27 Aprile 2020

Lunedì III Settimana di Pasqua

At 6,8-15; Sal 118 (119); Gv 6,22-29

Colletta: O Dio, che manifesti agli erranti la luce della tua verità, perché possano tornare sulla retta via, concedi a tutti coloro che si professano cristiani di respingere ciò che è contrario a questo nome e di seguire ciò che gli è conforme. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà - Evangelium vitae 37: La vita che il Figlio di Dio è venuto a donare agli uomini non si riduce alla sola esistenza nel tempo. La vita, che da sempre è “in lui” e costituisce “la luce degli uomini” (Gv 1,4), consiste nell’essere generati da Dio e nel partecipare alla pienezza del suo amore: “A quanti l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” (Gv 1,12-13).
A volte Gesù chiama questa vita, che egli è venuto a donare, semplicemente così: “la vita”; e presenta la generazione da Dio come una condizione necessaria per poter raggiungere il fine per cui Dio ha creato l’uomo: “Se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio” (Gv3,3). Il dono di questa vita costituisce l’oggetto proprio della missione di Gesù: egli “è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo” (Gv 6,33), così che può affermare con piena verità: “Chi segue me... avrà la luce della vita” (Gv 8,12).
Altre volte Gesù parla di “vita eterna”, dove l’aggettivo non richiama soltanto una prospettiva sovratemporale. “Eterna” è la vita che Gesù promette e dona, perché è pienezza di partecipazione alla vita dell’“Eterno”. Chiunque crede in Gesù ed entra in comunione con lui ha la vita eterna (Gv 3,15; 6,40), perché da lui ascolta le uniche parole che rivelano e infondono pienezza di vita alla sua esistenza; sono le "parole di vita eterna" che Pietro riconosce nella sua confessione di fede: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,68-69). In che cosa consista poi la vita eterna, lo dichiara Gesù stesso rivolgendosi al Padre nella grande preghiera sacerdotale: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3). Conoscere Dio e il suo Figlio è accogliere il mistero della comunione d’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo nella propria vita, che si apre già fin d’ora alla vita eterna nella partecipazione alla vita divina.

Alla folla, affamata di pane e di «segni» analoghi a quello della manna (6,30-31), Gesù ha manifestato il suo potere divino con la moltiplicazione dei pani (6,1-15), ai discepoli camminando sul mare (6,16-21), ora, con il discorso del pane della vita, rivela la sua identità (6,22-59). Gesù, invitando i giudei a darsi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna, li esorta a darsi da fare a credere in Lui, pane vero disceso del cielo. Come la Sapienza invita gli uomini a mangiare il suo pane e a bere il suo vino (Cf. Pr 9,1-6; Sir 24,19-22), così Gesù invita a mangiare la sua carne, il pane vero che dà la vita al mondo e a bere il suo sangue, «versato per tutti gli uomini, in remissione dei peccati» (Mt 26,28). Gesù, Sapienza increata, invita la folla a porsi alla sua sequela: Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! Solo Gesù può dare un cibo e una bevanda veramente capaci di donare la vita eterna, in quanto superano la fragilità temporale e creaturale.

Dal Vangelo secondo Giovanni 6,22-29: Il giorno dopo, la folla, rimasta dall’altra parte del mare, vide che c’era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli. Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie. Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

La folla sazia del pane miracoloso (Cf. Gv 6,1ss), affascinata dalla parola del Maestro (Cf. Lc 19,48), conquistata dalla dolcezza di Gesù (Cf. Mt 11,28-30), si mette alla ricerca del giovane Rabbi. Un entusiasmo non gradito, così invece di accoglienza trova un rimprovero: «Gesù rimprovera al popolo, che lo cerca, la incomprensione del miracolo come segno in cui leggere mediante la fede la rivelazione della sua persona. La loro comprensione è ancora solo naturale, materiale» (Giuseppe Segalla).
Al rimprovero segue una esortazione: Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna. Queste parole allargano gli angusti spazi spirituali del giudaismo: il pane, alimento che perisce, dà soltanto una vita che muore, il pane che il Figlio dell’uomo darà agli uomini spalanca le porte dell’eternità. L’eternità insegnata da Cristo era certamente una categoria religiosa assai lontana dalla teologia dei sadducei e dei farisei, anche se quest’ultimi, a differenza dei primi, credevano nella risurrezione.
Il Figlio dell’uomo darà questo pane perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo. Forse è un riferimento al Battesimo ricevuto da Giovanni nel fiume Giordano: potrebbe riferirsi alla voce del Padre che rivela al mondo Gesù come Figlio suo prediletto (Cf. Mt 3,17), oppure allo Spirito Santo disceso su di lui appena battezzato (Cf. Mt 3,16; Rom 4,11), potenza di Dio per effettuare i «segni» (Cf. Mt 12,28; At 10,38; Ef 1,13.30; 2Cor 1,22).
Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio? I giudei ammettono la loro ignoranza: comprendono la necessità di lavorare per avere il pane terreno, comprendono che devono darsi da fare per il cibo che rimane per la vita eterna, ma non conoscono le condizioni che Dio pone per concederlo. Qui gioca molto la loro mentalità legalista, credono che Dio ponga un prezzo ai suoi doni e credono di poterlo pagare osservando qualche regola o precetto. Praticamente, una sorta di baratto, così come erano avvezzi a credere e a insegnare a motivo di una imperfetta educazione religiosa. La correzione non tarda ad arrivare. L’amore di Dio e i suoi doni sono gratuiti. L’opera che Gesù vuole è unica: credere in lui.

Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna - L’uomo ha sempre temuto la morte, e così tutti «i tentativi della tecnica, per quanto utilissimi, non riescono a calmare le ansietà dell’uomo; il prolungamento di vita che procura la biologia non può soddisfare quel desiderio di vita ulteriore, invincibilmente ancorato nel suo cuore» (GS 18). Di fronte alla morte, solo la Chiesa può dare una risposta alle ansietà dell’uomo circa la sua sorte futura: infatti, «la Chiesa... istruita dalla rivelazione, afferma che l’uomo è stato creato da Dio per un fine di felicità oltre i confini delle miserie terrene» (GS 18). E per raggiungere questo fine di felicità, la Chiesa addita, come mezzo eccellente, l’Eucarestia, «medicina di immortalità, antidoto contro la morte, alimento dell’eterna vita in Gesù Cristo» (Sant’Ignazio di Antiochia).
Non si può dire che si tratti di una pura metafora. Il suo significato pieno e autentico è fondato nel Vangelo: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,54). Si può affermare, come suggerisce padre Raniero Cantalamessa, che l’Eucaristia «permette di assaporare le primizie della vita eterna e per questo è la fonte in cui si rinnovano costantemente “la speranza e la gioia” del cristiano».

Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo - Henri van den Bussche (Giovanni): Nell’Antico Testamento il sigillo ha spesso un significato escatologico. I servi di Iahvé sono segnati per essere risparmiati nella catastrofe finale (Ez 9,4-6; cfr. Ap 7,2-8; 9,14; Salmi di Salomone 15,6-9). Il libro che contiene i segreti del tempo escatologico è sigillato fino all’inizio di questo tempo (Dn. 12, 4-9; Ap. 5-6). Quando nel battesimo il cristiano è «segnato» dallo Spirito diventa, certo, mediante lo Spirito, possesso definitivo di Dio, ma soprattutto è destinato, messo da parte per il trionfo escatologico. Lo Spirito è il garante (2 Co. 1,22; Ef. l,13) del giorno che vedrà la liberazione escatologica (Ef. 4, 30). Quando Dio mette su Gesù il suo sigillo, Gesù diventa Figlio dell’Uomo ed è investito di una funzione escatologica. Non sono le opere che segnano Gesù, perché il sigillo è precedente ad esse (il verbo è all’aoristo), è contemporaneo alla missione. Le opere di Gesù rivelano questo sigillo, questo potere escatologico. In virtù del sigillo che conferma la sua missione di Figlio dell’Uomo, Gesù può compiere le opere. Il sigillo è parallelo e ha lo stesso valore della santificazione in Gv. 10,36, che è trasmissione di potere divino.
Questa legittimazione di Gesù come Figlio dell’Uomo è un passo verso la rivelazione del Figlio. Perché il potere concesso al Figlio dell’Uomo è tale da parte di Dio, che è precisamente il Padre di Gesù. Il procedimento giovanneo che orienta la rivelazione del Figlio dell’Uomo verso la rivelazione del Figlio qui è appena abbozzato. ma sarà ripreso con insistenza nelle sezioni seguenti.

Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): Secondo i maestri della legge mosaica, le opere che erano gradite a Dio e che ottenevano all’uomo la salvezza erano le preghiere e i digiuni, le elemosine e le decime, i riti e le purificazioni. Ma Cristo corregge la prospettiva e chiarisce che l’opera di Dio, il «lavoro» che gli è gradito, più che perdersi in prescrizioni legaliste, è accettare il suo inviato, credere nella persona di Gesù, il messia, sul quale il Padre ha messo il sigillo della divinità. Effettivamente, solo attraverso la fede, dono di Dio, Cristo può essere riconosciuto come suo Figlio e messia.
Dalle parole di Gesù si desume che la fede è grazia e dono di Dio e, allo tesso tempo, compito e risposta libera dell’uomo all’iniziativa e alla gratuità amorosa del Signore. Così lavoreremo per il cibo che dura per la vita eterna, come disse ripetutamente Cristo: non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Soprattutto, cercate il regno di Dio e la sua giustizia; il resto vi sarà dato in sovrappiù.
Tra gli affanni e le preoccupazioni di ogni giorno, fermiamoci un momento: che cosa cerchiamo e a che cosa mirano la nostra vita e il nostro lavoro? Fa male vedere che non c’è differenza tra molti cristiani e altri che si dicono non credenti. Immergiamoci nel compito essenziale della sequela di Cristo, avidi del suo pane che sazia definitivamente la nostra fame di giustizia e di pace, di speranza e d’amore, di silenzio e di contemplazione, di convivenza e di fratellanza, d’equilibrio e di maturità.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4b)
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Padre, guarda la tua Chiesa,
che hai nutrito alla mensa dei santi misteri,
e guidala con mano potente,
perché cresca nella perfetta libertà
e custodisca la purezza della fede.
Per Cristo nostro Signore.



26 Aprile 2020

III Domenica di Pasqua

 At 2,14.22-33; Sal 15 (16); 1Pt 1,17-21; Lc 24,13-35

Colletta: O Dio, che in questo giorno memoriale della Pasqua raccogli la tua Chiesa pellegrina nel mondo, donaci il tuo Spirito, perché nella celebrazione del mistero eucaristico riconosciamo il Cristo crocifisso e risorto, che apre il nostro cuore all’intelligenza delle Scritture, e si rivela a noi nell’atto di spezzare il pane. Egli è Dio, e vive e regna con te...

Benedetto XVI (REGINA CÆLI, 22 Aprile 2012): Quest’oggi, terza Domenica di Pasqua, incontriamo – nel Vangelo secondo Luca - Gesù risorto che si presenta in mezzo ai discepoli (cfr Lc 24,36), i quali, increduli e impauriti, pensano di vedere un fantasma (cfr Lc 24,37). Scrive Romano Guardini: «Il Signore è mutato. Non vive più come prima. La sua esistenza… non è comprensibile. Eppure è corporea, comprende… tutta quanta la sua vita vissuta, il destino attraversato, la sua passione e la sua morte. Tutto è realtà. Sia pure mutata, ma sempre tangibile realtà» (Il Signore. Meditazioni sulla persona e la vita di N.S. Gesù Cristo, Milano 1949, 433).
Poiché la risurrezione non cancella i segni della crocifissione, Gesù mostra agli Apostoli le mani e i piedi. E per convincerli, chiede persino qualcosa da mangiare. Così i discepoli «gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro» (Lc 24,42-43). San Gregorio Magno commenta che «il pesce arrostito al fuoco non significa altro che la passione di Gesù Mediatore tra Dio e gli uomini. Egli, infatti, si degnò di nascondersi nelle acque del genere umano, accettò di essere stretto nel laccio della nostra morte e fu come posto al fuoco per i dolori subiti al tempo della passione» (Hom. in Evang. XXIV, 5: CCL 141, Turnhout 1999, 201).
Grazie a questi segni molto realistici, i discepoli superano il dubbio iniziale e si aprono al dono della fede; e questa fede permette loro di capire le cose scritte sul Cristo «nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi» (Lc 24,44).
Leggiamo, infatti, che Gesù «aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: “Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati… Di questo voi siete testimoni”» (Lc 24,45-48). Il Salvatore ci assicura della sua presenza reale tra noi, per mezzo della Parola e dell’Eucaristia.
Come, perciò, i discepoli di Emmaus riconobbero Gesù nello spezzare il pane (cfr Lc 24,35), così anche noi incontriamo il Signore nella Celebrazione eucaristica. Spiega, a tale proposito, san Tommaso d’Aquino che «è necessario riconoscere secondo la fede cattolica, che tutto il Cristo è presente in questo Sacramento… perché mai la divinità ha lasciato il corpo che ha assunto» (S.Th. III, q. 76, a. 1).

Prima Lettura At 2,14a.22-33 - Non era possibile che la morte lo tenesse in suo potere: La prima lettura è una parte del discorso che Pietro pronunciò a Gerusalemme nel giorno di Pentecoste. La risurrezione di Gesù poggia su due solide testimonianze ed è quindi veritiera (Cf. Dt 19,15; Mt 18,16). La prima testimonianza è quella della Sacra Scrittura, la seconda è quella degli Apostoli: «Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni». Il salmo 15 nel giudaismo veniva letto in chiave messianica e poteva servire, modificando lievemente la versione greca, come argomento per la fede nella risurrezione. Dalla Chiesa apostolica, questa applicazione messianica è stata vista verificata nella risurrezione di Cristo.

Salmo Responsoriale 15 (16) - Mostraci Signore il sentiero della vita: «L’eredità della natura ragionevole è la contemplazione, l’eredità del Cristo è la conoscenza di Dio. Il Cristo dice come sommo sacerdote: Il Signore è la mia porzione. L’eredità del Cristo, quindi, è il Padre, e quelli che il Padre gli dà. Chi ha rinunciato a tutto in questo mondo, può dire: Il Signore è la porzione della mia eredità in eterno. Il Signore si fa pane dandoci i suoi insegnamenti e fortificando il cuore di colui che mangia; si fa calice nella misura in cui contempliamo la verità, e dà la gioia della conoscenza a chi beve con amore. La vera Vigna ci tende il calice e chi beve dice, con un rendimento di grazie: Hai dato gioia nel mio cuore (Sal 4,7)» (Origene).

Seconda Lettura 1Pt 1,17-21:  Foste liberati con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia: Nella seconda lettura, Gesù viene presentato come l’Agnello «senza difetti e senza macchia», immolato per la salvezza degli uomini. Il sacrificio di Gesù-Agnello era stato predestinato fin dalla creazione del mondo e manifestato negli ultimi tempi (Cf. Rom 16,25; 1Cor 2,7.10; Gal 4,4; Ef 3,5). Un disegno che prevedeva e predisponeva la salvezza di tutti gli uomini mediante l’incarnazione, la morte e risurrezione di Cristo, nonostante la loro insipienza e il loro abbrutimento nel peccato (Cf. Rom 1-3).

Vangelo Lc 24,13-35 - Lo riconobbero nello spezzare il pane: Il racconto dell’apparizione di Gesù risorto ai discepoli di Emmaus si trova solo nel Vangelo di Luca. È una pagina di rara efficacia letteraria. Volendo indicare al discepolo l’unico cammino che porta alla fede, ha un intento catechetico, pedagogico e didattico di grande spessore. Il racconto tocca il suo acme quando l’evangelista si ferma a descrivere ciò che fece Gesù: «Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro». Spezzare il pane, sono le parole con cui l’evangelista Luca, indica «il pasto eucaristico in At 2,42 e 20,27. Nel sacramento eucaristico, cuore di tutto il sistema sacramentale, il cammino catechistico dei discepoli di Gesù si compie: hanno fatto esperienza di Gesù risorto “nello spezzare il pane”. Avendone fatta l’esperienza, non hanno più bisogno di vederlo» (Alfonso Sidoti).

Dal Vangelo secondo Luca 24,13-35: Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? - Alois Stoger (Commenti spirituali del Nuovo Testamento, Vangelo secondo Luca, Vol. II): Secondo il decreto di Dio, il cammino di Gesù per giungere alla gloria messianica deve passare attraverso la sofferenza e la morte. «Dio ha portato a compimento quanto aveva predetto per bocca di tutti i profeti, cioè che il suo Messia doveva soffrire» (Atti, 3,18).
«Secondo il determinato consiglio e la prescienza di Dio, egli fu consegnato e crocifisso per mano d’iniqui» (Atti, 2,23). Questa strada del Messia, la quale solo attraverso il dolore conduce alla gloria, è un imperativo divino, fa parte di quel piano di Dio che comprende entrambe queste due cose: per questa vita la croce, per l’altra la gloria. Cristo è entrato attraverso il dolore nella sua gloria. La gloria è  potenza divina, divino splendore e divina sostanza.
Ciò che nella trasfigurazione si era reso visibile per pochi istanti (Lc. 9,32), ora Gesù, dopo la sua passione, l’ha ottenuto per sempre; d’ora in poi egli si mostrerà in questa gloria: «Si vedrà il Figlio dell’uomo venire con grande potenza e gloria» (Lc 21,27). La trasfigurazione è un’anticipazione della fine dei tempi; in questa èra intermedia la gloria del Figlio di Dio è ancora nascosta, sebbene Gesù già la possegga. Come dopo la morte egli entra nel suo regno (Lc 23,42), così entra anche nella sua gloria.
Il Padre ha stabilito per lui questa gloria, perché egli ha percorso il cammino della prova e del dolore (Lc 22,29). «Dio ha costituito Signore e Messia questo Gesù che voi avete crocifisso» (Atti, 2,36).
Il Risorto spiega ai discepoli la Sacra Scrittura.
Nella Scrittura si trova in grande abbondanza ciò che lo riguarda: nella legge e nei libri dei profeti, in tutte le Scritture, in tutti i libri dei profeti. Ciò di cui la Scrittura dell’Antico Testamento parla è il Cristo, il suo dolore e la sua glorificazione. Il Risorto dà ai discepoli, e per mezzo loro alla Chiesa, le più importanti «regole di ermeneutica»  (interpretazione del significato dei testi) per la comprensione della Sacra Scrittura. La chiave di questa medesima Scrittura è il Cristo risorto; a lui le Scritture rendono testimonianza (Cf. Gv. 5,39-47). I profeti «hanno indagato quale fosse il tempo e quali le circostanze a cui accennasse lo Spirito di Cristo che era in loro, quando preannunziava le sofferenze di Cristo e la gloria che ne sarebbe seguita» (1Pt. 1,10s.). Chi non conosce la Scrittura, non conosce nemmeno Cristo; chi non conosce Cristo, non conosce nemmeno la Scrittura. Solo chi si è «convertito al Signore», chi accetta per fede che Gesù di Nazaret è il Messia promesso e il Figlio di Dio risorto e glorificato, comprende il senso della Sacra Scrittura. 
San Paolo dice: «Sino al giorno d’oggi, quando si legge l’Antico Testamento permane il medesimo velo sopra di loro (i giudei) e non viene rimosso, perché solo in Cristo viene tolto: sì fino ad oggi è  steso un velo sul cuore, quando si legge Mosè. Quando però (Israele) si convertirà al Signore, il velo sarà tolto» (2Cor. 3,14-16).

La morte di Gesù non è la somma di sventurate coincidenze o il coagulo di odi, vendette o risentimenti, ma l’epilogo di un progetto che prevedeva la sua morte a vantaggio di tutti gli uomini (Cf. Eb 2,9). La Croce non è un fallimento, ma la via voluta da Dio (bisognava) per il trionfo definitivo di Cristo sul peccato e sulla morte, e quindi della redenzione di tutti gli uomini. La metodologia usata da Gesù per spiegare tale necessità, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui, vuole indicare ai discepoli la strada maestra per arrivare a comprendere la volontà e le vie di Dio: la Parola di Dio. Ma la Parola non basta: occorre incontrarsi; è necessario fare comunione con Gesù risorto nella frazione del pane, nutrendosi del Pane della Vita che il Risorto dona alla Chiesa; condividendo con i fratelli il pane della carità e della consolazione. Con «somma sapienza cristiana Luca evidenzia il ruolo delle Scritture, ma nello stesso tempo ne esprime anche i limiti. La comprensione introduce nel mistero del Signore, ma non per questo lo dona, perché la partecipazione ad esso non è un fatto di conoscenza razionale, sia pure connotata spiritualmente ... l’esperienza dell’incontro con il Risorto tocca il suo apice nel sacramento, nella “frazione del pane”, nell’eucaristia» (E. Caporello). Quando Luca scrive il racconto, i cristiani già celebravano nelle loro case la cena del Signore (Cf. Atti 2,42.46; 20,7.11). Ed è proprio con l’espressione spezzare il pane che si indicava il memoriale della morte e risurrezione di Gesù. Quindi, Luca ha voluto che il credente, leggendo l’episodio dei discepoli di Emmaus, lo accostasse all’Eucaristia. Usando intenzionalmente un vocabolario eucaristico ha voluto dire ai suoi lettori che la frazione del pane li fa incontrare con il Risorto dando completezza e risonanza all’incontro avvenuto già alla mensa della Parola. Così come avvenne per i discepoli di Emmaus. È quindi una nota liturgica: la comunità cristiana ritrova la presenza del suo Signore nell’ascolto della Parola e nell’Eucaristia celebrata in un convito di fraternità agapica.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** La comunità cristiana ritrova la presenza del suo Signore nell’ascolto della Parola e nell’Eucaristia celebrata in un convito di fraternità agapica.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Guarda con bontà, Signore, il tuo popolo,
che hai rinnovato con i sacramenti pasquali,
e guidalo alla gloria incorruttibile della risurrezione.
Per Cristo nostro Signore.



25 Aprile 2020

Sabato della II settimana di Pasqua

San Marco Evangelista

1 Pt  5,5b-14; Sal 88 (89); Mc 16,15-20

San Marco ha evangelizzato la Buona Novella con la parola, così come testimonia il Libro degli Atti degli Apostoli, ed ha avuto premura di tramandare gli insegnamenti di Cristo attingendo dalla predicazione di Simon Pietro di cui è considerato dalla maggioranza degli studiosi come il suo stenografo. San Marco è “il creatore di un nuovo genere letterario, l’inventore del «Vangelo» nel senso che questo termine, che esprimeva nel cristianesimo delle origini la predicazione orale su Gesù e particolarmente sulla sua passione e morte, diventa comprensivo di tutta la realtà e vicenda storica di Gesù, nel suo cammino dalla Galilea a Gerusalemme. Il Vangelo dunque diventa non tanto una semplice dottrina da proclamare, un messaggio, ma un evento che si attualizza e continua, in certo modo, nella sua proclamazione perché è nato da un’esperienza missionaria” (Enzo Lodi). Il cuore del Vangelo di Marco è la proclamazione di Gesù come Figlio di Dio, rivelato dal Padre, riconosciuto perfino dai demoni, rifiutato e contraddetto dalle folle, dai capi, dai discepoli. Infine, momento culminante del suo Vangelo, è la professione del centurione romano pagano ai piedi di Gesù crocifisso: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!», è la piena definizione della realtà di Gesù e la meta cui deve giungere anche il discepolo.

Colletta: O Dio, che hai glorificato il tuo evangelista Marco con il dono della predicazione apostolica, fa' che, alla scuola del Vangelo, impariamo anche noi a seguire fedelmente il Cristo Signore. Egli è Dio, e vive e regna con te... 

L’invio «fino agli estremi confini della terra» - Redemptoris missio n. 22: Tutti gli evangelisti, quando narrano l’incontro del Risorto con gli apostoli, concludono col mandato missionario: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni... (At 1,8) Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». (Mt 28,18; Mc 16,15; Lc 24,46; Gv 20,21) Questo invio è invio nello Spirito come appare chiaramente nel testo di san Giovanni: Cristo manda i suoi nel mondo. come il Padre ha mandato lui? e per questo dona loro lo Spirito. A sua volta, Luca collega strettamente la testimonianza che gli apostoli dovranno rendere a Cristo con l’azione dello Spirito, che li metterà in grado di attuare il mandato ricevuto
n 23. Le varie forme del «mandato missionario» contengono punti in comune e accenti caratteristici; due elementi però, si ritrovano in tutte le versioni. Anzitutto, la dimensione universale del compito affidato agli apostoli: «Tutte le nazioni»; (Mt 28,19) «in tutto il mondo a ogni creatura»; (Mc 16,15) «tutte le genti»; (Lc 24,47) «fino agli estremi confini della terra». (At 1,8) In secondo luogo, l’assicurazione data loro dal Signore che in questo compito non rimarranno soli, ma riceveranno la forza e i mezzi per svolgere la loro missione. È in ciò la presenza e la potenza dello Spirito e l’assistenza di Gesù: «Essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro». (Mc 16,20) Quanto alle differenze di accento nel mandato, Marco presenta la missione come proclamazione, o kérygma: «Proclamate il Vangelo». (Mc 16,15) Scopo dell’evangelista è di condurre i lettori a ripetere la confessione di Pietro: «Tu sei il Cristo» (Mc 8,29) e a dire, come il centurione romano dinanzi a Gesù morto in croce: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio». (Mc 15,39) In Matteo l’accento missionario è posto sulla fondazione della chiesa e sul suo insegnamento; (Mt 28,19); (Mt 16,18) in lui, dunque, il mandato evidenzia che la proclamazione del Vangelo dev’essere completata da una specifica catechesi di ordine ecclesiale e sacramentale. In Luca la missione è presentata come testimonianza, (Lc 24,48); (At 1,8) che verte soprattutto sulla risurrezione. (At 1,22) Il missionario è invitato a credere alla potenza trasformatrice del Vangelo e ad annunziare ciò che Luca illustra bene, cioè la conversione all’amore e alla misericordia di Dio, l’esperienza di una liberazione integrale fino alla radice di ogni male, il peccato. Giovanni è il solo a parlare esplicitamente di «mandato» parola che equivale a «missione» collegando direttamente la missione che Gesù affida ai suoi discepoli con quella che egli stesso ha ricevuto dal Padre: «Come il Padre ha mandato me, così io mando voi».

Dal Vangelo secondo Marco 16,15-20: In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Andate in tutto il mondo - Gesù risorto era apparso a Maria di Magdala e all’altra Maria e aveva comandato loro di annunciare ai suoi discepoli di andare in Galilea perché là lo avrebbero visto (Cf. Mt 2810).
Geù apparve agli Undici... undici perché Giuda si era impiccato, solo successivamente, con l’elezione di Mattia (Cf. Atti 1,23-26), il numero risalirà a quello originario voluto dallo stesso Cristo (Cf. Lc 6,13).
Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. La missione deve essere rivolta a tutti i popoli, un universalismo che travolge gli angusti spazi del popolo d’Israele.
Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato: Matteo per il battesimo usa la formula trinitaria, … nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, che forse risale alla liturgia. Gli Atti degli Apostoli dicono esplicitamente che il battesimo veniva amministrato nel nome di Gesù (Cf. Atti 2,38; 8,16; 10,48). Comunque, al di là di queste questioni, «la realtà profonda rimane la stessa. Il battesimo si ricollega alla persona di Gesù salvatore; ora tutta la sua opera di salvezza procede dall’amore del Padre e si compie nell’effusione dello Spirito» (Bibbia di Gerusalemme).
A questo proposito san Tommaso d’Aquino fa notare che in «Gesù Cristo vi sono l’umanità e la Divinità. L’umanità è la via, non il fine... Non voglio - Egli dice - che rimaniate nella via, cioè nell’umanità, ma che proseguiate verso la Divinità. Bisognava perciò che due cose venissero indicate: l’umanità e la Divinità. Con il battesimo l’umanità: Per mezzo del Battesimo siamo stati sepolti con Lui nella morte [Rom 6,4]. E con la forma delle parole, la Divinità, in quanto che la santificazione avviene per mezzo della Divinità. Perciò dice: Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (Super Ev. Matth. XXVIII, 2465).
… il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano. È la presenza del Salvatore, «intesa però non in modo statico, ma dinamico, perché viene associata alla missione dei discepoli per la diffusione del vangelo fra tutte le genti. Il popolo di Dio, configurato nel popolo messianico di Cristo, potrà godere della presenza di Dio [= shekinàh] sino alla “consumazione del secolo”, cioè sino alla instaurazione definitiva della sovranità nel giorno del giudizio universale, alla fine dei tempi» (Angelico Poppi).
Una presenza anche taumaturgica: «Allora [gli Undici] partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano» (Mc 16,20).

Andate in tutto il mondo - José Maria Gonzáles-Ruiz: L’invio solenne dei discepoli contiene alcuni particolari molto vicini al linguaggio di Paolo. Infatti, Matteo dice semplicemente: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20). Il testo che commentiamo parla invece di «tutto il mondo» come Rm 1,8 e di «ogni creatura» come Col 1,23.
La minaccia contro gl’increduli deve essere intesa nel suo contesto. Effettivamente, non è detto che colui che non si fa battezzare sia condannato, ma solo che saranno condannati coloro che rifiutano di credere (apistein). Qui si pensa evidentemente a un atteggiamento di ostinazione colpevole di fronte alla proposta della fede, e non accenna ai «non credenti» nel senso moderno della parola.
L’ambiente carismatico, riflesso nel testo, fa pensare a una comunità molto più primitiva e molto meno istituzionalizzata di quella che scorgiamo nel vangelo di Matteo. Qui, infatti, si parla di ammaestrare, e più propriamente «fare discepoli», di battezzare secondo un determinato rito liturgico, di fare osservare i comandamenti di Gesù. Questo significa che anche l’aggiunta finale del secondo vangelo appartiene a uno stadio primitivo delle comunità cristiane, e corrisponde molto bene alla condizione storica, psicologica, ecc. d’una comunità giudeo-cristiana ellenista di Cesarea negli anni 50 della nostra era.
Come in Lc 24,51, Gesù sale al cielo immediatamente dopo aver impartito ai discepoli le istruzioni finali. E per descrivere questo avvenimento, si usano espressioni dell’Antico Testamento prese dalla storia di Elia (2Re 2,11) e dal salmo.
Le apparizioni in Galilea (Mt 28,16) non hanno più posto in questa tradizione; l’attività missionaria dei discepoli con il Signore che «operava insieme con loro» costituisce la vera e propria conclusione del vangelo. La comunità deve avere i suoi responsabili, che non saranno però mai un surrogato del Signore il quale, risuscitato, continua a essere presente in mezzo ai suoi.

Andate in tutto il mondo... Ad gentes n. 1: Inviata per mandato divino alle genti per essere «sacramento universale di salvezza» la Chiesa, rispondendo a un tempo alle esigenze più profonde della sua cattolicità ed all’ordine specifico del suo fondatore, si sforza di portare l’annuncio del Vangelo a tutti gli uomini. Ed infatti gli stessi apostoli, sui quali la Chiesa fu fondata, seguendo l’esempio del Cristo, «predicarono la parola della verità e generarono le Chiese». È pertanto compito dei loro successori perpetuare quest’opera, perché «la parola di Dio corra e sia glorificata» (2Ts 3,1) ed il regno di Dio sia annunciato e stabilito su tutta quanta la terra. D’altra parte, nella situazione attuale delle cose, in cui va profilandosi una nuova condizione per l’umanità, la Chiesa, sale della terra e luce del mondo, avverte in maniera più urgente la propria vocazione di salvare e di rinnovare ogni creatura, affinché tutto sia restaurato in Cristo e gli uomini costituiscano in lui una sola famiglia ed un solo popolo di Dio.

Gli Apostoli hanno trasmesso quello che hanno ricevuto dalla bocca del Cristo: Dei Verbum n. 7: Dio, con somma benignità, dispose che quanto egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse per sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni. Perciò Cristo Signore, nel quale trova compimento tutta intera la Rivelazione di Dio altissimo, ordinò agli apostoli che l’Evangelo, prima promesso per mezzo dei profeti e da lui adempiuto e promulgato di persona venisse da loro predicato a tutti come la fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale, comunicando così ad essi i doni divini. Ciò venne fedelmente eseguito, tanto dagli apostoli, i quali nella predicazione orale, con gli esempi e le istituzioni trasmisero sia ciò che avevano ricevuto dalla bocca del Cristo vivendo con lui e guardandolo agire, sia ciò che avevano imparato dai suggerimenti dello spirito Santo, quanto da quegli apostoli e da uomini a loro cerchia, i quali, per ispirazione dello Spirito Santo, misero per scritto il messaggio della salvezza.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “Allora essi partirono e predicarono dappertutto”. (Vangelo)
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Il dono ricevuto alla tua mensa
ci santifichi, Signore,
e ci confermi nella fedeltà al Vangelo,
che san Marco ha trasmesso alla tua Chiesa.
Per Cristo nostro Signore.



24 Aprile 2020

Venerdì della II settimana di Pasqua

At 5,34-42; Sal 26 (27); Gv 6,1-15

Colletta: Padre misericordioso, che hai voluto che il tuo Figlio subisse per noi il supplizio della croce per liberarci dal potere del nemico, donaci di giungere alla gloria della risurrezione. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Catechismo della Chiesa Cattolica n.1333: Al centro della celebrazione dell’Eucaristia si trovano il pane e il vino i quali, per le parole di Cristo e per l’invocazione dello Spirito Santo, diventano il Corpo e il Sangue di Cristo. Fedele al comando del Signore, la Chiesa continua a fare, in memoria di lui, fino al suo glorioso ritorno, ciò che egli ha fatto la vigilia della sua Passione: “Prese il pane...”, “Prese il calice del vino...”. Diventando misteriosamente il Corpo e il Sangue di Cristo, i segni del pane e del vino continuano a significare anche la bontà della creazione. Così, all’offertorio, rendiamo grazie al Creatore per il pane e per il vino, “frutto del lavoro dell’uomo”, ma prima ancora “frutto della terra” e “della vite”, doni del Creatore. Nel gesto di Melchisedek, re e sacerdote, che “offrì pane e vino” (Gen 14,18) la Chiesa vede una prefigurazione della sua propria offerta.
1334: Nell’Antica Alleanza il pane e il vino sono offerti in sacrificio tra le primizie della terra, in segno di riconoscenza al Creatore. Ma ricevono anche un nuovo significato nel contesto dell’Esodo: i pani azzimi, che Israele mangia ogni anno a Pasqua, commemorano la fretta della partenza liberatrice dall’Egitto; il ricordo della manna del deserto richiamerà sempre a Israele che egli vive del pane della Parola di Dio. Il pane quotidiano, infine, è il frutto della Terra promessa, pegno della fedeltà di Dio alle sue promesse. Il «calice della benedizione» (1Cor 10,16), al termine della cena pasquale degli Ebrei, aggiunge alla gioia festiva del vino una dimensione escatologica, quella dell’attesa messianica della restaurazione di Gerusalemme. Gesù ha istituito la sua Eucaristia conferendo un significato nuovo e definitivo alla benedizione del pane e del calice.
n. 1335: I miracoli della moltiplicazione dei pani, allorché il Signore pronunciò la benedizione, spezzò i pani e li distribuì per mezzo dei suoi discepoli per sfamare la folla, prefigurano la sovrabbondanza di questo unico pane che è la sua Eucaristia. Il segno dell’acqua trasformata in vino a Cana annunzia già l’Ora della glorificazione di Gesù. Manifesta il compimento del banchetto delle nozze nel regno del Padre, dove i fedeli berranno il vino nuovo divenuto il Sangue di Cristo.

Dal Vangelo secondo Giovanni 6,1-15: In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

La moltiplicazione dei pani - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): È uno dei pochi miracoli riportato da tutti e quattro gli evangelisti. E controverso se Giovanni dipenda dai sinottici, oppure se abbia redatto il racconto in modo autonomo, attingendolo da una tradizione orale o scritta. Nonostante la convergenza sostanziale, i riscontrano alcune differenze (dodici per Schnackenburg).
L’intonazione teologica della redazione giovannea è diversa. Mentre i sinottici rilevano la bontà compassionevole di Gesù che soccorre la folla, Giovanni dà rilievo soltanto al significato cristologico del «segno» (v. 14), che ha lo scopo di manifestare l’identità del Cristo. Pertanto, nel racconto di Giovanni tutto si concentra sulla figura e sul ruolo di Gesù: è lui che prende l’iniziativa per provvedere il cibo alla folla (v. 5), che mette alla prova Filippo (v, 6), che distribuisce il pane (v. 11), che comanda di raccogliere i pezzi avanzati (v. 12). Alla fine è riconosciuto come il Profeta escatologico e Messia (v. 14), ma in senso politico e terreno, che Gesù non può accettare: la sua regalità non aveva lo scopo di restaurare la monarchia davidica, bensì di rivelare l’amore salvifico del Padre per l’umanità intera. La sovrabbondanza del pane prodigioso da lui procurato rappresentava l’adempimento degli oracoli dei profeti, concernenti il cumulo dei beni, previsti per il tempo messianico. La descrizione del miracolo assume in Giovanni una forte coloritura sapienziale e eucaristica, che viene esplicitato nel discorso successivo sul pane di vita.

Il Pane - Il pane era considerato come dono di Dio, alimento dell’umana energia (Sal 104,14s; IRe 19,6ss); immagine concreta della vita umana; la mancanza del pane significava l’esaurimento delle possibilità di vita (Am 4,6), e veniva avvertita come una punizione (Ger 5,17; Ez 4,16s); l’abbondanza del pane si con­siderava come benedizione di Dio (Sal 37,25; 132,15; Pro 12,11). Con l’immagine del pane non si indicava solo la vita corporale ma anche quella spirituale: la sofferenza = pane delle lacrime e della cenere (Sal 80,6; 102,10; Is 30,20), il  peccato = pane del delitto (Pro 4,17), la pigrizia = pane dell’indolenza (Pro 31,27), la fatica della vita = mangiare il pane col sudore della fronte (Gen 3,19), l’allegrezza = pane della gioia (Qo 9,7). Il pane serviva come alimentazione individuale, ma era anche un segno di comunione: mangiare il pane con qualcuno era segno di amicizia (Sal 41,10), spezzare il pane era segno di ospitalità (Gen 18,5), espressione di amore fraterno (Is 18,7; Ez 18,7.16; Tb 4,16) e veniva considerata un’opera di pietà religiosa. In via normale si mangiava pane lievitato; si usava pane azzimo quando si aveva premura (Gen 19,3) a nel tempo del raccolto (Rt 2,14); specialmente nel culto era molto importante il pane azzimo: nel tempio si usavano i pani della presenza (IRe 7,48; 2Cron 13,11) e venivano offerti dei pani come primizie (Lv 23,17); pane azzimo veniva usato ancora nel rituale del sacrificio (Es 23,18; 34,25); secondo Es 12,8.11.39, il suo uso doveva ricordare nella pasqua l’uscita dall’Egitto: Dio aveva nutrito il suo popolo nel deserto con la manna e così gli aveva manifestato la sua assistenza. Nei profeti il pane è equiparato in molti modi alla parola di Dio (Am 8,11), al banchetto messianico (Is 55,1ss), con la sapienza divina (Pro 9,5).  Il Nuovo Tetamento considera il pane come cibo quotidiano (Mr 6,32-44 par; 8, 1-10; 6,8; 7,27), come la parola di Dio che è importante per l’uomo (Mt 4,4); in Giovanni Cristo è indicato come p.ane del cielo (Gv 6,32s.49ss), come pane vivo (Gv 6,35.48), come vero pane (Gv 6,32s); il mangiare di questo pane significa la fede e comunica la nuova vita all’uomo (Gv 6,51).

Eucarestia - P. Benoit: Senso della Parola 1. Ringraziamento e benedizione. - Per sé «eucaristia» significa: riconoscenza, gratitudine, donde ringraziamento. Questo senso, il più ordinario nel greco profano, si incontra parimenti nella Bibbia greca, specialmente nelle relazioni umane (Sap 18,2; 2Mac 2,27; 12,31; Atti 24,3; Rom 16,4). Nei confronti di Dio il ringraziamento (2Mac 1,11; 1Tess 3,9; 1Cor 1,14; Col 1,12) assume ordinariamente la forma di una preghiera (Sap 16,28; 1Tess 5,17s; 2Cor 1,11; Col 3,17; ecc.), come all’inizio delle lettere paoline (ad es. 1Tess 1,2). Si collega allora naturalmente alla benedizione che celebra le «meraviglie» di Dio, perché queste meraviglie si esprimono per l’uomo in benefizi che danno alla lode il colorito della riconoscenza; in queste condizioni il ringraziamento è accompagnato da una «anamnesi», mediante la quale la memoria evoca il passato (Giudet 8,25s; Apoc 11,17s), e l’eucharistèin equivale ad euloghèin (1Cor 14,16ss). Questa eulogia eucaristia si incontra particolarmente nei pasti giudaici, le cui benedizioni lodano e ringraziano Dio per gli alimenti che ha dato agli uomini. Paolo parla in questo senso di mangiare con «eucaristia» (Rom 14,6; 1Cor 10,30; 1Tim 4,3s).
2. L’uso di Gesù e l’uso cristiano - Nella prima moltiplicazione dei pani Gesù pronuncia una «benedizione» secondo i sinottici (Mt 14,19 par.), un «ringraziamento» secondo Gv 6,11.23; nella seconda moltiplicazione Mt 15,36 menziona un «ringraziamento», mentre Mc 8,6s parla di «ringraziamento» sul pane e di «benedizione» sui pesci. Questa equivalenza pratica dissuade dal distinguere nell’ultima cena la «benedizione» sul pane (Mt 26,26 par.; cfr. Lc 24,30) ed il «ringraziamento» sul calice (Mt 26,27 par.). Viceversa Paolo parla di «ringraziamento» sul pane (1Cor 11,24) e di «benedizione» sul calice (1Cor 10,16).
Di fatto nell’uso cristiano è prevalso il termine «eucaristia» per designare l’azione istituita da Gesù alla vigilia della sua morte. Ma si terrà presente che questo termine esprime tanto una lode delle meraviglie di Dio, quanto e più che un ringraziamento per il bene che ne traggono gli uomini. Mediante quest’atto decisivo, in cui ha affidato ad alimenti il valore eterno della sua morte redentrice, Gesù ha consumato e fissato per i secoli questo omaggio di se stesso e di tutte le cose a Dio, che è l’elemento proprio della «religione» e che è l’elemento essenziale della sua opera di salvezza: nella sua persona offerta sulla croce, e nella eucaristia, tutta l’umanità, e l’universo che ne è la cornice, fanno ritorno al Padre. Questa ricchezza dell’eucaristia, che la pone al centro del culto cristiano, noi la troviamo in testi densi, he bisogna analizzare a fondo.

C’è qui un ragazzo: Benedetto XVI (Angelus, 29 Luglio 2012): Nella scena della moltiplicazione, viene segnalata anche la presenza di un ragazzo, che, di fronte alla difficoltà di sfamare tanta gente, mette in comune quel poco che ha: cinque pani e due pesci (cfr Gv 6,8). Il miracolo non si produce da niente, ma da una prima modesta condivisione di ciò che un semplice ragazzo aveva con sé. Gesù non ci chiede quello che non abbiamo, ma ci fa vedere che se ciascuno offre quel poco che ha, può compiersi sempre di nuovo il miracolo: Dio è capace di moltiplicare il nostro piccolo gesto di amore e renderci partecipi del suo dono. La folla è colpita dal prodigio: vede in Gesù il nuovo Mosè degno del potere, e nella nuova manna il futuro assicurato, ma si ferma all’elemento materiale, che hanno mangiato, e il Signore, «sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo» (Gv 6,15). Gesù non è un re terreno che esercita il dominio, ma un re che serve, che si china sull’uomo per saziare non solo la fame materiale, ma soprattutto la fame più profonda, la fame di orientamento, di senso, di verità, la fame di Dio. Cari fratelli e sorelle, chiediamo al Signore di farci riscoprire l’importanza di nutrirci non solo di pane, ma di verità, di amore, di Cristo, del corpo di Cristo, partecipando fedelmente e con grande consapevolezza all’Eucaristia, per essere sempre più intimamente uniti a Lui. Infatti «non è l’alimento eucaristico che si trasforma in noi, ma siamo noi che veniamo da esso misteriosamente cambiati. Cristo ci nutre unendoci a sé; ci attira dentro di sé» (Esort. Apost. Sacramentum caritatis, 70). Allo stesso tempo, vogliamo pregare perché non manchi mai a nessuno il pane necessario per una vita dignitosa, e siano abbattute le disuguaglianze non con le armi della violenza, ma con la condivisione e l’amore.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». (Vangelo)
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Padre, che alla mensa dei santi misteri
nutri e fai crescere la Chiesa,
donaci di accogliere il messaggio del tuo amore,
per divenire nel mondo lievito e strumento di salvezza.
Per Cristo nostro Signore.