede del Popolo di Dio ne forniscono peculiari testimonianze. Non si tratta qui della perfezione dell’inscrutabile essenza di Dio nel mistero della divinità stessa, ma della perfezione e dell’attributo per cui l’uomo, nell’intima verità della sua esistenza, s’incontra particolarmente da vicino e particolarmente spesso con il Dio vivo. Conformemente alle parole che Cristo rivolse a Filippo, «la visione del Padre» - visione di Dio mediante la fede - trova appunto nell’incontro con la sua misericordia un singolare momento di interiore semplicità e verità, simile a quella che riscontriamo nella parabola del figliol prodigo.
«Chi ha visto me, ha visto il Padre». La Chiesa professa la misericordia di Dio, la Chiesa ne vive nella sua ampia esperienza di fede ed anche nel suo insegnamento, contemplando costantemente Cristo, concentrandosi in lui, sulla sua vita e sul suo Vangelo, sulla sua croce e risurrezione, sull’intero suo mistero. Tutto ciò che forma la «visione» di Cristo nella viva fede e nell’insegnamento della Chiesa ci avvicina alla «visione del Padre» nella santità della sua misericordia. La Chiesa sembra professare in modo particolare la misericordia di Dio e venerarla rivolgendosi al Cuore di Cristo. Infatti, proprio l’accostarci a Cristo nel mistero del suo Cuore ci consente di soffermarci su questo punto - in un certo senso centrale e, nello stesso tempo, più accessibile sul piano umano - della rivelazione dell’amore misericordioso del Padre, che ha costituito il contenuto centrale della missione messianica del Figlio dell’Uomo.
 
I lettura: Siamo all’epilogo della seconda parte del libro di Isaia, nota col nome di Deuteroisaia. I versetti odierni sono un chiaro invito alla fede nella potenza salvifica della Parola di Dio. È il gioioso momento della liberazione, il ritorno dall’esilio; il popolo deve accogliere questo dono con la conversione e la fede. L’intervento salvifico mette in evidenza la potenza, la trascendenza e allo stesso tempo l’immanenza di Dio: Egli può farsi vicino all’uomo, ricreare e dare un nuovo inizio a quanto sembrava perduto, finito per sempre.
 
II lettura: L’apostolo Paolo, esaminando con serenità la sua condizione, ha l’intima consapevolezza che tutto sta per andare verso una tragica soluzione. In questa situazione drammatica, rivela che non sa bene che cosa desiderare e addirittura invocare nella preghiera: se la possibilità di continuare la missione ricevuta da Dio e l’opera intrapresa, oppure il vantaggio personale rappresentato dalla fine del lavoro e dalla morte con il conseguente dono della vita eterna. Paolo, comunque vadano le cose, è sereno dinanzi alla morte, anzi essa per l’apostolo sarà un guadagno: sarà per sempre con il Signore risorto.
Per tutti i credenti l’unione ineffabile con il Risorto ha origine e inizio nel battesimo e raggiunge il suo acme nell’eucaristia per compirsi perfettamente nella morte. In ogni caso, Paolo è convinto, anzi ha la certezza che resterà in vita per continuare a spendersi per il Vangelo. La sua vita, il suo zelo per il Regno di Dio, le sue sofferenze, tutto è offerto a modello per ogni cristiano.
 
Vangelo
Sei invidioso perché io sono buono?
 
La ricompensa che i discepoli di Gesù devono attendersi non poggia sui parametri della meritocrazia, ma unicamente sulla sovrabbondante bontà e misericordia di Dio. «Assumendo fino a sera operai disoccupati e dando a tutti un salario intero, il padrone della vigna dà prova di una bontà che va oltre la giustizia, senza, d’altra parte, lederla. Tale è Dio, che introduce nel suo regno anche uomini chiamati tardi come i peccatori e i pagani» (Bibbia di Gerusalemme). I Giudei, i chiamati della prima ora, non se ne devono scandalizzare.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 20,1-16
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono.
Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto.
Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”.
Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con te per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”.
Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».
 
Parola del Signore.
 
Andate anche voi nella vigna - Nella parabola degli operai mandati nella vigna, il regno dei cieli è simile al modo di agire del padrone di casa, cioè al suo comportamento libero e gratuito.
La ricompensa che viene destinata agli operai della prima ora è di un denaro. Ai secondi viene assicurato quello che è giusto. Agli ultimi non viene detto nulla. Ma è sottinteso che essi riceveranno una paga corrispondente alle ore di lavoro consumate. Occorre notare che quest’ultimi vengono assunti verso le cinque di pomeriggio: un particolare in sé inverosimile, ma che serve a mettere in evidenza «la bontà del padrone che nel dare lavoro è spinto non dal suo utile ma dalla sua generosità verso gli operai» (Giuseppe Ferraro).
Alla fine della giornata, quando fu sera, il padrone della vigna regola i conti. Questo fare riflette la legge mosaica: «Non opprimerai il tuo prossimo, né lo spoglierai di ciò che è suo; il salario del bracciante al tuo servizio non resti la notte presso di te fino al mattino dopo» (Lev 19,13). E ancora: «Gli darai il suo salario il giorno stesso, prima che tramonti il sole, perché egli è povero e vi volge il desiderio; così egli non griderà contro di te al Signore e tu non sarai in peccato» (Dt 24,15).
Il padrone di casa vuole che si inizi dagli ultimi fino ai primi. Un altro particolare che non combacia con la realtà: forse il padrone della vigna voleva che gli operai assunti all’alba fossero presenti e si rendessero conto del suo modo di agire.
L’equità del giusto compenso viene stravolta dalla liberalità del padrone di casa, il quale dà a tutti, primi ed ultimi, come salario un denaro, provocando l’indignazione degli operai presi a giornata all’alba. Quello che «fa mormorare gli operai della prima ora contro il padrone non è tanto il fatto che si aspettavano di ricevere di più, perché con lui avevano concordato solo una moneta d’argento. Essi in realtà volevano che i loro compagni dell’ultima ora ricevessero di meno. Solo così il padrone avrebbe apprezzato la loro fatica» (Tiziano Lorenzin). Il disappunto nasce, quindi, dal fatto di non vedersi stimati, di non vedere valorizzata la loro fatica. È la rovente polemica che accompagnerà il ministero di Gesù e quello di Paolo. La giustificazione per mezzo delle opere era una mentalità che si era incollata alla religiosità ebraica e con la quale si pretendeva di condizionare Dio al momento del giudizio e della retribuzione. Questo modo di pensare aveva spaccato in due il mondo: da una parte i giusti perché osservavano la Legge, dall’altra gli empi sulla cui testa incombeva irreversibilmente l’ira di Dio. Invece la salvezza è un dono gratuito che nessuno può pretendere di accaparrarsi con le sue sole forze o con le sue buone opere. Tutto è grazia: quando l’uomo si rapporta con Cristo affidandosi alla sua opera e ai suoi meriti, mutando vita e ravvedendosi dai suoi peccati, Dio, allora, nella sua infinita misericordia tratta il peccatore come se fosse giusto.
La risposta del padrone è repentina. L’accusa di essere ingiusto viene rigettata sulla base di due ragioni: prima, il padrone della vigna ha rispettato i patti, ha dato quanto era stato concordato; seconda, se ha dato di più agli ultimi perché è buono e allo stesso tempo libero di disporre della sua volontà e dei suoi averi. In filigrana si può cogliere l’agire di Dio verso gli uomini: Egli è libero di accordare la sua grazia sia ai giusti che ai peccatori.
Il proverbio che conclude la parabola, Gli ultimi saranno i primi e i primi, ultimi, noto anche nella letteratura giudaica, è riferito più volte dagli evangelisti con applicazioni diverse secondo il contesto (Cf. Mc 10,30; Lc 13,30). Va ricordato che queste parole «erano già state dette nel capitolo precedente [19,30] quando Gesù aveva assicurato una ricompensa enorme “sproporzionata” [cento volte tanto e in eredità la vita eterna] ai discepoli: quasi a sottolineare il capovolgimento degli abituali criteri umani fondati sul merito. In questo contesto la parabola diventa non solo una chiara illustrazione di tale principio, ma altresì una certezza consegnata alla comunità dei discepoli. Dio riserva la sua elezione a questi uomini spogli di tutto, di averi e di pretese [gli ultimi!]» (Adriano Schenker - Rosario Scognamiglio).
 
La parabola degli operai mandati nella vigna - Bibbia per la formazione cristiana: Tutto il racconto è orientato alla sorpresa finale: la distribuzione delle paghe al termine della giornata. La protesta degli operai che erano stati ingaggiati per primi ci guida alla scoperta della lezione profonda della parabola, di cui troviamo la chiave nella risposta del padrone: «Sei invidioso perché io sono buono?».
Il padrone non agisce in maniera arbitraria: dà la paga che ha convenuto. E non largheggia esageratamente: dà la paga di una giornata di lavoro. Il suo comportamento rivela un cuore generoso e colmo di misericordia.
Gesù dice agli spiriti gretti di tutti i tempi: Dio è così, agisce così. E io faccio lo stesso. Se la generosità di Dio ci irrita e ci dà fastidio, dovremo ammettere che siamo mossi dall’invidia e non dal desiderio di essere giusti.
Oltre a sottolineare la giustizia e la generosità di Dio, questa parabola del regno ci insegna un’altra cosa non meno importante: Dio chiama tutti e sempre al suo regno. Il padrone non si preoccupa di quando gli operai sono andati nella vigna o di quanto vi hanno lavorato: quello che conta è che ci siano andati. Per tutto il giorno va a cercare operai e invita al «lavoro». Se alcuni non sono andati più presto è perché nessuno li ha ingaggiati; nessuno è andato a offrire loro l’opportunità di lavorare nella vigna.
Quelli che alla sera protestano non pensano che all’inizio della giornata loro erano già sicuri di poter lavorare, erano già «in salvo». Invidiosi del trattamento riservato agli altri, pensano che sarebbe stato meglio andare nella vigna all’ultima ora. Non hanno capito il dono del Signore. Non guardano con amore e con riconoscenza al suo interesse per tutti gli uomini.
 
Agostino (Sermo 87 ,4.6): … ricevettero un denaro ciascuno: il quale rappresenta la Vita eterna, che sarà uguale per tutti. Anche se alcuni risplenderanno di più, e altri di meno, secondo i propri meriti, tuttavia, per quanto riguarda la Vita eterna, essa sarà uguale per tutti ... Il premio degli uni sarà più elevato di quello degli altri, tuttavia, per quanto riguarda il vivere in eterno, quello non vivrà più a lungo d’un altro, né questo più a lungo di quello.
 
Il Santo del giorno  - 24 Settembre 2023 - San Pacifico da Sanseverino Marche, Cappuccino: Carlo Antonio Divini nacque a San Severino Marche il primo marzo 1653 da Anton Maria Divini e Maria Angela Bruni, nobili di San Severino. Dopo la morte dei genitori, fu allevato dallo zio materno, arcidiacono della cattedrale di San Severino. A diciassette anni, entrò a far parte dell’Ordine dei frati minori con il nome di fra Pacifico.
Diventato vicario del convento di San Severino, fu trasferito successivamente nel convento di Forano, dove alternava preghiera e apostolato. Instancabile, predicò la Parola di Cristo in lungo e in largo nelle chiese delle Marche. Nel 1692 fu eletto guardiano del convento di San Severino. L’anno seguente è di nuovo a Forano. Nel settembre 1705 ritornò a San Severino. La sua salute andò progressivamente peggiorando: negli ultimi anni della vita gli divennero impossibili la celebrazione della messa e la partecipazione alla vita comunitaria. Morì il 24 settembre 1721. Non solo la sua vita povera e umile, il suo zelo apostolico ma anche i numerosi miracoli che il Signore compì per sua intercessione e le estasi lo resero noto ed ammirato in tutta la regione. Fu colmo dello spirito profetico: di lui si racconta che predisse il terremoto del 1703 e la vittoria di Carlo VI sui Turchi nel 1717.
 
Guida e sostieni, o Signore, con il tuo continuo aiuto
il popolo che hai nutrito con i tuoi sacramenti,
perché la redenzione operata da questi misteri
trasformi tutta la nostra vita.
Per Cristo nostro Signore.