28 Aprile 2019
  
II DOMENICA DI PASQUA


Oggi Gesù ci dice: “Come bambini appena nati, bramate il puro latte spirituale, che vi faccia crescere verso la salvezza.” (1Pt 2,2) Cfr. Antifona).

Prima Lettura - Dagli Atti degli Apostoli 5,12-16: La prima lettura ci offre l’immagine di una Chiesa sospinta e sostenuta dalla potenza dello Spirito Santo il quale opera prodigi, miracoli e guarigioni suscitando tra la folla timore ed esaltazione. È sottolineata anche l’azione taumaturgica di Pietro, in questo modo si compiono le parole del Maestro divino: «In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre» (Gv 14,12).

Salmo responsoriale - Dal Salmo 117 (118): «Il vincitore, salendo al Padre, comanda agli angeli: Apritemi le porte della giustizia.... Questa è la porta del Signore, i giusti entreranno per essa: Pietro è entrato, Paolo è entrato, gli apostoli, i martiri, i santi di ogni giorno, ma il ladrone è entrato per primo, col Signore. Miseri giudei! Questa pietra promessa in Isaia per esser posta nelle fondamenta di Sion e riunire i due popoli, voi non l’avete riconosciuta nel Signore Salvatore, nel Figlio di Dio. Scartata da voi, essa è divenuta la pietra angolare ed ha riunito in un sol gregge la prima Chiesa, formata di giudei e gentili. Dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri: noi, i senza-legge, i senza-alleanza, siamo adottati come figli di Dio! Questo è il giorno che ha fatto il Signore: esultiamo e rallegriamoci in esso!» (San Girolamo).

Seconda Lettura - Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo 1,9-11a.12-13.17-19: Una domenica, il “giorno del Signore”, Giovanni, in catene nell’isola di Patmos “a causa della Parola di Dio e della testimonianza di Gesù” (Ap 1,9), contempla estatico il Risorto: il Primo e l’Ultimo, il Vivente. Il Messia, nella visione giovannea, «appare nelle funzioni di giudice escatologico, come in Dn 7,13-14 [Cf. Dn 10,5-6]. I suoi attributi sono descritti per mezzo di simboli: sacerdozio [rappresentato dall’abito lungo; Cf. Es 28,4; Es 29,5; Zc 3,4]; regalità [fascia d’oro; Cf. 1Mac 10,89; 11,58]; eternità [capelli bianchi; Cf. Dn 7,9]; scienza divina [occhi fiam­meggianti per “scrutare gli affetti e i pensieri”: Cf. Dn 2,23]; stabilità [piedi di bronzo, Cf. Dn 2,31-45]. La sua maestà è terrificante [splendore delle gambe, del volto, potenza della voce]» (Bibbia di Gerusalemme).

Vangelo - Dal Vangelo secondo Giovanni 20,19-31: L’apparizione di Gesù intende presentare la sua nuova condizione, non più legata al mondo fisico, e la nuova modalità di relazione con lui, che si realizza primariamente nella celebrazione eucaristica. Gesù risorto, spalancate le porte della paura, sta in mezzo ai suoi discepoli, colmando il loro cuore di pace e di gioia. Anche Tommaso, il discepolo incredulo, verrà guadagnato alla fede nella risurrezione: un percorso che sfocia in una confessione di fede unica in tutto il Nuovo Testamento, che identifica il Risorto con Dio. In quel giorno gli Apostoli ricevo­no lo Spirito Santo e il mandato di andare in tutto il mondo a portare la Buona Novella e a rimettere i peccati. La conclusione del Vangelo ne svela lo scopo catechistico: è stato scritto perché i lettori credano che Gesù Cristo è il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiano la vita nel suo nome.

Gli «Atti degli Apostoli» mostrano il compimento delle predizioni di Gesù - Vincenzo raffa (Liturgia Festiva): Il Crisostomo dice che il libro degli «Atti» non ci è meno utile di quello dei vangeli, perché mentre i vangeli portano molte predizioni di Gesù, gli «Atti» ne documentano la realizzazione (Comm. in Acta Apostol., Hom. I, 1; PG 60, 14).
Gesù aveva fatto questo annuncio: «Chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre » (Gv 14,12). Aveva voluto riferirsi precisamente ai frutti della sua attività che si sarebbero moltiplicati per la collaborazione della Chiesa, ma specialmente per la sua nuova condizione di vita e di dinamismo alla destra del Padre, cioè di Messia risorto e glorificato. Nel nuovo ordine di cose, infatti, era ormai in grado di conferire lo Spirito Santo (Gv 7,39).
Ebbene, è proprio la nuova operosità del Cristo, allargata e moltiplicata attraverso la Chiesa, che ci appare dal libro degli «Atti» degli apostoli.
Gesù aveva fatto tanti prodigi, come dice il vangelo di oggi. Ma aveva predetto anche l’attività taumaturgica dei suoi apostoli. La prima lettura di oggi ci offre il modo di controllare il compimento della profezia: «Molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli». Bastava l’ombra di san Pietro per sanare ogni genere di malattie e liberare gli ossessi. Ma, in ultima analisi, chi operava questi prodigi era sempre il «Vivente». Così gli «Atti» sono un libro che, visto in controluce, riprende il filo della narrazione non tanto dalla Pentecoste, quanto proprio dal mistero del Cristo morto e risorto e ne mostra il prolungamento nella storia della Chiesa. Ecco perché una tradizione antichissima, ripresa dalla liturgia rinnovata, fa leggere questo libro nel tempo che segue la Pasqua.

Il Salmo 117 (118): AA. VV. (I Salmi): Apre il salmo un invito a lodare e ringraziare Iahvé per il suo amore eterno, rivolto soprattutto a Israele, ai leviti e ai giusti (vv. 1-4).
Segue un brano (w. 5-21), in cui son descritti i pericoli mortali superati, percorso da espressioni di piena fiducia in Dio e di confessione del suo intervento liberatore. Non è privo tale brano di intento didattico-sapienziale (w. 8-9). È un israelita che parla, venuto al tempio per ringraziare il suo Salvatore e introdotto dai sacerdoti dopo che si sono accertati che si tratta di uomo giusto (vv. 19-21).
Riprende il canto della comunità (vv. 22-27.29) che celebra la grandezza del gesto salvifico di Iahvé, elevato ormai a validità universale, in una processione solenne fino all’altare (v. 27) con la partecipazione del singolo cantore (v. 28).
L’inserzione di un canto individuale (vv. 5-21) in un quadro di salmo collettivo (vv. 1-4 e 22-29) domanda una spiegazione. Si può pensare a una liturgia processionale di ringraziamento della comunità israelitica nel tempio di Gerusalemme con alla testa il suo capo, forse Neemia, che interviene come rappresentante di tutto il popolo dopo una decisiva vittoria contro l’ostilità dei vicini pagani. Il suo canto diventa quindi il canto della comunità salvata da Iahvé.
La pietra scartata dai costruttori e diventata per grazia divina chiave di volta di tutto l’edificio, immagine significativa dell’esaltazione di una persona disprezzata, fu applicata a Gesù, glorificato da Dio nella risurrezione (cfr. At 4,11; 1Pt 2,4).

Ma egli, posando su di la mano destra - Ugo Vanni (Apocalisse): Cristo pone la sua destra su Giovanni, lo fa rialzare, lo incoraggia e gli dice di non aver paura, perché lui, il primo, l’ultimo e il vivente, divenne cadavere, ma è vivente per i secoli dei secoli: è passato dalla morte alla vita.
Le prime parole di Gesù sono le stesse che troviamo nelle apparizioni del vangelo: non temere! Non temere, io sono con te in un rapporto d’amicizia. Sono trascendente, come hai sperimentato, però voglio essere tuo amico, mi metto al tuo livello. Io sono il primo e l’ultimo, l’alfa e l’omega, si diceva, prima, di Dio; qui viene detto di Gesù. Il nome di Gesù è «il vivente»: è passato dalla morte e dalla risurrezione, e ora è il vivente per i secoli dei secoli; offre, in eterno e per sempre, la sua morte e la sua vita in funzione del mondo di Dio e della Gerusalemme nuova.
Con tutta la vitalità di cui gode come Risorto, si occuperà di noi, ci farà condividere pienamente la sua presenza, per amore della Gerusalemme nuova. Sembra inoltre dire: io ho in mano le chiavi della morte e dell’aldilà, non abbiate paura, sarete eterni, avrete l’immortalità, una vita come quella che ho io.

I doni del Risorto: la pace, lo Spirito Santo, la missione, la fede - «La sera di quel giorno, il primo della settimana» (Gv 20,19), Gesù si ferma in mezzo ai suoi discepoli segregati nel cenacolo per timore dei Giudei: è il Risorto presente nella sua Chiesa che è sotto il suo potere e la sua protezione (Cf. Ap 1,20). Conforta gli Apostoli con il dono della pace, «quella che egli aveva promesso per il suo ritorno [Cf. Gv 14,27-28]. Mostrando le mani e il costato, il Risorto non dimostra soltanto la sua identità con il Gesù crocifisso; egli fa vedere la sorgente da cui proviene la pace che è frutto della Pasqua» (Valerio Mannucci).
Nell’Antico Testamento la pace è uno stato tranquillo di benessere esteriore visto come dono di Dio. Una condizione di normalità di tutte le cose che provoca ordine, euforia, felicità. La pace è «soprattutto il bene messianico per eccellenza, destinato a realizzarsi in modo inscindibile dalla giustizia. Per questo essa si realizza pienamente nel Nuovo Testamento» (B. L.). Per l’apostolo Paolo la pace è una Persona, Gesù: «Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne» (Ef 2,14). La pace che Gesù dona ai suoi discepoli va vissuta come relazione d’amore non solo all’interno della Chiesa, ma anche come rapporto pacifico con tutti (Cf. Rom 14,19) e questo perché la pace è frutto dello Spirito Santo (Cf. Gal 5,22) il quale oltre a presiedere la vita nuova del cristiano non tollera divisioni o disordini. La pace non va mai separata dalla giustizia, che è pure dono dell’amore misericordioso di Dio (Cf. Giac 3,17-18). Alla pace e alla giustizia poi si accompagna la gioia che insieme formano l’essenza del Regno di Dio (Cf. Rom 4,17).
La pace è il dono più grande che un cuore umano possa custodire e bisogna essere perseveranti nel custodirla, sino alla fine della vita terrena. «Essere trovati nella pace nell’ultimo giorno equivale ad essere pronti per l’entrata definitiva nel Regno: essa definisce, perciò, la situazione di salvezza del cristiano [Cf. 2Pt3,14]. Si comprende, allora, in pieno perché gli operatori di pace sono beatificati dal Signore [Cf. Mt 5,9], essi, che l’hanno ricevuta come dono di Dio nello Spirito e l’hanno fatta fruttificare in opere d’amore, otter­ranno nell’ultimo giorno la benedizione che spetta ai figli di Dio» (Bruno Liverani).
Il Risorto, subito dopo, dà ai suoi discepoli anche il dono della missione. La presenza di Gesù e il dono della pace hanno spalancato le porte della casa dove si trovavano rinchiusi i discepoli per paura dei Giudei: è sceso nel cuore degli Apostoli il fuoco del coraggio (Cf. Ger 20,9).
Poi, Gesù alita sui discepoli e dona loro lo Spirito Santo, principio della nuova creazione (Gen 1,2; 2,7; Ez 37,9; Sap 15,11; Mt 3,16; Gv 1,33; 14,26; 19,30). Era necessario che al dono della missione si accompagnasse il dono dello Spirito Santo perché inscindibili l’uno dall’altro: «II nostro vangelo, infatti, non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo» (1Ts 1,5). Gesù dona lo Spirito Santo per una missione molto particolare: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,22-23). Dona loro il potere di rimettere i peccati perché la missione della Chiesa, come quella del Cristo, è totalmente orientata alla salvezza degli uomini (Cf. Gv3,1.6-17; 5,20-30; ecc.).
Infine, Gesù mostrando il costato ferito e le mani e i piedi piagati per vincere l’incredulità di Tommaso indica alla Chiesa e al mondo il cammino per arrivare alla fede: bisogna partire dal Crocifisso, è dalla contemplazione amorosa del Crocifisso risorto che sgorga la fede: «Attraverso la via della croce si arriva alla gloria: teologia della croce per essere teologia della gloria. Gesù mostra le mani, quelle mani ferite, perforate dai chiodi, il segno dell’amore; mostra il costato squarciato, segno ancora più grande dell’amore: il cuore trafitto. La morte è dimostrazione massima dell’amore. La risurrezione è amore» (Don Carlo De Ambrogio).
Solo chi muore amando entra nella vita del Risorto (Cf. 1Gv 3,14).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Io ho in mano le chiavi della morte e dell’aldilà, non abbiate paura, sarete eterni, avrete l’immortalità, una vita come quella che ho io.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che nel giorno del Signore raduni il tuo popolo per celebrare colui che è il Primo e l’Ultimo, il Vivente che ha sconfitto la morte, donaci la forza del tuo Spirito, perché, spezzati i vi coli del male, ti rendiamo libero servizio della nostra obbedienza e del nostro amore, per regnare con Cristo nella gloria. Egli è Dio, e vive e regna con te...



27 Aprile 2019

Sabato FRA L’OTTAVA DI PASQUA


Oggi Gesù ci dice: «Andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15 - Cfr. Antifona alla comunione).

Vangelo - Dal Vangelo secondo Marco 16,9-15: Il brano di Marco riecheggia passi di altri vangeli (cfr. Mt 28,16-20; Lc 24,36-49; Gv 20,19-23). Gesù rimprovera i discepoli a motivo della loro incredulità. Poi, il mandato missionario: Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. L’annuncio della buona novella porterà o la vita o la morte agli uomini, a seconda della loro risposta di fede o di incredulità. Gli uomini di tutti i tempi devono fare una loro scelta.

L’apparizione ai due discepoli - Adalberto Sisti (Marco): versetti 12-13: L’episodio corrisponde senza dubbio a quello dei due discepoli di Emmaus, di cui riferisce con abbondanza di particolari Lc 24,13-35. Messi a confronto i due testi, si vede bene che questo di Mc ne è un brevissimo condensato, volto solo a coglierne gli aspetti fondamentali: di condiscendenza da parte del Risorto nel farsi vedere; e di incredulità da parte degli Undici (v. 14) nel rifiutare anche questa testimonianza.
versetto 12 sotto altra forma: per la notevole concatenazione logica che domina tutta questa finale di Mc, in cui tutti gli elementi narrativi sono legati l’uno all’altro, sembrerebbe che per altra forma si debba intendere una maniera di presentarsi diversa da quella ricordata al v. 9; a Maria Maddalena sotto l’aspetto di un giardiniere (Gv 20,15), qui nell’aspetto di un viandante (Lc 24,15). Ma poiché tanto Gv con l’insieme del suo racconto quanto Lc con parole esplicite ci dicono che sia l’una come gli altri in un primo tempo non riconobbero la persona del Maestro (Lc 24,16), si deve pensare ad un aspetto diverso da quello del Gesù terreno, da loro precedentemente conosciuto. Come insegna S. Paolo per i corpi di tutti coloro che saranno risuscitati da morte (1Cor 15,35-49), il corpo glorioso di Gesù doveva avere delle proprietà particolari, che gli permettevano di sottrarsi alle ordinarie leggi fisiche, potendo penetrare anche attraverso materie solide e manifestarsi o scomparire come e quando voleva (si veda ad esempio Lc 24,31 e Gv 20,19.26). - a due di loro: del gruppo dei discepoli ricordati al v. 10 (gli apostoli verranno dopo, v. 14, come al sommo della gerarchia rispettata dall’autore nel riferire le apparizioni). Lc 24,18 dandoci il nome di uno dei due (un certo Cleofa) indirettamente conferma la notizia che non si trattava di apostoli. - per andare in campagna, i due da Gerusalemme facevano ritorno alla loro casa in campagna, che secondo Lc 24,13 si trovava nel villaggio di Emmaus, distante 60 stadi (km 11,100) dalla stessa Gerusalemme.
versetto13 non credettero neppure ad essi: come abbiamo detto, l’insistenza sull’incredulità dei discepoli rientra nel disegno narrativo di questa finale di Mc. Si è fatto notare che, almeno in questo caso, l’annotazione contraddice a Lc 24,34-35 secondo il cui testo i due discepoli di Emmaus al loro ritorno a Gerusalemme trovano negli altri compagni degli animi già preparati ad accogliere il loro messaggio. Ma basta leggere qualche riga più sotto per vedere che la precedente affermazione viene di fatto attenuata con l’ammissione di tanti dubbi e incertezze, che Gesù stesso stenta a farsi riconoscere (Lc 24,37-49). Ciò significa che nella maggioranza i discepoli non erano ancora disposti a credere quanto veniva loro riferito da altri.

Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Il ricordo di questa apparizione è legato al severo rimprovero che il Maestro rivolse agli apostoli a motivo della loro incredulità e durezza di cuore; il rimprovero è molto più severo degli altri ricordati nel vangelo di Marco (cf. 4, 40; 8,17), perché il Maestro accusa gli apostoli di non aver creduto a coloro che l’avevano visto risorto. Gesù, apparendo agli Undici mentre erano a mensa, vuol togliere dal loro animo ogni resto di dubbio e di diffidenza. Quest’apparizione, richiamata fugacemente nella conclusione dello scritto di Marco, corrisponde a quella narrata più diffusamente da Luca, 29,36-49 e da Giovanni, 20,19-23. Agli Undici; dopo la defezione di Giuda e prima dell’elezione di Mattia «gli Undici» era il termine consacrato per designare il collegio apostolico, anche se il gruppo in quell’occasione risultava composto soltanto da dieci apostoli a motivo dell’assenza di Tommaso (cf. Gio., 20, 24). Il duro rimprovero del Salvatore era ben giustificato, perché gli apostoli dovevano essere ben disposti ad accogliere l’annunzio della risurrezione, richiamandosi alla memoria le profezie fatte dallo stesso Maestro durante il suo ministero pubblico in tre circostanze distinte ed accettando le testimonianze delle persone favorite dalle sue apparizioni (perché non avevano creduto a quelli che l’avevano visto risorto).
Tra il vers. 14 ed il vers. 15 il codice W (cod. Freerianus) inserisce il così detto Logion di Freer che, nel pensiero del compilatore, ha lo scopo di attenuare la colpevolezza degli apostoli. 

La missione di Gesù nei sinottici e negli Atti degli Apostoli - Giuseppe Ghiberti: Nel Nuovo Testamento, la missione per eccellenza è quella di Gesù. Da questa bisogna partire per comprendere le altre. Nella presentazione del mistero di Gesù, la riflessione neotestamentaria si rifà volentieri alla realtà della missione: essa sembra particolar­mente adatta a spiegare la presenza di Gesù fra gli uomini e dà ragione della sua attività.
Negli scritti di Marco, Matteo e Luca, la missione non è la categoria fondamentale nel discorso su Gesù; ma anche i cenni occasionali sono già assai istruttivi. Essi infatti ci consentono di individuare i caratteri fondamentali di questa realtà che segnalo in ordine sistematico.
L’origine della missione di Gesù, o mandante, è chiaramente Dio Padre, anche se solo una volta si dà rilievo alla cosa: «Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato» (Mt 10,40; cf. Lc 10,16). L’andamento della frase è particolarmente significativo, perché pone identità fra la missione di Gesù e l’invio dei discepoli. Ritroveremo questo pensiero ancora più esplicito nel quarto vangelo (cf. Gv 20,21).
Oggetto della missione è la proclamazione della buona novella, come dice il passo classico di Lc 4,18 (in riferimento a Is 61,lss): «Egli però disse: Bisogna che io annunzi il regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato» (Lc 4,43).
Altre informazioni raccogliamo indirettamente sulla missione di Gesù, quando egli dice perché sia venuto: a salvare quanto era perduto (Lc 19,10; cf. tutto il c. 15); «non a chiamare i giusti ma i peccatori» (Mt 9,13); non a essere servito ma a servire (Mt 20,28); non a portare la pace ma la guerra (Mt 10,34). Altrove, invece, in altro senso, si dice proprio che Gesù fu inviato per annunciare la pace (At 10,36): qui è la somma dei beni della salvezza, mentre prima era la tranquillità del disimpegno.
I destinatari della missione di Gesù, cioè coloro in favore dei quali essa a realizza, sono anzitutto i «figli d’Israele così At 3,25-26: «Voi siete i figli da profeti e dell’alleanza che Dio stabilì con i vostri padri, quando disse ad Abramo: Nella tua discendenza saranno benedette tutte le famiglie della terra. Dio, dopo aver risuscitato il suo servo, l’ha mandato prima di tutto a voi per portarvi la benedizione e perché ciascuno si converta sue iniquità».
Ma la missione a Israele non è esclusiva: proprio nel contesto in cui Gesù proclama di essere stato mandato solo «alle pecore perdute della casa d’Israele» 15,24), egli interviene anche in favore della madre cananea. La stessa tendenza di Gesù in favore dei più sprovvisti d’aiuto («non i sani hanno bisogno del medico ma i malati»: Mc 2,17), dei peccatori a preferenza dei giusti, prepara a una comprensione della missione di Gesù che supera i confini materiali in cui si svolse. Se ne udrà la proclamazione in At 28 «Sia dunque noto a voi che questa salvezza di Dio viene ora rivolta ai pagani essi l’ascolteranno».
Il tempo della missione è quello che Gesù trascorre sulla terra; ma s. Pietro. At 3, conosce un’ultima missione, che coinciderà col ritorno di Cristo, ed è collegata all’attuale impegno di chi ha udito il mesaggio cristiano: «Pentitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati e così possano giungere i tempi della consolazione da parte del Signore ed egli mandi quello che vi aveva destinato messia, cioè Gesù» (vv. 19-20). Ciò non è altro che la conferma di quanto Gesù sulla sua venuta «sulle nubi, con potenza e gloria», nel giorno finale 13,26 e 14,62).
Concludendo: dai dati dei sinottici possiamo raccogliere suggerimenti preziosi non tanto per capire direttamente chi è Gesù e chi l’ha inviato, quanto per inquadrare la sua missione nella prospettiva della salvezza, da lungo attesa e ora offerta all’umanità, cominciando dai più bisognosi.

La spiritualità missionaria - Lasciarsi condurre dallo Spirito: Redemptoris missio 87: L’attività missionaria esige una specifica spiritualità che riguarda, in particolare, quanti Dio ha chiamato a essere missionari. Tale spiritualità si esprime, innanzitutto, nel vivere in piena docilità allo Spirito: essa impegna a lasciarsi plasmare interiormente da lui? per divenire sempre più conformi a Cristo. Non si può testimoniare Cristo senza riflettere la sua immagine, la quale è resa viva in noi dalla grazia e dall’opera dello Spirito. La docilità allo Spirito impegna poi ad accogliere i doni della fortezza e del discernimento, che sono tratti essenziali della stessa spiritualità. Emblematico è il caso degli apostoli, che durante la vita pubblica del Maestro, nonostante il loro amore per lui e la generosità della risposta alla sua chiamata, si dimostrano incapaci di comprendere le sue parole e restii a seguirlo sulla via della sofferenza e dell’umiliazione. Lo Spirito li trasformerà in testimoni coraggiosi del Cristo e annunziatori illuminati della sua Parola: sarà lo Spirito a condurli per le vie ardue e nuove della missione. Anche oggi la missione rimane difficile e complessa come in passato e richiede ugualmente il coraggio e la luce dello Spirito: viviamo spesso il dramma della prima comunità cristiana, che vedeva forze incredule e ostili «radunarsi insieme contro il Signore e contro il suo Cristo». (At 4,26) Come allora, oggi occorre pregare, perché Dio ci doni la franchezza di proclamare il Vangelo; occorre scrutare le vie misteriose dello Spirito e lasciarsi da lui condurre in tutta la verità (Gv 16,13).

L’apostolato dei laici: Ad Gentes (n. 21): La Chiesa non si può considerare realmente fondata, non vive in maniera piena, non è segno perfetto della presenza di Cristo tra gli uomini, se alla gerarchia non si affianca e collabora un laicato autentico. Non può infatti il Vangelo penetrare ben addentro nella mentalità, nel costume, nell’attività di un popolo, se manca la presenza dinamica dei laici … Principale loro compito, siano essi uomini o donne, è la testimonianza a Cristo, che devono rendere, con la vita e con la parola, nella famiglia, nel gruppo sociale cui appartengono e nell’ambito della professione che esercitano. In essi deve realmente apparire l’uomo nuovo, che è stato creato secondo Dio in giustizia e santità della verità. Questa vita nuova debbono esprimerla nell’ambito della società e della cultura della propria patria, e nel rispetto delle tradizioni nazionali. Debbono perciò conoscere questa cultura, purificarla, conservarla e svilupparla in armonia con le nuove condizioni, e infine perfezionarla in Cristo, affinché la fede di Cristo e la vita della Chiesa non siano già elementi estranei alla società in cui vivono, ma comincino a penetrarla ed a trasformarla. I laici si sentano uniti ai loro concittadini da sincero amore, rivelando con il loro comportamento quel vincolo assolutamente nuovo di unità e di solidarietà universale, che attingono dal mistero del Cristo. Diffondano anche la fede di Cristo tra coloro a cui li legano vincoli sociali e professionali: questo obbligo è reso più urgente dal fatto che moltissimi uomini non possono né ascoltare il Vangelo né conoscere Cristo se non per mezzo di laici che siano loro vicini. Anzi, laddove è possibile, i laici siano pronti a cooperare ancora più direttamente con la gerarchia, svolgendo missioni speciali per annunziare il Vangelo e divulgare l’insegnamento cristiano: daranno così vigore alla Chiesa che nasce.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Non i sani hanno bisogno del medico ma i malati» (Mc 2,17).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che nella tua immensa bontà estendi a tutti i popoli il dono della fede, guarda i tuoi figli di elezione, perché coloro che sono rinati nel Battesimo ricevano la veste candida della vita immortale. Per il nostro Signore Gesù Cristo... 



26 Aprile 2019


VENERDÌ FRA L’OTTAVA DI PASQUA


Oggi Gesù ci dice:  “Venite e mangiate” (Cfr. Antifona alla comunione)

Vangelo - Dal Vangelo secondo Giovanni 21,1-14: Il vangelo attraverso delle immagini ci conduce alla comprensione delle vicende terrene della Chiesa e del Principe degli Apostoli. La grande quantità di pesci simboleggia il successo che avrà la Chiesa nella predicazione del Vangelo di Gesù. Pietro sarà il primo, ma il primato sarà sinonimo di servizio fino al dono della vita: «... quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi» (Gv 21,18-19). Una vita intensa, votata al martirio, ma sempre sostenuta dalla Presenza del Risorto: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

Quando era già l’alba, Gesù si presenta sulla riva, ma i discepoli non lo riconoscono, un elemento tipico delle apparizioni (Cf. Lc 24,16; Gv 20,14). Fanno però quanto viene loro comandato e traggono a terra la rete piena di una «grande quantità di pesci».
Questa sovrabbondanza richiama il miracolo di Cana (Cf. Gv 2,6), la moltiplicazione dei pani (Cf. Gv 6,11s), l’acqua viva (Cf. Gv 4,14; 7,37s), la vita data dal buon pastore (Cf. Gv 10,10), la pienezza dello Spirito data da Gesù (Cf. Gv 3,34).
A fronte di questo prodigio, il discepolo «che Gesù amava» riconosce nello sconosciuto il Risorto e lo riferisce a Pietro. La reazione di Pietro è repentina, propria del suo carattere impetuoso, si getta in acqua e raggiunge a nuoto la spiaggia; mentre gli altri trascinando la rete piena di pesci raggiungono la terra: «Ecco, dunque, la scena ormai completa di significato simbolico: gli Apostoli, con a capo Pietro, corrono verso Cristo, Cristo Risorto, trascinando la barca ricolma della pesca miracolosa!» (Massimo Biocco).
Pietro, ad un invito del Risorto, trae a terra la rete piena di «centocinquantatré grossi pesci». Un numero certamente  simbolico (Cf. Ez 47,10), ma la sottolineatura benché fossero tanti, la rete non si spezzò, sta a simboleggiare il fatto che la Chiesa, autenticamente fondata sulla parola di Gesù e sulla fede di Pietro (Cf. Mt 16,16), non si spezzerà nonostante la pavidità di molti cristiani e le persecuzioni degli uomini: «doppio miracolo quindi: la pesca abbondante e le reti che non si rompono. Anche nell’unica barca [nel racconto di Luca sono due] e nella rete che non si rompe molti vedono il simbolo dell’unità della Chiesa» (G. Segalla).
L’apparizione si conclude con un banchetto dove Gesù offre ai suoi discepoli pane e pesce arrostito (Cf. Mt 14,17-19). Ma perché la Chiesa inizi a camminare per le vie del mondo occorrono ancora due tasselli: il perdono di Gesù che cancella il peccato di Pietro, e l’investitura ufficiale di pascere la Chiesa, due tasselli che sono bene incastonati in un cornice tutta tinta di martirio.

Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli - Catechismo degli Adulti 265: L’apostolo Paolo, verso l’anno 55, riassume l’annuncio pasquale della prima comunità cristiana con quattro verbi, che indicano avvenimenti reali, anche se non tutti controllabili allo stesso modo: «Cristo morì... fu sepolto... è risuscitato... apparve»; poi subito fa seguire un elenco di testimoni autorevoli, ai quali bisogna fare riferimento: «apparve a Cefa (Pietro) e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me» (1Cor 15,3-8).
Si potrebbe obiettare: se Gesù davvero è risorto, perché non si è manifestato anche al sinedrio, a Ponzio Pilato, a tutto il popolo? Per incontrare Dio, bisogna prima cercarlo umilmente; non ha senso un miracolo per costringere a credere. Del resto Dio è sovranamente libero nelle sue decisioni: «Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti» (At 10,40-41)
266: Gli incontri del Risorto con i suoi avvennero a Gerusalemme e in Galilea. Ma è impossibile per noi stabilirne la successione e le modalità. I racconti pasquali, riportati nei quattro Vangeli, presentano divergenze in numerosi dettagli. Questi dettagli a volte, più che ricordi, sembrano essere mezzi letterari per esprimere la concretezza o il significato dell’incontro. La struttura dei racconti è però costante: iniziativa del Risorto, che si fa vedere, viene, si avvicina, sta in mezzo, si manifesta; riconoscimento da parte dei discepoli, senza possibilità di equivocare con qualche spirito o fantasma; missione affidata agli apostoli, che fa della loro testimonianza il fondamento della Chiesa. L’insistenza sull’oggettività dell’esperienza è tale, che le apparizioni sono in realtà da considerare veri e propri incontri interpersonali concreti.

Si manifestò così - Catechismo della Chiesa Cattolica 645: Gesù risorto stabilisce con i suoi discepoli rapporti diretti, attraverso il contatto e la condivisione del pasto. Li invita a riconoscere da ciò che egli non è un fantasma, ma soprattutto a constatare che il corpo risuscitato con il quale si presenta a loro è il medesimo che è stato martoriato e crocifisso, poiché porta ancora i segni della passione. Questo corpo autentico e reale possiede però al tempo stesso le proprietà nuove di un corpo glorioso; esso non è più situato nello spazio e nel tempo, ma può rendersi presente a suo modo dove e quando vuole, poiché la sua umanità non può più essere trattenuta sulla terra e ormai non appartiene che al dominio divino del Padre. Anche per questa ragione Gesù risorto è sovranamente libero di apparire come vuole: sotto l’aspetto di un giardiniere o sotto altre sembianze, che erano familiari ai discepoli, e ciò per suscitare la loro fede.

È il Signore - Catechismo della Chiesa Cattolica 446-448: Nella traduzione greca dei libri dell’Antico Testamento, il nome ineffabile sotto il quale Dio si è rivelato a Mosè, YHWH, è reso con “Kyrios” [”Signore”]. Da allora Signore diventa il nome più abituale per indicare la stessa divinità del Dio di Israele. Il Nuovo Testamento utilizza in questo senso forte il titolo di “Signore” per il Padre, ma, ed è questa la novità, anche per Gesù riconosciuto cosi egli stesso come Dio. Gesù stesso attribuisce a sé, in maniera velata, tale titolo allorché discute con i farisei sul senso del Salmo 110, ma anche in modo esplicito rivolgendosi ai suoi Apostoli. Durante la sua vita pubblica i suoi gesti di potenza sulla natura, sulle malattie, sui demoni, sulla morte e sul peccato, manifestavano la sua sovranità divina. Molto spesso, nei Vangeli, alcune persone si rivolgono a Gesù chiamandolo “Signore”. Questo titolo esprime il rispetto e la fiducia di coloro che si avvicinano a Gesù e da lui attendono aiuto e guarigione. Pronunciato sotto la mozione dello Spirito Santo, esprime il riconoscimento del Mistero divino di Gesù. Nell’incontro con Gesù risorto, diventa espressione di adorazione: “Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20,28). Assume allora una connotazione d’amore e d’affetto che resterà peculiare della tradizione cristiana: “È il Signore!”(Gv 21,7).

Il vangelo della risurrezione nella predicazione apostolica - J. Radermakers e P. Grelot: Fin dal giorno della Pentecoste, la risurrezione diventa il centro della predicazione apostolica, perché in essa si rivela l’oggetto fondamentale della fede cristiana (Atti 2, 22-35). Questo vangelo di Pasqua è innanzitutto la testimonianza resa ad un fatto: Gesù è stato crocifisso ed è morto; ma Dio lo ha risuscitato e per mezzo suo apporta agli uomini la salvezza. Questa è la catechesi dì Pietro ai Giudeí (3,14s) e la sua confessione dinanzi al sinedrio (4,10), l’insegnamento di Filippo all’eunuco etiope (8,35), quello di Paolo ai Giudei (13,33; 17,3) ed ai pagani (17,31) e la sua confessione dinanzi ai suoi giudici (23,6). Non è altro che il contenuto stesso dell’esperienza pasquale. Un punto importante è sempre notato a proposito di questa esperienza: la sua conformità con le Scritture (cfr. 1Cor 15,3s). Da una parte, la risurrezione di Gesù compie le promesse profetiche: promessa dell’esaltazione gloriosa del Messia alla destra di Dio (Atti 2, 34; 13, 32 s), della glorificazione del servo dì Jahve (Atti 4, 30; Fil 2, 7 ss), della intronizzazione del figlio dell’uomo (Atti 7,56; cfr. Mt 26,64 par.). Dall’altra parte, per tradurre questo mistero che è fuori dell’esperienza storica comune, i testi della Scrittura forniscono un insieme di espressioni che ne abbozzano i diversi aspetti: Gesù è il santo che Dio strappa alla corruzione dell’Ade (Atti 2,25-32; 13,35ss; cfr. Sal 16,8-11); è il nuovo Adamo sotto i cui piedi Dio ha posto ogni cosa (1Cor 15,27; Ebr 1,5-13; cfr. Sal 8); è la pietra rigettata dai costruttori e diventata pietra angolare (Atti 4,11; cfr. Sal 118, 22). Cristo glorificato appare in tal modo come la chiave di tutta la Scrittura, che lo concerneva in anticipo (cfr. Le 24, 27. 44 ss). 4
Senso e portata della risurrezione. - La predicazione apostolica, a mano a mano che opera in tal modo accostamenti tra la risurrezione e le Scritture, elabora un’interpretazione teologica del fatto. Essendo la glorificazione del Figlio da parte del Padre (Atti 2,22ss; Rom 8,11; cfr. Gv 17,1ss), la risurrezione appone il sigillo di Dio sull’atto della redenzione inaugurata con l’incarnazione e portata a termine con la croce. Con essa Gesù è costituito «Figlio di Dio nella sua potenza» (Rom 1,4; cfr. Atti 13,33; Ebr 1,5; 5,5; Sal 2,7), «Signore e Cristo» (Atti 2,36), «Capo e salvatore» (Atti 5,31), «giudice e Signore dei vivi e dei morti» (Atti 10,42; Rom 14,9; 2Tim 4,1). Risalito al Padre (Gv 20,17), egli può ora dare agli uomini lo Spirito promesso (Gv 20,22; Atti 2,33). Con ciò si rivela pienamente il senso profondo della sua vita terrena: essa era la manifestazione di Dio in terra, del suo amore, della sua grazia (2Tim 1,10; Tit 2,11; 3,4). Manifestazione velata, in cui la gloria non era percepibile che sotto segni (Gv 1,11) o per brevi istanti, come quello della trasfigurazione (Lc 9,32.35 par.; cfr. Gv l,14). Ora che Gesù è entrato definitivamente nella gloria, la manifestazione continua nella Chiesa con i miracoli (Atti 3,16) e con il dono dello Spirito agli uomini che credono (Atti 2,38s; 10,44s). Così Gesù, «primogenito di tra i morti» (Atti 26,23; Col 1,18; Apoc 1,5), è entrato per primo in questo nuovo mondo (cfr. Is 65,17) che è l’universo redento. Essendo il «Signore della gloria» (1Cor 2,8; cfr. Giac 2,1; Fil 2,11), egli è per gli uomini l’autore della salvezza (Atti 3,6). Forte della potenza divina, egli si crea un popolo santo (1Piet 2,9s) che trascina nella sua scia.

In quanto risorto, Cristo è testimone affidabile, degno di fede - Lumen fidei 17: […] la morte di Cristo svela l’affidabilità totale dell’amore di Dio alla luce della sua Risurrezione. In quanto risorto, Cristo è testimone affidabile, degno di fede (cfr Ap 1,5; Eb 2,17), appoggio solido per la nostra fede. «Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede», afferma san Paolo (1 Cor 15,17). Se l’amore del Padre non avesse fatto risorgere Gesù dai morti, se non avesse potuto ridare vita al suo corpo, allora non sarebbe un amore pienamente affidabile, capace di illuminare anche le tenebre della morte. Quando san Paolo parla della sua nuova vita in Cristo, si riferisce alla «fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). Questa “fede del Figlio di Dio” è certamente la fede dell’Apostolo delle genti in Gesù, ma suppone anche l’affidabilità di Gesù, che si fonda, sì, nel suo amore fino alla morte, ma anche nel suo essere Figlio di Dio. Proprio perché Gesù è il Figlio, perché è radicato in modo assoluto nel Padre, ha potuto vincere la morte e far risplendere in pienezza la vita. La nostra cultura ha perso la percezione di questa presenza concreta di Dio, della sua azione nel mondo. Pensiamo che Dio si trovi solo al di là, in un altro livello di realtà, separato dai nostri rapporti concreti. Ma se fosse così, se Dio fosse incapace di agire nel mondo, il suo amore non sarebbe veramente potente, veramente reale, e non sarebbe quindi neanche vero amore, capace di compiere quella felicità che promette. Credere o non credere in Lui sarebbe allora del tutto indifferente. I cristiani, invece, confessano l’amore concreto e potente di Dio, che opera veramente nella storia e ne determina il destino finale, amore che si è fatto incontrabile, che si è rivelato in pienezza nella Passione, Morte e Risurrezione di Cristo.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Gesù è il nuovo Adamo sotto i cui piedi Dio ha posto ogni cosa.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa:  Dio onnipotente ed eterno, che nella Pasqua del tuo Figlio hai offerto agli uomini il patto della riconciliazione e della pace, donaci di testimoniare nella vita il mistero che celebriamo nella fede. Per il nostro Signore Gesù Cristo...



25 Aprile 2019
  
GIOVEDÌ FRA L’OTTAVA DI PASQUA


Oggi Gesù ci dice: «Voi siete un popolo redento; annunziate le grandi opere del Signore, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce.» (1Pt 2,9 - Antifona alla comunione)

Vangelo - Dal Vangelo secondo Luca 24,35-48: Il Cristo risorto è una Persona, non è l’elucubrazione mentale di visionari o invenzione fantastica di menti malate. Gesù risorto non è un fantasma! È vivo! Palpatemi, toccatemi, «sono proprio io!».  E indubbiamente il racconto lucano ha anche uno scopo didattico. Per dei cristiani «che vivevano in ambiente greco, dove le diverse filosofie insegnavano che l’anima vive separata dal corpo, dopo la morte, era importante affermare che Cristo risorto non era uno “spirito” immortale senza corpo [...], perciò san Luca vuole prima di tutto dire ai suoi lettori che Gesù è veramente risorto perché adesso vive di nuovo con il suo corpo, quel corpo che era stato dato alla morte sulla croce» (Settimio Cipriani).

Sconvolti e pieni di paura - Mario Galizzi (Vangelo secondo Luca): Solo la parola di Gesù li riporta alla realtà, anche se a loro non basta risentire la stessa voce. E allora Gesù fa qualcosa di cui essi già hanno esperienza: legge nei loro cuori (5,22; 6,8; 9,48) e dice: «Perché sorgono tanti dubbi nel vostro cuore?». La parola di Gesù esprime bene la loro intima situazione, che si traduce in un atteggiamento di turbamento e incertezza. Sembra proprio lui, ma non riescono a darsi ragione del suo rendersi visibile e invisibile in modo improvviso.
Un vero essere umano non ha queste capacità ed essi non conoscono le capacità di un risorto. Essi hanno bisogno di convincersi che il Risorto e il Crocifisso sono la stessa e identica persona.
E Gesù li accontenta, li invita a guardare, toccare, palpare per capire che non è un puro spirito perché ha davvero carne e ossa, un’espressione questa che dà l’idea della concretezza, dell’individualità. Ma non perdiamo di vista Gesù che mentre diceva ciò mostrava loro le mani e i piedi (in Gv 20,20 invece di piedi si legge costato). Non c’era di meglio per capire che era lui il Crocifisso. Ed ecco che scoppia la gioia (idea presente pure in Gv 20,19), anche se la diffidenza non scompare ancora.
Allora chiede loro qualcosa da mangiare. E questo fatto di vederlo mangiare è la prova che li convince e a cui Pietro si appellerà per convincere altri, dicendo: «Noi abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione» (At 10,41).

Credevano di vedere un fantasma - Catechismo della Chiesa Cattolica 644: Anche messi davanti alla realtà di Gesù risuscitato, i discepoli dubitano ancora, tanto la cosa appare loro impossibile: credono di vedere un fantasma. «Per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti» (Lc 24,41). Tommaso conobbe la medesima prova del dubbio e, quando vi fu l’ultima apparizione in Galilea riferita da Matteo, «alcuni [...] dubitavano» (Mt 28,17). Per questo l’ipotesi secondo cui la risurrezione sarebbe stata un «prodotto» della fede (o della credulità) degli Apostoli non ha fondamento. Al contrario, la loro fede nella risurrezione è nata - sotto l’azione della grazia divina - dall’esperienza diretta della realtà di Gesù risorto.

Lo stato dell’umanità di cristo risuscitato - Catechismo della Chiesa Cattolica 645: Gesù risorto stabilisce con i suoi discepoli rapporti diretti, attraverso il contatto e la condivisione del pasto. Li invita a riconoscere da ciò che egli non è un fantasma, ma soprattutto a constatare che il corpo risuscitato con il quale si presenta a loro è il medesimo che è stato martoriato e crocifisso, poiché porta ancora i segni della passione. Questo corpo autentico e reale possiede però al tempo stesso le proprietà nuove di un corpo glorioso; esso non è più situato nello spazio e nel tempo, ma può rendersi presente a suo modo dove e quando vuole, poiché la sua umanità non può più essere trattenuta sulla terra e ormai non appartiene che al dominio divino del Padre. Anche per questa ragione Gesù risorto è sovranamente libero di apparire come vuole: sotto l’aspetto di un giardiniere o «sotto altro aspetto» (Mc 16,12) diverso da quello che era familiare ai discepoli, e ciò per suscitare la loro fede.
646 La risurrezione di Cristo non fu un ritorno alla vita terrena, come lo fu per le risurrezioni che egli aveva compiute prima della pasqua: quelle della figlia di Giairo, del giovane di Naim, di Lazzaro. Questi fatti erano avvenimenti miracolosi, ma le persone miracolate ritrovavano, per il potere di Gesù, una vita terrena «ordinaria». Ad un certo momento esse sarebbero morte di nuovo. La risurrezione di Cristo è essenzialmente diversa. Nel suo corpo risuscitato egli passa dallo stato di morte ad un’altra vita al di là del tempo e dello spazio. Il corpo di Gesù è, nella risurrezione, colmato della potenza dello Spirito Santo; partecipa alla vita divina nello stato della sua gloria, sì che san Paolo può dire di Cristo che egli è l’uomo celeste. 

Guardate le mie mani e i miei piedi - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Vedete le mie mani ed i miei piedi; espressione sintetica piena di efficacia; il Maestro vuole che i presenti si accertino pienamente della realtà del suo corpo resuscitato, constatando in esso le impronte lasciate nelle mani e nei piedi dai chiodi della crocifissione. Preferiamo parlare di impronte invece di cicatrici, perché l’integrità del corpo glorioso di Gesù non poteva essere alterata da vere e proprie cicatrici. Non è poi necessario ritenere che il Redentore risorto e glorioso abbia conservato le impronte della crocifissione; è certo soltanto che egli le abbia mostrate in alcune circostanze particolari, nelle quali gli occorreva indicare questi segni inequivocabili dell’identità somatica del suo corpo glorioso. Ad esempio quando Gesù apparve ai discepoli di Emmaus non aveva certamente le cicatrici nelle mani; nel qual caso i suoi due compagni di viaggio si sarebbero accorti quando il Maestro gesticolava nel parlare oppure quando prese il pane per benedirlo e spezzarlo (cf. vers. 30). Il testo evangelico afferma che il Salvatore nella presente apparizione si mostrò con le impronte della sua crocifissione. Toccatemi ed osservate; altri traducono: toccatemi e rendetevi conto; oppure: ...e capite. Il toccare le mani ed i piedi costituiva una prova sicura che non si trattava di uno spirito, né di un fantasma, ma di un corpo reale; S. Agostino osserva acutamente: «le vostre mani si accertino nel caso ché gli occhi dubitino».

Così sta scritto ...: Carlo Ghidelli (Luca): Sono facilmente rilevabili, da questo versetto in poi, le grandi realtà salvifiche che, secondo le parole del Risorto, saranno operanti nella storia della Chiesa nascente: il Nome del Signore (v. 47; cfr At 2,21) che racchiude tutta la potenza divina [...]; il Promesso dal Padre (v. 49: cfr At 1,4; 2,33 in relazione a Gl 3,1-5), cioè lo Spirito Santo-dono, effuso dal Padre per mezzo di Cristo risorto sulla Chiesa nascente e confessante; questo Spirito è chiamato anche potenza - dynamìs (v. 49c e At 1,8) che viene dall’alto, cioè da Dio; infine la testimonianza, intesa come servizio prestato alla Parola di Dio, come obbedienza al comando del Risorto, come esercizio di un carisma speciale (il termine martus negli scritti lucani designa sempre e solo la testimonianza tipica che gli apostoli rendono a Cristo morto e risorto).
In queste parole di Gesù risorto possiamo riconoscere il testamento di Gesù ai suoi (nella redazione lucana). Inoltre vi troviamo la sintesi dell’insegnamento che Luca stesso, come storico e come evangelista, ha voluto trasmettere alla Chiesa attraverso la sua opera scritta. Qui troviamo affermata a chiare lettere: - la continuità tra Cristo e la Chiesa, tra la missione di lui e la missione della Chiesa; - la necessità della predicazione apostolica in ordine alla salvezza in Cristo da partecipare agli uomini di tutti i tempi (per questo non è sufficiente che Cristo sia morto e risorto, ma è necessario che il Risorto abbia dei predicatori e dei testimoni); - l’insostituibile compito dello Spirito Santo, che è la forza, la consolazione, lo stimolo della Chiesa stessa; troviamo, infine, un accenno al piano teologico dell’opera lucana, secondo cui la predicazione del regno, una volta arrivata a Gerusalemme, deve da questa stessa città ripartire per una diffusione universale.

Karl Barth: Gesù venne e stette in mezzo ai suoi discepoli; e disse loro: La pace sia con voi!» (Gv. 20,19).
Colui che in quel giorno si pose fra i discepoli, prese dunque il posto centrale, salendo sul trono che gli spettava di diritto e che si trova nel cuore della storia del mondo. Gesù ha augurato, portato e creato la pace per tutti gli uomini di tutte le nazioni e di tutti i tempi, dì tutta la terra, del mondo visibile e di quello invisibile.
Quel giorno. Gesù crocifisso e risorto, in quanto Signore di tutti, ha preso posto con autorità in mezzo a tutta la popolazione umana, che talvolta esulta di gioia, altre volte si affligge mortalmente, fra gli sciocchi e gli intelligenti, fra coloro che sono troppo sicuri di sé e coloro che sono troppo timorosi, fra gli uomini religiosi e coloro che non credono. Nel mezzo di tutte le malattie e le catastrofi naturali, di tutte le guerre e le rivoluzioni, dei trattati di pace e della loro rottura; nel mezzo del progresso, dell’immobilismo e del regresso, al centro di tutta la miseria umana innocente o colpevole, egli apparve e si rivelò come quello che era, è e sarà.
La pace sia con voi! e mostrò le mani e il costato. Quel giorno, fra tante spine ed erbacce, è stato seminato quel chicco di grano che sta maturando in vista del raccolto.
Possiamo fidarci: ciò che accadde quel giorno era e rimane il centro attorno al quale tutto il resto |si muove, dal quale tutto deriva e verso il quale tutto s’incammina. Esistono tante luci, vere e apparenti, chiare e fosche; questa è quella che brillerà più a lungo, allorché tutte le altre avranno fatto il loro tempo e si saranno estinte. Poiché ogni cosa ha il suo tempo di durata; ma l’amore di Dio, che era all’opera e si esprimeva attraverso la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, dura per l’eternità.
Dal momento che un giorno tale risurrezione ha avuto luogo, non vi è motivo di disperare; vi sono invece tutte le ragioni per sperare, perfino quando sfogliamo e leggiamo il quotidiano, con tutte le sue notizie spaventose, perfino a proposito di questa nostra storia dai molteplici aspetti inquietanti che chiamiamo la storia del mondo. Così dunque Gesù, l’unico grande Mediatore fra Dio e gli uomini, risorto dai morti, ha preso posto al centro della sua comunità, della vita di ciascun uomo e della storia del mondo. Ed è proprio partendo da là che Cristo ha pronunciato la prima Parola e l’ultima.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo.” (Sal 117,24).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che da ogni parte della terra hai riunito i popoli per lodare il tuo nome, concedi che tutti i tuoi figli, nati a nuova vita nelle acque del Battesimo e animati dall’unica fede, esprimano nelle opere l’unico amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo...