27 Aprile 2020
Lunedì III Settimana di Pasqua
At 6,8-15; Sal 118 (119); Gv 6,22-29
Colletta: O Dio, che manifesti agli erranti la luce della tua verità, perché possano tornare sulla retta via, concedi a tutti coloro che si professano cristiani di respingere ciò che è contrario a questo nome e di seguire ciò che gli è conforme. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà - Evangelium vitae 37: La vita che il Figlio di Dio è venuto a donare agli uomini non si riduce alla sola esistenza nel tempo. La vita, che da sempre è “in lui” e costituisce “la luce degli uomini” (Gv 1,4), consiste nell’essere generati da Dio e nel partecipare alla pienezza del suo amore: “A quanti l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” (Gv 1,12-13).
A volte Gesù chiama questa vita, che egli è venuto a donare, semplicemente così: “la vita”; e presenta la generazione da Dio come una condizione necessaria per poter raggiungere il fine per cui Dio ha creato l’uomo: “Se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio” (Gv3,3). Il dono di questa vita costituisce l’oggetto proprio della missione di Gesù: egli “è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo” (Gv 6,33), così che può affermare con piena verità: “Chi segue me... avrà la luce della vita” (Gv 8,12).
Altre volte Gesù parla di “vita eterna”, dove l’aggettivo non richiama soltanto una prospettiva sovratemporale. “Eterna” è la vita che Gesù promette e dona, perché è pienezza di partecipazione alla vita dell’“Eterno”. Chiunque crede in Gesù ed entra in comunione con lui ha la vita eterna (Gv 3,15; 6,40), perché da lui ascolta le uniche parole che rivelano e infondono pienezza di vita alla sua esistenza; sono le "parole di vita eterna" che Pietro riconosce nella sua confessione di fede: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,68-69). In che cosa consista poi la vita eterna, lo dichiara Gesù stesso rivolgendosi al Padre nella grande preghiera sacerdotale: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3). Conoscere Dio e il suo Figlio è accogliere il mistero della comunione d’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo nella propria vita, che si apre già fin d’ora alla vita eterna nella partecipazione alla vita divina.
Alla folla, affamata di pane e di «segni» analoghi a quello della manna (6,30-31), Gesù ha manifestato il suo potere divino con la moltiplicazione dei pani (6,1-15), ai discepoli camminando sul mare (6,16-21), ora, con il discorso del pane della vita, rivela la sua identità (6,22-59). Gesù, invitando i giudei a darsi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna, li esorta a darsi da fare a credere in Lui, pane vero disceso del cielo. Come la Sapienza invita gli uomini a mangiare il suo pane e a bere il suo vino (Cf. Pr 9,1-6; Sir 24,19-22), così Gesù invita a mangiare la sua carne, il pane vero che dà la vita al mondo e a bere il suo sangue, «versato per tutti gli uomini, in remissione dei peccati» (Mt 26,28). Gesù, Sapienza increata, invita la folla a porsi alla sua sequela: Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! Solo Gesù può dare un cibo e una bevanda veramente capaci di donare la vita eterna, in quanto superano la fragilità temporale e creaturale.
Dal Vangelo secondo Giovanni 6,22-29: Il giorno dopo, la folla, rimasta dall’altra parte del mare, vide che c’era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli. Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie. Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
La folla sazia del pane miracoloso (Cf. Gv 6,1ss), affascinata dalla parola del Maestro (Cf. Lc 19,48), conquistata dalla dolcezza di Gesù (Cf. Mt 11,28-30), si mette alla ricerca del giovane Rabbi. Un entusiasmo non gradito, così invece di accoglienza trova un rimprovero: «Gesù rimprovera al popolo, che lo cerca, la incomprensione del miracolo come segno in cui leggere mediante la fede la rivelazione della sua persona. La loro comprensione è ancora solo naturale, materiale» (Giuseppe Segalla).
Al rimprovero segue una esortazione: Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna. Queste parole allargano gli angusti spazi spirituali del giudaismo: il pane, alimento che perisce, dà soltanto una vita che muore, il pane che il Figlio dell’uomo darà agli uomini spalanca le porte dell’eternità. L’eternità insegnata da Cristo era certamente una categoria religiosa assai lontana dalla teologia dei sadducei e dei farisei, anche se quest’ultimi, a differenza dei primi, credevano nella risurrezione.
Il Figlio dell’uomo darà questo pane perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo. Forse è un riferimento al Battesimo ricevuto da Giovanni nel fiume Giordano: potrebbe riferirsi alla voce del Padre che rivela al mondo Gesù come Figlio suo prediletto (Cf. Mt 3,17), oppure allo Spirito Santo disceso su di lui appena battezzato (Cf. Mt 3,16; Rom 4,11), potenza di Dio per effettuare i «segni» (Cf. Mt 12,28; At 10,38; Ef 1,13.30; 2Cor 1,22).
Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio? I giudei ammettono la loro ignoranza: comprendono la necessità di lavorare per avere il pane terreno, comprendono che devono darsi da fare per il cibo che rimane per la vita eterna, ma non conoscono le condizioni che Dio pone per concederlo. Qui gioca molto la loro mentalità legalista, credono che Dio ponga un prezzo ai suoi doni e credono di poterlo pagare osservando qualche regola o precetto. Praticamente, una sorta di baratto, così come erano avvezzi a credere e a insegnare a motivo di una imperfetta educazione religiosa. La correzione non tarda ad arrivare. L’amore di Dio e i suoi doni sono gratuiti. L’opera che Gesù vuole è unica: credere in lui.
Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna - L’uomo ha sempre temuto la morte, e così tutti «i tentativi della tecnica, per quanto utilissimi, non riescono a calmare le ansietà dell’uomo; il prolungamento di vita che procura la biologia non può soddisfare quel desiderio di vita ulteriore, invincibilmente ancorato nel suo cuore» (GS 18). Di fronte alla morte, solo la Chiesa può dare una risposta alle ansietà dell’uomo circa la sua sorte futura: infatti, «la Chiesa... istruita dalla rivelazione, afferma che l’uomo è stato creato da Dio per un fine di felicità oltre i confini delle miserie terrene» (GS 18). E per raggiungere questo fine di felicità, la Chiesa addita, come mezzo eccellente, l’Eucarestia, «medicina di immortalità, antidoto contro la morte, alimento dell’eterna vita in Gesù Cristo» (Sant’Ignazio di Antiochia).
Non si può dire che si tratti di una pura metafora. Il suo significato pieno e autentico è fondato nel Vangelo: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,54). Si può affermare, come suggerisce padre Raniero Cantalamessa, che l’Eucaristia «permette di assaporare le primizie della vita eterna e per questo è la fonte in cui si rinnovano costantemente “la speranza e la gioia” del cristiano».
Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo - Henri van den Bussche (Giovanni): Nell’Antico Testamento il sigillo ha spesso un significato escatologico. I servi di Iahvé sono segnati per essere risparmiati nella catastrofe finale (Ez 9,4-6; cfr. Ap 7,2-8; 9,14; Salmi di Salomone 15,6-9). Il libro che contiene i segreti del tempo escatologico è sigillato fino all’inizio di questo tempo (Dn. 12, 4-9; Ap. 5-6). Quando nel battesimo il cristiano è «segnato» dallo Spirito diventa, certo, mediante lo Spirito, possesso definitivo di Dio, ma soprattutto è destinato, messo da parte per il trionfo escatologico. Lo Spirito è il garante (2 Co. 1,22; Ef. l,13) del giorno che vedrà la liberazione escatologica (Ef. 4, 30). Quando Dio mette su Gesù il suo sigillo, Gesù diventa Figlio dell’Uomo ed è investito di una funzione escatologica. Non sono le opere che segnano Gesù, perché il sigillo è precedente ad esse (il verbo è all’aoristo), è contemporaneo alla missione. Le opere di Gesù rivelano questo sigillo, questo potere escatologico. In virtù del sigillo che conferma la sua missione di Figlio dell’Uomo, Gesù può compiere le opere. Il sigillo è parallelo e ha lo stesso valore della santificazione in Gv. 10,36, che è trasmissione di potere divino.
Questa legittimazione di Gesù come Figlio dell’Uomo è un passo verso la rivelazione del Figlio. Perché il potere concesso al Figlio dell’Uomo è tale da parte di Dio, che è precisamente il Padre di Gesù. Il procedimento giovanneo che orienta la rivelazione del Figlio dell’Uomo verso la rivelazione del Figlio qui è appena abbozzato. ma sarà ripreso con insistenza nelle sezioni seguenti.
Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): Secondo i maestri della legge mosaica, le opere che erano gradite a Dio e che ottenevano all’uomo la salvezza erano le preghiere e i digiuni, le elemosine e le decime, i riti e le purificazioni. Ma Cristo corregge la prospettiva e chiarisce che l’opera di Dio, il «lavoro» che gli è gradito, più che perdersi in prescrizioni legaliste, è accettare il suo inviato, credere nella persona di Gesù, il messia, sul quale il Padre ha messo il sigillo della divinità. Effettivamente, solo attraverso la fede, dono di Dio, Cristo può essere riconosciuto come suo Figlio e messia.
Dalle parole di Gesù si desume che la fede è grazia e dono di Dio e, allo tesso tempo, compito e risposta libera dell’uomo all’iniziativa e alla gratuità amorosa del Signore. Così lavoreremo per il cibo che dura per la vita eterna, come disse ripetutamente Cristo: non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Soprattutto, cercate il regno di Dio e la sua giustizia; il resto vi sarà dato in sovrappiù.
Tra gli affanni e le preoccupazioni di ogni giorno, fermiamoci un momento: che cosa cerchiamo e a che cosa mirano la nostra vita e il nostro lavoro? Fa male vedere che non c’è differenza tra molti cristiani e altri che si dicono non credenti. Immergiamoci nel compito essenziale della sequela di Cristo, avidi del suo pane che sazia definitivamente la nostra fame di giustizia e di pace, di speranza e d’amore, di silenzio e di contemplazione, di convivenza e di fratellanza, d’equilibrio e di maturità.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4b)
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
O Padre, guarda la tua Chiesa,
che hai nutrito alla mensa dei santi misteri,
e guidala con mano potente,
perché cresca nella perfetta libertà
e custodisca la purezza della fede.
Per Cristo nostro Signore.
che hai nutrito alla mensa dei santi misteri,
e guidala con mano potente,
perché cresca nella perfetta libertà
e custodisca la purezza della fede.
Per Cristo nostro Signore.