28 Marzo 2019

Giovedì Terza Settimana di Quaresima


Oggi Gesù ci dice: “Chi non è con me è contro di me.” (Vangelo).

Vangelo - Dal Vangelo secondo Luca 11,14-23: Con il rimprovero mosso ai suoi contestatori, Gesù vuol dire che l’uomo è scusabile se si inganna sulla dignità divina di Gesù, velata dalle umili apparenze del «Figlio dell’uomo» (Mt 8,20), ma non lo è se chiude gli occhi e il cuore alle opere evidenti dello Spirito. L’espressione scacciare i demoni con il dito di Dio sottolinea la potenza di Dio (Sal 8,4). Le tavole della Legge sono scritte con il dito di Dio (Es 31,18). È “il confronto di questo passo con il parallelo Mt 12,28 che ha fatto dare allo Spirito Santo l’appellativo del «digitus paternae dexterae» (Bibbia di Gerusalemme):  «“Con il dito di Dio” Gesù scaccia “i demoni” [Lc 11,20]. Se la Legge di Dio è stata scritta su tavole di pietra “dal dito di Dio” [Es 31,18], “la lettera di Cristo”, affidata alle cure degli Apostoli, è “scritta con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei [...] cuori” [2Cor 3,3]. L’inno “Veni, Creator Spiritus” invoca lo Spirito Santo come “digitus paternae dexterae dito della destra del Padre”» (Catechismo della Chiesa Cattolica 700).

Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl - Carlo Ghidelli (Luca): per mezzo di Beelzebul: cioè di Satana. L’accusa è blasfema (cfr anche Mc 3,22; Lc 8,33; Gv 10,20; At 2,13; 26,24): si suppone un patto tra Gesù e Satana, oppure un dominio ossessivo di Satana su Gesù. Ma questo è il destino di ogni vero profeta: chi non riesce a cogliere la provvidenzialità della sua presenza, rimane come cieco e sordo di fronte a ciò che egli dice e fa (cfr Gv 9,39ss). E questa è l’opera del demonio in lui: possiamo ricondurre qui l’indicazione, esclusiva di Lc, secondo cui (v. 14) l’infermità di quel povero uomo deriva dal demonio (cfr anche 4,33 dove Lc sostituisce l’espressione uno spirito di demonio impuro a quella di Mc uno spirito impuro, e questo capita in 23 casi; cfr anche 4,39 dove la febbre è considerata come una potenza demoniaca; cfr infine 13,11.16 dove la malattia è pure attribuita al demonio e non al malato): è la demonologia che emerge in modo sempre più spiccato dagli scritti lucani. Sul significato di Beelzebul si discute: dio di Ekron (cfr 2Re 1,2) oppure signore (baal) degli idoli, oppure ancora «dio delle mosche».

Potenza dei demoni: Catechismo Tridentino Parte IV - L’orazione, 411: L’Apostolo chiama i demoni geni del male, poiché c’è il male dello spirito come c’è quello della carne. La cattiveria, o malizia carnale, attizza il desiderio alla lussuria, e ai piaceri dei sensi. Malizia spirituale, invece, sono i cattivi desideri, le cupidigie prave che hanno attinenza con la parte superiore dell’anima: e riescono tanto più vergognose delle altre, quanto la mente e la ragione sono più nobili ed alte. E poiché la malizia di Satana mira in modo speciale a privarci della celeste eredità, l’Apostolo aggiunge: nell’aria. Da ciò si può arguire che grandi sono le forze dei nemici, invitto l’animo, feroce e infinito l’odio loro verso di noi; eternamente essi ci fanno guerra, sicché nessuna pace può darsi con loro, e nessuna tregua. Quanta audacia abbiano, lo dice nel Profeta la voce stessa di Satana: Io salirò al cielo (Is 19,13). Egli ha assalito i progenitori nel paradiso, aggredito i profeti, cercato di afferrare gli Apostoli, per vagliarli come il grano, come dice il Signore nel Vangelo (Lc 22,31); e non ebbe ritegno nemmeno dinanzi a Cristo Signore. La sua insaziabile cupidità e l’immensa sua ingegnosità sono espresse da san Pietro con le parole: Il diavolo, vostro avversario, vi gira intorno quale leone ruggente, cercando chi divorare (1Pt 5,8). Né Satana è solo a tentare gli uomini; ma a volte i demoni riuniti fanno impeto contro ciascuno di noi, come confessò il demonio a Cristo Signore, che lo interrogava sul suo nome, rispondendo: Il mio nome è legione. Era cioè una moltitudine di demoni che lacerava quel disgraziato. Di un altro troviamo scritto: Prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui, e rientrano in lui (Mt 12,45).

Il diavolo possiede un immenso potere di seduzione: Satana ha sedotto Adamo ed Eva: di tutte le opere compiute dal diavolo “la più grave nelle sue conseguenze è stata la seduzione menzognera che ha indotto l’uomo a disobbedire a Dio” (Catechismo della Chiesa Cattolica 394); ha cercato di sedurre anche Cristo direttamente (cfr. Lc 4,1-13) o servendosi di Pietro (cfr. Mt 16,23); cerca di sedurre i discepoli di Cristo.
La strategia che segue per ottenere questo risultato è di convincere l’uomo che una vita vissuta nella disobbedienza alla divina volontà è migliore di quella vissuta nell’obbedienza. Inganna gli uomini persuadendoli che non hanno bisogno di Dio e che sono autosufficienti, senza bisogno della Grazia e della Salvezza. Addirittura inganna gli uomini diminuendo, anzi facendo scomparire il senso del peccato.
“La potenza di Satana però non è infinita. Egli non è che una creatura, potente per il fatto di essere puro spirito, ma pur sempre una creatura: non può impedire l’edificazione del Regno di Dio” (Catechismo della Chiesa Cattolica 395). 
La sua azione, oltre che essere limitata, “è permessa dalla divina Provvidenza, la quale guida la storia dell’uomo e del mondo con forza e dolcezza. La permissione divina dell’attività diabolica è un grande mistero, ma «noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Rm 8,28)” (Catechismo della Chiesa Cattolica 395).

Limiti dovuti alla diversa condizione dei singoli demoni - Corrado Balducci (Gli Indemoniati): Un limite all’attività del demonio proviene dalla  naturale condizione dei singoli demòni, che dipende a sua volta da due fattori: uno intrinseco, e cioè il loro grado di perfezione naturale per cui non esistono due demòni uguali tra loro; l’altro estrinseco, e cioè il posto che ognuno occupa nella gerarchia diabolica.
L’esistenza di questa gerarchia ci appare da molte frasi della Sacra Scrittura. Così ad esempio Luca riporta le seguenti parole di Gesù: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra. ora, se Satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi che dite che io scaccio i demoni per mezzo di Beelzebul?» (Lc 11,17-18); ora l’esistenza di un regno comporta un ordine, una gerarchia, in particolare si fa poi il nome di un capo: Beelzebub; inoltre Matteo ci parla del «fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli» (Mt 25,41); s. Paolo ancora ci avverte «La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il  sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti» (Ef 6,12).
Una tale gerarchia ci viene anche suggerita dal fatto che i demoni prima di cadere appartenevano ai vari ordini angelici (così san Tommaso); è poi una conseguenza della diversa perfezione naturale dei singoli (così san Tommaso). D’altra parte ciò è molto conveniente alla sapienza divina che niente lascia inordinato nel mondo, poiché «si estende con potenza da un’estremità all’altra [del mondo], e tutto governa, con bontà» (Sap 8,1).

Satana capo dei demòni: Catechismo degli Adulti 382: I demòni hanno come capo Satana. La sua forza distruttiva e il suo influsso nella storia sono indicati dalla Bibbia in termini impressionanti: «il principe di questo mondo» (Gv 12,31); «il grande drago, il serpente antico... che seduce tutta la terra» (Ap 12,9); «omicida fin da principio... e padre della menzogna» (Gv 8,44), «colui che della morte ha il potere» (Eb 2,14); il «maligno» che domina «tutto il mondo» (1Gv 5,19). Bisogna dunque vedere in lui una persona, malvagia e potente che, attraverso un’illusione di vita, organizza sistematicamente la perdizione e la morte.
Si può riconoscere un suo influsso particolare nella forza della menzogna e dell’ateismo, nell’atteggiamento diffuso di autosufficienza, nei fenomeni di distruzione lucida e folle. Ma tutta la storia, a cominciare dal peccato primordiale, è inquinata e stravolta dalla sua azione nefasta. Secondo la concezione biblica, le varie forme di male sono in qualche modo riconducibili a lui e ai demòni suoi complici. La Chiesa ritiene che «tutta intera la storia umana è pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta cominciata fin dall’origine del mondo, che durerà... fino all’ultimo giorno».
Così inquietante è la forza del male, che alcune dottrine religiose hanno immaginato l’esistenza di un dio malvagio, indipendente e concorrenziale rispetto al Dio del bene. La Chiesa rifiuta questo modo di vedere. Tuttavia non minimizza il mistero del male, riducendolo alle deficienze della natura o alla colpa dell’uomo, ma vi scorge «un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore».

La libertà dell’uomo: Nella tentazione l’uomo rimane libero nell’accogliere la seduzione oppure rigettarla.
Così san Tommaso: “Il demonio non è per l’uomo causa diretta e sufficiente di peccato; esso agisce indirettamente sulla volontà:
- 1. presentando qualche oggetto che eccita il senso.
- 2. turbando la ragione con l’eccitare internamente la fantasia e l’appetito sensitivo.
- 3. sforzandosi di persuadere la ragione che la cosa proposta è bene; causa diretta del peccato è la volontà; Il diavolo non sempre apparisce visibilmente, perciò il più delle volte istiga al peccato internamente eccitando la volontà, la fantasia e l’appetito sensitivo sia nel sonno che nella veglia; esso però non può forzare mai la volontà, perché la ragione, se non ne è impedito l’uso, non è legata” (G. DAL SASSO - R. COGGI, Compendio della Somma Teologica di San Tommaso D’Aquino).

Mai saremo tentati oltre le nostre possibilità - José Antonio Fortea (Summa Daemoniaca):
L’essere umano è debole. Quindi Dio si prende cura di noi come fossimo dei bambini. Per questo la Bibbia ci dice: “Nessuna tentazione vi ha colti, che non sia stata umana; pero Dio e fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscirne, affinché la possiate sopportare” (1Cor 10,13).
Che la tentazione debba essere permessa da Dio, risulta chiaramente dal libro di Giobbe. Ma anche in un altro passo della Bibbia, proprio prima della Passione, Gesù dice a San Pietro: “Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano” (Lc 22,31).
“Ha chiesto” quindi il vaglio della tentazione deve essere permesso. Non affermare questa dottrina significherebbe essere nelle mani di un destino cieco e che qualsiasi essere umano, per quanto debole sia, possa essere tentato con una forza e un’intensità maggiore di quella che possiede.
Per tanto il messaggio è chiaro e tranquillizzante: Dio, in qualità del padre che è, veglia perché nessuno dei suoi figli si senta pressato più di quanto possa sopportare. Da questo si vede la saggezza che c’è dietro il vecchio detto: “Dio manda il freddo secondo i panni”.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde” (Vangelo).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Dio grande e misericordioso, quanto più si avvicina la festa della nostra redenzione, tanto più cresca in noi il fervore per celebrare santamente la Pasqua del tuo Figlio. Egli è Dio e vive e regna con te...



27 Marzo 2019

 Mercoledì Terza Settimana di Quaresima


Oggi Gesù ci dice: “Chi insegnerà e osserverà i precetti, sarà considerato grande nel regno dei cieli.” (Vangelo).

Vangelo - Dal Vangelo secondo Matteo 5,17-19: Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti: questa affermazione ci pone nel cuore del Discorso della Montagna. Gesù, con il suo insegnamento, afferma solennemente la validità della Legge, per cui è più facile che passino il cielo e la terra, anziché cada un solo trattino della Legge (Lc 16,17). In Gesù la Legge mosaica trova forma nuova e definitiva, e la sua validità durerà sino alla piena attuazione del regno nel giorno del giudizio finale.

Il Vangelo oltre a mettere in risalto il valore perenne dell’Antico Testamento, insegna il valore della dottrina di Gesù, la nuova Legge, che porta  a compimento la Legge antica. Ma possiamo domandarci in che senso Gesù dà pieno compimento alla Legge e ai Profeti? Al di là delle tante risposte, si può rispondere facendo ricorso al comandamento dell’amore dal quale tutti gli altri comandamenti traggono il loro significato e la loro forza: «Allora i farisei, avendo udito che egli [Gesù] aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?”. Gli rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”» (Mt 22,34-40). Se non si fa ricorso a questa soluzione si corre il rischio di scivolare in una casistica nella quale il credente si troverebbe a vivere una fede asfittica, lontana dalle vere esigenze evangeliche. Solo l’amore permette al discepolo di Gesù che la sua giustizia superi quella degli scribi e dei farisei: unica condizione per entrare nel regno dei cieli.

Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti - Catechismo della Chiesa Cattolica 577: Gesù ha fatto una solenne precisazione all’inizio del discorso della montagna, quando ha presentato, alla luce della grazia della Nuova Alleanza, la Legge data da Dio sul Sinai al momento della prima Alleanza: « Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla Legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli» (Mt 5,17-19).

Gesù non è venuto per abolire la Legge o i Profeti - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): L’espressione «Non crediate che (io) sia venuto» ricorre con formule affini altrove (Mt 9,13; 10,34-35; 20,28) e sembra premunire il lettore con un tono polemico da una falsa interpretazione delle sei antitesi seguenti (cfr. Gnilka, I, p. 218). Benché Gesù non si sia attenuto alle prescrizioni halakiche dei rabbini, non ha invalidato la Legge mosaica. Al contrario, con il suo insegnamento l’ha portata a compimento,  cioè  alla perfezione, unificandola nel precetto fondamentale dell’amore di Dio e del prossimo, che ne costituisce il cuore, il comandamento principale. L’espressione «la Legge o i Profeti» (derivata dall’uso sinagogale, che non prevedeva la lettura liturgica dei Ketubin, cioè dei libri sapienziali) indica l’intero Antico Testamento. Infatti, mentre la Legge (Toràh) designa il Pentateuco, i Profeti includono in senso generico tutti gli altri libri, che erano considerati come una interpretazione della Legge. Abolire (katalysat) in senso dottrinale significa dichiarare nullo un precetto. Compiere non ha un senso puramente normativo ma assume in Matteo una valenza più pregnante. Con il verbo pleróo l’evangelista si riferisce una decina di volte all’adempimento delle profezie dell’Antico Testamento. Gesù non è venuto soltanto a perfezionare la Legge mosaica, ma a portarla a compimento nelle sue potenzialità nascoste e nel suo valore di rivelazione profetica. Come è suggerito anche in Mt 11,13, tutto l’Antico Testamento converge verso Cristo, che lo attua pienamente, rendendo presente il regno di Dio. Gesù non fa altro che sviluppare il senso profondo della Legge, rapportandola al comandamento essenziale dell’amore, il centro focale del discorso della montagna. Mediante la proclamazione e la realizzazione del regno, Gesù provoca la conversione del cuore e l’irradiazione della bontà salvifica di Dio nel mondo, che consente all’essere umano il pieno adempimento delle esigenze più autentiche della Legge. Ecco perché non solo completa la Legge, ma la «compie». I singoli precetti dell’Antico Testamento conservano il loro valore, ma solo in quanto sono rapportabili alla legge dell’amore. La Scrittura per Matteo rappresenta un’anticipazione del progetto salvifico di Dio, che il suo Inviato definitivo avrebbe «compiuto» in adesione totale al volere del Padre.

Importanza del Vecchio Testamento per i cristiani - Unità dei Testamenti Dei Verbum 15-16: L’economia del Vecchio Testamento era soprattutto ordinata a preparare, ad annunziare profeticamente (cfr. Lc 24,44; Gv 5,39; 1Pt 1,10) e a significare con diverse figure (cfr. 1 Cor 10,11) l’avvento di Cristo redentore dell’universo e del regno messianico. I libri poi del Vecchio Testamento, tenuto conto della condizione del genere umano prima dei tempi della salvezza instaurata da Cristo, manifestano a tutti chi è Dio e chi è l’uomo e il modo con cui Dio giusto e misericordioso agisce con gli uomini. Questi libri, sebbene contengano cose imperfette e caduche, dimostrano tuttavia una vera pedagogia divina. Quindi i cristiani devono ricevere con devozione questi libri: in essi si esprime un vivo senso di Dio; in essi sono racchiusi sublimi insegnamenti su Dio, una sapienza salutare per la vita dell’uomo e mirabili tesori di preghiere; in essi infine è nascosto il mistero della nostra salvezza.
Dio dunque, il quale ha ispirato i libri dell’uno e dell’altro Testamento e ne è l’autore, ha sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nel Vecchio e il Vecchio fosse svelato nel Nuovo. Poiché, anche se Cristo ha fondato la Nuova Alleanza nel sangue suo (cfr. Lc 22,20; 1Cor 11,25), tuttavia i libri del Vecchio Testamento, integralmente assunti nella predicazione evangelica, acquistano e manifestano il loro pieno significato nel Nuovo Testamento (cfr. Mt 5,17; Lc 24,27), che essi a loro volta illuminano e spiegano.

La nuova Legge - Catechismo della Chiesa cattolica 1965-1970: La nuova Legge o Legge evangelica è la perfezione quaggiù della legge divina, naturale e rivelata. È opera di Cristo e trova la sua espressione particolarmente nel Discorso della montagna; è anche opera dello Spirito Santo e, per mezzo di lui, diventa la legge interiore della carità: “Io stipulerò con la casa d’Israele... un’alleanza nuova... Porrò le mie leggi nella loro mente e le imprimerò nei loro cuori; sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo” (Eb 8,8.10).
La Legge nuova è la grazia dello Spirito Santo, data ai fedeli in virtù della fede in Cristo. Essa opera mediante la carità, si serve del Discorso del Signore sulla montagna per insegnarci ciò che si deve fare, e dei sacramenti per comunicarci la grazia di farlo: «Chi vorrà meditare con pietà e perspicacia il Discorso che nostro Signore ha pronunciato sulla montagna, così come lo si legge nel Vangelo di San Matteo, indubbiamente vi troverà la “magna carta” della vita cristiana. Questo Discorso infatti comprende tutte le norme peculiari della esistenza cristiana».
La Legge evangelica “dà compimento” alla Legge antica, la purifica, la supera e la porta alla perfezione. Nelle “beatitudini” essa compie le promesse divine, elevandole ed ordinandole al “Regno dei cieli”. Si rivolge a coloro che sono disposti ad accogliere con fede questa speranza nuova: i poveri, gli umili, gli afflitti, i puri di cuore, i perseguitati a causa di Cristo, tracciando in tal modo le sorprendenti vie del Regno.
La Legge evangelica dà compimento ai comandamenti della Legge. Il Discorso del Signore sulla montagna, lungi dall’abolire o dal togliere valore alle prescrizioni morali della Legge antica, ne svela le virtualità nascoste e ne fa scaturire nuove esigenze: ne mette in luce tutta la verità divina e umana. Esso non aggiunge nuovi precetti esteriori, ma arriva a riformare la radice delle azioni, il cuore, là dove l’uomo sceglie tra il puro e l’impuro, dove si sviluppano la fede, la speranza e la carità e, con queste, le altre virtù. Così il Vangelo porta la legge alla sua pienezza mediante l’imitazione della perfezione del Padre celeste, il perdono dei nemici e la preghiera per i persecutori, sull’esempio della magnanimità divina.
La Legge nuova pratica gli atti della religione: l’elemosina, la preghiera e il digiuno, ordinandoli al “Padre che vede nel segreto”, in opposizione al desiderio di “essere visti dagli uomini”. La sua preghiera è il “Padre nostro”.
La Legge evangelica implica la scelta decisiva tra “le due vie” e il mettere in pratica le parole del Signore; essa si riassume nella “regola d’oro”: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti” (Mt 7,12).
Tutta la Legge evangelica è racchiusa nel “ comandamento nuovo ” di Gesù (Gv 13,34), di amarci gli uni gli altri come lui ci ha amati.

Wolfgang Trilling (Vangelo secondo Matteo): «Non son venuto per abrogare, ma per dare compimento». La volontà di Dio e le Sacre Scritture, dove essa ha trovato la sua espressione, devono essere «compiute». La novità consiste, appunto, nell’esserne il compimento, e non nel fatto che il nuovo sia qualcosa di completamente diverso dall’antico. La legge e i profeti sono certamente rivelazione di Dio, ma non ancora la rivelazione definitiva; in essi egli manifesta la sua volontà, ma non ancora nella forma più pura.
Dopo questa forte affermazione di Gesù, la situazione cambia completamente. La legge e i profeti, le Sacre Scritture dell’Antico Testamento, in quanto tali, perdono in parte la loro obbligatorietà, Nello stesso tempo non sono certamente prive di significato, come se fossero state un’ombra della salvezza attuata nel Nuovo Testamento. Al contrario, esse continuano ad aver vigore, ma solo grazie al loro compimento da parte di Gesù. Egli ci dice in modo definitivo come deve essere compiuta la volontà di Dio; e da qui per noi non è più possibile tornare indietro.
Possiamo, sì, leggere l’Antico Testamento, ma solo nella luce della rivelazione di Gesù. Allora dai nostri occhi cade ogni «velo» e tutto ci appare in una prospettiva nuova: ovunque vediamo Dio all’opera, e possiamo distinguere nettamente l’imperfetto dal perfetto, l’incompiuto dal compiuto. Per gli ebrei invece, come dice san Paolo, «fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, alla lettura dell’Antico Testamento, perché è in Cristo che esso viene eliminato. Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso loro cuore; ma quando ci sarà la conversione al Signore, quel velo sarà tolto» (2Cor 3,14-16). Noi preghiamo e supplichiamo affinché questo velo cada anche dai loro occhi, perché possano vedere la vera gloria di Dio nel volto di Cristo Gesù (2Cor 4, 6).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “Gesù non ha abolito la Legge del Sinai, ma l’ha portata a compimento con una tale perfezione da rivelarne il senso ultimo e da riscattarne le trasgressioni.” (Catechismo della Chiesa Cattolica 592). 
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Signore Dio nostro, fa’ che i tuoi fedeli, formati nell’impegno delle buone opere e nell’ascolto della tua parola, ti servano con generosa dedizione liberi da ogni egoismo, e nella comune preghiera a te, nostro Padre, si riconoscano fratelli. Per il nostro Signore Gesù Cristo...



26 Marzo 2019

 Martedì Terza Settimana di Quaresima


Oggi Gesù ci dice: “Se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello, il Padre non vi perdonerà.” (Vangelo).

Vangelo - Dal Vangelo secondo Matteo 18,21-35: Liti, giudizi temerari, detrazioni... un elenco che si allunga all’infinito e sembra riferirsi a mondi lontani eppure è il pane quotidiano delle nostre comunità. Atteggiamenti distorti che già avvelenarono la chiesa apostolica, le lettere dell’apostolo Paolo abbondano di queste perniciose notizie. L’insegnamento di Gesù allora ci rivela che non esistono cristiani e chiese ideali, tutti dobbiamo portare il vergognoso peso di queste impalcature, ma tutti, con un po’ di buona volontà e sostenuti dalla grazia di Dio, possiamo essere misericordiosi, come il Padre nostro è misericordioso (cfr. Lc 6,36), possiamo e dobbiamo sforzarci di esercitare questo caritatevole esercizio: “Siate benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.” (Ef 4,3). L’imperativo della misericordia “caratterizza fondamentalmente tutto il vivere cristiano ed è connesso inseparabilmente con l’amore del prossimo... Questo imperativo appare ancora più urgente dal fatto che nel Cristo-evento Dio manifesta la sua misericordia in una maniera nuova e definitiva.” (Leopold Sabourin).

Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi - Claude Tassin (Vangelo di Matteo): Il senso della parabola viene riassunto dalle parole stesse del sovrano (v. 32): il debitore doveva condonare il debito del suo collega, immensamente minore del suo, perché egli stesso aveva beneficiato di una grazia insperata.
Da un altro punto di vista, il re si sente giustamente ferito nel suo onore, poiché quel malvagio individuo ha di­mostrato col suo atteggiamento spietato la sua assoluta incapacità di comprendere la grazia che gli era stata concessa.
La lezione che Gesù trae dalla parabola non ha più nulla a che vedere col numero di volte che bisogna perdonare; essa richiama piuttosto la preghiera del Padre nostro e il suo commento (cfr. Mt 6,12.14-15): colui che ha udito il vangelo e si è legato a Gesù è come un debitore insolvente che deve la propria vita alla sola grazia di Dio. Se non perdona «a suo fratello», senza calcoli, «dal fondo del cuore», egli si mostra indegno del Padre celeste che, un giorno, non prenderà affatto in considerazione i suoi gesti di perdono, ma giudicherà la sua intelligenza pratica e i suoi sforzi in questo senso.
Così si chiude il «discorso sulla Chiesa». Certo, questa è terrena, limitata. Tuttavia, anche i provvedimenti disciplinari pratici ai quali arriva una comunità cristiana devono nutrirsi della preghiera, di un’attenzione adeguata all’esempio di Gesù e di una disposizione del cuore che spera sempre che l’atto di perdono potrà realizzarsi.

Diecimila talenti (circa 340 tonnellate d’oro), è una somma astronomica, un debito che il servo non avrebbe mai potuto pagare. Da qui l’ordine che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito (la norma di estendere la pena alla famiglia del reo non è conosciuta dal diritto veterotestamentario, ma è mutuata dal codice penale ellenistico (cfr. Dan 6,25). Come ultima tavola di salvezza non restava quindi che implorare pietà: la supplica arriva immantinente al cuore del re-padrone il quale ebbe compassione, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Una bella lezione di magnanimità, ma il servo non vuole intenderla e nell’incontrare un pari suo che gli doveva cento denari, ben misera cosa perché l’equivalente di circa mezzo Kg d’argento, non vuol sentire ragione e fa applicare la pena che gli era stata condonata. Ma l’epilogo della parabola stravolge tutto: il servo spietato viene punito perché incapace di perdonare e in questo modo codifica una norma squisitamente cristiana: così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello. Tale sentenza è il più bel commento al Padre nostro e in particolare a quella petizione che ci fa dire rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori (Mt 6,12). Dalle parole di Gesù si esplicita una condizione per essere raggiunti dal perdono del Padre: se perdonerete di cuore, in questo modo la «legge del perdono che Gesù impone ai suoi non si ferma alla superficie, ma raggiunge le profondità più intime dell’essere umano: mente, volontà, sentimento. Il cristiano... deve rivestirsi di tenera compassione, sopportare e perdonare: proprio come il Signore ha perdonato... Se c’è una misura, essa è quella del perdono di Dio: “Siate misericordiosi, come misericordioso è il Padre celeste [Lc 6,36]» (Angelo Lancellotti).

Uno dei principali doveri... - Dives in misericordia 14: [...] la Chiesa deve considerare come uno dei suoi principali doveri - in ogni tappa della storia, e specialmente nell’età contemporanea - quello di proclamare e di introdurre nella vita il mistero della misericordia, rivelato in sommo grado in Gesù Cristo. Questo mistero, non soltanto per la Chiesa stessa come comunità dei credenti, ma anche in certo senso per tutti gli uomini, è fonte di una vita diversa da quella che l’uomo, esposto alle forze prepotenti della triplice concupiscenza operanti in lui, è in grado di costruire. È appunto in nome di questo mistero che Cristo ci insegna a perdonare sempre. Quante volte ripetiamo le parole della preghiera ch’egli stesso ci ha insegnato, chiedendo: «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori», cioè a coloro che sono colpevoli di qualcosa nei nostri riguardi!. È davvero difficile esprimere il profondo valore dell’atteggiamento che tali parole tracciano e inculcano. Quante cose queste parole dicono ad ogni uomo sul suo simile ed anche su di lui stesso! La coscienza di essere debitori gli uni degli altri va di pari passo con la chiamata alla solidarietà fraterna, che san Paolo ha espresso nel conciso invito a sopportarsi «a vicenda con amore». Quale lezione di umiltà è qui racchiusa nei riguardi dell’uomo, in pari tempo del prossimo e di se stessi! Quale scuola di buona volontà per la convivenza di ogni giorno, nelle varie condizioni della nostra esistenza! Se disattendessimo questa lezione, che cosa rimarrebbe di qualsiasi programma «umanistico» della vita e dell’educazione?
Cristo sottolinea con tanta insistenza la necessità di perdonare gli altri che a Pietro, il quale gli aveva chiesto quante volte avrebbe dovuto perdonare il prossimo, indicò la cifra simbolica di «settanta volte sette», volendo dire con questo che avrebbe dovuto saper perdonare a ciascuno ed ogni volta. È ovvio che una così generosa esigenza di perdonare non annulla le oggettive esigenze della giustizia. La giustizia propriamente intesa costituisce per così dire lo scopo del perdono. In nessun passo del messaggio evangelico il perdono, e neanche la misericordia come sua fonte, significano indulgenza verso il male, verso lo scandalo, verso il torto o l’oltraggio arrecato. In ogni caso, la riparazione del male e dello scandalo, il risarcimento del torto, la soddisfazione dell’oltraggio sono condizione del perdono.

Gioia che si rinnova e si comunica - Evangelii gaudium 2-3: Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto. Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché «nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore». Chi rischia, il Signore non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte. Questo è il momento per dire a Gesù Cristo: «Signore, mi sono lasciato ingannare, in mille maniere sono fuggito dal tuo amore, però sono qui un’altra volta per rinnovare la mia alleanza con te. Ho bisogno di te. Riscattami di nuovo Signore, accettami ancora una volta fra le tue braccia redentrici». Ci fa tanto bene tornare a Lui quando ci siamo perduti! Insisto ancora una volta: Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia. Colui che ci ha invitato a perdonare «settanta volte sette» (Mt 18,22) ci dà l’esempio: Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia. Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada. Nulla possa più della sua vita che ci spinge in avanti!

... quante volte dovrò perdonargli? - Daniel J. Harrington, S.J.: A porre la domanda è Pietro. Gesù aveva insegnato ai discepoli l’urgente necessità della correzione fraterna, e a Pietro, che certamente faceva riferimento ad una Legge con spirito ben diverso, sembrò forse un po’ esagerato tutta la trafila da fare prima di arrivare ad un giudizio. Comunque, Pietro  pensa di essere molto magnanimo nel dichiararsi disposto a perdonare fino a sette volte (cfr. Prov 24,16). La risposta di Gesù, Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette (cfr. Gen 4,24), è palese per un semita: bisogna perdonare non per un numero limitato di casi, sette volte, ma senza limiti, cioè sempre, settanta volte sette! Questo è il vino nuovo che va versato in otri nuovi (Mt 19,17; Mc 2,22; Lc 5,37-38). Non più la Legge del taglione (cfr. Es 21,23), ma la carità  fraterna, l’amore vicendevole, il perdono senza limiti. Il perdono è la «buona novella» già presente nella predicazione del Battista, e che Gesù non solo ratifica con la sua predicazione (cfr. Lc 4,18-19), ma con le opere lo esercita, dimostrando a tutti gli uomini che Dio non vuole che alcuno si perda (cfr. Mt 18,14; Gv 6,39). E anche se viene esatto dal peccatore il pentimento, la fede e una vita nuova, il perdono dei peccati è sempre opera della pazienza di Dio (cfr. Rom 3,25): è un libero e gratuito dono di Dio, non dovuto ai meriti o al pentimento del peccatore, ed è ottenuto dal peccatore per mezzo di Cristo, unicamente per mezzo della sua morte redentrice. Ecco, quindi, per il discepolo l’esigenza di superare le prescrizioni dell’Antico Testamento, tra le quali la Legge del taglione (Es 21,23). Ora v’è una nuova Legge: amare, perdonare come ama e perdona Dio. Il comportarsi diversamente smentisce sul piano dei fatti ogni sforzo di evangelizzazione e compromette la credibilità stessa del Vangelo. La parabola del servo spietato sposta la domanda di Pietro su un binario ben diverso: quello di Dio, cioè esplicita «non la quantità del perdono [sette volte] ma la qualità dando il motivo per il “nessun limite”: se Dio non pone alcun limite, l’uomo non può porre un limite. D’altra parte, quelli che pongono limiti alla loro disponibilità a perdonare gli altri saranno perdonati da Dio in misura limitata.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Quelli che pongono limiti alla loro disponibilità a perdonare gli altri saranno perdonati da Dio in misura limitata
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Non ci abbandoni mai la tua grazia, o Padre, ci renda fedeli al tuo santo servizio e ci ottenga sempre il tuo aiuto. Per il nostro Signore Gesù Cristo...



25 Marzo 2019

Annunciazione del Signore


Oggi Gesù ci dice: “Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà” (Cf. II Lettura)

Vangelo - Dal Vangelo secondo Luca 13,1-9: Nàzaret, una città della Galilea, posta in territorio che era ritenuto pagano e trascurato da Dio, una regione dalla quale, per sentito comune, non sorgeva profeta (Gv 7,52). Da Nàzaret può venire qualcosa di buono? (Gv 1,46), eppure Dio sceglie di iniziare da questo oscuro villaggio il suo viaggio che lo porterà tra gli uomini, Dio sceglie il grembo di una vergine, sceglie ciò che non ha appariscenza, ciò che è umile e disprezzato dagli uomini. La legge dell’incarnazione è questa: Gesù svuotò se stesso... umiliò se stesso (Fil 2,7-8). Ora, nella pienezza del tempo (Gal 4,4), Dio elegge la sua dimora tra gli uomini (Gv 1,14), e Maria è il nuovo tempio, la nuova città santa, il popolo nuovo in mezzo al quale Dio prende dimora.

L’Annunciazione: Catechismo degli Adulti 760: L’angelo dell’annunciazione, rivolge a Maria un invito alla gioia: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1,28). Una parafrasi vicina al senso originale di questo saluto potrebbe essere: «Esulta, tu che sei ricolmata dall’amore gratuito di Dio; il Signore è con te, come salvatore sempre fedele all’alleanza». A fondamento di tutto c’è l’amore gratuito del Padre, la sua grazia, che dona la salvezza «con ogni benedizione spirituale» (Ef 1,3) in Cristo, prima preparandola nell’eternità, poi attuandola nel tempo, infine portandola all’ultimo compimento. Tutti siamo pensati, amati, creati, redenti e glorificati come figli adottivi in comunione con il Figlio unigenito. Il primo atto della grazia del Padre, rivolta a noi in considerazione di Cristo, è l’elezione, la liberissima scelta del suo amore: «In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi» (Ef 1,4-5). Maria è «piena di grazia», amata e benedetta da Dio insieme a tutti i membri della famiglia umana, ma in modo assolutamente singolare, in quanto è predestinata ad essere la Madre del suo Figlio. «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!» (Lc 1,42), è il saluto di Elisabetta. Dall’eternità nel disegno del Padre è associata all’evento dell’incarnazione redentrice come Madre di Dio fatto uomo.

Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù ... Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?»: Maria è pronta a fare la volontà di Dio, ma non sa come conciliare la verginità con la maternità: praticamente, come una vergine può essere madre senza conoscere uomo?
Se «Dio le ha ispirato di rimanere vergine, Dio le domanda oggi di diventare madre: Dio non si contraddice. Ma bisognava forse che, accettando un tempo di restare vergine, essa rinunciasse ad essere madre per poterlo diventare oggi. Come fu necessario che Abramo, perché potesse effettivamente diventare il padre di una posterità numerosa come le stelle del cielo e l’arena del mare, rinunciasse, accettando di immolarlo, all’unico figlio, sul quale riposavano le promesse divine... Ma tale è la legge stessa dell’ordine soprannaturale: che la vita nasca dalla morte, che solo salvi la sua vita colui che accetta di perderla, in altri termini, che l’uomo non possieda mai se non ciò che ha donato» (S. Lyonnet). Maria, comunque, decide di fidarsi di Dio; infatti, la risposta dell’angelo dissipa ogni dubbio, «nulla è impossibile a Dio».
Lo Spirito Santo ti coprirà con la sua ombra: una promessa dalla quale si evince che ora, ante tempus, in Maria si realizza una parola del Cristo: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che [...] dimora presso di voi e sarà in voi» (Gv 14,16-17).
Maria sarà adombrata dallo Spirito Santo. In Esodo 40,35 il verbo adombrare indica la nube che fa ombra sopra il Tabernacolo e simboleggia la gloria di Dio che riempie la Dimora. Su Maria scenderà lo Spirito Santo e questo non significa che lo Spirito Santo sarà il padre biologico del bambino, ma la nascita di quest’ultimo sarà il risultato di un’azione miracolosa della potenza divina. Al dire di P. Benoit, l’angelo «insinua chiaramente che lo Spirito Santo svolgerà il ruolo di principio creatore e produrrà la vita nel seno di Maria. Ciò che lo Spirito, questo soffio creatore, fa sin dalle origini del mondo, lo farà nel seno di Maria producendo una concezione verginale». Questa azione divina è allo stesso tempo una chiara attestazione della divinità del Bambino: «Colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio».
Ed ecco, Elisabetta..., Maria crede per fede, non per il segno che le viene dato. La sua fede è fondata sulla certezza che Dio è fedele alle sue promesse e che la parola di Dio, in ordine alla salvezza, è «viva ed efficace» (Eb 4,12). Con un atto di obbedienza e di fede da parte di Abramo era iniziata la storia della salvezza (Cf. Gen 12,1ss), ora è arrivata al suo pieno compimento nell’umiltà, nell’obbedienza e nella fede di una Vergine: «avvenga per me secondo la tua parola».

Maria - Augustin George - Il posto importante che la madre di Gesù occupa nella tradizione cristiana è già stato abbozzato nella rivelazione scritturale. Se i Dodici hanno accentrato il loro interesse sul ministero di Gesù, dal battesimo alla Pasqua (Atti 1,22; 10,37 5S; 13,24ss), lo hanno fatto perché non potevano che parlare dei fatti ai quali avevano assistito e dovevano rispondere a ciò che più premeva alla missione.
Era normale che i racconti sull’infanzia di Gesù non comparissero se non tardivamente; Marco li ignora, accontentandosi di ricordare due volte soltanto la madre di Gesù (Mc 3,31-35; 6,3). Matteo li conosce, ma li accentra su Giuseppe, il discendente di David che riceve i messaggi celesti (Mt 1,20 s; 2, 13. 20. 22) e dà il nome di Gesù al figlio della vergine (1,1-25). Con Luca, Maria entra in piena luce; è lei che, alle origini del vangelo, occupa il primo posto, in una vera personalità; è lei che, alla nascita della Chiesa, partecipa con i discepoli alla preghiera del cenacolo (Atti l, 14). Infine Giovanni inquadra la vita pubblica di Gesù tra due scene mariane (Gv 2,1-12; 19,25 ss): a Cana come sul Calvario, Gesù definisce con autorità la funzione di Maria dapprima come fedele, poi come madre dei suoi discepoli.
Questa progressiva presa di coscienza della funzione di Maria non dev’essere spiegata semplicemente con motivi psicologici: riflette una conoscenza sempre più profonda del mistero stesso di Gesù, inseparabile dalla «donna» dalla quale volle nascere (Gal 4,4).

Maria nel progetto salvifico di Dio: Helga Rusche: Il Nuovo Testamento non s’interessa di particolari bio­grafici (a differenza dei racconti dell’infanzia apocrifi del tempo posteriore), ma dell’inserimento di Maria nel progetto di Dio. Se ogni cosa è stata creata in vista di Cristo (Col 1,16), allora anzitutto Maria (vedi la genealogia di Gesù, Mt 1,16). In lei il logos si è fatto carne, cioè uomo (Gv 1,14) e la parola di Dio si è rivolta a lei. Ella è la vergine che partorisce l’Emmanuele (Is 7,14 LXX; Mt 1,23), l’arca dell’alleanza che viene adombrata dalla nube della presenza di Dio (Es 40,35; Le 1,35), e immagine della figlia di Sion del tempo nuovo (Lc 1-2, secondo Sofonia e Michea).
La sua fede: in maniera sovrana, Dio sceglie l’ora del suo intervento (la “pienezza dei tempi”, Gal 4,4). Così Maria deve concepire vergine, già fidanzata con Giuseppe, ma non ancora accolta in casa, senza intervento dell’uomo. Infatti “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37). Queste parole e il modo in cui Maria risponde ricorda Abramo (Gen 18,49 LXX). Entrambi i credenti - ciascuno nel suo tempo - percorrono una strada che essi non conoscono e passano attraverso l’offerta del loro figlio (Gen 22; la croce). A Maria viene sempre richiesto di stare attenta all’ora (Lc 2,40ss; Gv 2,lss). E lei si piega alla determinazione come “serva del Signore”. Dicendo “avvenga di me secondo la tua parola”, ella esprime la fede più profonda. Nel Magnificat ella unisce la sua voce al coro di oranti del tempo passato e professa che Dio l’ha “guardata” per prendersi cura nella sua misericordia di tutti i poveri e gli umili. 

Maria nell’annunciazione: Lumen Gentium 56: Il Padre delle misericordie ha voluto che l’accettazione da parte della predestinata madre precedesse l’incarnazione, perché così, come una donna aveva contribuito a dare la morte, una donna contribuisse a dare la vita. Ciò vale in modo straordinario della madre di Gesù, la quale ha dato al mondo la vita stessa che tutto rinnova e da Dio è stata arricchita di doni consoni a tanto ufficio. Nessuna meraviglia quindi se presso i santi Padri invalse l’uso di chiamare la madre di Dio la tutta santa e immune da ogni macchia di peccato, quasi plasmata dallo Spirito Santo e resa nuova creatura. Adornata fin dal primo istante della sua concezione dagli splendori di una santità del tutto singolare, la Vergine di Nazaret è salutata dall’angelo dell’annunciazione, che parla per ordine di Dio, quale « piena di grazia » (cfr. Lc 1,28) e al celeste messaggero essa risponde «Ecco l’ancella del Signore: si faccia in me secondo la tua parola» (Lc 1,38). Così Maria, figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù, e abbracciando con tutto l’animo, senza che alcun peccato la trattenesse, la volontà divina di salvezza, consacrò totalmente se stessa quale ancella del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione in dipendenza da lui e con lui, con la grazia di Dio onnipotente. Giustamente quindi i santi Padri ritengono che Maria non fu strumento meramente passivo nelle mani di Dio, ma che cooperò alla salvezza dell’uomo con libera fede e obbedienza. Infatti, come dice Sant’Ireneo, essa «con la sua obbedienza divenne causa di salvezza per sé e per tutto il genere umano». Onde non pochi antichi Padri nella loro predico della disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione coll’obbedienza di Maria; ciò che la vergine Eva legò con la sua incredulità, la vergine Maria sciolse con la sua fede» e, fatto il paragone con Eva, chiamano Maria «madre dei viventi e affermano spesso: «la morte per mezzo di Eva, la vita per mezzo di Maria».

Il mistero dell’incarnazione - Redemptoris Mater 11: Nel disegno salvifico della santissima Trinità il mistero dell’incarnazione costituisce il compimento sovrabbondante della promessa fatta da Dio agli uomini, dopo il peccato originale, dopo quel primo peccato i cui effetti gravano su tutta la storia dell’uomo sulla terra (cfr. Gen 3,15). Ecco, viene al mondo un Figlio, la “stirpe della donna”, che sconfiggerà il male del peccato alle sue stesse radici: “Schiaccerà la testa del serpente”. Come risulta dalle parole del protoevangelo, la vittoria del Figlio della donna non avverrà senza una dura lotta, che deve attraversare tutta la storia umana. “L’inimicizia”, annunciata all’inizio, viene confermata nell’Apocalisse, il libro delle realtà ultime della chiesa e del mondo, dove torna di nuovo il segno della “donna”, questa volta “vestita di sole” (Ap 12,1).
Maria, Madre del Verbo incarnato, viene collocata al centro stesso di quella inimicizia, di quella lotta che accompagna la storia dell’umanità sulla terra e la storia stessa della salvezza. In questo posto ella, che appartiene agli “umili e poveri del Signore”, porta in sé, come nessun altro tra gli esseri umani, quella “gloria della grazia” che il Padre “ci ha dato nel suo Figlio diletto”, e questa grazia determina la straordinaria grandezza e bellezza di tutto il suo essere. Maria rimane così davanti a Dio, ed anche davanti a tutta l’umanità, come il segno immutabile ed inviolabile dell’elezione da parte di Dio, di cui parla la Lettera paolina: “In Cristo ci ha scelti prima della creazione del mondo, ... predestinandoci a essere suoi figli adottivi” (Ef 1,4-5). Questa elezione è più potente di ogni esperienza del male e del peccato, di tutta quella “inimicizia”, da cui è segnata la storia dell’uomo. In questa storia Maria rimane un segno di sicura speranza.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  Ciò che la vergine Eva legò con la sua incredulità, la vergine Maria sciolse con la sua fede.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Padre, tu hai voluto che il tuo Verbo si facesse uomo nel grembo della Vergine Maria: concedi a noi, che adoriamo il mistero del nostro Redentore, vero Dio e vero uomo, di essere partecipi della sua vita immortale. Per il nostro Signore Gesù Cristo..



24 Marzo 2019

Terza Domenica di Quaresima


Oggi Gesù ci dice: “Convertitevi, il regno dei cieli è vicino.” (Mt 4,17).

PRIMA LETTURA - Es 3,1-8a.13-15: La narrazione della vocazione di Mosè è vergata con elementi caratteristici e costanti in simili racconti biblici. Alla chiamata di Dio il vocato protesta la propria indegnità e le proprie perplessità che vengono superate da un segno e dalla promessa della protezione divina. Il fuoco che brucia senza consumarsi è simbolo fondamentale delle teofanie. Dio rivela a Mosè il suo nome usando il verbo essere che in ebraico è verbo attivo, cioè non indica uno stato, ma un’attività. Dio è Colui che è, colui che opera (Gv 5,17) a differenza degli idoli muti dei pagani che sono nulla: manufatti inerti «che non possono giovare né salvare, perché sono vanità» (1Sam 12,21).

SALMO RESPONSORIALE - Dal Salmo 102 (103): «Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tutti i suoi benefici: «Sintesi dei benefici di Dio: perdona i nostri peccati per mezzo della propiziazione che è il Cristo; ti libera dalla morte dando per la tua morte il sangue del Figlio suo; ti corona della grazia d’adozione; ti dona la speranza della risurrezione col pegno dello Spirito. Tutto questo sono i doni dello sposo alla sposa, e questa non porta che la propria fede» (Eusebio).

SECONDA LETTURA - 1Cor 10,1-6.10-12: L’apostolo Paolo invita i cristiani di Corinto a leggere con attenzione la storia biblica del popolo d’Israele «per coglierne il messaggio sempre vivo e sempre attuale per la comunità cristiana. La 1Corinzi è tutta percorsa dal forte e sferzante richiamo di Paolo a mantenersi fedeli a Cristo e al Vangelo. Per avvalorare questo richiamo, Paolo si rifà alla storia e all’esperienza del popolo biblico: anche quella storia e quell’esperienza sono macchiate dall’infedeltà e dal peccato dell’uomo. La lezione biblica deve mettere in guardia anche i cristiani di Corinto [e di ogni tempo] che sfoderano una sprezzante sufficienza: “Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere”» (Don Primo Gironi).

Vangelo - Dal Vangelo secondo Luca 13,1-9: Non sempre è da cercare un nesso diretto tra colpa e morte, tra peccato e infortunio, questo è l’insegnamento di Gesù. Tali fatti di violenza sono invece chiari appelli alla conversione, perché ciò che conta è non andare incontro ad una morte ancora più terribile, quella che porta all’eterna separazione da Dio. La parabola del fico sterile è un chiaro riferimento alla pazienza di Dio, ma potrebbe alludere al ritardo del giudizio finale di Dio e all’importanza di prepararvisi.

Carlo Ghidelli (Luca) - versetti 13,1-9: Lo schema è assai frequente in Luca: dopo una affermazione di Gesù (vv. 1-5) segue una illustrazione per mezzo di una parabola (vv. 6-9). L’insegnamento è questo: i segni dei tempi si leggono non solo nella storia di Gesù, ma anche nella nostra storia. È necessario però non lasciarsi fuorviare, nella loro lettura, dai nostri preconcetti (come i giudei contemporanei di Gesù, che dalla loro concezione circa la retribuzione temporale pretendevano di cogliere un castigo di Dio verso coloro che sono stati colpiti da due disgrazie).
La parabola del fico sterile - versetti 6-9: Luca non riporterà la maledizione del fico sterile durante la settimana santa (cfr Mc 11,12-14.20-25). Il contesto è diverso anche nei confronti di Mt 21,18-22. Infatti per Luca la parabola è ancora un incitamento alla conversione, per Marco e Matteo invece essa indica che il destino di Gerusalemme e di Israele è già segnato. Matteo e Marco parlano di un miracolo di Gesù, Luca invece fa uso di una parabola. Marco e Matteo parlano di un fico maledetto, Luca solo di un fico sterile, oggetto di nuove cure da parte dei suoi coltivatori e quindi oggetto di indulgenza e di misericordia.

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei... Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? Nella riflessione biblica il tema della retribuzione ha fatto un lungo cammino, che ha portato a graduali e interessanti scoperte.
Dalla concezione di una retribuzione terrena collettiva, il popolo è responsabile in solido delle proprie azioni (il bene degli uni ricade sugli altri e così il male, i meriti e le colpe dei padri si riversano sui figli), gradualmente si arriva a una nozione di retribuzione individuale. In questa ultima riflessione, ancora imperfetta, la retribuzione che Dio dà all’uomo, è concepita come temporale; si chiude cioè nell’arco della vita terrena. Dio infatti premia o punisce con cose facilmente controllabili: ricchezza, fecondità della sposa, rispetto e amicizia dei vicini ai buoni; mancanza di prole, malattia, povertà agli empi.
Una novità interessante, ma inficiata dalla esperienza quotidiana: infatti, spesso molti empi prosperano, molti giusti soffrono. Sarà il libro della Sapienza, e soprattutto il Nuovo Testamento, a dare una risposta a questo problema: la retribuzione è spostata nella vita ultraterrena. Si chiude così il ciclo. Ma rimane sempre sottinteso che la ricompensa «che Dio dà all’uomo è un puro dono che l’uomo non può mai meritare completamente. Il rischio del fariseismo è continuamente presente. L’uomo ha sempre la tentazione di misurare la retribuzione divina sul metro delle opere che compie. L’esempio classico lo incontriamo nella parabola del fariseo e del pubblicano [Lc 18,9ss.]. Il fariseo, che pretendeva la sua giustificazione da Dio ostentando le sue opere buone, viene da [Gesù] riprovato. L’uomo non può ricevere la salvezza dalle sue opere, perché è nel peccato. La salvezza la dà solo Dio [Rm 3,23-26]» (Giuseppe Manni).
Sulla carneficina perpetrata da Pilato e sui fatti della Torre di Siloe e sulla questione della retribuzione, Gesù non assume alcuna posizione e non dà un giudizio né sui mandanti, né sulle vittime, sposta soltanto il problema: «No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
In questo modo, Gesù invita gli interlocutori a cambiare vita: invece di investigare è meglio convertirsi perché alla fine si potrebbe condividere la sorte di quei malcapitati morti sotto il ferro romano e sotto le pietre di una torre diruta. Anche due fatti di cronaca possono celare segni ammonitori, quindi, più che dare un giudizio sulla vita degli altri è meglio guardare alla propria condotta, sopra tutto se essa è in sintonia con la volontà di Dio. L’accento va quindi spostato sull’urgenza della conversione.

La parabola dell’albero di fichi che un tale aveva piantato nella sua vigna - L’immagine del fico infruttuoso era abbastanza nota e ricorreva spesso nella predicazione profetica quando si voleva denunciare l’infedeltà del popolo di Dio (Cf. Ger 8,13; Mi 7,1; Os 9,16). Nel brano lucano però si fa cenno anche alla vigna e potrebbe alludere alla pazienza di Dio (Cf. Is 5,1-7). Due rimandi non casuali con i quali si vogliono sfatare due equivoci: quello di chi pensa che ormai la pazienza di Dio si è spenta, e per il peccatore non vi più speranza di salvezza e di perdono; e quello di chi pensa che c’è sempre tempo per convertirsi poiché la pazienza di Dio è senza limiti, e perdona tutti e tutto. La verità sta nel mezzo: Dio è indubbiamente paziente, ma l’uomo non conosce il giorno del giudizio, da qui non può programmare o fissare tempi per la sua conversione, né tantomeno abusare della pazienza di Dio.
Mentre nel Vangelo di Matteo il fico infruttuoso viene maledetto da Gesù (Cf. Mt 21,19ss.), qui, nel racconto lucano la parabola è interrotta prima della fine, per cui non si conosce la sorte del fico sterile. Forse si vuole alludere a una futura conversione d’Israele. Per Gesù c’è ancora spazio per il ritorno d’Israele: «Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi: l’indurimento di una parte di Israele è in atto fino a che saranno entrate tutte le genti. Allora tutto Israele sarà salvato» (Rm 11,25-26).

Retribuzione - Enciclopedia del Cristianesimo (Retribuzione): Dottrina teologica presente nelle religioni monoteistiche, ma anche in alcune religioni orientali, seconde la quale il giudizio infallibile di Dio dona a ciascuno secondo le sue opere. La Bibbia insegna chiaramente che la giustizia è fonte di felicità c che il peccato è causa di sventura. nell’Antico Testamento questo legame è elaborato da una regola generale, sulla base di una concezione concreta c quindi sperimentabile della benedizione c della maledizione. Afferma il libro dei Proverbi che il peccatore c il pio saranno trattati ciascuno seconde le loro opere. Tutto l’Antico Testamento, salvo alcuni testi più recenti, pensa che la retribuzione, individuale (Es 1,15-21) o collettiva (1 Re 13,3-1), abbia luogo su questa terra.
Il Nuovo Testamento parla raramente della retribuzione terrena; ma a chi ha lasciato tutto per divenire suo discepolo, Gesù promette il centuplo, insieme alle  persecuzioni, già nel presente (Mc 10,29-30). In generale Gesù riferisce la retribuzione al momento della risurrezione o giudizio finale. Il criterio del giudizio finale è la fede in Gesù, manifestata attraverso le opere (Mt 25,31-46; Rm 2,5-11).

Il fico sterile - Papa Francesco (Angelus, 28 Febbraio 2016): Purtroppo, ciascuno di noi assomiglia molto a un albero che, per anni, ha dato molteplici prove della sua sterilità. Ma, per nostra fortuna, Gesù è simile a quel contadino che, con una pazienza senza limiti, ottiene ancora una proroga per il fico infecondo: «Lascialo ancora quest’anno - dice al padrone - […] Vedremo se porterà frutto per l’avvenire» (v. 9). Un “anno” di grazia: il tempo del ministero di Cristo, il tempo della Chiesa prima del suo ritorno glorioso, il tempo della nostra vita, scandito da un certo numero di Quaresime, che ci vengono offerte come occasioni di ravvedimento e di salvezza, il tempo di un Anno Giubilare della Misericordia. L’invincibile pazienza di Gesù! Avete pensato, voi, alla pazienza di Dio? Avete pensato anche alla sua irriducibile preoccupazione per i peccatori, come dovrebbero provocarci all’impazienza nei confronti di noi stessi! Non è mai troppo tardi per convertirsi, mai! Fino all’ultimo momento: la pazienza di Dio che ci aspetta. Ricordate quella piccola storia di santa Teresa di Gesù Bambino, quando pregava per quell’uomo condannato a morte, un criminale, che non voleva ricevere il conforto della Chiesa, respingeva il sacerdote, non voleva: voleva morire così. E lei pregava, nel convento. E quanto quell’uomo era lì, proprio al momento di essere ucciso, si rivolge al sacerdote, prende il Crocifisso e lo bacia. La pazienza di Dio! E fa lo stesso anche con noi, con tutti noi! Quante volte - noi non lo sappiamo, lo sapremo in Cielo -, quante volte noi siamo lì, lì… [sul punto di cadere] e il Signore ci salva: ci salva perché ha una grande pazienza per noi. E questa è la sua misericordia. Mai è tardi per convertirci, ma è urgente, è ora! Incominciamo oggi.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Dio è indubbiamente paziente, ma l’uomo non conosce il giorno del giudizio, da qui non può programmare o fissare tempi per la sua conversione, né tantomeno abusare della pazienza di Dio.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Padre santo e misericordioso, che mai abbandoni i tuoi figli e riveli ad essi il tuo nome, infrangi la durezza della mente e del cuore, perché sappiamo accogliere con la semplicità dei fanciulli i tuoi insegnamenti, e portiamo frutti di vera e continua conversione. Per il nostro Signore Gesù Cristo...