9 Settembre 2020
Mercoledì XXIII Settimana T. O.
1 Cor 7,25-31; Sal 44; Lc 6,20-26
Colletta: O Padre, che ci hai donato il Salvatore e lo Spirito Santo, guarda con benevolenza i tuo figli di adozione, perché a tutti i credenti in Cristo sia data la vera libertà e l’eredità eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Apostolicam actuositatem 4. Spinti dalla carità che viene da Dio, [i laici] operano il bene verso tutti e in modo speciale verso i fratelli nella fede (cfr. Gal 6,10) «eliminando ogni malizia e ogni inganno, le ipocrisie e le invidie, e tutte le maldicenze » (1Pt 2,1), attraendo così gli uomini a Cristo.
La carità di Dio, « diffusa nel nostro cuore per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato » (Rm 5,5), rende capaci i laici di esprimere realmente nella loro vita lo spirito delle beatitudini. Seguendo Gesù povero, non si deprimono nella mancanza dei beni temporali, né si inorgogliscono nella abbondanza di essi; imitando Gesù umile, non diventano avidi di una gloria vana (cfr. Gal 5,26), ma cercano di piacere più a Dio che agli uomini, sempre pronti a lasciare tutto per Cristo (cfr. Lc 14,26) e a soffrire persecuzione per la giustizia (cfr. Mt 5,10), memori delle parole del Signore: « Se qualcuno vuole venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24). Coltivando l’amicizia cristiana tra loro si offrono vicendevolmente aiuto in qualsiasi necessità.
Questa spiritualità dei laici deve parimenti assumere una sua fisionomia particolare a seconda dello stato del matrimonio e della famiglia, del celibato o della vedovanza, della condizione di infermità, dell’attività professionale e sociale. I laici non tralascino dunque di coltivare costantemente le qualità e le doti ricevute, corrispondenti a tali condizioni, e di servirsi dei doni ottenuti dallo Spirito Santo.
Le beatitudini, introdotte dalla formula di benedizione “beato” (makarios) o “beati” (makarioi) costituiscono un genere letterario conosciuto nel mondo antico. Oltre che dal Vangelo di Luca sono ricordate anche in Mt 5,3-12. Le beatitudini descrivono la condizione che si avrà nel Regno di Dio. Nel Vangelo di Luca, a differenza del Vangelo di Matteo, sono riportate solo alcune di queste beatitudini, ed è forse il testo lucano ad essere più vicino all’insegnamento di Gesù. Molto probabilmente Matteo si è allontanato dalla forma originaria aggiungendone altre per ottenere un elenco sistematico. Le beatitudini lucane, a differenza di quelle di ricordate da Matteo, sottolineano il futuro tempo della salvezza, che porterà una nuova situazione. Nel Vangelo di Luca alle beatitudini seguono i guai.
Dal vangelo secondo Luca 6,20-26: In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».
Bibbia di Navarra: versetti 20-26: Le otto beatitudini che san Matteo ci consegna nel suo Vangelo (5,3-12) vengono da san Luca compendiate in quattro, accompagnate però a un pari numero di antitesi. Con sant’Ambrogio possiamo certamente dire che le otto beatitudini di san Matteo sono contenute nelle quattro di san Luca (cfr Expositio Evang. sec. Lucarn, in lac.). Le parole del testo di Luca sono a volte più immediate e recise di quelle del primo Vangelo, che presentano al contrario forma maggiormente esplicativa; così, ad esempio, la prima beatitudine di Luca recita semplicemente “beati voi poveri …” mentre in Matteo leggiamo “beati i poveri in spirito …”: espressione, quest’ultima, che costituisce una breve spiegazione del senso da attribuire alla virtù della povertà.
versetto 20. «Un cristiano qualsiasi deve rendere cornpatibili, nella propria vita, due aspetti che possono sembrare a prima vista contraddittori. Povertà reale, anzitutto: una povertà che i noti. che si po sa toccare con mano perché fatta di cose concrete, che sia una professione di fede in Dio, una testimonianza che il cuore non si soddisfa con le cose create, ma aspira al Creatore e anela colmarsi d’amor di Dio per poi comunicare a tutti questo stesso amore. E, nello stesso tempo, essere uno dei tanti in mezzo agli uomini nostri fratelli, condividendone la vita, le gioie, le ansie, e collaborando nelle stesse attività; amando il mondo e tutte le cose buone che vi sono, utilizzando tutte le cose create per risolvere i problemi della vita umana. e per costruire l’ambiente materiale e spirituale propizio allo sviluppo delle persone e delle comunità.
«[…] Il miglior modello di povertà sono sempre stati quei padri e quelle madri di famiglie numerose e povere. che non vivono che per i propri figli, e che con il loro sforzo e con la loro costanza - spesso senza voce per manifestare agli altri le loro ristrettezze - sanno mandare avanti la casa, creando un focolare pieno di gioia. in cui tutti imparano ad amare, a servire, a lavorare» (Colloqui, nn. 110-111).
versetti 24-26. Con queste quattro imprecazioni il Signore condanna l’avidità e l’attaccamento ai beni mondani; le preoccupazioni eccessive per il corpo, e cioè la gola; l’allegria fatua e la ricerca del proprio piacere in ogni attività: l’adulazione, il plauso degli altri e la brama di gloria umana. Quattro vizi assai comuni nel mondo, e di fronte ai quali il cristiano deve assumere un atteggiamento vigile per non lasciarsene travolgere.
Le Beatitudini - Anselm Urban: Le beatitudini sulle labbra di Gesù hanno un suono tutto particolare. Chiama beati gli occhi che sono testimoni della sua azione, e gli orecchi ai quali è dato di udire il suo messaggio (Mt 13,16s). È beato chi accetta con fede questa rivelazione decisiva (Mt 16,17; cf. Lc 1,45) e non si scandalizza (Mt 11,6). La beatitudine della fede continua a valere proprio quando l’ora particolare della salvezza è passata (Gv 20,29).
Le beatitudini sono collocate all’inizio del grande discorso della montagna (Mt 5,3-12) e del discorso della pianura (Lc 6,20-23); in Mt quindi sono poste all’inizio assoluto della predicazione di Gesù.
Nella forma breve di Luca, ai quattro “beati” corrispondono quattro “guai” (cf. le coppie di contrapposizioni in Is 65,13s), il che sottolinea maggiormente il paradosso di questa “beatitudine”: viene promessa ai poveri e agli oppressi che agli occhi degli uomini sono da compatire. Ma proprio a questi, secondo Lc 4,18s, Gesù porta il suo “lieto messaggio”.
L’evangelo della signoria di Dio che ora si è avvicinata (Mc 1,15) significa “sovvertimento di tutti i valori”.
Soltanto per amore di questo unico assoluto “valore” (cf. Mt 13,44-46) ciascuno può essere dichiarato, in verità, beato. Tutte le beatitudini promettono una futura salvezza, il regno di Dio compiuto, che tuttavia viene promesso già ora, per il quale si può essere “iscritti in cielo” (cf. Lc 10,30). La Scrittura non definisce beato lo stato di perfezione (per es. Lc 14,15; altrimenti via gioia), ma l’uomo che è in cammino verso di essa, tra chiamata (Ap 19,9) e superamento della prova (Gc 1,12).
Beati voi, poveri… - Giuliano Vigini (Dizionario del Nuovo Testamento): I poveri. La prima e più importante beatitudine riguarda i “poveri” (ptōchoi), ai quali è stato dato il lieto annuncio (Lc 4,18; 7,22) di essere i destinatari del regno di Dio. Per Lc i poveri sono coloro che vivono in una condizione di miseria materiale e sono costretti alla mendicità, ma sono anche tutti i deboli, gli indifesi, gli sfruttati ed emarginati della società. Il suo, tuttavia, non è soltanto un riferimento ai poveri in genere, ma anche un appello specifico ai cristiani, che devono sopportare la loro condizione di povertà come conseguenza delle prove e delle persecuzioni subite nel nome di Cristo. Per questa fedeltà, al termine dei loro giorni, essi prenderanno possesso di quel regno di Dio che già in vita hanno ricevuto in eredità. I poveri, infatti, non sono dichiarati “beati” in virtù della loro povertà, ma in virtù dell’intervento di Dio che - oltre a farsi carico di liberarli dalla miseria, di rendere loro giustizia e di restituirli alla dignità di uomini, spalancherà loro davanti un futuro di felicità. Tenendo però presente che la prospettiva e la meta della beatitudine non è il passaggio dalla povertà alla ricchezza, bensì dall’abbandono al soccorso, dallo sconforto alla consolazione, dalla disperazione alla speranza: per la presenza e il sostegno costante di Dio nell’accompagnare i poveri verso il suo Regno.
Per Mt, invece, i poveri sono “in spirito” (tō pneumati). L’accento, così, si sposta da una condizione materiale a un atteggiamento interiore: l’apertura e l’umiltà di cuore di chi - qualunque sia il suo stato sociale e la sua posizione economica - riconosce la sua completa dipendenza da Dio, si sottomette docilmente alla sua volontà e in lui ripone tutta la sua fiducia. Egli non si preoccupa quindi di quello che oggi ha o non ha, ma si sforza - nel suo costitutivo bisogno della ricchezza di Dio - di guadagnare i beni futuri che il Signore gli ha promesso e che non gli farà mancare.
Javer Pikaza (Vangelo secondo Luca): Non interpreteremmo correttamente le beatitudini, se dimenticassimo la loro parte negativa, i «guai» pronunciati da Gesù. Il regno è offerto liberamente, e quindi, mette davanti agli uomini un circolo di possibile maledizione. Senza questo rischio dell’insuccesso, senza la possibilità di permettere che la ricchezza della vita ci distrugga internamente, le parole di Gesù non avrebbero rispettato la nostra libertà. Il regno di Gesù non uccide, non impoverisce, non distrugge, ma, nella sua luce, si è rivelata la terribile sorte di coloro che, cercando la sicurezza nel potere, nella ricchezza e nella gioia terrena, opprimono gli altri e distruggono la stessa realtà della loro esistenza. Chi riflette su queste parole di Gesù, scoprirà che, in un mondo nel quale i poveri soffrono la fame, ogni ricchezza della terra chiusa in se stessa si trasforma in maledizione per il suo padrone.
Veri e falsi profeti (vv. 23.26) - Rosanna Virgili (Vangelo second Luca): Ed ora il Maestro dà ai suoi discepoli una chiave per capire quanto egli afferma: la vera e la falsa profezia. Rileggete la Scrittura, dice Gesù, e considerate cosa fu fatto dai padri verso i veri profeti: essi odiarono e misero al bando i veri profeti (cf Geremia, Michea, il Servo del Signore), mentre apprezzarono e ossequiarono i falsi profeti (cf Ger 23,9ss), i quali condussero Israele verso la rovina e la fine. La lezione di Gesù non permette un ascolto passivo, ma pretende una vera interazione intellettuale tra maestro e discepolo: i discepoli sono chiamati a riflettere sulle parole bellissime ma strane di Gesù e a dare un giudizio servendosi della Scrittura e della storia dei loro padri ebrei.
La verità della parola di Gesù, quindi la sua credibilità, deve passare nella coscienza di quelli che lo seguono. Voi stessi date un giudizio, dice Gesù! Voi stessi giudicate la parola di Dio sulla storia del suo popolo. Voi stessi siete capaci di riconoscere - a posteriori! - i veri profeti da quelli falsi. In quelli falsi c’è solo apparenza ed egoismo e pensiero privato e partigiano: essi piegano la religione ai propri interessi individuali. Questa loro falsa profezia ha portato il disastro per il popolo di Israele. I veri profeti, invece, hanno vissuto la povertà, la fame, le lacrime, la persecuzione, ma hanno riscattato Israele dalla tomba.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti. (Vangelo)
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
O Padre, che nutri e rinnovi i tuoi fedeli
alla mensa della parola e del pane di vita,
per questi doni del tuo Figlio
aiutaci a progredire costantemente nella fede,
per divenire partecipi della sua vita immortale.
Per Cristo nostro Signore.
alla mensa della parola e del pane di vita,
per questi doni del tuo Figlio
aiutaci a progredire costantemente nella fede,
per divenire partecipi della sua vita immortale.
Per Cristo nostro Signore.