MERCOLEDÌ 26 GIUGNO 2019

MERCOLEDÌ DELLA XII SETTIMANA T. O. 

I Lettura Gen 15,1-12.17-18; Salmo Responsoriale: Dal Salmo 104 (105); Mt 7,15-20

Colletta: Dona al tuo popolo, o Padre, di vivere sempre nella venerazione e nell’amore per il tuo santo nome, poiché tu non privi mai della tua guida coloro che hai stabilito sulla roccia del tuo amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Gli occhi ci aiutano a non andare a tentoni, i ciechi hanno bisogno di una guida o di un bastone per avanzare sicuri, così i credenti ciechi nell’anima, e senza una guida, non avanzano nel cammino della fede e corrono il rischio di accogliere ogni vento di dottrina (Ef 4,14). Gesù ha dato ai discepoli una regola infallibile per accorgersi se colui che parla viene da Dio o da altre sponde: dai frutti li riconoscerete. E così per evitare confusione o dubbi, la Scrittura offre ai credenti un elenco di frutti e di opere, certamente stringato ma abbastanza completo: sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità... (Gal 5,19ss). Certo, i falsi profeti amano il travestimento e sono molti abili nel trucco, ma, alla fine, tutto viene alla luce. Gesù è la verità e non può permettere che il discepolo resti nel buio della confusione, lui è la luce e illumina i suoi passi, è la via sicura sulla quale muovere speditamente i passi per giungere alla meta, quella della salvezza.

Vangelo - Dal vangelo secondo Matteo 7,15-20: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li riconoscerete».

I falsi profeti sono i maestri di menzogna che seducono il popolo di Dio, lo traviano, trascinandolo sulle vie della apostasia. Israele conosce bene la dolorosa esperienza di uomini che si presentano nella veste di profeti inviati da Dio ed invece sono «lupi che dilaniano la preda, versano il sangue, fanno perire la gente per turpi guadagni» (Ez 22,27). Gesù, a questo proposito, a pie’ sospinto, ha messo in guarda i suoi discepoli:  «Badate che nessuno vi inganni! Molti infatti verranno nel mio nome, dicendo: “Io sono il Cristo”, e trarranno molti in inganno …  Allora, se qualcuno vi dirà: “Ecco, il Cristo è qui”, oppure: “È là”, non credeteci; perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi segni e miracoli, così da ingannare, se possibile, anche gli eletti. Ecco, io ve l’ho predetto» (Mt 24,4-5.24-25). Gesù “allude ai Farisei; egli non intende toccare la loro condotta, bensì la dottrina che seguono e insegnano” (Benedetto Prete). Anche la Chiesa non sarà immune da simile flagello: «Io so che dopo la mia partenza verranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge; perfino in mezzo a voi sorgeranno alcuni a parlare di cose perverse, per attirare i discepoli dietro di sé.  Per questo vigilate» (At 20,29-31). E non è soltanto una profezia, ma amara esperienza: «O stolti Gàlati, chi vi ha incantati? Proprio voi, agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso!» (Gal 3,1). La regola infallibile che Gesù suggerisce ai discepoli per smascherare i lupi travestiti da agnelli è valida per tutti i tempi, anche se sempre, ad intra o ad extra della Chiesa, sorgeranno falsi profeti i quali al loro tramonto al loro attivo avranno soltanto defezioni, lacerazioni, errori dottrinali, fazioni e scismi, purtroppo a volte insanabili. Una presenza pruriginosa, maligna, ma per i falsi profeti la condanna è in atto ormai da tempo e la loro rovina non si fa attendere: «Ci sono stati anche falsi profeti tra il popolo, come pure ci saranno in mezzo a voi falsi maestri, i quali introdurranno fazioni che portano alla rovina, rinnegando il Signore che li ha riscattati. Attirando su se stessi una rapida rovina,  molti seguiranno la loro condotta immorale e per colpa loro la via della verità sarà coperta di disprezzo. Nella loro cupidigia vi sfrutteranno con parole false; ma per loro la condanna è in atto ormai da tempo e la loro rovina non si fa attendere» (2Pt 2,1-3).

La profezia nella Chiesa - Paul Beauchamp: «Le profezie un giorno spariranno», spiega Paolo (1Cor 13,8). Ma allora sarà la fine dei tempi. La venuta di Cristo in terra, lungi dall’eliminare il carisma della profezia, ne ha provocato, al contrario, l’estensione che era stata predetta.
«Possa tutto il popolo essere profeta!», augurava Mosè (Num 11,29). E Gioele vedeva realizzarsi questo augurio «negli ultimi tempi» (Gioe 3,1-4). Nel giorno della Pentecoste, Pietro dichiara compiuta questa profezia: lo Spirito di Gesù si è effuso su ogni carne: visione e profezia sono cose comuni nel nuovo popolo di Dio. Il carisma delle profezie è effettivamente frequente nella Chiesa apostolica (cfr. Atti 11,27s; 13,1; 21,10s). Nelle Chiese da lui fondate, Paolo vuole che esso non sia deprezzato (1Tess 5,20). Lo colloca molto al di sopra del dono delle lingue (1Cor 14,1-5); ma non di meno ci tiene a che sia esercitato nell’ordine e per il bene della comunità (14,29-32).
Il profeta del NT, non diversamente da quello del VT, non ha come sola funzione quella di predire il futuro: egli «edifica, esorta, consola» (14,3), funzioni che riguardano da vicino la predicazione. L’autore profetico dell’Apocalisse incomincia con lo svelare alle sette Chiese ciò che esse sono (Apoc 2-3), come facevano gli antichi profeti. Soggetto egli stesso al controllo degli altri profeti (1Cor 14,32) ed agli ordini dell’autorità (14,37), il profeta non potrebbe pretendere di portare a sé la comunità (cfr. 12,4-11), né di governare la Chiesa. Fino al termine, il profetismo autentico sarà riconoscibile grazie alle regole del discernimento degli spiriti. Già nel VT il Deuteronomio non vedeva forse nella dottrina dei profeti il segno autentico della loro missione divina (Deut 13,2-6)? Cosi è ancora. Infatti il profetismo non si spegnerà con l’età apostolica.
Sarebbe difficile comprendere la missione di molti santi della Chiesa senza riferimento al carisma profetico, il quale rimane soggetto alle regole enunciate da S. Paolo.

I falsi profeti - Ortensi Da Spinetoli (Matteo): La preoccupazione di Gesù e dell’evangelista è quella di mettere in guardia dai perturbatori della pace comunitaria, dai predicatori di novità e di facili dottrine. La chiesa apostolica, che ha condannato ripetutamente il carismaticismo o l’avventurismo spirituale, ha segnalato vari criteri per distinguere la vera dalla falsa profezia. Matteo offre un criterio più semplice: il riferimento alla vita che essi conducono. «Li conoscerete dai loro frutti », non dalle conseguenze della loro predicazione, che possono essere incidentalmente anche buone, ma dai frutti che essa produce nella loro vita. Se l’animo è retto e i princìpi sono sani questi non possono solo esprimersi in belle parole, occorre che si manifestino in opere buone. Sono esse che giudicano la natura della pianta e, quindi, fuori metafora, la rettitudine o falsità del predicatore. Il principio adibito già dal Battista per stigmatizzare la cattiva condotta dei farisei (Mt. 3, 10), verrà ripreso più tardi da Gesù per redarguire i suoi avversari (Mt. 12, 33). La condanna che l’evangelista pronuncia contro i falsi cristiani (v. 19) e i falsi profeti (v. 20) è definitiva. Il fuoco in cui vengono gettate le piante infruttuose contiene un accenno alla geenna, simbolo della perdizione eterna. Quando l’evangelista scrive, i primi falsificatori del Cristo, piovuti dal di fuori o spuntati dal seno della comunità, erano già apparsi. Il tono polemico del discorso non tradisce solo un risentimento contro gli avversari di Gesù (i farisei o i sadducei), ma fa trapelare la reazione della chiesa contro le prime insinuazioni ereticali.

Dai loro frutti li riconoscerete: Paolo VI (Esortazione Apostolica Quinque iam anni, 1970): Facciamo attenzione ai problemi che sorgono dalla vita degli uomini, specialmente dei giovani: «Se un figlio domanda del pane - dice Gesù - quale è fra di voi quel padre che gli darà un sasso?» (Lc 11,11). Accogliamo volentieri le istanze che vengono a turbare la nostra pacifica quiete. Siamo pazienti davanti alle indecisioni di coloro che cercano come a tentoni la luce. Sappiamo camminare fraternamente con tutti coloro che, privi di questa luce, della quale noi godiamo i benefici, nondimeno tendono, attraverso le nebbie del dubbio, verso la casa paterna. Ma se noi prendiamo parte alle loro angosce, sia per cercare di guarirle; se noi presentiamo loro Gesù Cristo, questi sia il Figlio di Dio fatto uomo per salvarci e per comunicarci la sua vita, non una figura puramente umana, per quanto meravigliosa e attraente possa essere per il nostro spirito (cfr. 2Gv 7,9). In questa fedeltà a Dio e agli uomini, ai quali siamo da lui inviati, noi sapremo prendere, certo con delicatezza e prudenza, ma con chiaroveggenza e fermezza, le indispensabili decisioni per un giusto discernimento, Ecco, senza dubbio, uno dei compiti più difficili, ma anche, oggi, dei più necessari, per l’episcopato. Infatti, nel contrasto delle opposte ideologie c’è pericolo che la più grande generosità si accompagni ad affermazioni quanto mai discutibili: «anche in mezzo a noi - come al tempo di San Paolo - sorgono uomini che insegnano delle dottrine perverse per trascinar dietro a sé dei discepoli» (At 20,30), e coloro che parlano in tal modo sono a volte persuasi di farlo in nome di Dio, illudendosi sullo spirito che li anima. Siamo noi abbastanza vigili, per ben discernere la parola di fede, sui frutti che essa produce? Potrebbe venire da Dio una parola che faccia perdere ai fedeli il senso della rinunzia evangelica, o che proclami la giustizia tralasciando di annunciare la dolcezza, la misericordia e la purezza, una parola che ponga i fratelli contro i fratelli? Gesù ci ha avvertiti: «dai loro frutti li riconoscerete» (Mt 7,15-20). Proprio tutto questo chiediamo ai collaboratori, che hanno con noi il compito di predicare la parola di Dio. Che la loro testimonianza sia sempre quella del Vangelo e la loro parola quella del Verbo che suscita la fede e, con essa, l’amore verso i nostri fratelli trascinando tutti i discepoli del Cristo a permeare del suo spirito la mentalità, i costumi, e la vita della città terrestre.

Giorgio De Capitani (Lettura Spirituale del Vangelo secondo Luca): Le apparenze ingannano, eccome! I frutti - ecco ciò che conta - sono buoni oppure bacati? Quando una società sforna in continuazione prodotti di morte, vuol dire che non mancano guide cieche e profeti falsi. E se ci sono, bisogna stare attenti: magari sono in casa tua! Ciò che spaventa - e lo dico con tanta amarezza e preoccupazione - è il fatto che oggi i falsi profeti o le guide cieche si nascondono o sanno abilmente mimetizzarsi dietro ad apparenti “ecumenismi: l’anticlericalismo è stato un osso duro per la Chiesa, un avversario che ha avuto se non altro l’onestà di agire allo scoperto; ma certi connubi dei nostri tempi, dove la fede è vista come un palliativo, dove si scherza e si gioca con tanta superficialità sul “mi piace questo” e sul “non mi piace quello”, dove è di moda dirsi credenti e poi fare in pratica i propri affari, sono più pericolosi. Ma i frutti sono sempre gli stessi: li puoi, se vuoi, riconoscere. Apri gli occhi della tua mente. Un albero può anche crescere fino a diventare gigantesco, i suoi rami possono estendersi fino a coprire metà mondo, ma, attento, se non ha radici profonde, se non si nutre della linfa vitale, se non viene curato a dovere, lo vedrai un giorno crollare, facendo vittime e vittime, senza contare tutte quelle sostanze velenose che ha disperso e seminato in milioni di cuori.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Gli occhi ci aiutano a non andare a tentoni, i ciechi hanno bisogno di una guida o di un bastone per avanzare sicuri, così i credenti ciechi nell’anima, e senza una guida, non avanzano nel cammino della fede e corrono il rischio di accogliere ogni vento di dottrina (Ef 4,14).    
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, che ci hai rinnovati
con il corpo e sangue del tuo Figlio,
fa’ che la partecipazione ai santi misteri
ci ottenga la pienezza della redenzione.
Per Cristo nostro Signore.



MARTEDÌ 25 GIUGNO 2019

MARTEDÌ DELLA XII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO


I Lettura Gen 13,2.5-18; Salmo Responsoriale: Dal Salmo 14 (15); Mt 7,6.12-14

Colletta: Dona al tuo popolo, o Padre, di vivere sempre nella venerazione e nell’amore per il tuo santo nome, poiché tu non privi mai della tua guida coloro che hai stabilito sulla roccia del tuo amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Per salvarsi è necessario entrare per la porta stretta. Possiamo così affermare che tutta la vita cristiana è milizia, lotta senza sosta contro la carne, il mondo e il diavolo. La «lotta [agon] accentua l’impegno cosciente delle proprie forze per raggiungere una meta [...]. Il lavoro dell’apostolo non è solamente un adempimento fedele del dovere, ma un agon, collegato a pesi e strapazzi [Col 1,29; 1Tm 4,10]. Si tratta della meta ultima e immutabile, la sola che valga: [...] il premio della vittoria, che il cristiano sarà in grado di raggiungere solo se si impegna, talvolta con il sacrificio di tutta la vita e mediante la comunione con le sofferenze di Cristo [Cf. Fil 3,15]» (A. Ringward).
Gesù ci sta dicendo, con estrema chiarezza, che per entrare nel regno di Dio non è solo richiesto il massimo impegno, ma anche la massima rinuncia. Qui siamo molto lontano da quel Vangelo edulcorato, infantile, dove tutto si poggia su un preteso buonismo di Dio che perdona tutti e tutto. Per salvarsi non basterà aver mangiato e bevuto in sua presenza, non sarà sufficiente aver avuto l’onore di averlo ospitato come maestro nelle nostre piazze, non serviranno nemmeno i legami di razza, o essere figli di Abramo, non servirà a nulla per evitare l’esclusione meritata da una condotta iniqua (Cf. Lc 3,7-9; Gv 8,33s).

Vangelo - Dal vangelo secondo Matteo 7,6.12-14: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi. Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti. Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi
sono quelli che la trovano!».

Non date le cose sante ai cani - Felipe F. Ramos - Il primo fra i proverbi raccolti dall’evangelista in questa breve sezione è per noi sconcertante e incomprensibile, semplicemente perché viene subito dopo che ci è stato proibito di giudicare gli altri e ci è stato comandato di applicare la misura della soavità, della comprensione e del perdono. D’altra parte, non sono stati scoperti, nella letteratura giudaica, testi o proverbi paralleli che ci aiutino a comprendere queste dure parole di Gesù. Gli elementi più simili conosciuti finora sono due raccomandazioni che leggiamo nel Talmud: «Non consegnate a un pagano le parole della legge»; «Non mettete le cose sante in luoghi impuri». Ma queste sentenze non ci sono di grande aiuto nel nostro caso. Il «santo» nel campo cultuale - così erano chiamati i sacrifici offerti nel tempio - e le perle nel campo dell’estimazione umana sono cose preziose. Queste cose preziose simboleggiano probabilmente il vangelo, l’annunzio della buona novella. I cani e i porci - animali impuri per i giudei - non sono, come è stato, detto talvolta, basandosi su Mc 7,26-27, i pagani (v. 3,9; 5,3-4; -8,11-12 e altri testi in cui il vangelo appare aperto ai pagani); sono tutti coloro che, a qualsiasi popolo appartengano, conservano, di fronte alla parola di Dio, l’atteggiamento di incomprensione che i porci hanno per le cose preziose; coloro che la rigettano, che non l’apprezzano o la disprezzano. Vi sono atteggiamenti di autosufficienza, di chiusura assoluta, di fronte ai quali l’unica posizione possibile è quella del silenzio.

 La «regola aurea» - Wolfgang Trilling: Questa regola di condotta non appartiene solo al cristianesimo. Anche pagani ed ebrei di alti sentimenti hanno formulato lo stesso principio: dobbiamo trattare gli altri come vorremmo essere trattali noi. Gesù fa propria questa massima di saggezza umana e naturale, ma sulle sue labbra acquista un senso nuovo e diverso da quello che poteva proporre un pagano o un ebreo: Gesù ha parlato di un amo re che non conosce limiti, che trova la sua misura in Dio e non esclude nemmeno il nemico. Ciò che mi aspetto dal prossimo, dal fratelli » nella fede, e ciò che egli può aspettarsi da me, è questo amore. Nei singoli casi, poi, questa «regola aurea» assumerà in concreto contenni i diversi. Certamente nessuno farà valere il diritto di esser trattato così, piuttosto ognuno assumerà il dovere di trattare così gli altri; la coscienza di quel che in ogni circostanza darebbe gioia o dolore a me, è norma sicura di come io devo comportarmi con gli altri. La comprensione di questo passo viene forse resa più difficile a motivo dall’espressione finale: «Questa infatti è la Legge e i Profeti»? No! Questa «norma» corrisponde al contenuto essenziale dell’Antico Testamento sotto l’aspetto morale. L’evangelista non fa che ripetere quanto aveva detto in 5,17: Gesù non ha eliminato l’antica legge, l’ha compiuta mediante una comprensione nuova e un senso più profondo che viene a noi dal Vangelo dell’amore. L’antico resta, ma vissuto con spirito nuovo. Così dev’essere nella nostra vita quotidiana. Ogni giorno incontriamo - nelle conversazioni e nelle letture - molta prudenza, saggezza, esperienza umana: nulla di vero e di elevato viene messo da parte dalla fede cristiana, anzi!, ma deve essere compiuto e perfezionato nello spirito di Gesù.

Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi - La regola d’oro - Catechismo della Chiesa Cattolica 1787-1789: L’uomo talvolta si trova ad affrontare situazioni che rendono incerto il giudizio morale e difficile la decisione. Egli deve sempre ricercare ciò che è giusto e buono e discernere la volontà di Dio espressa nella Legge divina. A tale scopo l’uomo si sforza di interpretare i dati dell’esperienza e i segni dei tempi con la virtù della prudenza, con i consigli di persone avvedute e con l’aiuto dello Spirito Santo e dei suoi doni. Alcune norme valgono in ogni caso: - Non è mai consentito fare il male perché ne derivi un bene. - La «regola d’oro»: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Mt 7,12) - La carità passa sempre attraverso il rispetto del prossimo e della sua coscienza. Parlando « così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza [...] voi peccate contro Cristo» (1Cor 8,12). «È bene non [...] [fare] cosa per la quale il tuo fratello possa scandalizzarsi» (Rm 14,21).

Penitenza - Odilo Kaiser: Il greco “metanoia” esprime bene ciò che è insito alla comprensione veterotestamentaria, soprattutto a quella profetica, della penitenza: la penitenza è cambiamento di mentalità. A questo punto lo sguardo si posa dapprima sulla possibilità di penitenza come benevolenza elargita gratuitamente da Dio, e in seguito, però, anche sull’obbligo che deriva all’uomo a partire da questa possibilità di “conversione”.
L’Antico Testamento conosce opere “esteriori” di penitenza: penitenza “con sacco e cenere” (1Re 21,27).  Preghiera, confessione dei peccati e sacrificio sono espressioni di penitenza (Ne 9-10). A questo punto, però, sorgeva sempre il pericolo che l’attenzione si rivolgesse troppo agli atti esteriori che andavano compiuti correttamente ed erano facilmente controllabili, mentre spariva sullo sfondo il vero e fondamentale cambiamento di mentalità.
Nella predicazione di Gesù, la correzione e l’approfondimento profetici della penitenza come atteggiamento escatologico di fondo raggiungono il loro traguardo (Os 6,6 in Mt 9,13). La penitenza è un’esigenza di fondo dell’irrompente signoria di Dio e, in quanto tale, rinuncia totale all’orgoglio e all’egoismo (Mt 5-7), sequela di Gesù senza alcuno sguardo, né desiderio di una ricompensa (Mc 10,3545), permanenza nell’amore (Gv 15), creazione di un “uomo nuovo” (Ef 4,23s).

La penitenza esigenza della vita interiore: Costituzione «Poenitemini» (Intimo e totale cambiamento dell’uomo): La penitenza, esigenza della vita interiore confermata dalla esperienza religiosa dell’umanità e oggetto di un particolare precetto della divina rivelazione, assume in Cristo e nella Chiesa dimensioni nuove, infinitamente più vaste e profonde. Cristo, che sempre nella sua vita fece ciò che insegnò, prima di iniziare il suo ministero, passò quaranta giorni e quaranta notti nella preghiera e nel digiuno, e inaugurò la sua missione pubblica col lieto messaggio: «Il regno di Dio è vicino», cui tosto aggiunse il comando: «Ravvedetevi e credete nel Vangelo». Queste parole costituiscono in certo modo il compendio di tutta la vita cristiana. al Regno annunciato da Cristo si può accedere soltanto mediante la «metánoia», cioè attraverso quell’intimo e totale cambiamento e rinnovamento di tutto l’uomo, di tutto il suo sentire, giudicare e disporre, che si attua in lui alla luce della santità e della carità di Dio, che, nel Figlio, a noi si sono manifestate e si sono comunicate con pienezza. L’invito del Figlio alla «metánoia» diviene più indeclinabile in quanto egli non soltanto la predica, ma offre anche esempio di penitenza. Cristo infatti è il modello supremo dei penitenti: ha voluto subire la pena per i peccati non suoi, ma degli altri.

Sforzatevi di entrare per la porta stretta - Ad annichilire nel cuore dell’uomo la gioia e l’impegno di entrare per la porta stretta è il gusto della trasgressione, uno spregiudicato uso della libertà che Cristo ci ha conquistato con il suo sangue, l’ostinazione a vivere nel peccato che, oltre alla sua squallida laidezza, rimane sempre un atto innaturale, cioè un atto insano rivolto contro Dio, contro se stessi, contro il prossimo e contro la natura.
Innaturale perché noi figli per adozione ci rivoltiamo contro il Padre, Colui che ci ha creati e ci tiene in vita. Se la cronaca nera ci ha abituati a certi efferati delitti, pur sempre la nostra coscienza si ribella quando viene a conoscere che una madre ha ammazzato il figlio o il figlio ha ammazzato i genitori. Eppure noi quest’atto lo compiamo e lo compiamo a cuor leggero e spesso per insignificanti conquiste, se conquiste si possono chiamare. È innaturale perché il peccato è contro noi stessi e nessuno al mondo ha odiato la propria carne, eppure noi lo facciamo. Non è odio quando mettiamo a repentaglio la nostra salvezza eterna?
Non è odiarci quando per certi gusti mettiamo a rischio la nostra salute? o la nostra vita?
È innaturale perché con il peccato noi odiamo i nostri genitori, i nostri benefattori, perché il peccato provoca una ferita, un danno a tutto il Corpo Mistico e a soffrirne sono anche le nostre persone care poiché anch’esse fanno parte del Corpo Mistico. E infine, è innaturale perché noi odiamo la natura, colei che per disposizione divina, ci sostenta, ci rallegra, ed è via che ci conduce alla conoscenza della potenza ineffabile di Dio. E conosciamo come la natura sa prendersi le sue rivincite.
Tutto questo è sotto i nostri occhi, eppure continuiamo a peccare oppure facciamo spallucce come se tutto fosse lecito o cerchiamo di minimizzare. Il no al peccato significa ristabilire l’ordine, significa instaurare un ordine di pace, di comunione, di carità fraterna, significa spalancare la porta del Cielo che il peccato irreversibilmente tiene chiusa.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!» (Vangelo).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, che ci hai rinnovati
con il corpo e sangue del tuo Figlio,
fà che la partecipazione ai santi misteri
ci ottenga la pienezza della redenzione.
Per Cristo nostro Signore.



LUNEDÌ 24 GIUGNO 2019

San GIOVANNI BATTISTA – SOLENNITÀ (MESSA DEL GIORNO)

Is 49,1-6; Salmo Responsoriale: Dal Salmo 138 (139); At 13,22-26; Lc 1,57-66.80

Colletta: O Padre, che hai mandato san Giovanni Battista a preparare a Cristo Signore un popolo ben disposto, allieta la tua Chiesa con labbondanza dei doni dello Spirito, e guidala sulla via della salvezza e della pace. Per il nostro Signore Gesù Cristo.

I Lettura - Is 49,1-6: Il secondo canto del ‘servo del Signore’ descrive alcuni tratti della sua missione: la sua predestinazione (vv. 1.5) e la sua missione estesa non solo a Israele che deve radunare (v. 5), ma anche alle nazioni per illuminarle (v. 6). La sua parola sarà «viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio» (Eb 4,12; v. 2) e la sua predicazione apporterà luce e salvezza (v 6). Il canto parla anche di un suo insuccesso (vv. 4.7), della sua fiducia in Dio solo (vv. 4.5) e di un trionfo finale (v. 7). La missione di Giovanni il Battista, come quella del Servo, è accomunata dal fallimento, ma è da questo apparente insuccesso umano che nasce per gli  uomini una «cosa nuova» (Is 43,19).

Salmo Responsoriale - Dal Salmo 138 (139) (AA. VV. I Salmi - Morcelliana): L’ultima parte del salmo (vv. 19 ss.) ci guida a comprendere la situazione di vita in cui è sorto. Il salmista è perseguitato da gente violenta (v. 19) ed empia (v. 20): i suoi avversari sono anche nemici di Iahvé (vv. 21-22). Si rivolge dunque al Signore perché esamini la sua causa da giudice a cui nulla sfugge (vv. 23-24). Il motivo dell’intervento di Dio che tutto sa, anche le profondità recondite dell’animo umano, annunciato già all’inizio (v. 1), trova un grande sviluppo nel canto (vv. 2-18). L’onniscienza divina è presentata con esemplificazioni concrete (vv. 2-5) e come oggetto di ammirazione stupefatta (v. 6). Segue una presentazione dell’onnipresenza di Dio all’uomo (vv. 7-12). Il tutto si spiega facilmente per il fatto che l’uomo è stato fatto da Iahvé, suo creatore, per attuare un misterioso disegno (vv. 13-18).

II Lettura - At 13,22-26: Inizialmente la predicazione apostolica sarà volta a scuotere il mondo giudaico, ma i frutti saranno molto scarsi. Il testo lucano riporta uno di questi tentativi. Paolo, fariseo, cerca con un ragionamento fondato sul dato biblico, quindi assimilabile dalle menti dei Giudei, di convincere il popolo che Cristo è il Messia: annunciato da Davide, ora, «nella pienezza dei tempi» (Gal 4,4), è «apparso per togliere i peccati» (1Gv 3,5). Questa è la Buona Novella, la «parola di salvezza», che viene annunciata al popolo d’Israele depositario delle promesse divine.

Vangelo - Lc 1,57-66.80: La missione del Battista, come quella del Servo del Signore, avrà il sigillo della sofferenza e del fallimento. A differenza di tanti profeti, Giovanni avrà il felice compito di chiudere le porte dell’Antico Testamento per spalancare agli uomini i battenti del Nuovo. La sua alta missione sarà quella di indicare ad un «popolo che camminava nelle tenebre» (Is 9,1) «la luce vera, quella che illumina ogni uomo» [Gv 1,9]: solo «Gesù è la luce vera venuta in questo mondo e che illumina di se medesimo ogni uomo. Giovanni si limitò ad additare a tutti il Sole [Lc 1,79]. Giovanni fu testimone della luce con le parole e con i fatti, con la penitenza, con la santità, con la sua fortezza eroica: “Era una lampada che arde e risplende” [Gv 5,35]» (Vincenzo Raffa).

Dal Vangelo secondo Luca 1,57-66.80: Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui. Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

Giovanni Battista inaugura il Vangelo: Catechismo della Chiesa Cattolica 523: San Giovanni Battista è l’immediato precursore del Signore, mandato a preparargli la via. “Profeta dell’Altissimo” (Lc 1,76), di tutti i profeti è il più grande e l’ultimo; egli inaugura il Vangelo; saluta la venuta di Cristo fin dal seno di sua madre e trova la sua gioia nell’essere “l’amico dello sposo” (Gv 3,29), che designa come “l’Agnello di Dio... che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29). Precedendo Gesù “con lo spirito e la forza di Elia” (Lc 1,17), gli rende testimonianza con la sua predicazione, il suo battesimo di conversione ed infine con il suo martirio.

Giovanni nel quadro della storia della salvezza - Giuseppe Barbaglio: Luca si preoccupa espressamente di assegnare a Giovanni un posto preciso nel vasto quadro della storia della salvezza. Nella suddivisione in grandi tappe il Battista fa parte della prima, cioè dell’AT, essendo Cristo l’inauguratore di una nuova era, quella della pienezza dei giorni: «La legge e i profeti vanno fino a Giovanni; da allora in poi viene annunziato il regno di Dio e ognuno si sforza per entrarvi» (Lc 16,16). Giovanni è collocato nella scia del profetismo veterotestamentario: l’ultimo della serie, ma sempre incluso nella serie. Con lui è l’AT che si chiude, dando avvio all’annuncio del regno di Dio proclamato da Gesù. Egli segna la continuità della storia della salvezza. Negli Atti degli apostoli la predicazione apostolica prende il suo punto di partenza proprio dal Battista: «Voi conoscete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, incominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni» (10,37; cf. 1,21-22; 13,24-25). La stessa continuità è sottolineata dai primi due capitoli del vangelo di Luca, che costruisce parallelamente le scene dell’infanzia di Cristo con quelle dell’infanzia del Battista: annunciazione della nascita di Giovanni (1,5-25) e annunciazione della nascita di Gesù (1,26-38), nascita e circoncisione del Battista (1,57-66) e nascita e circoncisione di Gesù (2,1-21), crescita di Giovanni (1,80) e crescita di Gesù (2,40), canto di Maria (1,46-56) e inno del padre di Giovanni (1,67-79). Mostra così che Gesù ha origine dal mondo giudaico, è il frutto dell’AT e della sua attesa impersonata dai «poveri di Dio» (= i genitori del Battista, Maria, i pastori, Simeone ed Anna). Ma ha anche lo scopo di far apparire la superiorità di Gesù sul Battista: Gesù è l’atteso dell’AT; Giovanni ha la missione di preparare la sua venuta (cf. il canto di Simeone: 2,2932 e l’inno Benedictus: 1,67-79). In questo duplice rapporto di continuità e di trascendenza del tempo neotestamentario di Cristo su quello veterotestamentario di Giovanni, Luca vede la reciproca posizione dei due nel disegno divino di salvezza attuantesi nella storia. Marco, invece, tende a introdurre la figura del Battista nella pienezza dei tempi, affermando che la sua apparizione costituisce l’«inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio» (cf. 1,1-4). Giovanni introduce i tempi evangelici. Su questa linea, e ancor più chiaramente, è anche Matteo con la sua espressa identificazione di Giovanni con Elia, figura escatologica e precursore del Messia. Né è senza significato che per il primo vangelo l’annuncio del Battista è ripreso, tale e quale, da Gesù (Mt 3,2; 4,17).

No, si chiamerà Giovanni - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): No, ma sarà chiamato Giovanni; Elisabetta, con sorpresa di tutti i presenti, vuole che al bambino sia imposto il nome di Giovanni, non già quello di Zaccaria. La decisione della madre del Battista non deriva da una particolare rivelazione o comunicazione divina, poiché il testo non contiene nessun accenno che faccia pensare ad un intervento soprannaturale; l’intervento della madre invece è dovuto alla volontà di Zaccaria che, pur colpito da mutismo, durante il periodo della maternità di Elisabetta le aveva certamente manifestato in qualche modo quello che gli era stato detto nella visione avuta nel tempio, e soprattutto le aveva indicato la volontà dell’angelo di imporre al nascituro il nome di Giovanni. I parenti ed i vicini rimangono stupiti dell’atto deciso di Elisabetta, sia perché non a lei, ma al marito spettava designare il nome del bambino, sia anche perché nella sua parentela non era in uso il nome «Giovanni».

Giovanni è il suo nome - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): Il dittico delle nascite, che forma il secondo parallelismo dell’infanzia di Giovanni e di Gesù, rappresenta l’adempimento degli annunzi fatti dall’angelo a Zaccaria e a Maria. Però la simmetria dei due pannelli risulta più generica rispetto al dittico degli annunzi. Mentre per la nascita di Giovanni il racconto ruota intorno all’imposizione del nome in occasione della circoncisione e alla reazione della gente, piena di stupore, nella nascita di Gesù viene dato più rilievo alle circostanze storiche, topografiche, e all’annuncio dell’angelo ai pastori. Il Benedictus di Zaccaria, con cui si conclude l’episodio, ha un riscontro nel Nunc dimittis di Simeone. Il nome Giovanni significa «JHWH è misericordia». Il tema della misericordia è un motivo ricorrente nel vangelo dell’infanzia. Anche Maria aveva celebrato la potenza e la misericordia di Dio nel Magnificat (v. 50). Questi, rendendo feconda Elisabetta, benché avanzata in età, aveva magnificato la sua misericordia con lei (v. 58). Egli manifestò le sue «viscere di misericordia», attuando le promesse di salvezza fatte ai padri, attraverso la visita dall’alto del Sole che stava per sorgere sull’orizzonte (vv. 72 e 78). La convergenza di Elisabetta con Zaccaria per la scelta del nome di Giovanni non presuppone un miracolo (v. 63). Zaccaria, benché muto, aveva potuto comunicare in antecedenza a Elisabetta il nome rivelato dall’angelo (v. 13). Lo stupore e il timore dei vicini, la grande eco provocata dall’evento costituiscono motivi ricorrenti nei racconti di miracoli in Luca. La nascita del Battista da genitori anziani e sterili provocò in tutti ammirazione per le meraviglie compiute dal Signore. - L’espressione «posero nel loro cuore» (v. 66) ricompare in riferimento a Maria come ritornello altre due volte (2,19.51).

Testimoni di Gesù Cristo: Giovanni Paolo II (Angelus, 24 giugno 1984): “Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fin dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome” (Is 49,1). Oggi la Chiesa celebra la natività di san Giovanni Battista. Questa natività è, al tempo stesso, vocazione. Già nel grembo di sua madre Elisabetta, moglie di Zaccaria, Giovanni è stato chiamato per nome da Dio. Egli doveva presentarsi sulla strada della divina rivelazione come l’ultimo dei profeti dell’Antica Alleanza e, al tempo stesso, come il precursore di Gesù Cristo, nel quale si compie la nuova ed eterna alleanza di Dio con l’umanità. Nel giorno della circoncisione di Giovanni, suo padre Zaccaria, nell’inno di ringraziamento a Dio, pronunciò le seguenti parole: “E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade” (Lc 1,76). La Chiesa, fin dai tempi più antichi, ha circondato di particolare venerazione san Giovanni Battista, la sua vocazione e la sua speciale missione. In questa vocazione e missione la Chiesa ritrova se stessa come l’erede dell’antica alleanza e, in pari tempo, si sente chiamata a rendere testimonianza a Gesù Cristo, agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo (cfr. Gv 1,29).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda” (Rit. Salmo Responsoriale).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Esulti, o Padre, la tua Chiesa, nutrita alla cena dell’Agnello;
riconosca l’autore della sua rinascita, Cristo tuo Figlio,
che la parola del precursore annunziò presente in mezzo agli uomini.
Per Cristo nostro Signore.



DOMENICA 23 GIUGNO 2019

SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO – ANNO C – SOLENNITÀ

Gen 14,18-20; Salmo Responsoriale: Dal Salmo 109 (110); 1Cor 11,23-26; Lc 9,11b-17

Colletta: Dio Padre buono, che ci raduni in festosa assemblea per celebrare il sacramento pasquale del Corpo e Sangue del tuo Figlio, donaci il tuo Spirito, perché nella partecipazione al sommo bene di tutta la Chiesa, la nostra vita diventi un continuo rendimento di grazie, espressione perfetta della lode che sale a te da tutto il creato. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

I Lettura: Gen 14,18-20: Il racconto fa memoria e rinnova la benedizione divina su Abramo e mette in evidenza la pietà del patriarca: non avido di possedere il bottino conquistato in guerra offre la decima di tutti i suoi beni a Melchisedek re-sacerdote. L’inserimento di Gen 14,18-20 nella liturgia del Corpus Domini si giustifica dalla interpretazione che ne hanno fatto i Padri, i quali hanno inteso l’offerta del pane e del vino come una prefigurazione dell’Eucaristia. Il sacerdozio di Melchesidek prefigura il sacerdozio messianico, superiore a quello di Aronne.

Salmo Responsoriale: Dal Salmo 109 (110): La Bibbia Via Verità e Vita: Questo salmo regale, molto conosciuto per la sua interpretazione messianica, contiene due oracoli divini rivolti al sovrano di Israele, forse nel giorno della sua incoronazione. Il primo (v. 1) assicura al re il favore di Dio nella letta contro i nemici. Il secondo (v.4) allude alla partecipazione del re alla funzione sacerdotale, come a suo tempo avevano fatto Davide (2Sam 6,13.17-18; 24,25) e Salomone (1Re3,15; 8,14).

II Lettura: 1Cor 11,23-26: L’undicesimo capitolo della prima lettera ai Corinzi è intenzionalmente teso a correggere gli abusi dei cristiani di Corinto nella celebrazione dell’Eucaristia, soprattutto la mancanza di amore fraterno e l’umiliazione dei poveri (Cf. 1Cor 11,17-22). Il testo odierno, che oltre tutto sottolinea il rapporto tra l’Eucaristia e la passione di Gesù, è molto vicino a quello di Luca 22,19-20. Le parole di Gesù proferite nell’ultima Cena sul pane e sul vino: “Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e mentre lo dava ai discepoli, disse: «Prendete, mangiate; questo è il mio corpo» Poi prese il calice... dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza»” (Mt 26,26-27) non possono essere interpretate come semplici immagini: la tradizione cristiana afferma che sono la proclamazione della presenza reale del Cristo nell’Eucarestia.

Vangelo: Lc 9,11b-17: La moltiplicazione dei pani e dei pesci segna il culmine del ministero di Gesù in Galilea e prepara la successiva professione di fede di Pietro (Cf. Lc 9,18-21). Gesù, sfamando miracolosamente la folla, è Colui che adempie le attese messianiche: attraverso lui la salvezza è offerta con sovrabbondante pienezza. Gesù è il «pane disceso dal cielo, quello vero» (Gv 6,32) che sfama l’uomo nella sua fame più intima: fame di libertà, fame di salvezza. In una visione biblica dell’uomo, la quale non contrappone l’anima al corpo, la liberazione dalla fame diventa un segno concreto dell’azione salvifica di Dio per il suo popolo.

Dal Vangelo secondo Luca 9,11b-17: In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Moltiplicazione dei pani - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): Luca riproduce il testo di Marco ma semplificandolo e ritoccandone lo stile. L'omissione della decapitazione del Battista (Mc 6,17-29) conferisce una maggiore concentrazione cristologica al racconto della moltiplicazione dei pani: la presentazione del Kyrios che sfama una moltitudine nel deserto rappresenta una prima risposta alla domanda inquietante di Erode Antipa e prepara la confessione di Pietro (v. 20). Anche la redazione lucana del prodigio evoca il miracolo della manna (E 16; m I I) e si modella sulla moltiplicazione operata da Eliseo (2Re 4,42-44). L'accentuazione eucaristica è più marcata. Non sembra che Luca voglia presentare Gesù come un nuovo Mosè; egli moltiplica il pane quale inviato da JHWH, con la sua potenza divina, per prefigurare la salvezza escatologica. Levangelista stabilisce implicitamente un confronto con il miracolo compiuto da Eliseo, per sottolineare la superiorità di Gesù, ma soprattutto per indicare labbondanza prevista dai profeti nel tempo messianico.

Gesù volle restare sotto le apparenze del pane e del vino...: Paolo VI (Omelia, 28 maggio 1978): Noi vogliamo proporvi, più suggerendo che sviluppando, qualche rapido spunto di riflessione. Innanzi tutto circa il valore di «memoria» del rito che stiamo celebrando. Voi sapete il perché delle due specie eucaristiche. Gesù volle restare sotto le apparenze del pane e del vino, figure rispettivamente del suo Corpo e del suo Sangue, per attualizzare nel segno sacramentale la realtà del suo sacrificio, di quella immolazione sulla croce, cioè, che ha portato al mondo la salvezza. Chi non ricorda le parole dell’apostolo Paolo: «Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché Egli venga»? (1Cor. 11,26). Nella Eucaristia, dunque, Gesù è presente come «l’uomo dei dolori» (cfr. Is. 53,3), come 1’«agnello di Dio», che si offre vittima per i peccati del mondo (cfr. Io. 1,29). Comprendere questo significa vedersi spalancare dinnanzi prospettive immense: in questo mondo non c’è redenzione senza sacrificio (cfr. Hebr. 9,22) e non c’è esistenza redenta che non sia al tempo stesso un’esistenza di vittima. Nell’Eucaristia è offerta ai cristiani di tutti i tempi la possibilità di dare al quotidiano calvario di sofferenze, incomprensioni, malattie, morte, la dimensione di un’oblazione redentrice, che associa il dolore dei singoli alla passione di Cristo, avviando l’esistenza di ognuno a quella immolazione nella fede, che nell’ultimo compimento si apre sul mattino pasquale della risurrezione. Come vorremmo poter ripetere ad ognuno personalmente, e soprattutto a chi è attualmente oppresso dalla tristezza, dalla malattia, questa parola di fede e di speranza! Il dolore non è inutile! Se unito a quello di Cristo, il dolore umano acquista qualcosa del valore redentivo della stessa passione del Figlio di Dio.

Ricordati, non dimenticare...: Giovanni Paolo II (Omelia,  30 maggio 2002): “Obbedienti al suo comando, consacriamo il pane e il vino, ostia di salvezza”. Si rinnova anzitutto il memoriale della Pasqua di Cristo. Passano i giorni, gli anni, i secoli, ma non passa questo gesto santissimo in cui Gesù ha condensato tutto il suo Vangelo d’amore. Egli non cessa di offrire se stesso, Agnello immolato e risorto, per la salvezza del mondo. Con questo memoriale la Chiesa risponde al comando della Parola di Dio, che abbiamo sentito anche oggi nella prima Lettura: “Ricordati!... Non dimenticare!” (Dt 8,2.14). È l’Eucaristia la nostra vivente Memoria! Nell’Eucaristia, come ricorda il Concilio, “è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante, dà vita agli uomini i quali sono invitati e indotti a offrire assieme a lui se stessi, le proprie fatiche e tutte le cose create” (Presbyterorum Ordinis, 5). Dall’Eucaristia, “fonte e culmine di tutta la evangelizzazione” (ibid.), anche la nostra Chiesa di Roma deve attingere quotidianamente forza e slancio per la propria azione missionaria e per ogni forma di testimonianza cristiana nella città degli uomini.

Mangiare questo pane è comunicare...: Benedetto XVI (Omelia, 26 maggio 2005): In questo Sacramento, il Signore è sempre in cammino verso il mondo. Questo aspetto universale della presenza eucaristica appare nella processione della nostra festa. Noi portiamo Cristo, presente nella figura del pane, sulle strade della nostra città. Noi affidiamo queste strade, queste case - la nostra vita quotidiana - alla sua bontà. Le nostre strade siano strade di Gesù! Le nostre case siano case per lui e con lui! La nostra vita di ogni giorno sia penetrata dalla sua presenza. Con questo gesto, mettiamo sotto i suoi occhi le sofferenze degli ammalati, la solitudine di giovani e anziani, le tentazioni, le paure - tutta la nostra vita. La processione vuole essere una grande e pubblica benedizione per questa nostra città: Cristo è, in persona, la benedizione divina per il mondo - il raggio della sua benedizione si estenda su tutti noi! Nella processione del Corpus Domini, accompagniamo il Risorto nel suo cammino verso il mondo intero - come abbiamo detto. E, proprio facendo questo, rispondiamo anche al suo mandato: “Prendete e mangiate... Bevetene tutti” (Mt 26,26s). Non si può “mangiare” il Risorto, presente nella figura del pane, come un semplice pezzo di pane. Mangiare questo pane è comunicare, è entrare nella comunione con la persona del Signore vivo. Questa comunione, questo atto del “mangiare”, è realmente un incontro tra due persone, è un lasciarsi penetrare dalla vita di Colui che è il Signore, di Colui che è il mio Creatore e Redentore. Scopo di questa comunione è l’assimilazione della mia vita alla sua, la mia trasformazione e conformazione a Colui che è Amore vivo. Perciò questa comunione implica l’adorazione, implica la volontà di seguire Cristo, di seguire Colui che ci precede. Adorazione e processione fanno perciò parte di un unico gesto di comunione; rispondono al suo mandato: “Prendete e mangiate”.

Fate questo in memoria di me - Papa Francesco (Omelia): «Fate questo in memoria di me» (1Cor 11,24.25). Per due volte l’apostolo Paolo, scrivendo alla comunità di Corinto, riporta questo comando di Gesù nel racconto dell’istituzione dell’Eucaristia. È la testimonianza più antica sulle parole di Cristo nell’Ultima Cena. «Fate questo». Cioè prendete il pane, rendete grazie e spezzatelo; prendete il calice, rendete grazie e distribuitelo. Gesù comanda di ripetere il gesto con cui ha istituito il memoriale della sua Pasqua, mediante il quale ci ha donato il suo Corpo e il suo Sangue. E questo gesto è giunto fino a noi: è il “fare” l’Eucaristia, che ha sempre Gesù come soggetto, ma si attua attraverso le nostre povere mani unte di Spirito Santo.
«Fate questo». Già in precedenza Gesù aveva chiesto ai discepoli di “fare”, quello che Lui aveva già chiaro nel suo animo, in obbedienza alla volontà del Padre. Lo abbiamo ascoltato poco fa nel Vangelo. Davanti alle folle stanche e affamate, Gesù dice ai discepoli: «Voi stessi date loro da mangiare» (Lc 9,13). In realtà, è Gesù che benedice e spezza i pani fino a saziare tutta quella gente, ma i cinque pani e i due pesci vengono offerti dai discepoli, e Gesù voleva proprio questo: che, invece di congedare la folla, loro mettessero a disposizione quel poco che avevano. E poi c’è un altro gesto: i pezzi di pane, spezzati dalle mani sante e venerabili del Signore, passano nelle povere mani dei discepoli, i quali li distribuiscono alla gente. Anche questo è “fare” con Gesù, è “dare da mangiare” insieme con Lui. È chiaro che questo miracolo non vuole soltanto saziare la fame di un giorno, ma è segno di ciò che Cristo intende compiere per la salvezza di tutta l’umanità donando la sua carne e il suo sangue (cfr Gv 6,48-58). E tuttavia bisogna sempre passare attraverso quei due piccoli gesti: offrire i pochi pani e pesci che abbiamo; ricevere il pane spezzato dalle mani di Gesù e distribuirlo a tutti.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Buon pastore, vero pane, o Gesù, pietà di noi: nùtrici e difendici, portaci ai beni eterni nella terra dei viventi” (Sequenza).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Donaci, Signore, di godere pienamente
della tua vita divina nel convito eterno,
che ci hai fatto pregustare in questo sacramento
del tuo Corpo e del tuo Sangue.
Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.

 




22 Giugno 2019

SABATO DELLA XI SETTIMANA
DEL TEMPO ORDINARIO 

Prima Lettura: 2Cor 12,1-10; Salmo Responsoriale: Dal Salmo 33 (34); Vangelo: Mt 6,24-34

Colletta: O Dio, fortezza di chi spera in te, ascolta benigno le nostre invocazioni, e poiché nella nostra debolezza nulla possiamo senza il tuo aiuto, soccorrici con la tua grazia, perché fedeli ai tuoi comandamenti possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

La Provvidenza divina genera nei credenti fiducia, pace, sicurezza (cfr. Rom 8,31). Chi si abbandona alla Provvidenza nulla teme, neanche la povertà, essa non sarà più un terribile spauracchio. Da qui il fermo proposito di disfarsi delle ricchezze il cui attaccamento è «la radice di tutti i mali» (1Tm 6,10). Sarà sopra tutto l’evangelista Luca mettere l’accento sul pericolo delle ricchezze (cfr. Lc 23,11; 5,11-28; 6,30; 7,5; 11,41; 12,33-34; 14,13.33; 16,9; 18,22; 19,8; Atti 9,36; 10,2.4.31).
A una società licenziosa, dove il denaro è tutto ed è sinonimo di potenza, lusso, prepotenza, angherie, sfrenatezze di ogni natura e specie, i cristiani devono contrapporre una comunità povera, abbandonata alla Provvidenza. Ciò è stato compreso fin dalla prima ora dagli Apostoli e dai discepoli i quali, proprio per essere fedeli a questa  radicalità evangelica, metteranno in comune i loro beni (cfr. Atti 2,44ss; 4,32-37; 5,1-11).
Le parole di Gesù «Non accumulate per voi tesori sulla terra ... accumulate invece per voi tesori in cielo», così sono state commentate da san Giovanni Crisostomo: «Se porrete il vostro tesoro in Cielo, non trarrete solo il vantaggio di ottenere i premi preparati per esso, ma riceverete anche una ricompensa anticipata: mentre ancora siete in questa esistenza, potrete volgervi al Cielo, pensare alle realtà celesti e non avere altra preoccupazione che per i beni di lassù, perché, è evidente, ov’è il tuo tesoro, là è anche il tuo cuore. Se, invece, nasconderete il vostro tesoro in terra, vi accadrà tutto l’opposto» (Exp. in Matth. XX, 3).
Affrancati da pesi inutili quali la paura della morte violenta o la brama di possedere, i discepoli possono tenere bene gli occhi aperti sulle realtà future (cfr. Col 3,1-3) e attendere con gioia e fiducia la venuta gloriosa dello Sposo celeste. Una vigilanza ad oltranza, che deve andare al di là dei tanti pronostici più o meno umani.
Forse le parole di Matteo celano la delusione di quei primi cristiani i quali credevano imminente la venuta del Cristo (cfr. 2Ts 2,1-12): il ritardo non deve sfiancare i credenti i quali non devono prendere pretesto da questo ritardo per agire irresponsabilmente (cfr. Mt 24,48).

Vangelo: Dal Vangelo secondo Matteo 6,24-34: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».

Il brano evangelico, che conclude il sesto capitolo, può essere diviso in due parti: la prima parte va dal versetto 25 al versetto 30, e costituisce la prima esortazione con l’enunciazione del tema (v. 25  Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita…), che viene illustrato con due similitudini, quella degli uccelli, e quella dei gigli del campo. Il monito Non preoccupatevi mette in evidenza l’attaccamento smodato ai beni materiali, che porta con sé una eccesiva preoccupazione, e, come conseguenza di “servirli”. Questa esagerata preoccupazione annienta la fiducia in Dio-Provvidenza. La seconda esortazione, i versetti 31-33, è incentrata sul tema del regno: Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia. In senso religioso, «la “giustizia” (dikaiosynē) è la qualità caratteristica della vita interamente conforme alla volontà di Dio. In senso etico, è il frutto che si produce nei comportamenti individuali e sociali come riflesso dell’osservanza della legge, la purezza e l’integrità morale, la tensione costante al bene nell’esercizio della carità. Sia nell’una che nell’altra prospettiva, la giustizia è strettamente collegata con la “giustizia di Dio” e qui anche al “regno”: meta, norma di comportamento e impegno di ricerca per l’uomo» (Nuovo Testamento).
Il versetto 34 è una massima di stile sapienziale: con questa massima “concernente l’uso dei beni terreni e l’abbandono alla divina Provvidenza, si conclude la terza sezione del corpo del discorso della montagna. I discepoli, anziché angustiarsi per le necessità materiali, si affideranno con fiducia filiale alla bontà del Padre celeste, senza preoccuparsi del domani, con la certezza d’ottenere il suo aiuto. Bando quindi ad ogni ansia, perché ad ogni giorno basta il suo affanno” Angelico Poppi).

Provvidenza individuale - Angelico di Marco (Schede Bibliche Pastorali - Vol VI): Dio non è solo una provvidenza dalle grandi linee, un reggitore di popoli: egli si china anche sui singoli: guida i popoli e guida gli individui singolarmente. A Mosè dice: «Ti ho conosciuto per nome» (Es 33,12; cf. Ger 1,5). La storia di Israele è storia di personalità grandi (Abramo, Mosè, Samuele, David, i profeti ... ) e di personalità minori (Ismaele, Esaù, i figli di Giacobbe, la folla talora determinante dei piccoli, Rut, Raab, ecc.). Dio sceglie il suo popolo, scegliendo individui. In molti casi (Giuseppe, Mosè, ecc.), le sorti dei singoli sono determinanti per la stessa storia della salvezza. Ad Abramo Dio promette: «In te si diranno benedette tutte le tribù della terra» (Gn 12,1-3). L’assistenza di Dio per Giuseppe è benedizione e salvezza per tutto il suo clan.
La provvidenza si manifesta in molteplici modi. Nel caso di Isacco e Rebecca (Gn 24,50), nell’incontro di Tobia e Sara (Tb 3,16-17), l’azione di Dio è determinante. Egli assiste Giobbe, Ester, Daniele e chiunque in lui confida (Sal1; 25,2; 91; Ger 7,7; ecc.); determina la vita di ognuno, ha in mano le sorti dell’uomo, come esemplarmente afferma Pro 16,9: «La mente dell’uomo pensa molto alla sua vita, ma il Signore dirige i suoi passi». Universalistica la prospettiva di Sap 6,7: « ... egli ha creato il piccolo e il grande e si cura ugualmente di tutti». Né si può tacere di Pro 16,33: «Nel grembo si getta la sorte, ma la decisione d pende tutta dal Signore».
Dio ha contato i giorni dell’uomo (Gb 14,5; cf. Sal 139,16), ne conosce ogni movimento (Eccli 16,17). Da ciò il senso della fiducia nella Bibbia: l’uomo, in tutte le sue preoccupazioni, deve abbandonarsi a Dio, che è fedele (Sal 37,5s ).

Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Cercate prima il regno di Dio...; tale precisazione rivela probabilmente la destinazione primitiva di questo sublime insegnamento sulla provvidenza divina. Luca (12, 22) introduce il discorso sulla provvidenza divina con queste parole: (Gesù) disse ai suoi discepoli: per questo io vi dico: Non siate preoccupati... Secondo Luca il discorso sarebbe rivolto ai discepoli, non già a tutti gli ascoltatori. Per i discepoli, i quali devono attendere alla diffusione del regno, le parole di Cristo hanno un senso più profondo ed immediato. Essi, che hanno avuto un compito così alto e spirituale, devono bandire ogni preoccupazione terrena; a chi ha avuto una missione tanto alta non potranno mancare i mezzi umani per attuarla. Tuttavia l’abbandono fiducioso in Dio, che modera le preoccupazioni dell’uomo, è comandato anche al semplice seguace di Cristo, il quale deve lavorare per procurarsi il cibo ed il vestito. Matteo infatti aggiungendo che bisogna cercare la giustizia, cioè la perfezione di cui si è parlato nel capitolo precedente (5, 20), dà al comando di Gesù un’ampiezza che abbraccia tutti gli uomini.

Il Regno ci chiama - Evangelii gaudium 180: Leggendo le Scritture risulta peraltro chiaro che la proposta del Vangelo non consiste solo in una relazione personale con Dio. E neppure la nostra risposta di amore dovrebbe intendersi come una mera somma di piccoli gesti personali nei confronti di qualche individuo bisognoso, il che potrebbe costituire una sorta di “carità à la carte”, una serie di azioni tendenti solo a tranquillizzare la propria coscienza. La proposta è il Regno di Dio (Lc 4,43); si tratta di amare Dio che regna nel mondo. Nella misura in cui Egli riuscirà a regnare tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti. Dunque, tanto l’annuncio quanto l’esperienza cristiana tendono a provocare conseguenze sociali. Cerchiamo il suo Regno: «Cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33). Il progetto di Gesù è instaurare il Regno del Padre suo; Egli chiede ai suoi discepoli: «Predicate, dicendo che il Regno dei cieli è vicino» (Mt 10,7).

Dio realizza il suo disegno: la Provvidenza divina - Catechismo della Chiesa Cattolica 302: La creazione ha la sua propria bontà e perfezione, ma non è uscita dalle mani del Creatore interamente compiuta. È creata «in stato di via» («in statu viae») verso una perfezione ultima alla quale Dio l’ha destinata, ma che ancora deve essere raggiunta. Chiamiamo divina provvidenza le disposizioni per mezzo delle quali Dio conduce la creazione verso questa perfezione.
«Dio conserva e governa con la sua provvidenza tutto ciò che ha creato, “essa si estende da un confine all’altro con forza, governa con bontà eccellente ogni cosa” (Sap 8,1). Infatti “tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi” (Eb 4,13), anche quello che sarà fatto dalla libera azione delle creature».
303 La testimonianza della Scrittura è unanime: la sollecitudine della divina Provvidenza è concreta e immediata; essa si prende cura di tutto, dalle più piccole cose fino ai grandi eventi del mondo e della storia. Con forza, i Libri Sacri affermano la sovranità assoluta di Dio sul corso degli avvenimenti: «Il nostro Dio è nei cieli, egli opera tutto ciò che vuole» (Sal 1115,3); e di Cristo si dice: «Quando egli apre, nessuno chiude, e quando chiude, nessuno apre» (Ap 3,7); «Molte sono le idee nella mente dell’uomo, ma solo il disegno del Signore resta saldo» (Prv 19,21).
305 Gesù chiede un abbandono filiale alla provvidenza del Padre celeste, il quale si prende cura dei più elementari bisogni dei suoi figli: «Non affannatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo?” [ ... ]. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,31-33).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena: “Ogni giorno ha la propria pena; non si deve aggravare le difficoltà inerenti alla vita addizionando un male presente, che passa con il giorno, con un male futuro; Dio misura quotidianamente le difficoltà e le pene che ne derivano” (Benedetto Prete, I Quattro Vangeli).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Signore, la partecipazione a questo sacramento,
segno della nostra unione con te,
edifichi la tua Chiesa nell’unità e nella pace.
Per Cristo nostro Signore.