IL VANGELO DEL GIORNO

28 Marzo 2018
  


MERCOLEDÌ SETTIMANA SANTA


Oggi Gesù ci dice: “Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra” (I Lettura).


Dal Vangelo secondo Matteo 26,14-25: La morte avida già si appresta a ghermire la preda, tanta agognata e desiderata. Soltanto l’evangelista Matteo precisa la somma offerta dai capi dei sacerdoti a Giuda per tradire Gesù. Per indicare il tradimento di Giuda viene usato lo stesso verbo (consegnare) utilizzato per esprimere l’iniziativa di Dio che conduce gli eventi pasquali di Gesù orientandoli a un fine di salvezza, il piano di Dio “si realizza attraverso strumenti umani, anche se tali strumenti sono condannabili” (Felipe F. Ramos). Due personaggi calcano la scena di questi ultimi giorni che hanno un appuntamento con il sangue: Giuda il traditore, colui che consegna per denaro il Figlio dell’uomo ai carnefici, Gesù, il Figlio di Dio, che si consegna volontariamente agli aguzzini per liberare il mondo dal peccato e dalla morte. Sulla notte della cattiveria dell’uomo, brilla sempre il  bel sole della misericordia divina, che tutto illumina e tutto redime con il suo amore.  


Messale dell’Assemblea Cristiana (Feriale - ELLEDICI): Nel tradimento di Giuda vediamo l’intrecciarsi dei disegni di Dio e del «libero» agire dell’uomo. Nessuno può negare che Giuda abbia agito liberamente; eppure il suo gesto è stato preannunciato e non è sfuggito neppure alla volontà di Gesù: è stato consumato quando per Gesù è venuta «l’ora».È pericoloso scherzare con se stessi: la libertà è un dono, ma il suo retto esercizio è una conquista, è frutto di corrispondenza alla grazia divina. Nulla è più pericoloso dell’assuefarsi alla grazia: può riuscire irreparabile. Eppure si può fare il callo anche a forza di maneggiare l’Eucaristia. La settimana santa è la celebrazione più tragica della libertà dell’uomo nel suo mistero più profondo: nel libero ed irrevocabile «no» di Giuda e nel libero ed irrevocabile «sì» di Cristo alla volontà del Padre.


Giuda: Benedetto XVI (Udienza Generale, 18 Ottobre 2006): Si tratta ... di una figura appartenente al gruppo di coloro che Gesù si era scelti come stretti compagni e collaboratori. Ciò suscita due domande nel tentativo di dare una spiegazione ai fatti accaduti. La prima consiste nel chiederci come mai Gesù abbia scelto quest’uomo e gli abbia dato fiducia. Oltre tutto, infatti, benché Giuda fosse di fatto l’economo del gruppo (cfr Gv 12,6b; 13,29a), in realtà è qualificato anche come “ladro” (Gv 12,6a). Il mistero della scelta rimane, tanto più che Gesù pronuncia un giudizio molto severo su di lui: “Guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito!” (Mt 26,24). Ancora di più si infittisce il mistero circa la sua sorte eterna, sapendo che Giuda “si pentì e riportò le trenta monete d’argento ai sommi sacerdoti e agli anziani, dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente»” (Mt 27,3-4). Benché egli si sia poi allontanato per andare a impiccarsi (cfr Mt 27,5), non spetta a noi misurare il suo gesto, sostituendoci a Dio infinitamente misericordioso e giusto.
Una seconda domanda riguarda il motivo del comportamento di Giuda: perché egli tradì Gesù? La questione è oggetto di varie ipotesi. Alcuni ricorrono al fattore della sua cupidigia di danaro; altri sostengono una spiegazione di ordine messianico: Giuda sarebbe stato deluso nel vedere che Gesù non inseriva nel suo programma la liberazione politico-militare del proprio Paese. In realtà, i testi evangelici insistono su un altro aspetto: Giovanni dice espressamente che “il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo” (Gv 13,2); analogamente scrive Luca: “Allora satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era nel numero dei Dodici” (Lc 22,3). In questo modo, si va oltre le motivazioni storiche e si spiega la vicenda in base alla responsabilità personale di Giuda, il quale cedette miseramente ad una tentazione del Maligno. Il tradimento di Giuda rimane, in ogni caso, un mistero. Gesù lo ha trattato da amico (cfr Mt 26,50), però, nei suoi inviti a seguirlo sulla via delle beatitudini, non forzava le volontà né le premuniva dalle tentazioni di Satana, rispettando la libertà umana.   
In effetti, le possibilità di perversione del cuore umano sono davvero molte. L’unico modo di ovviare ad esse consiste nel non coltivare una visione delle cose soltanto individualistica, autonoma, ma al contrario nel mettersi sempre di nuovo dalla parte di Gesù, assumendo il suo punto di vista. Dobbiamo cercare, giorno per giorno, di fare piena comunione con Lui. Ricordiamoci che anche Pietro voleva opporsi a lui e a ciò che lo aspettava a Gerusalemme, ma ne ricevette un rimprovero fortissimo: “Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mc 8,32-33)! Pietro, dopo la sua caduta, si è pentito ed ha trovato perdono e grazia. Anche Giuda si è pentito, ma il suo pentimento è degenerato in disperazione e così è divenuto autodistruzione. E’ per noi un invito a tener sempre presente quanto dice san Benedetto alla fine del fondamentale capitolo V della sua “Regola”: “Non disperare mai della misericordia divina”. In realtà Dio “è più grande del nostro cuore”, come dice san Giovanni (1Gv 3,20). Teniamo quindi presenti due cose. La prima: Gesù rispetta la nostra libertà. La seconda: Gesù aspetta la nostra disponibilità al pentimento ed alla conversione; è ricco di misericordia e di perdono. Del resto, quando, pensiamo al ruolo negativo svolto da Giuda dobbiamo inserirlo nella superiore conduzione degli eventi da parte di Dio. Il suo tradimento ha condotto alla morte di Gesù, il quale trasformò questo tremendo supplizio in spazio di amore salvifico e in consegna di sé al Padre (cfr Gal 2,20; Ef 5,2.25). Il Verbo “tradire” è la versione di una parola greca che significa “consegnare”. Talvolta il suo soggetto è addirittura Dio in persona: è stato lui che per amore “consegnò” Gesù per tutti noi (cfr Rm 8,32). Nel suo misterioso progetto salvifico, Dio assume il gesto inescusabile di Giuda come occasione del dono totale del Figlio per la redenzione del mondo.


Benedetto Prete (Vangelo secondo Matteo): versetto 24 - Il Figlio dell’uomo se ne va, come e scritto di lui; Gesù va liberamente alla morte, poiché non si sottrae al tradimento; ma il traditore non ha nessuna scusa. Sarebbe stato meglio che non fosse mai nato quell’uomo! L’espressione rivela tutta l’amarezza del cuore di Gesù offeso dal tradimento di un suo apostolo.
Essa non è un’affermazione filosofica, come se Gesù volesse dire che per il malvagio è meglio non esser nato, bensì una triste constatazione. Per Giuda la vita è servita a rendere eterna la sua disgrazia.
versetto 25 -  Sì, proprio tu; Giuda che non poteva restare in silenzio, nel qual caso si sarebbe svelato, si associò a qualche altro apostolo oppure domandò isolatamente e sommessamente al Maestro se fosse lui il traditore. Gesù gli rispose con voce bassa, quasi sussurrando le parole; gli apostoli, che probabilmente insistevano in modo disordinato nella loro domanda, non avvertirono la risposta che il Maestro diede a Giuda. Il traditore, per sentire le parole pronunziate con tono sommesso da Gesù, doveva occupare un posto molto vicino a lui. Il quarto evangelista parla di un segno dato segretamente a Giovanni ed a Pietro dal Maestro per riconoscere il traditore (cf. Giovanni 13,24-26). Giuda, quando seppe che Gesù era al corrente del suo tradimento, dovette abbandonare la mensa; egli lasciò la sala della cena quasi subito dopo la risposta. Giuda, con molta probabilità, non partecipò all’istituzione dell’’Eucaristia; Luca (22,21) dà l’impressione che il traditore sia ancora a mensa al momento del grande atto sacramentale; Matteo (26,23) e Marco (14,18) invece mettono prima dell’istituzione eucaristica la denunzia del traditore. 


Padre Umberto Frassineti o.p.: Giuda non è un personaggio tramontato una volta per sempre nel suo tragico gesto suicida, ultimo e definitivo tradimento del suo Maestro. Resta ad ammonire ogni cristiano. Il tradimento è sempre possibile: il peccato è tradimento, l’indifferenza è tradimento, come lo è l’egoismo e l’orgoglio. E noi come «valutiamo» il nostro prossimo? Gesù ha detto «non giudicate». Abbiamo diritto a valutare, soppesare il nostro prossimo? Valutare gli altri, non è già un considerare il nostro prossimo come cosa, merce, soprattutto quando lo disprezziamo? Chi ama, non giudica, non pesa, non misura, non vende e non compra. Chi ama non traduce il suo prossimo in interesse o prezzo. Ogni prezzo è irrisorio. L’uomo vale sempre la morte di Cristo.


Catechismo della Chiesa Cattolica: 1730 Dio ha creato l’uomo ragionevole conferendogli la dignità di una persona dotata dell’iniziativa e della padronanza dei suoi atti. « Dio volle, infatti, lasciare l’uomo in balia del suo proprio volere” (Sir 15,14) perché così esso cerchi spontaneamente il suo Creatore e giunga liberamente, con l’adesione a lui, alla piena e beata perfezione »: «L’uomo è dotato di ragione, e in questo è simile a Dio, creato libero nel suo arbitrio e potere».


1739 Libertà e peccato. La libertà dell’uomo è finita e fallibile. Di fatto, l’uomo ha sbagliato. Liberamente ha peccato. Rifiutando il disegno d’amore di Dio, si è ingannato da sé; è divenuto schiavo del peccato. Questa prima alienazione ne ha generate molte altre. La storia dell’umanità, a partire dalle origini, sta a testimoniare le sventure e le oppressioni nate dal cuore dell’uomo, in conseguenza di un cattivo uso della libertà.


Siamo arrivati al terminePossiamo mettere in evidenza:
*** “Non è un mostro Giuda, è uno dei dodici, ha visto e vissuto tutto quello che ha fatto Gesù, ha intinto la mano nel suo stesso piatto, eppure ha fatto del suo cuore la casa del risentimento verso quel Signore che ha l’unica colpa di avergli voluto fin troppo bene” (Vincenzo Paglia).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Padre misericordioso, tu hai voluto che il Cristo tuo Figlio subisse per noi il supplizio della croce per liberarci dal potere del nemico, donaci di giungere alla gloria della risurrezione. Per il nostro Signore Gesù Cristo...




IL VANGELO DEL GIORNO

27 Marzo 2018

MARTEDÌ SETTIMANA SANTA

Oggi Gesù ci dice: “Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra” (I Lettura).


Dal Vangelo secondo Giovanni 13,21-33.36-38: In quel tempo, [mentre era a mensa con i suoi discepoli,] Gesù fu profondamente turbato: il turbamento di Gesù scaturisce dal tradimento Giuda, e sopra tutto dal vedere un’anima sopraffatta dal potere del demonio: uno di voi mi tradirà... «Signore, chi è?». Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariòta. Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Anche Pietro rinnegherà il Maestro, ma mentre Giuda tradisce Gesù senza pentimenti; Pietro laverà con lacrime di pentimento il suo peccato. Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui: la glorificazione del Figlio è in pari tempo la glorificazione del Padre: l’una si attua nell’altra. Tale glorificazione sarà realizzata immediatamente con la morte e risurrezione di Cristo, ma avrà la sua pienezza alla Parusìa, alla fine dei tempi.


Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): Pietro fa cenno [al discepolo che Gesù amava] per conoscere il traditore. Questi lo chiede a Gesù che gli risponde: «Quello per cui intingerò un boccone e poi glielo darò» (13,26). Lo dà a Giuda, gli dà il suo pane, simbolo della sua carne, cioè di sé nella sua debolezza. È Gesù che si dona. Il gesto infatti di offrire un boccone intinto ha un senso di amicizia, di deferenza, di onore verso un ospite gradito al di sopra degli altri. Questo gesto è riservato a Giuda ed è un gesto di vero amore. Gesù non esclude nessuno dal suo amore, neppure i nemici. Qui è l’ultimo richiamo che fa a Giuda, perché ama anche lui, e lo fa perché ritorni a lui.
Giuda prese il boccone, cioè si appropriò di Gesù. Ed ecco che cosa avvenne: Satana entrò in lui. Giuda cessa di essere se stesso, ora è un indemoniato. Quello non è più il suo posto, e Gesù lo aiuta a lasciare la sala senza vergogna; gli dice: «Quello che devi fare, fallo presto». Gli altri non capirono. E noi non riusciremo mai a capire fino in fondo la bontà di Gesù. Il racconto si conclude così: Giuda, preso il boccone, uscì. Era notte! Se ne va portando quel boccone che rappresenta Gesù, diventato nelle sue mani merce di scambio. Era notte. Nessuno è mai riuscito a prendere in puro senso materiale quest’ultima espressione. Il senso più giusto sarebbe: Giuda era la notte. Infatti è totalmente in balia delle tenebre, del Principe di questo mondo.


Satana...: G. Huber (Dizionario di Mistica): Il termine satana deriva dall’ebraico satan che significa avversario. Nel Nuovo Testamento si usa, invece, il termine diàbolos da diaballo che significa separare, dividere, mentre damonion è di dubbia etimologia. Creati da Dio come esseri puramente spirituali, gli angeli operarono una scelta che diede modo di distinguerli in buoni o obbedienti a Dio e cattivi o disobbedienti.
I primi conservarono il nome di angeli, i secondi furono chiamati diavoli, demoni, satana. Satana, quindi, è un angelo divenuto volontariamente cattivo, pertanto il suo potere, di gran lunga superiore a quello degli uomini, viene usato per fini malefici, essendo egli pieno di odio contro Dio e contro gli uomini. Dio avrebbe potuto be­nissimo precipitare tutti gli angeli ribelli nelle profondità dell’inferno, ma  san Tommaso osserva giustamente che «è proprio del saggio saper utilizzare i mali per fini buoni superiori. Perciò, mentre il Signore precipitò all’inferno una parte degli angeli cattivi, rinchiuse l’altra parte nell’atmosfera terrestre affinché tentasse gli uomini». Dio, dunque, si sarebbe servito della loro malizia per dare all’uomo l’occasione di esercitarsi nella pratica delle virtù, quindi di progredire nel suo cammino verso di lui. Gli angeli ribelli sono così diventati, loro malgrado, dei servi del Signore. Ma se i demoni lavorano per il regno di Dio è a loro insaputa. La loro intenzione non è la gloria di Dio né il vero bene dell’uomo, bensì il contrario: cercano di vendicarsi per essere stati esclusi dal paradiso e di far cadere l’uomo nel peccato o almeno nella mediocrità, per impedirgli di unirsi a Dio già quaggiù, e di entrare poi in paradiso. Nel pensiero di Dio, le tentazioni dei demoni offrono così all’uomo l’occasione di lottare, cioè di scegliere tra il bene e il male. Si può perciò affermare che, in un certo senso e paradossalmente, il tentatore diventa, suo malgrado, un benefattore degli eletti.


... entrò in lui: Royo Marin (Teologia della Perfezione Cristiana): La possessione diabolica è un fenomeno sorprendente in virtù del quale il demonio invade il corpo di un uomo vivo e ne muove gli organi secondo il suo arbitrio come se si trattasse di una cosa propria. Il demonio si introduce e risiede realmente nell’interno del corpo della sua vittima e in esso opera e parla. Coloro che soffrono questa invasione dispotica prendono il nome di possessi, indemoniati, energumeni.
La possessione suppone e comporta due elementi essenziali: a) la presenza del demonio nel corpo della vittima e b) il suo impero dispotico su di esso. Senza dubbio, non c’è un’informazione intrinseca (come l’anima è forma sostanziale del corpo), ma soltanto una penetrazione o presa di possesso del corpo. L’impero su di esso è dispotico, però non come principio intrinseco dei suoi atti o movimenti, ma soltanto per un dominio violento ed esterno alla sostanza dell’atto. Si potrebbe paragonare all’azione dell’autista che maneggia il volante dell’automobile e ne dirige l’energia del motore dove vuole. In ogni caso, la presenza intima del demonio rimane circoscritta al solo corpo. L’anima resta libera e se per l’invasione degli organi corporei l’esercizio della sua vita cosciente è sospeso, non ne resta invasa ella stessa. Solo Dio ha il potere di penetrare nella sua essenza con la sua virtù creatrice e di stabilirvi la sua dimora con l’unione speciale della grazia. Il fine perseguito dal demonio con le sue violenze è di perturbare l’anima e di trascinarla al peccato. Ma l’anima rimane sempre padrona di sé e, se si conserva fedele alla grazia, trova nella sua libera volontà un asilo inviolabile.


Satana e la creazione. L’azione di Satana si estende su tutta la creazione umana e materiale - Gustav Thils (Santità Cristiana): Esercita il suo potere sugli individui nel campo psicologico. La tentazione descritta nella Genesi può essere considerata come il tipo più suggestivo dell’influenza diabolica: seduzione abile, suggestione calcolata, accecamento e inganno, illusione e vanità. Ma ci sono anche le discordie e l’odio, l’idolatria e il materialismo, l’egoismo e l’impudicizia, gli istinti e le passioni. Quest’azione, spiegano i teologi, il demonio l’esercita soprattutto attraverso le facoltà sensibili dell’uomo: sensi, immaginazione, passioni; ma queste sono la via per giungere indirettamente alla volontà ed all’intelligenza (S. th. I, q. 114, a. 3). E allora dovremo attribuire solo al demonio tutte le debolezze umane? No. La nostra debolezza nativa può anche, senza alcun intervento esteriore, giocarci qualche brutto tiro: «Non tutti i peccati si commettono per istigazione del demonio, scrive S. Tommaso, alcuni provengono dal nostro libero arbitrio e dalla debolezza della carne» (S. th., I, q. 114, a. 3). Ma come non vedere la mano del Maligno in ogni male, dato che egli dirige tutte le forze nefaste e anticristiane di questo mondo?
L’opposizione diabolica contro il regno di Dio è anche collettiva e istituzionale. Satana non agisce soltanto attraverso gl’individui; opera anche attraverso gruppi, società, istituzioni. Le «realtà sociali» possono essere possedute e dirette da lui, proprio come le «realtà individuali». Nessuno potrà negare che alcune società umane violentemente ostili ad ogni religione siano di ispirazione direttamente diabolica. Sarebbe ingenuo ignorare queste verità indubitabili. Il diavolo ha i suoi dipendenti, i suoi militanti e i suoi trionfi collettivi. Tuttavia si dovrà procedere con estrema circospezione se si dovessero applicare questi princìpi ad una data associazione particolare. Molto raramente il male esiste allo stato puro.
Satana infine è in modo particolarissimo il padrone della materia. Gli scrittori spirituali hanno spesso descritto l’influsso esercitato da Satana sulla creazione materiale. La Chiesa ha moltiplicato gli esorcismi e le benedizioni per sottrarre la natura al dominio del demonio, per liberare la creazione dal possesso diabolico e per premunirla contro i ripetuti assalti di Satana, consacrandola a Dio e affidandola ai suoi angeli. I sacramenti ed i riti della Chiesa esprimono molto spesso verità che forse non viviamo con molta convinzione. Ma l’arte più fine di Satana non consiste forse nel farsi dimenticare?


Papa Francesco (Omelia 3 Ottobre 2015): [Satana] è un seduttore, è uno che semina insidie e un seduttore, e seduce col fascino, col fascino demoniaco, ti porta a credere tutto. Lui sa vendere con questo fascino, vende bene, ma paga male alla fine! È il suo metodo. Pensiamo la prima volta che nel Vangelo questo signore appare, è un dialogo con Gesù. Gesù sta pregando durante quaranta giorni nel deserto, digiunando, e alla fine è un po’ stanco e ha fame. E lui viene, si muove lentamente come il serpente, e fa quelle tre proposte a Gesù: “Se tu sei Dio, il figlio di Dio, lì ci sono delle pietre, hai fame, fa’ che si convertano in pane”; “Se tu sei il Figlio di Dio, perché tanta fatica? Vieni con me al terrazzo del tempio e buttati giù, e la gente vedrà questo miracolo e senza fatica tu sarai riconosciuto come il Figlio di Dio”; il diavolo cerca di sedurlo e, alla fine, siccome non è riuscito a sedurlo, l’ultima: “Parliamo chiaro: io ti do tutto il potere del mondo, ma tu mi adori a me. Facciamo un negoziato”.
I tre gradini del metodo del serpente antico, del demonio. Primo, avere cose, in questo caso il pane, le ricchezze, le ricchezze che ti portano lentamente alla corruzione, e questa della corruzione non è una fiaba!, c’è dappertutto. C’è dappertutto la corruzione: per due soldi tanta gente vende l’anima, vende la felicità, vende la vita, vende tutto. E’ il primo gradino: i soldi, le ricchezze. Poi, quando ne hai, ti senti importante, secondo gradino: la vanità. Quello che diceva il diavolo a Gesù: “Andiamo sul terrazzo del tempio, buttati giù, fai il grande spettacolo!”. Vivere per la vanità. Il terzo gradino: il potere, l’orgoglio, la superbia: “Io ti do tutto il potere del mondo, tu sarai quello che comanda”.
Questo accade anche a noi, sempre, nelle piccole cose: attaccati troppo alle ricchezze, ci piace quando ci lodano, come il pavone. E tanta gente diventa ridicola, tante gente. La vanità ti fa diventare ridicolo. O, alla fine, quando hai potere, ti senti Dio, e questo è il grande peccato.
Questa è la nostra lotta, e per questo oggi chiediamo al Signore che per l’intercessione dell’Arcangelo Michele siamo difesi dalle insidie, dal fascino, dalle seduzioni di questo serpente antico che si chiama Satana.


La vita cristiana è una lotta - Adolfo Tanquerey (Compendio di Teologia Acsetica e Mistica): La vita cristiana è ... una lotta, lotta penosa che, con peripezie diverse, non termina che alla morte; lotta di importanza capitale, perché la posta ne è la vita eterna. Come insegna Paolo, ci sono in noi due uomini: a) l’ uomo rigenerato, l’ uomo nuovo, con tendenze nobili, soprannaturali, divine, prodotte in noi dallo Spirito Santo per i meriti di Gesù e per l’intercessione della SS. Vergine e dei Santi: tendenze a cui ci studiamo di corrispondere mettendo in opera, sotto l’influsso della grazia attuale, l’organismo soprannaturale di cui Dio ci ha dotati. b) Ma al suo fianco c’è l’uomo naturale, l’uomo carnale, il vecchio uomo, con le tendenze malvagie che il battesimo non ha estirpato dall’anima nostra: è la triplice concupiscenza che abbiamo dal primo nostro nascere, e che il mondo e il demonio stuzzicano e rinforzano, tendenza abituale che ci porta all’amore disordinato dei piaceri sensuali, della nostra eccellenza e dei beni della terra. Questi due uomini vengono fatalmente a conflitto: la carne o l’ uomo vecchio desidera e cerca il piacere senza curarsi della sua moralità; lo spirito ben gli rammenta che vi sono piaceri proibiti e pericolosi che bisogna sacrificare al dovere, vale a dire alla volontà di Dio; ma, insistendo la carne nei suoi desideri, la volontà, aiutata dalla grazia, è obbligata a mortificarla e occorrendo crocifiggerla. Il cristiano è dunque un soldato, un atleta, che lotta per una corona immortale e lotta fino alla morte. Questa lotta è perpetua perché, nonostante i nostri forzi, non possiamo liberarci dall’uomo vecchio, non possiamo che indebolirlo, incatenarlo, e fortificare nello stesso tempo l’uomo nuovo contro i suoi assalti.  Da principio la lotta è quindi più viva, più accanita, e i contrattacchi del nemico più numerosi e più violenti. Ma a mano a mano che, con sforzi energici e costanti, riportiamo vittorie, il nostro nemico s’indebolisce, le passioni si calmano, e, salvo certi momenti di prova voluti da Dio per elevarci a più alta perfezione, godiamo d’una calma relativa, presagio della vittoria definitiva. Alla grazia di Dio ne dobbiamo il buon esito. Non dimentichiamo però che le grazie concesseci sono grazie di combattimento non di riposo; che siamo lottatori, atleti, asceti, e che dobbiamo, come S. Paolo, lottare sino alla fine per meritar la corona : “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ormai mi è serbata la corona di giustizia che il Signore mi darà ...”. È questo il mezzo di perfezionare in noi la vita cristiana e d’acquistare copiosi meriti.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** La vita cristiana è ... una lotta, lotta penosa che, con peripezie diverse, non termina che alla morte; lotta di importanza capitale, perché la posta ne è la vita eterna.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Concedi a questa tua famiglia, o Padre, di celebrare con fede i misteri della passione del tuo Figlio, per gustare la dolcezza del tuo perdono. Per il nostro Signore Gesù Cristo...    



IL VANGELO DEL GIORNO

26 Marzo 2018

LUNEDÌ SETTIMANA SANTA

Oggi Gesù ci dice: Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura” (Vangelo).


Dal Vangelo secondo Giovanni 12,1-11: L’unzione di Betania ha alla base il simbolo del profumo prezioso di nardo, importato in Israele dall’India, del valore di trecento denari, quasi il salario annuale di un bracciante. Esso è interpretato dall’evangelista come un’anticipazione della morte, sepoltura e unzione del corpo di Gesù, un po’ come la risurrezione di Lazzaro era stata il segno della glorificazione del Risorto. In questa scena ci sono due sguardi contrapposti su Gesù: quello della donna e quello di Giuda. La donna pone Gesù al di sopra di tutto e indica un amore illimitato. Giuda pone il valore commerciale al di sopra della persona di Cristo. Con un commento che manca nei sinottici, Giovanni sottolinea l’attaccamento di Giuda al denaro. Maria, quindi, simboleggia qui il vero discepolo che riconosce che Gesù vale di più di tutto l’oro del mondo


Benedetto Prete (Vangelo secondo Giovanni): Sei giorni prima della Pasqua, con questa indicazione cronolo­gica ben precisa (sei giorni) l’evangelista desidera segnalare l’ultima settimana della vita di Gesù (cf. 12,12; 13,1; 18,28; 19,31); anche all’inizio del vangelo egli aveva indicati i giorni della prima settimana dell’attività pubblica di Cristo (cf. 1,19-2,1). Ambedue le settimane si concludono con la manifestazione della gloria di Gesù (cf. 2,4.11; 12, 23; 13,31-32; 17,1.5). L’indicazione cronologica serve a fissare la data del banchetto e della unzione di Maria (cf. verso 2); Matteo e Marco pongono questo banchetto e l’unzione della donna nella settimana di passione; Giovanni invece anticipa i due fatti al sesto giorno prima di Pasqua, cioè molto probabilmente alla sera del sabato che precedeva la Pasqua di quell’anno. Venne a Bethania; il Maestro, che deve recarsi a Gerusalemme per consumarvi la Pasqua, fa sosta a Bethania e qui si sofferrna per breve tempo. Gesù, lasciato il suo ritiro di Efraim, si recò a Gerico e da questa città mosse verso Bethania e Gerusalemme (cf. Lc., 18,35-19,44). Dove si trovava Lazzaro; nel presente capitolo è nominato spesso Lazzaro (cf. versetti 2,9-11; 17-18); la menzione di questo personaggio assume un particolare significato per l’evangelista; egli infatti vuole sottolineare l’idea sviluppata nel corso del capitolo, cioè: la vita viene dalla morte. Per questo motivo ripete particolari già noti ( ... Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti).


Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo - Henri van den Bussche (Giovanni): Secondo i sinottici, che non citano il nome della donna, il profumo è stato sparso sulla testa di Gesù, mentre Giovanni parla di unzione di piedi. Il profumo fu versato probabilmente sulla testa e sui piedi, ma Giovanni non racconta che l’unzione dei piedi perché essa era eccezionale, dimostrava una grande generosità, quasi uno spreco.
Perché il gesto di Maria superava veramente la misura normale: più di trecento grammi di nardo vero, molto costoso. Tutta la casa ne è profumata; questo è per i sinottici (Mc 14,9; Mt 26,12) il presagio della predicazione universale della buona novella. Giovanni descrive la profusione sottolineandola. Egli dice che Maria asciugò i piedi di Gesù coi suoi capelli (cfr. Lc 7,44). Questi particolari mettono in rilievo il contrasto col calcolo avaro di Giuda.
Giovanni cita il nome di Giuda, mentre i sinottici restano nell’indeterminato (alcuni, i discepoli). Per lui Giuda è l’incarnazione dell’incomprensione, della mancanza di fede e della connivenza con Satana. Ogni volta egli aggiunge a questo nome: uno dei discepoli o uno dei Dodici, colui che lo tradirà. Giuda ha fatto i suoi calcoli. Trecento denari, il salario di trecento giorni, di dieci mesi. Perché non dare tale somma ai poveri? L’evangelista protesta. Questo scatto non è abituale in lui; è, come tutto ciò che Giovanni dice di Giuda, la reazione spontanea di un membro del collegio dei Dodici.
Gesù ordina a Giuda di non importunarla. Alla lettera: lasciala stare, lo ha conservato per il giorno della mia sepoltura. Gesù risponde alla obiezione di Giuda e spiega: Maria non deve conservare o vendere il balsamo perché essa lo ha comprato per la sua sepoltura e questa sepoltura è prossima, già ci siamo, si può dire. Gesù spiega che il gesto di Maria è un gesto profetico involontario, indica che la sua morte è vicina.
La cena, offerta in ricordo della risurrezione di Lazzaro, non passa inavvertita (12,1). Molti giudei vengono, non tanto per affermare la loro fede in Gesù quanto per curiosità, per vedere Lazzaro, il morto-vivente. Ma questo interesse si risolve in una ripresa di pubblicità del miracolo. I gran sacerdoti (non si tratta solamente dei sadducei, ma anche dei farisei) vogliono farla finita a ogni costo. Se è necessario, si sopprimerà anche Lazzaro, perché anche lui è motivo di defezioni (11,45). Credere in Gesù non significa forse abbandonare l’ortodossia giudaica di cui essi sono i responsabili (9,22.35)?


Una reazione di  protesta...: Ecclesia de Eucharistia 47: Chi legge nei Vangeli sinottici il racconto dell’istituzione eucaristica, resta colpito dalla semplicità e insieme dalla «gravità», con cui Gesù, la sera dell’Ultima Cena, istituisce il grande Sacramento. C’è un episodio che, in certo senso, fa da preludio: è l’unzione di Betania. Una donna, identificata da Giovanni con Maria sorella di Lazzaro, versa sul capo di Gesù un vasetto di profumo prezioso, provocando nei discepoli - in particolare in Giuda (cfr. Mt 26,8; Mc 14,4; Gv 12,4) - una reazione di protesta, come se tale gesto, in considerazione delle esigenze dei poveri, costituisse uno «spreco» intollerabile. Ma la valutazione di Gesù è ben diversa. Senza nulla togliere al dovere della carità verso gli indigenti, ai quali i discepoli si dovranno sempre dedicare - «i poveri li avete sempre con voi» (Mt 26,11; Mc 14,7; cfr. Gv 12,8) - Egli guarda all’evento imminente della sua morte e della sua sepoltura, e apprezza l’unzione che gli è stata praticata quale anticipazione di quell’onore di cui il suo corpo continuerà ad essere degno anche dopo la morte, indissolubilmente legato com’è al mistero della sua persona.


Dal sacrificio di Cristo sgorga inesauribilmente il perdono dei nostri peccati: Catechismo della Chiesa Cattolica 1850-1851: Il peccato è un’offesa a Dio: «Contro di te, contro te solo ho peccato. Quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto» (Sal 51,6). Il peccato si erge contro l’amore di Dio per noi e allontana da esso i nostri cuori. Come il primo peccato, è una disobbedienza, una ribellione contro Dio, a causa della volontà di diventare «come Dio» (Gen 3,5), conoscendo e determinando il bene e il male. Il peccato pertanto è «amore di sé fino al disprezzo di Dio». Per tale orgogliosa esaltazione di sé, il peccato è diametralmente opposto all’obbedienza di Gesù, che realizza la salvezza. È proprio nella Passione, in cui la misericordia di Cristo lo vincerà, che il peccato manifesta in sommo grado la sua violenza e la sua molteplicità: incredulità, odio omicida, rifiuto e scherno da parte dei capi e del popolo, vigliaccheria di Pilato e crudeltà dei soldati, tradimento di Giuda tanto pesante per Gesù, rinnegamento di Pietro, abbandono dei discepoli. Tuttavia, proprio nell’ora delle tenebre e del Principe di questo mondo, il sacrificio di Cristo diventa segretamente la sorgente dalla quale sgorgherà inesauribilmente il perdono dei nostri peccati.


I poveri non mancheranno mai nel paese: Catechismo della Chiesa Cattolica 2449: Fin dall’Antico Testamento tutte le varie disposizioni giuridiche (anno di remissione, divieto di prestare denaro a interesse e di trattenere un pegno, obbligo di dare la decima, di pagare ogni giorno il salario ai lavoratori giornalieri, diritto di racimolare e spigolare) sono in consonanza con l’esortazione del Deuteronomio: «I bisognosi non mancheranno mai nel paese; perciò io ti do questo comando e ti dico: Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese» (Dt 15,11). Gesù fa sua questa parola: «I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me» (Gv 12,8). Non vanifica con ciò la parola veemente degli antichi profeti: comprano «con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali... » (Am 8,6), ma ci invita a riconoscere la sua presenza nei poveri che sono suoi fratelli.

La sovrabbondanza della gratuità - Vita Consecrata 104: Non sono pochi coloro che oggi si interrogano perplessi: Perché la vita consacrata? Perché abbracciare questo genere di vita, dal momento che vi sono tante urgenze, nell’ambito della carità e della stessa evangelizzazione, a cui si può rispondere anche senza assumersi gli impegni peculiari della vita consacrata? Non è forse, la vita consacrata, una sorta di «spreco» di energie umane utilizzabili secondo un criterio di efficienza per un bene più grande a vantaggio dell’umanità e della Chiesa? Queste domande sono più frequenti nel nostro tempo, perché stimolate da una cultura utilitaristica e tecnocratica, che tende a valutare l’importanza delle cose e delle stesse persone in rapporto alla loro immediata «funzionalità». Ma interrogativi simili sono esistiti sempre, come dimostra eloquentemente l’episodio evangelico dell’unzione di Betania: «Maria, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento» (Gv 12,3). A Giuda che, prendendo a pretesto il bisogno dei poveri, si lamentava per tanto spreco, Gesù rispose: «Lasciala fare!» (Gv 12,7). È questa la risposta sempre valida alla domanda che tanti, anche in buona fede, si pongono circa l’attualità della vita consacrata: Non si potrebbe investire la propria esistenza in modo più efficiente e razionale per il miglioramento della società? Ecco la risposta di Gesù: «Lasciala fare!». A chi è concesso il dono inestimabile di seguire più da vicino il Signore Gesù appare ovvio che Egli possa e debba essere amato con cuore indiviso, che a Lui si possa dedicare tutta la vita e non solo alcuni gesti o alcuni momenti o alcune attività. L’unguento prezioso versato come puro atto di amore, e perciò al di là di ogni considerazione «utilitaristica», è segno di una sovrabbondanza di gratuità, quale si esprime in una vita spesa per amare e per servire il Signore, per dedicarsi alla sua persona e al suo Corpo mistico. Ma è da questa vita «versata» senza risparmio che si diffonde un profumo che riempie tutta la casa. La casa di Dio, la Chiesa, è, oggi non meno di ieri, adornata e impreziosita dalla presenza della vita consacrata. Quello che agli occhi degli uomini può apparire come uno spreco, per la persona avvinta nel segreto del cuore dalla bellezza e dalla bontà del Signore è un’ovvia risposta d’amore, è esultante gratitudine per essere stata ammessa in modo tutto speciale alla conoscenza del Figlio ed alla condivisione della sua divina missione nel mondo. «Se un figlio di Dio conoscesse e gustasse l’amore divino, Dio increato, Dio incarnato, Dio passionato, che è il sommo bene, gli si darebbe tutto, si sottrarrebbe non solo alle altre creature, ma perfino a se stesso e con tutto se stesso amerebbe questo Dio d’amore fino a trasformarsi tutto nel Dio-uomo, che è il sommo Amato».


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** La vita viene dalla morte. 
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Guarda, Dio onnipotente, l’umanità sfinita per la sua debolezza mortale, e fa’ che riprenda vita per la passione del tuo unico Figlio. Egli è Dio e vive e regna con te.



IL VANGELO DEL GIORNO

25 Marzo 2018

DOMENICA DELLE PALME
DELLA PASSIONE DEL SIGNORE


Oggi Gesù ci dice: “Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio” (Vangelo).


Dal Vangelo secondo Marco 14,1-15,47: Nella cornice festosa del pellegrinaggio pasquale Gesù fa la sua solenne entrata nella città. Ciò che anzitutto colpisce in questo racconto è il ricco sottofondo veterotestamentario. Innanzi tutto, il racconto sembra accostarsi a un testo del libro di Zaccaria (9,9): “Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina”. Le vesti stese per terra ricordano l’intronizzazione regale di Jeu (2Re 9,13): “Allora si affrettarono e presero ciascuno il proprio mantello e lo stesero sui gradini sotto di lui, suonarono il corno e gridarono: «Ieu è re»”. E infine, il grido della folla che accompagna Gesù, ricorda il Salmo 118 (117, 26), un salmo processionale: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”. Questo ricco sottofondo veterotestamentario rivela il modo con cui la comunità cristiana ha letto l’episodio, scorgendo in esso un profondo senso messianico. Al trionfo seguirà l’amara passione, Gesù morirà, ma non bisogna dimenticare che egli è il Signore, perché altrimenti non si capirebbe la Passione: non è il rifiuto di un profeta qualsiasi, ma del Signore; non è la manifestazione del coraggio di un profeta che giunge al martirio, ma la manifestazione dell’amore di Dio nei nostri confronti. 


L’ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme: CCC 559-560: Come Gerusalemme accoglierà il suo Messia? Dopo essersi sempre sottratto ai tentativi del popolo di farlo re, Gesù sceglie il tempo e prepara nei dettagli il suo ingresso messianico nella città di “Davide, suo padre” (Lc 1,32). È acclamato come il figlio di Davide, colui che porta la salvezza (“Hosanna” significa: “Oh, sì, salvaci!”, “donaci la salvezza!”). Ora, “Re della gloria” (Sal 24,7-10) entra nella sua città cavalcando un asino: egli non conquista la Figlia di Sion, figura della sua Chiesa, né con l’astuzia né con la violenza, ma con l’umiltà che rende testimonianza alla Verità. Per questo i soggetti del suo Regno, in quel giorno, sono i fanciulli e i «poveri di Dio», i quali lo acclamano come gli angeli lo avevano annunziato ai pastori. La loro acclamazione, «Benedetto colui che viene nel Nome del Signore» (Sal 118,26), è ripresa dalla Chiesa nel «Sanctus» della Liturgia eucaristica come introduzione al memoriale della Pasqua del Signore. L’ingresso di Gesù a Gerusalemme manifesta l’avvento del Regno che il Re-Messia si accinge a realizzare con la Pasqua della sua morte e Risurrezione. Con la celebrazione dell’entrata di Gesù in Gerusalemme, la domenica delle Palme, la Liturgia della Chiesa dà inizio alla Settimana Santa.


Come attesta la sacra Scrittura, Gerusalemme non ha conosciuto il tempo in cui è stata visitata: Nostra aetate 4: Gli Ebrei in gran parte non hanno accettato il Vangelo, ed anzi non pochi si sono opposti alla sua diffusione. Tuttavia secondo l’Apostolo, gli Ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento. Con i profeti e con lo stesso Apostolo, la Chiesa attende il giorno, che solo Dio conosce, in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con una sola voce e “lo serviranno sotto uno stesso giogo” (Sof 3,9).


In Cristo avvenne la nostra perfetta riconciliazione con Dio: Sacrosacntum Concilium 5: Dio, il quale “vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità” (1Tm 2,4), “dopo avere a più riprese e in più modi parlato un tempo ai padri per mezzo dei profeti” (Eb 1,1), quando venne la pienezza dei tempi, mandò il suo Figlio, Verbo fatto carne, unto dallo Spirito Santo, ad annunziare la buona novella ai poveri, a risanare i cuori affranti, “medico di carne e di spirito”, mediatore tra Dio e gli uomini. Infatti la sua umanità, nell’unità della persona del Verbo, fu strumento della nostra salvezza. Per questo motivo in Cristo “avvenne la nostra perfetta riconciliazione con Dio ormai placato e ci fu data la pienezza del culto divino”. Quest’opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio, che ha il suo preludio nelle mirabili gesta divine operate nel popolo dell’Antico Testamento, è stata compiuta da Cristo Signore principalmente per mezzo del mistero pasquale della sua beata passione, risurrezione da morte e gloriosa ascensione, mistero col quale “morendo ha distrutto la nostra morte e risorgendo ha restaurato la vita”. Infatti dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa.


Paolo VI (Omelia, 3 Aprile 1977): Gesù è il Messia, è il Cristo, è il Re inviato da Dio, è il Figlio dell’uomo ed è il Figlio di Dio. La sua definizione è raggiunta! Quale sarà il seguito di questa certezza vedremo successivamente; il dramma messianico, nel suo aspetto pubblico universale e drammatico comincia qui: Gesù è il Cristo. Cominciò per i contemporanei di Gesù. Comincia per noi, con una formidabile domanda: noi, noi riconosciamo in quel Gesù di Nazareth, del Vangelo, il Messia, il Cristo, il Re divino, il dominatore della storia, il Salvatore perenne, Colui che ha detto: «Io sarò con voi tutti (presente ed invisibile, ma vivo e reale), sino alla fine del mondo»? (Matth. 28,20) Ecco l’importanza per noi, figli del secolo ventesimo, per noi Romani, per ciascuno di noi, personalmente, del rito che stiamo compiendo: riconosciamo noi, riconoscete voi in Gesù il Messia, l’inviato da Dio, anzi il Verbo di Dio fatto uomo, che si mette al centro della nostra vita, al cardine dei nostri destini? Lo riconosciamo? Ecco: la questione ci investe come un uragano. La memoria del fatto evangelico diventa attualità. Lo riconosciamo quel Gesù come l’arbitro delle nostre sorti? Abbiamo paura? Noi vediamo molte assenze! perché? che cosa sarà di tanti assenti? Noi vediamo molti pavidi, timidi, opportunisti: perché, dicono, esporsi al pericolo che l’essere cristiani comporta? V’è chi suggerisce: fuggi, che è meglio! Noi sappiamo che altri, e non pochi, sono guidati da interessi immediati: piacere, possedere, vivere senza pensieri superiori: vite senza ideali, esaltate e divorate dal tempo che passa! E voi, Figli carissimi, voi che dite?

Piaga su piaga - Gesù, ben fissato dai chiodi al legno della Croce, non risponde alle invettive, agli insulti dei suoi crocifissori. Dinanzi a Gesù crocifisso scocca l’ora della verità: di fronte a un uomo che reagisce soltanto alle contrazioni spasmodiche del dolore che preannunciano l’imminente morte; dinanzi a un corpo scarnificato, bruciato dalla sete, scosso da violenti rigurgiti siamo chiamati a pronunciarci: o continuare a insultarlo o accettare lo scandalo della croce.
In ogni caso, la paura in queste due alternative gioca un ruolo di primo piano. Infatti, dinanzi al Crocifisso non vi è scelta: l’uomo è chiamato a vincere la paura o a farsi vincere da essa.
In un mondo non sempre pulito, c’è la paura di vivere onestamente, chi non la supera continuerà a insultare il Cristo con il suo peccato.
C’è la paura del dolore, della sofferenza, della morte, chi non la vince disobbedirà a Dio opponendosi alla sua volontà salvifica.
C’è la paura di essere fedeli ai propri impegni cristiani dinanzi a un mondo ostile o incredulo, chi non la vince fuggirà per sempre dinanzi agli appelli della sua coscienza e quando sul quadrante della storia umana si fermerà il tempo per cedere il posto all’eternità fuggirà lontano dal volto santo di Dio.
«Per vincere questa paura il discepolo ha due possibilità: o andare con Gesù fino in fondo, essere come il maestro, o lasciarsi travolgere dalla paura, rinunciare alla testimonianza di un maestro che soffre e mettersi praticamente dalla parte di coloro che vogliono uccidere Gesù» (Mario Cimosa).
Il romanziere giapponese Shusaku Endo, nato a Tokio nel 1923 e morto nel 1996, aveva ricevuto il battesimo all’età di undici anni per volontà della madre, che si era convertita al cattolicesimo. I suoi temi più cari erano il silenzio di Dio e il senso della sofferenza fisica e morale. Parlando della sua fede, un giorno ebbe a scrivere: «Per me il cristianesimo, in cui credo e mi sforzo di credere a volte con un acuto senso di solitudine, è la più profonda, suprema verità. Non è un assolo di violino che risuona in una sola parte dell’intimo umano, ma in tutto l’uomo, nelle sue componenti buone e cattive, come una sinfonia che dovrebbe trovare l’accordo con tutti i suoni interiori dell’umanità».
Oggi, l’apostolo Paolo ci invita a far sì che la nostra fede diventi un complesso armonioso di suoni, di colori: una sinfonia che trascini l’uomo a innalzare inni di lode e di gratitudine al Crocifisso dalle cui piaghe siamo stati guariti (1Pt 2,25).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Oggi, l’apostolo Paolo ci invita a far sì che la nostra fede diventi un complesso armonioso di suoni, di colori: una sinfonia che trascini l’uomo a innalzare inni di lode e di gratitudine al Crocifisso dalle cui piaghe siamo stati guariti. (Paolo VI)
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente ed eterno, che hai dato come modello agli uomini il Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore, fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce, fa’ che abbiamo sempre presente il grande insegnamento della sua passione, per partecipare alla gloria della risurrezione. Egli è Dio e vive e regna con te..



IL VANGELO DEL GIORNO

24 Marzo 2018

SABATO FERIA V SETTIMANA QUARESIMA


Oggi Gesù ci dice: “Liberatevi da tutte le iniquità commesse e formatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo” (Canto al Vangelo).


Dal Vangelo secondo Giovanni 11,45-46: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti” (Lc 16,31), queste parole bene si addicono alle guide spirituali d’Israele. Caifa fa il profeta, ma è spinto da un solo obiettivo, mettere fine alla vita di Gesù. Ormai Gesù ha superato ogni limite ed è diventato detestabile perché proclama “di possedere la conoscenza di Dio e chiama se stesso figlio del Signore”. E con l’autore del Libro della Sapienza Caifa deve pur ammettere: “È diventato per noi una condanna dei nostri pensieri; ci è insopportabile solo al vederlo, perché la sua vita non è come quella degli altri, e del tutto diverse sono le sue strade. Siamo stati considerati da lui moneta falsa, e si tiene lontano dalle nostre vie come da cose impure. Proclama beata la sorte finale dei giusti e si vanta di avere Dio per padre” (Sap 2,13-16).
Dio si serve della stupida malvagità di Caifa, e della follia dei sinedriti, per portare a termine il suo meraviglioso progetto di salvezza, quello di “riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi”.


La profezia di Caifa - Alain Marchadour (Vangelo di Giovanni): Caifa, a un primo livello di senso, accenna con cinismo alla morte di Gesù come un modo per salvare il popolo. Ma a un livello accessibile ai soli credenti, Giovanni e la Chiesa interpretano questa parola come una profezia inconsapevole che prevede la potenza salvifica della morte di Gesù. L’ironia giovannea fa pronunziare all’avversario principale del Cristo la parola teologica attribuita a Gesù in Mc 10,45: «Il Figlio dell’uomo è venuto per dare la propria vita in riscatto per molti». Come il profeta Balaam che profetizzava in favore d’Israele suo malgrado, il sommo sacerdote dà misteriosamente valore di salvezza alla morte di Cristo.
Il narratore non si limita a decifrare la parola di Caifa, ma ne estende la portata vedendo nella morte di Gesù l’origine del raduno dei figli di Dio nella Chiesa. Così, indirettamente, accennando al tema del popolo radunato nell’Antico Testamento (Is 11,12; Ger 23,3), egli presenta la Chiesa come il nuovo Israele.


Compostella (Messale per la Vita Cristiana): I sommi sacerdoti e i farisei diedero l’ordine di arrestare Gesù. Erano molto invidiosi, in seguito a tutto quello che era successo a partire dalla risurrezione di Lazzaro. Troppe persone avevano creduto e avevano seguito Gesù.
Il sommo sacerdote «profetizzò» che la morte di un solo uomo era preferibile alla schiavitù dell’intero popolo, deportato a Roma.
In realtà non era ancora giunto il tempo in cui i Romani avrebbero temuto qualcosa da parte degli Ebrei, come testimonia il processo di Gesù: il procuratore della Giudea diede poca importanza al fatto che Gesù si proclama re dei Giudei. Ordinò anche di preparare un cartello con questa iscrizione: «Re dei Giudei ».
Ma, trent’anni dopo, la «profezia» di Caifa avrebbe avuto un senso molto reale, quando i Romani sarebbero giunti a disperdere l’intero popolo e a distruggere il tempio.
Ma Gesù non era un pericolo! Egli muore per il suo popolo, per riunire in un solo corpo i figli di Dio che erano dispersi. Prima della morte, Gesù prega il Padre suo, perché tutti possano essere «uno» come lui con il Padre. Molte persone cercarono Gesù nel momento dei preparativi della Pasqua. Molti chiesero: «non verrà egli alla festa?».
Certamente Gesù verrà per la festa pasquale, perché, senza di lui, essa non avrebbe un senso molto profondo.
Allo stesso modo, nella nostra vita, una Pasqua senza Cristo non ha senso. Oggi dobbiamo porci la stessa domanda dei sommi sacerdoti e dei farisei: «Che facciamo? Quest’uomo compie molti segni».
E noi che cosa vogliamo fare di Cristo nella nostra vita?


Divisioni delle autorità ebraiche a riguardo di Gesù - Catechismo della Chiesa Cattolica 595-596: Tra le autorità religiose di Gerusalemme non ci sono stati solamente il fariseo Nicodemo o il notabile Giuseppe di Arimatea ad essere, di nascosto, discepoli di Gesù, ma a proposito di lui sono sorti dissensi per lungo tempo al punto che alla vigilia stessa della sua passione, san Giovanni può dire di essi che “molti credettero in lui” anche se in maniera assai imperfetta (Gv 12,42). La cosa non ha nulla di sorprendente se si tiene presente che all’indomani della Pentecoste “un gran numero di sacerdoti aderiva alla fede” (At 6,7) e che “alcuni della setta dei farisei erano diventati credenti” (At 15,5) al punto che san Giacomo può dire a san Paolo che “parecchie migliaia di Giudei sono venuti alla fede e tutti sono gelosamente attaccati alla Legge” (At 21,20).
Le autorità religiose di Gerusalemme non sono state unanimi nella condotta da tenere nei riguardi di Gesù . I farisei hanno minacciato di scomunica coloro che lo avrebbero seguito. A coloro che temevano che tutti avrebbero creduto in lui e i Romani sarebbero venuti e avrebbero distrutto il loro Luogo santo e la loro nazione il sommo sacerdote Caifa propose profetizzando: È “meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera” (Gv 11,49-50). Il Sinedrio, avendo dichiarato Gesù “reo di morte” (Mt 26,66) in quanto bestemmiatore, ma avendo perduto il diritto di mettere a morte, consegna Gesù ai Romani accusandolo di rivolta politica, cosa che lo metterà alla pari con Barabba accusato di “sommossa” (Lc 23,19). Sono anche minacce politiche quelle che i sommi sacerdoti esercitano su Pilato perché egli condanni a morte Gesù.


Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi - Catechismo della Chiesa Cattolica 601: Questo disegno divino di salvezza attraverso la messa a morte del Servo, il Giusto, era stato anticipatamente annunziato nelle Scritture come un mistero di redenzione universale, cioè di riscatto che libera gli uomini dalla schiavitù del peccato. San Paolo professa, in una confessione di fede che egli dice di avere “ricevuto”, che “Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture ” (1Cor 15,3). La morte redentrice di Gesù compie in particolare la profezia del Servo sofferente. Gesù stesso ha presentato il senso della sua vita e della sua morte alla luce del Servo sofferente. Dopo la Risurrezione, egli ha dato questa interpretazione delle Scritture ai discepoli di Emmaus, poi agli stessi Apostoli.


Gesù non andava più in pubblico tra i Giudei - Catechismo della Chiesa Cattolica 574-576: Fin dagli inizi del ministero pubblico di Gesù, alcuni farisei e alcuni sostenitori di Erode, con dei sacerdoti e degli scribi, si sono accordati per farlo morire. Per certe sue azioni, [Cacciata di demoni, Mt 12,24; perdono dei peccati, cf Mc 2,7; guarigioni in giorno di sabato, cf Mc 3,1-6; interpretazione originale dei precetti di purità della Legge, cf Mc 7,14-23; familiarità con i pubblicani e i pubblici peccatori, cf Mc 2,14-17 ] Gesù è apparso ad alcuni malintenzionati sospetto di possessione demoniaca. Lo si accusa di bestemmia e di falso profetismo, [ crimini religiosi che la Legge puniva con la pena di morte sotto forma di lapidazione.
Molte azioni e parole di Gesù sono dunque state un “segno di contraddizione” (Lc 2,34) per le autorità religiose di Gerusalemme, quelle che il Vangelo di san Giovanni spesso chiama “i Giudei”, ancor più che per il comune popolo di Dio (Gv 7,48-49). Certamente, i suoi rapporti con i farisei non furono esclusivamente polemici. Ci sono dei farisei che lo mettono in guardia in ordine al pericolo che corre. Gesù loda alcuni di loro, come lo scriba di Mc 12,34, e mangia più volte in casa di farisei. Gesù conferma dottrine condivise da questa élite religiosa del popolo di Dio: la risurrezione dei morti, le forme di pietà (elemosina, preghiera e digiuno), e l’abitudine di rivolgersi a Dio come Padre, la centralità del comandamento dell’amore di Dio e del del prossimo  Agli occhi di molti in Israele, Gesù sembra agire contro le istituzioni fondamentali del Popolo eletto: L’obbedienza alla Legge nell’integralità dei suoi precetti scritti e, per i farisei, nell’interpretazione della tradizione orale. La centralità del Tempio di Gerusalemme come luogo santo dove Dio abita in un modo privilegiato. La fede nell’unico Dio del quale nessun uomo può condividere la gloria.


Manipolare Dio e la religione - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): L’atteggiamento opportunista di Caifa, che il sinedrio fa suo, è in linea con le frequenti manipolazioni di Dio e della religione secondo i nostri interessi. Questo accade sia a livello istituzionale che individuale. È una costante storica, verificata nel cammino multisecolare della Chiesa, la tentazione di confondere e mescolare l’ambito religioso e quello politico, assoggettando alternativamente l’uno all’altro.
La cosa più facile è un cristianesimo trionfalista in tempi favorevoli e conciliante nelle avversità; ma la parola di Gesù non si sposa né con l’uno né con l’altro atteggiamento. Per questo dobbiamo rivedere e riaggiustare continuamente, tanto sul piano comunitario che su quello personale, la nostra condotta e immagine cristiana. Queste devono essere plasmate su una linea settimana ferma anche se umile, coraggiosa ma servizievole, forse scomoda ma lieta.
Funzione della comunità credente e di ogni cristiano è essere coscienza critica della società, equidistante sia dal privilegio sociale, dall’alleanza con il potere e dal trionfalismo temporalista, sia dalla connivenza servile e dal silenzio codardo e fatalista. Con san Paolo dobbiamo ripetere: «Guai a me se non predicassi il vangelo!» (1Cor 9,16).
A livello individuale, i gesti di appropriamento del divino sono tra le tendenze di una religiosità confinata agli stadi primitivi e naturali. In una fede matura questa tendenza deve trasformarsi nel contrario: servizio la Dio, senza volersi servire di lui. La religione naturale si muove dal basso verso l’alto: l’uomo cerca di appropriarsi di Dio e della sfera del sacro. La religione rivelata, invece, ha un movimento dall’alto verso il basso: Dio prende l’iniziativa, si china verso l’uomo con la sua grazia e lo chiama. E la risposta dell’uomo si realizza nell’obbedienza della fede e nell’amore.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “La Quaresima è al termine. Siamo pronti a celebrare la Pasqua del Signore? Abbiamo capito che essere cristiani ha un prezzo? Abbiamo rinnovato le nostre scelte battesimali? Abbiamo fatto diventare realtà nella nostra vita il motto che apriva questi quaranta giorni: convertitevi e credete al vangelo? È l’ultima opportunità per una conversione profonda di fede e di vita” (Basilio Caballero, La Parola per Ogni Giorno).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che operi sempre per la nostra salvezza e in questi giorni ci allieti con un dono speciale della tua grazia, guarda con bontà alla tua famiglia, custodisci nel tuo amore chi attende il Battesimo e assisti chi è già rinato alla vita nuova. Per il nostro Signore Gesù Cristo...