27 Marzo 2017

Il pensiero del giorno


Oggi Gesù ci dice:

Cercate il bene e non il male, se volete vivere, e il Signore sarà con voi (Am 5,14)

“Cercare Dio è - non si potrebbe dire con maggior semplicità rispettando le coscienze - odiare il male, amare il bene e ristabilire nei tribunali il diritto. Pare un preludio all’insegnamento di Cristo che sintetizzerà il Vecchio e il Nuovo Testamento nella legge dell’amore a Dio e al prossimo. Per essa, la ragione di quel «vivrete» sta nel fatto che «Dio ... sarà con voi », perché il principio di ogni esistenza è la presenza vivificante di Yahveh. Se cercano Dio, se vivono... « forse... avrà pietà del resto di Giuseppe». È il «forse» che fa della salvezza un’opera esclusiva di Yahveh” (Epifani Callego).

Aiuti per evitare i male:

CCC 1806: La prudenza è la virtù che dispone la ragione pratica a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo. L’uomo “accorto controlla i suoi passi” (Pr 14,15). “Siate moderati e sobri per dedicarvi alla preghiera” (1Pt 4,7). La prudenza è la “retta norma dell’azione”, scrive san Tommaso [San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II, 47, 2] sulla scia di Aristotele. Essa non si confonde con la timidezza o la paura, né con la doppiezza o la dissimulazione. È detta “auriga virtutum - cocchiere delle virtù”: essa dirige le altre virtù indicando loro regola e misura. È la prudenza che guida immediatamente il giudizio di coscienza. L’uomo prudente decide e ordina la propria condotta seguendo questo giudizio. Grazie alla virtù della prudenza applichiamo i principi morali ai casi particolari senza sbagliare e superiamo i dubbi sul bene da compiere e sul male da evitare.

CCC 1889: Senza l’aiuto della grazia, gli uomini non saprebbero “scorgere il sentiero spesso angusto tra la viltà che cede al male e la violenza che, illudendosi di combatterlo, lo aggrava”. È il cammino della carità, cioè dell’amore di Dio e del prossimo. La carità rappresenta il più grande comandamento sociale. Essa rispetta gli altri e i loro diritti. Esige la pratica della giustizia e sola ce ne rende capaci. Essa ispira una vita che si fa dono di sé: “Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà” ( Lc 17,33).

CCC 1950: La legge morale è opera della Sapienza divina. La si può definire, in senso biblico, come un insegnamento paterno, una pedagogia di Dio. Prescrive all’uomo le vie, le norme di condotta che conducono alla beatitudine promessa; vieta le strade del male, che allontanano da Dio e dal suo amore. Essa è ad un tempo severa nei suoi precetti e soave nelle sue promesse.

CCC 1962: La Legge antica è il primo stadio della Legge rivelata. Le sue prescrizioni morali sono riassunte nei Dieci comandamenti. I precetti del Decalogo pongono i fondamenti della vocazione dell’uomo, creato ad immagine di Dio; vietano ciò che è contrario all’amore di Dio e del prossimo, e prescrivono ciò che gli è essenziale. Il Decalogo è una luce offerta alla coscienza di ogni uomo per manifestargli la chiamata e le vie di Dio, e difenderlo contro il male: Dio “ha scritto sulle tavole della Legge ciò che gli uomini non riuscivano a leggere nei loro cuori” [Sant’Agostino, Enarratio in Psalmos, 57,1].

CCC 2527: “La Buona Novella di Cristo rinnova continuamente la vita e la cultura dell’uomo decaduto, combatte e rimuove gli errori e i mali derivanti dalla sempre minacciosa seduzione del peccato. Continuamente purifica ed eleva la moralità dei popoli. Con la ricchezza soprannaturale feconda, come dall’interno, fortifica, completa e restaura in Cristo le qualità dello spirito e le doti di ciascun popolo e di ogni età” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 58].


Siamo arrivati al termine. E possiamo mettere a fuoco: “È la prudenza che guida immediatamente il giudizio di coscienza. L’uomo prudente decide e ordina la propria condotta seguendo questo giudizio”. E ancora: “Senza la grazia...”: Queste parole cosa ti suggeriscono?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che rinnovi il mondo con i tuoi sacramenti, fa’ che la comunità dei tuoi figli si edifichi con questi segni misteriosi della tua presenza e non resti priva del tuo aiuto per la vita di ogni giorno. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


26 Marzo 2017

Il pensiero del giorno


Oggi Gesù ci dice:

Io sono la luce del mondo, dice il Signore; chi segue me, avrà la luce della vita (Gv 8,12)

Le parole di Gesù lo autorivelano come luce del mondo e come Dio: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero. I farisei non conoscendo Gesù automaticamente si accusano di non conoscere il Padre, perché Gesù e il Padre sono una cosa sola (cfr. Gv 10,30).


Gesù è la luce del mondo: CCC 2466: In Gesù Cristo la verità di Dio si è manifestata interamente. “Pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14), egli è la “luce del mondo” (Gv 8,12), egli è la Verità [Cf Gv 14,6]. “Chiunque crede” in lui non rimane “nelle tenebre” (Gv 12,46). Il discepolo di Gesù rimane fedele alla sua parola, per conoscere la verità che fa liberi [Cf Gv 8,32] e che santifica [Cf Gv 17,17]. Seguire Gesù, è vivere dello “Spirito di verità” (Gv 14,17) che il Padre manda nel suo nome [Cf Gv 14,26] e che guida alla verità tutta intera” (Gv 16,13). Ai suoi discepoli Gesù insegna l’amore incondizionato della verità: “Sia il vostro parlare sì, sì; no, no” (Mt 5,37).

Lumen gentium 1: Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa.

Cristo per mezzo dei membri della chiesa illumina la società: Lumen gentium 36: Cristo, fattosi obbediente fino alla morte e perciò esaltato dal Padre (cfr. Fil 2,8-9), è entrato nella gloria del suo regno; a lui sono sottomesse tutte le cose, fino a che egli sottometta al Padre se stesso e tutte le creature, affinché Dio sia tutto in tutti (cfr. 1Cor 15,27-28). Questa potestà egli l’ha comunicata ai discepoli, perché anch’essi siano costituiti nella libertà regale e con l’abnegazione di sé e la vita santa vincano in se stessi il regno del peccato anzi, servendo il Cristo anche negli altri, con umiltà e pazienza conducano i loro fratelli al Re, servire i1 quale è regnare. Il Signore infatti desidera estendere il suo regno anche per mezzo dei fedeli laici: il suo regno che è regno «di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace» e in questo regno anche le stesse creature saranno liberate dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio (cfr. Rm 8,21). Grande veramente è la promessa, grande il comandamento dato ai discepoli: «Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo, e Cristo è di Dio» (1Cor 3,23).
I fedeli perciò devono riconoscere la natura profonda di tutta la creazione, il suo valore e la sua ordinazione alla lode di Dio, e aiutarsi a vicenda a una vita più santa anche con opere propriamente secolari, affinché il mondo si impregni dello spirito di Cristo e raggiunga più efficacemente il suo fine nella giustizia, nella carità e nella pace. Nel compimento universale di questo ufficio, i laici hanno il posto di primo piano. Con la loro competenza quindi nelle discipline profane e con la loro attività, elevata intrinsecamente dalla grazia di Cristo, portino efficacemente l’opera loro, affinché i beni creati, secondo i fini del Creatore e la luce del suo Verbo, siano fatti progredire dal lavoro umano, dalla tecnica e dalla cultura civile per l’utilità di tutti gli uomini senza eccezione, e siano tra loro più convenientemente distribuiti e, secondo la loro natura, portino al progresso universale nella libertà umana e cristiana. Così Cristo per mezzo dei membri della Chiesa illuminerà sempre di più l’intera società umana con la sua luce che salva.
Inoltre i laici, anche consociando le forze, risanino le istituzioni e le condizioni del mondo, se ve ne siano che provocano al peccato, così che tutte siano rese conformi alle norme della giustizia e, anziché ostacolare, favoriscano l’esercizio delle virtù. Così agendo impregneranno di valore morale la cultura e le opere umane. In questo modo il campo del mondo si trova meglio preparato per accogliere il seme della parola divina, e insieme le porte della Chiesa si aprono più larghe, per permettere che l’annunzio della pace entri nel mondo.

Siamo arrivati al termine. E possiamo mettere a fuoco: “Chiunque crede” in Cristo non rimane “nelle tenebre”. E ancora: “Il Signore desidera estendere il suo regno anche per mezzo dei fedeli laici”: Queste parole cosa ti suggeriscono?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, Padre della luce, tu vedi le profondità del nostro cuore: non permettere che ci domini il potere delle tenebre, ma apri i nostri occhi con la grazia del tuo Spirito, perché vediamo colui che hai mandato a illuminare il mondo, e crediamo in lui solo, Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore. Egli è Dio... 



25 Marzo 2017

Il pensiero del giorno


Gesù ci dice:

Oggi non indurite il vostro cuore, ma ascoltate la voce del Signore (Cf Sal 94 [95],8b)

Non indurite il cuore: Indurire il cuore “significa chiuderlo all’ascolto della parola di Dio e della sua volontà, ostinandosi ad ascoltare solo se stessi” (Salmi e Libri Sapienziali, Ed. Paoline).

“La presenza di Dio non lascia agli uomini che una sola attività: l’adorazione. Dove sono i loro problemi, le loro angosce? Ma l’uomo può rifiutare di ascoltare la voce di Dio che lo chiama al riposo, può evitare di entrare nella presenza divina di grandezza e di gloria, può insistere nell’attaccamento alla sua piccola vita, alla sua povertà. Contro questo indurimento del cuore Dio insorge. Di chi vuole ancora tentare Dio pur avendolo conosciuto, di chi vuole sottrarsi alla gloria della sua presenza che è riposo, Dio avrà nausea e lo rigetterà. Occorre imparare a glorificare la sua sovrana potenza, a riconoscerne la maestà. È il contenuto del salmo che la Chiesa canta da secoli all’inizio del giorno nell’invitatorio del mattutino: afferma stupendamente che il fine di tutta la creazione, la ragione della vita è la lode di Dio. Il cammino dell’uomo trova il suo compimento nella glorificazione di Dio” (Divo Barsotti, Introduzione ai Salmi).

Così il Catechismo della Chiesa Cattolica:

1430 Come già nei profeti, l’appello di Gesù alla conversione e alla penitenza non riguarda anzitutto opere esteriori, “il sacco e la cenere”, i digiuni e le mortificazioni, ma la conversione del cuore, la penitenza interiore. Senza di essa, le opere di penitenza rimangono sterili e menzognere; la conversione interiore spinge invece all’espressione di questo atteggiamento in segni visibili, gesti e opere di penitenza [Cf Gl 2,12-13; Is 1,16-17; Mt 6,1-6.16-18 ].

1431 La penitenza interiore è un radicale riorientamento di tutta la vita, un ritorno, una conversione a Dio con tutto il cuore, una rottura con il peccato, un’avversione per il male, insieme con la riprovazione nei confronti delle cattive azioni che abbiamo commesse. Nello stesso tempo, essa comporta il desiderio e la risoluzione di cambiare vita con la speranza della misericordia di Dio e la fiducia nell’aiuto della sua grazia. Questa conversione del cuore è accompagnata da un dolore e da una tristezza salutari, che i Padri hanno chiamato “animi cruciatus [afflizione dello spirito]”, “compunctio cordis [contrizione del cuore]” [Cf Concilio di Trento: Denz.-Schönm., 1676-1678; 1705; Catechismo Romano, 2, 5, 4].

1432 Il cuore dell’uomo è pesante e indurito. Bisogna che Dio dia all’uomo un cuore nuovo [Cf Ez 36,26-27]. La conversione è anzitutto un’opera della grazia di Dio che fa ritornare a lui i nostri cuori: “Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo” (Lam 5,21). Dio ci dona la forza di ricominciare. È scoprendo la grandezza dell’amore di Dio che il nostro cuore viene scosso dall’orrore e dal peso del peccato e comincia a temere di offendere Dio con il peccato e di essere separato da lui. Il cuore umano si converte guardando a colui che è stato trafitto dai nostri peccati [Cf Gv 19,37; Zc 12,10 ].
“Teniamo fisso lo sguardo sul sangue di Cristo, e consideriamo quanto sia prezioso per Dio suo Padre; infatti, sparso per la nostra salvezza, offrì al mondo intero la grazia della conversione” [San Clemente di Roma, Epistula ad Corinthios, 7,4].

 1433 Dopo la Pasqua, è lo Spirito Santo che convince “il mondo quanto al peccato” (Gv 16,8-9), cioè al fatto che il mondo non ha creduto in colui che il Padre ha inviato. Ma questo stesso Spirito, che svela il peccato, è il Consolatore [Cf Gv 15,26 ] che dona al cuore dell’uomo la grazia del pentimento e della conversione [Cf  At 2,36-38; Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et Vivificantem, 27-48].


Siamo arrivati al termine. E possiamo mettere a fuoco: “La penitenza interiore è un radicale riorientamento di tutta la vita, un ritorno, una conversione a Dio con tutto il cuore, una rottura con il peccato, un’avversione per il male, insieme con la riprovazione nei confronti delle cattive azioni che abbiamo commesse”. E ancora: “Il cuore dell’uomo è pesante e indurito. Bisogna che Dio dia all’uomo un cuore nuovo”.
Queste parole cosa ti suggeriscono?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che ascolti quanti si accordano nel chiederti qualunque cosa nel nome del tuo Figlio, donaci un cuore e uno spirito nuovo, perché ci rendiamo sensibili alla sorte di ogni fratello secondo il comandamento dell’amore, compendio di tutta la legge. Per il nostro Signore Gesù Cristo...



24 Marzo 2017

Il pensiero del giorno


Oggi, Gesù ci dice:

Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino (Mt 4,17).

La predicazione del Regno di Dio è il tema centrale della predicazione di Gesù.
È vicino il regno dei cieli: il messaggio di Gesù è identico a quello di Giovanni Battista; tuttavia Matteo ricordando il soggetto della predicazione di Cristo, intende affermare che dall’annunzio si passa all’attuazione e che il regno dei cieli è giunto [senso, che in questo passo, ha l’espressione: il regno dei cieli è vicino]” (Benedetto Prete).

Così il Catechismo della Chiesa Cattolica:

543 Tutti gli uomini sono chiamati ad entrare nel Regno. Annunziato dapprima ai figli di Israele [Cf Mt 10,5-7], questo Regno messianico è destinato ad accogliere gli uomini di tutte le nazioni [Cf Mt 8,11; 28,19]. Per accedervi, è necessario accogliere la Parola di Gesù:
“La Parola del Signore è paragonata appunto al seme che viene seminato in un campo: quelli che l’ascoltano con fede e appartengono al piccolo gregge di Cristo hanno accolto il Regno stesso di Dio; poi il seme per virtù propria germoglia e cresce fino al tempo del raccolto” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 5].

544 Il Regno appartiene ai poveri e ai piccoli, cioè a coloro che l’hanno accolto con un cuore umile. Gesù è mandato per “annunziare ai poveri un lieto messaggio” (Lc 4,18; Cf Lc 7,22). Li proclama beati, perché “di essi è il Regno dei cieli” (Mt 5,3); ai “piccoli” il Padre si è degnato di rivelare ciò che rimane nascosto ai sapienti e agli intelligenti [Cf Mt 11,25]. Gesù condivide la vita dei poveri, dalla mangiatoia alla croce; conosce la fame, [Cf Mc 2,23-26; Mt 21,18] la sete [Cf Gv 4,6-7; 19,28] e l’indigenza [Cf Lc 9,58]. Anzi, arriva a identificarsi con ogni tipo di poveri e fa dell’amore operante verso di loro la condizione per entrare nel suo Regno [Cf Mt 25,31-46].

545 Gesù invita i peccatori alla mensa del Regno: “Non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori”(Mc 2,17; Cf 1Tm 1,15]. Li invita alla conversione, senza la quale non si può entrare nel Regno, ma nelle parole e nelle azioni mostra loro l’infinita misericordia del Padre suo per loro [Cf Lc 15,11-32] e l’immensa “gioia” che si fa “in cielo per un peccatore convertito” (Lc 15,7). La prova suprema di tale amore sarà il sacrificio della propria vita “in remissione dei peccati” (Mt 26,28).

546 Gesù chiama ad entrare nel Regno servendosi delle parabole, elemento tipico del suo insegnamento [Cf  Mc 4,33-34]. Con esse egli invita al banchetto del Regno, [Cf Mt 22,1-14] ma chiede anche una scelta radicale: per acquistare il Regno, è necessario “vendere” tutto [Cf Mt 13,44-45]; le parole non bastano, occorrono i fatti [Cf Mt 21,28-32]. Le parabole sono come specchi per l’uomo: accoglie la Parola come un terreno arido o come un terreno buono? [Cf Mt 13,3-9] Che uso fa dei talenti ricevuti? [Cf Mt 25,14-30]. Al cuore delle parabole stanno velatamente Gesù e la presenza del Regno in questo mondo. Occorre entrare nel Regno, cioè diventare discepoli di Cristo per “conoscere i Misteri del Regno dei cieli” (Mt 13,11). Per coloro che rimangono “fuori” [Cf Mc 4,11], tutto resta enigmatico [Cf Mt 13,10-15].

Siamo arrivati al termine. E possiamo mettere a fuoco: “Tutti gli uomini sono chiamati ad entrare nel Regno” e ancora “Gesù invita i peccatori alla mensa del Regno... Li invita alla conversione, senza la quale non si può entrare nel Regno”. Queste parole cosa ti suggeriscono?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio Padre, che ci hai chiamati a regnare con te nella giustizia e nell’amore, liberaci dal potere delle tenebre; fa’ che camminiamo sulle orme del tuo Figlio, e come lui doniamo la nostra vita per amore dei fratelli, certi di condividere la sua gloria in paradiso. Egli è Dio... 


 23 Marzo 2017

Il pensiero del giorno



La Fede di Pietro: Mt 16,13-20: Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero...

  
Né carne né sangue te l’hanno rivelato - Conoscere, amare, accettare, vivere il Cristo, testimoniarlo, accoglierlo e rifletterlo nei pensieri, parole e opere, è dono perfetto che «viene dall’alto e discende dal Padre della luce» (Gc 1,17): «è necessaria la grazia di Dio che previene e soccorre, e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muove il cuore e lo rivolge a Dio, apre gli occhi della mente, e dà “a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità”» (DV 5).
La conoscenza del Signore Gesù non nasce dal cuore dell’uomo: la riflessione, lo studio, l’indagine sul Cristo possono preparare o favorire la sua conoscenza, ma non possono dare la piena conoscenza della sua Persona, intendendo questo come un entrare nel mistero del Figlio di Dio. La ragione può ammettere, informata dallo studio e dalla cognizione pratica, che il Cristo è nato in un periodo storico ben delineato; che è vissuto in un paese ben preciso; che è morto per cause ben documentabili; ma per conoscerlo o accettarlo quale Dio-Uomo, nato, vissuto, morto, risorto, asceso al Cielo, occorre la fede ed essa «è un dono di Dio, una virtù soprannaturale da lui infusa» (CCC 153).
E anche se «la fede non è di tutti» (2Ts 3,2), essa è un dono che Dio elargisce largamente e gratuitamente a tutti gli uomini!
Se è vero che l’atto di fede in Cristo non può essere concepito senza intervento di Dio, occorre evitare di pensare all’uomo come a un soggetto passivo perché non è «meno vero che credere è un atto autenticamente umano. Non è contrario né alla libertà né alla intelligenza dell’uomo far credito a Dio e aderire alle verità da Lui rivelate» (CCC 154). Così l’atto di fede, come manifestazione della massima libertà umana, perché Dio non costringe l’uomo a credere, eleva e pone la creatura umana al centro della creazione e dell’attenzione amorosa di Dio: «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» (cfr. Gen 1,26-27).
Per la conoscenza del Cristo coopera l’intera Trinità. Il Padre dà un’illuminazione ed un’attrazione speciale, quale grazia transeunte sull’intelligenza e sulla volontà, perché nessuno può andare a Gesù, se non è attirato dal Padre (Cf. Gv 6,43ss). È il Padre che pianta l’albero ed immette il fedele nella vigna divina (Cf. Mt 15,13).
Soltanto il Cristo può prendere l’iniziativa di manifestarsi all’uomo come e quando vuole (Cf. Gv 4,26), anche se il discepolo, con il suo amore, può affrettare questa manifestazione: «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui» (Gv 14,21).
Dopo l’ascesa al cielo del Risorto, è lo Spirito Santo che apre i cuori alla fede (Cf. Gv 14,8): «“Nessuno può dire: ‘Gesù è Signore’ se non sotto l’azione dello Spirito Santo” [1 Cor 12,3]. “Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!” [Gal 4,6]. Questa conoscenza di fede è possibile solo nello Spirito Santo. Per essere in contatto con Cristo, bisogna dapprima essere stati toccati dallo Spirito Santo. È lui che ci precede e suscita in noi la fede. In forza del nostro Battesimo, primo sacramento della fede, la vita, che ha la sua sorgente nel Padre e ci è offerta nel Figlio, ci viene comunicata intimamente e personalmente dallo Spirito Santo nella Chiesa» (CCC 683).
Solo la Trinità è la porta che conduce l’uomo alla conoscenza del Cristo, non ve ne sono altre, nemmeno i più illuminati studi teologici. Perché la scienza gonfia (Cf. 1Cor 8,2) e «la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio»; per cui chi vuole conoscere il Cristo «si faccia stolto per diventare sapiente» (1Cor 3,18-19) della sapienza di Dio.

Siamo arrivati al termine. Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Concedi, Dio onnipotente, che tra gli sconvolgimenti del mondo non si turbi la tua Chiesa, che hai fondato sulla roccia con la professione di fede dell'apostolo Pietro. Per il nostro Signore...


22 Marzo 2017

Il pensiero del giorno



Fede e missione di Pietro: Mt 16,13-20: Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». Risposero...


Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente - Cesarea di Filippo è l’antica città di Paneas al nord della Palestina, sulle pendici del monte Ermon. Quando Augusto nel 20 a.C. consegnò la regione al governo di Erode il grande, questi vi eresse un tempio in onore dell’imperatore romano. La costruzione della cittadina è da attribuire a Filippo, figlio di Erode, che la chiamò Cesarea in onore di Tiberio Cesare e vi si aggiungeva “di Filippo” per distinguerla da Cesarea marittima. Vi era adorato il Dio Pan, una divinità di forma caprina. In questa località che grondava di imperio e rimandava a sovrani che si autoproclamavano dèi, Gesù manifesta ai suoi discepoli la sua identità divina.
Ma voi, chi dite che io sia? Per Giovanni Papini «Gesù non interroga per sapere, ma perché i suoi fedeli, finalmente sappiano anch’essi [...] il suo vero nome». Ed è Simone, primo tra i Dodici e primo tra i cristiani, a esprimere in termini umani la realtà soprannaturale del figlio di Maria: «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente!». L’espressione “il Dio vivente spesso si trova nell’Antico Testamento (Cf. Gs 3,10; Sal 42,3; 84,3; Os 2,1) ed esprime la presenza operante di Dio.
La risposta di Pietro pone almeno una domanda: egli intendeva professare la divinità di Gesù oppure si riferiva soltanto alla sua messianicità? Se si propende per quest’ultima soluzione, si restituisce alla espressione il semplice senso messianico che essa ha nell’Antico Testamento. Sulla base della risposta del Cristo, né carne né sangue te lo hanno rivelato, si può invece pensare che Pietro abbia voluto professare la divinità del suo Maestro: un’illuminazione che veniva dall’alto e non era frutto di investigazione umana.
La risposta di Gesù a questa professione di fede ha una portata di notevolissima importanza. In primo luogo, egli proclama: «E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa».
Il termine semitico che traduce Chiesa, ekklêsia, significa assemblea. La «Chiesa» nell’Antico Testamento è la comunità del popolo eletto (Cf. Dt 4,10; At 7,38). Nei vangeli non appare che due volte e designa la nuova comunità che Gesù stava per fondare e che egli presenta come una realtà non solo stabile, ma indistruttibile: «[...] le potenze degli inferi non prevarranno su di essa». La locuzione, invece, è frequente nelle lettere paoline. Per la Bibbia di Gerusalemme, Gesù usando «il termine “Chiesa” parallelamente all’espressione “regno dei cieli” (Mt 4,17), sottolinea che questa comunità escatologica comincerà già sulla terra mediante una società organizzata di cui stabilisce il capo».
La Chiesa è «edificata» su Simone, che a motivo di questo ruolo riceve qui il nome di «Pietro». Il mutamento del nome sta a indicare la nuova missione di Simon Pietro: egli sarà la roccia, quindi elemento di coesione, di unità e di stabilità.
A questo punto, Gesù indica i poteri conferiti a Simon Pietro: «A te darò le chiavi del regno dei cieli, tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Il senso di questa immagine, nota alla sacra Scrittura e all’antico Oriente, suggerisce l’incarico affidato a un unico personaggio di sorvegliare ed amministrare la casa. Nel mandato di Simon Pietro, il potere di legare e di sciogliere implica il perdono dei peccati, ma la sua comprensione non va limitata a questo significato: esso, infatti, comprende tutta un’attività di decisione e di legislazione, nella dottrina come nella condotta pratica, che coincide con l’amministrazione della Chiesa in generale.
Sempre per la Bibbia di Gerusalemme, l’esegesi cattolica «ritiene che queste promesse eterne valgano non soltanto per la persona di Pietro, ma anche per i suoi successori; sebbene tale conseguenza non sia esplicitamente indicata nel testo, è tuttavia legittima in ragione dell’intenzione manifesta che ha Gesù di provvedere all’avvenire della sua Chiesa con una istituzione che la morte di Pietro non può rendere effimera».
Luca (22,31s) e Giovanni (21,15s) sottolineano che il primato di Pietro, sempre per mandato divino, deve essere esercitato particolarmente nell’ordine della fede e che tale primato lo rende capo, non solo della Chiesa futura, ma già degli altri Apostoli. Infine, c’è da sottolineare che la professione petrina avviene nella regione di Cesarea di Filippo. Possiamo dire che non è «ricordato a caso il quadro geografico: la confessione del Messia e l’investitura di Pietro avvengono fuori dalla Palestina, in un territorio pagano. Le future direzioni della salvezza sono ormai chiare» (Ortensio Da Spinetoli).


Siamo arrivati al termine. Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Padre, fonte di sapienza, che nell’umile testimonianza dell’apostolo Pietro hai posto il fondamento della nostra fede, dona a tutti gli uomini la luce del tuo Spirito, perché riconoscendo in Gesù di Nazaret il Figlio del Dio vivente, diventino pietre vive per l’edificazione della tua Chiesa. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo...


21 Marzo 2017

Il pensiero del giorno




Gesù moltiplica i pani e i pesci: Mt 14,13-21: Avendo udito questo, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città...


Tutti mangiarono a sazietà - Molti, anche in campo cattolico, negano i miracoli registrati dalla sacra Scrittura. François-Marie Arouet, più noto con lo pseudonimo di Voltaire (1694-1778), esponente del pensiero deista, era deciso nell’affermare che «osare attribuire a Dio dei miracoli significa in effetti insultarlo (ammesso che degli uomini possano insultare Dio): è come dirgli “voi siete un essere debole e incoerente”». Come non ricordare la triste e patetica vicenda che coinvolse il noto scrittore Émile Zola (1840 - 1902) che cercò di far passare «la povera Bernadette come una misera vittima dell’isteria e della malnutrizione». Giunto a Lourdes nel 1892, Zola ebbe la ventura di assistere a due guarigioni istantanee, che racconterà nel suo romanzo, intitolato ‘Lourdes’, sostenendo però che «le due miracolate erano morte di lì a poco e che dunque la presunta guarigione era stata breve e soprattutto illusoria». A tanta menzogna, una delle due donne guarite non si arrese e continuò a protestare sui giornali dicendosi viva e vegeta. Pur di screditare Lourdes, Zola arrivò al punto da andarla a trovare per offrirle del denaro in cambio del suo silenzio. Storie meschine, sulle quali la storia, quella vera, ha avuto la meglio.
Nel 1907, san Pio X, con l’encilica Pascendi Dominici Gregis, condannava il modernismo, un movimento di pensiero cattolico operante tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, che cercava una conciliazione tra filosofia moderna e la teologia cristiana. In modo particolare, il modernismo, criticava radicalmente le componenti miracolistiche del cristianesimo delle origini. In tempi più recenti, tanti altri, teologici cattolici e no, si sono cimentati in simili questioni. Ma perché è difficile per l’uomo del XXI secolo credere nei miracoli? La risposta è facile da dare: perché si è allontanato dalla mentalità evangelica. I cristiani dell’età apostolica, gli apostoli stessi «hanno scritto i racconti dei miracoli fondandoli sull’impressione generale che l’attività di Gesù aveva lasciato dietro a sé. Essi non hanno considerato ciò che per la mentalità di oggi pare l’ideale: afferrare i fatti indipendentemente dal loro significato religioso. Per essi i fatti contano in quanto significativi: credenti e increduli, tutti devono sapere che Dio nella chiesa continua a compiere attraverso Gesù Cristo ciò che per lui compì in Galilea. Egli libera gli uomini dal potere del maligno e dà loro i benefici della sua salvezza» (F. L. - G. B.).
Il miracolo (dal latino miraculum, cosa meravigliosa) è un evento non spiegabile ed attribuito ad un intervento soprannaturale o divino, durante il quale le leggi naturali appaiono sospese. Anche il linguaggio comune si è appropriato del temine miracolo per indicare anche un evento che ha dell’incredibile, che desta meraviglia. Per san Tommaso d’Aquino, «i miracoli confermano la verità di ciò che uno insegna» (Cf. Mc 16,17-20).
I miracoli compiuti da Gesù, come ci suggerisce Giovanni Paolo II, sono «“Segni” della divina onnipotenza e della potenza salvifica del Figlio dell’uomo [...], sono anche la rivelazione dell’amore di Dio verso l’uomo, particolarmente verso l’uomo che soffre, che ha bisogno, che implora guarigione, perdono e pietà. Sono dunque “segni” dell’amore misericordioso proclamato dall’Antico e dal Nuovo Testamento» (Udienza   Generale, 9 Dicembre 1987). I miracoli di Gesù non sono frutto di inafferrabili alchimie o di stregonerie o parti fantasiosi di menti troppo accese, ma «hanno la loro sorgente nel cuore amante e misericordioso di Dio, che vive e vibra nel suo stesso cuore umano. Gesù li compie per superare ogni genere di male che esiste nel mondo: il male fisico, il male morale, cioè il peccato, e infine colui che è “padre del peccato” nella storia dell’uomo: satana» (ibidem). I miracoli sono «“per l’uomo”. Sono opere di Gesù che, in armonia con la finalità redentiva della sua missione, ristabiliscono il bene là dove si è annidato il male producendovi disordine e sconquasso. Coloro che li ricevono, che vi assistono, si rendono conto di questo fatto, tanto che secondo Marco, “pieni di stupore”, dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!”[Mc 7,37]» (ibidem). Non possiamo stracciare intere pagine della Bibbia per essere caparbiamente in sintonia con i tempi. E poi, a ben pensarci, tutta la fede della Chiesa cattolica-cristiana poggia fondamentalmente su due miracoli: l’incarnazione (il Figlio di Dio che diventa uomo) e la risurrezione (il risorgere di Cristo dai morti). Spazzati via questi miracoli, negati i miracoli in genere, la Chiesa si riduce semplicemente a un Cpt: Centro di permanenza temporanea. Temporanea perché l’uomo trovando, spesso in qualche setta, “qualcosa di meglio e di più sostanzioso” è pronto ad abbandonare la fede degli avi.

Siamo arrivati al termine. Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che nella Pasqua domenicale ci chiami a condividere il pane vivo disceso dal cielo, aiutaci a spezzare nella carità di Cristo anche il pane terreno, perché sia saziata ogni fame del corpo e dello spirito. Per il nostro Signore...