10 Gennaio 2020

FERIA PROPRIA 10 GENNAIO

1Gv 4,19-5,4; Sal 71 (72); Lc 4,14-22a

Colletta: O Dio, che in Cristo tuo Figlio hai rivelato a tutti i popoli la sapienza eterna, fa’ risplendere su di noi la gloria del nostro Redentore, perché giungiamo alla luce che non ha tramonto. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

La proclamazione ai prigionieri della loro liberazione, è molto più di una parola di consolazione, è un annuncio sconvolgente che va a sanare la carne e lo spirito dell’uomo ferito dal peccato e indica in Gesù il Medico, il Messia e il Redentore.
Oggi, in Cristo e per Cristo, colui che è schiavo del peccato e della morte (cf. Rom 7,14ss) acquista la libertà ed è adottato come figlio con il dono reale della vita divina: «E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio» (Gal 3,6; cf. 2Cor 13,13).
Questa liberazione si realizza nel fonte battesimale: nelle sue acque salutari vengono infranti i ceppi del peccato e della morte e l’uomo diventa “una nuova creatura” (2Cor 5,17), un figlio adottivo di Dio che è divenuto “partecipe della natura divina” (2Pt 1,4), membro di Cristo e coerede con lui, tempio dello Spirito Santo.

Dal Vangelo secondo Luca 4,14-22: In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Sign re». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca.

Subito dopo aver superato le tentazioni nel deserto (Cf. Lc 4,1-13), Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo. Gesù inizia il suo ministero in Galilea pieno di Spirito Santo, che è il protagonista della intera opera lucana. Non a caso il Libro degli Atti degli Apostoli è stato chiamato il Vangelo dello Spirito Santo.
Nazaret, il villaggio dove Gesù «era cresciuto» (Lc 4,16), non è menzionata né dallo storico Giuseppe Flavio, né nel Talmud. San Girolamo nel V secolo affermava che fosse un viculus ovvero un piccolo villaggio, abitato da un centinaio di persone. A Nazaret l’angelo del Signore aveva annunciato alla vergine Maria la nascita del Figlio dell’Altissimo, il Salvatore del mondo (Cf. Lc 1,32.35).
Gesù, come tutti gli Ebrei, amava frequentare la sinagoga che è edificio in cui gli Israeliti si radunavano per pregare, per leggere e per studiare la Legge. Il decano degli anziani, il quale era incaricato della celebrazione, a volte invitava qualcuno dei presenti a predicare. Fu così che Gesù venne invitato a leggere il profeta Isaia.
Il brano che Gesù legge è tratto dal libro di Isaia (61,1ss) dove il profeta, da parte di Dio, annunzia un messaggio di consolazione al popolo d’Israele. Ma in verità il testo isaiano non era scritto sul rotolo perché è frutto del lavoro redazionale di Luca che ha fuso insieme Is 61,1-2 e 58,6.
Lo Spirito del Signore... mi ha mandato... a proclamare l’anno di grazia del Signore. Il giubileo, prescritto ogni cinquanta anni (Cf. Lv 25,10), era stato istituito per donare la libertà agli schiavi e la restituzione dei beni patrimoniali.
L’anno di grazia, «con cui termina questa profezia, non è altro che il tempo di perdono che Dio accorda a quanti gli si accostano con sentimenti di umiltà e di povertà, il tempo della pace, nel senso più vasto del termine: la pace di Dio, intesa come suo dono amoroso; la pace di Dio, intesa come bene atteso dall’alto; la pace con Dio, intesa come riconciliazione col suo amore» (Carlo Ghidelli).
Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato. In Gesù questa Scrittura si compie perfettamente, ma in una dimensione molto più ampia in quanto raggiunge l’uomo nella sua totalità. I destinatari di questa Buona Novella sono i poveri, cioè gli umili, i deboli, i piccoli e i contriti di cuore che da sempre, per la loro obbedienza alla volontà di Dio, hanno attirato sulla terra lo sguardo benevolo del Padre fino a costringerlo amorevolmente a mandare il Verbo, la cui «incarnazione costituisce l’attestato più eloquente della sua premura nei confronti degli uomini» (Teodereto di Ciro).
In Gesù di Nazaret il Padre compie il suo progetto di salvezza e il suo compimento non è una resa di conti, ma è gioia, festa: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza» (Ne 8,10). Il Vangelo, che sostanzialmente è una buona notizia, quando è veramente compreso, rallegra il cuore di chi lo accoglie, e porta a condividere questa gioia: chi è contento desidera che anche gli altri lo siano.
La profezia si è compiuta in Gesù e la sua stessa presenza rappresenta «l’oggi della salvezza, il compimento della Scrittura appena letta. Gesù con la sua parola non annunziava soltanto, ma attuava la salvezza divina, contenuta nelle promesse profetiche... La parola di Gesù diventa evento salvifico, vivo, attuale» (Angelico Poppi). Quella di Gesù è un’affermazione che dovrebbe far sognare ad occhi aperti tutti gli uomini: un sogno che diventerà realtà quando finalmente l’umanità, varcata la soglia della vita terrena, per essa si spalancheranno per sempre le porte della casa del Padre.

Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): E gli fu dato il libro del profeta Isaia... Il libro aveva la forma di rotolo. Gesù lo svolge e sceglie il passo di Isaia 61,l-2a, forse previsto dalla liturgia e connesso con il brano della Toràh (Gn 35,39ss.). Il testo riportato da Luca corrisponde alla traduzione dei LXX e include anche un tratto di Is 58,6: «a mettere in libertà gli oppressi»; si tratta evidentemente di un adattamento, elaborato nella comunità cristiana. Benché in Isaia il brano citato si riferisca alla chiamata del profeta postesilico (Terzo Isaia) per trasmettere un messaggio di consolazione a Gerusalemme, in Luca, più che il ruolo profetico di Gesù, viene messa in risalto la sua funzione messianica, come appare dalla terminologia, soprattutto dall’espressione «mi ha unto» (échrisen me), che in Atti (10,38; cf. pure 4,27) viene connessa con la sua investitura messianica al Giordano. In effetti, nella teofania al battesimo (3,21-22), Gesù fu consacrato Messia (unto di Spirito Santo), per annunziare la buona novella ai poveri, cioè il lieto annuncio di salvezza, per proclamare la liberazione ai prigionieri e per mettere in libertà gli oppressi (cf. Le 7,18-23). Si ha qui un’allusione all’anno giubilare (prescritto ogni 50 anni in Lv 25,10), che comportava la liberazione di tutti gli schiavi e la restituzione dei beni patrimoniali.
L’accento cade sull’annuncio del «vangelo» (euaggelisasthai), la cui efficacia è garantita dalla forza dello Spirito, effuso su Gesù al Giordano. Nel contesto gioioso della proclamazione della salvezza. Luca, dopo la citazione della frase «mi ha mandato... a proclamare un anno accetto al Signore», omette l’espressione che segue: «un giorno di vendetta per il nostro Dio» (Is 61,2b). L’evangelista reinterpreta in chiave evangelica la profezia, che non viene più riferita all’intervento escatologico di Dio per sterminare i malvagi, bensì alla missione storica di Gesù, che è quella di salvare, non di condannare, di essere medico dei malati e non giudice per punire i peccatori. C. Ghidelli scrive che Luca si serve del passo di Isaia per innestare nel primo discorso di Gesù i temi che più gli stavano a cuore: «lo Spirito Santo, l’unzione messianica, la liberazione escatologica, la gioia messianica, l’intervento di Dio in favore dei poveri e degli oppressi, la proclamazione dell’anno di grazia» (p. 118). Perciò sembra che in Le questo discorso «svolga il ruolo che ha il discorso della montagna nel quadro del vangelo di Matteo: è la magna charta, il programma essenziale del suo ministero» (ivi; cf. pure Rosse, pp. 154-155)

Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette - Mons. Vincenzo Paglia: [...] Terminata la lettura, Gesù chiude il rotolo. Tutti hanno gli occhi fissi su di lui; la meraviglia è notevole. Per quanto si può arguire dal Vangelo Gesù non si era mai fatto notare a Nazareth; non aveva seguito corsi di rabbino, né aveva operato cose straordinarie. Solo ultimamente si era sentito che aveva iniziato a parlare in altre cittadine della Galilea. È la prima volta che predica a Nazareth. Cosa dirà? La liturgia, quasi a forzarci ad entrare in questa scena evangelica, ci propone anche l’antica assemblea del popolo d’Israele radunato attorno al sacerdote Esdra. “Tutto il popolo piangeva [...] mentre ascoltava le parole della Legge”. Piangeva perché, finalmente, il Signore era tornato a parlare, a raccoglierli e a offrire loro la speranza di una vita più bella. Non erano più un popolo abbandonato, senza speranza e senza parole. Si accese in loro la speranza che il mondo sarebbe stato visitato dal Signore.
Gesù arrotola il volume e lo depone. Siede. Tutti lo guardano con grande attenzione, sottolinea l’Evangelista, come a farci rivivere quei cuori sospesi nell’ascolto e nell’attesa.
“Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi”. Gesù non commenta, compie! “Oggi”. La speranza non è più un sogno lontano, probabile, indefinito, quasi fosse ridotta ad un modo per sopportare meglio le difficoltà del presente. Il tempo non scorre più senza un orientamento. Dopo la Sinagoga di Nazareth tutti possiamo aiutare il Signore perché si compia per tanti il Vangelo. “Oggi” ti vengo a trovare! “Oggi” inizio a dire quelle parole di amore che non so più pronunciare o che sono sempre rimaste dentro! “Oggi” vado oltre il rancore, la paura, il giudizio; “oggi” scelgo di essere generoso, cambio atteggiamento, volto. “Oggi” chiedo perdono a chi ho offeso o tradito. “Oggi” ti aiuto, pover’uomo che chiedi ed hai bisogno di tutto. “Oggi” vogliamo che i malati dell’Africa trovino le cure che un mondo ingiusto vuole negare. “Oggi” possiamo aiutare ad uscire dalla prigione amarissima della solitudine, dall’oppressione della violenza e della guerra. Non rimandiamo sempre al domani, per pigrizia e paura, per sciocco ottimismo. “Oggi”  alziamo gli occhi e guardiamo i campi che già biondeggiano. Apriamo gli occhi del cuore e crediamo nell’amore, potenza del Signore, che egli dona ai suoi, speranza dei poveri e degli oppressi. È l’oggi di Dio. Che non finisce mai.
Ogni volta che il Vangelo viene proclamato, come in questo giorno, si compie questo “oggi” di Dio, l’oggi della liberazione, l’oggi della festa, l’oggi del Vangelo. Ogni volta che si apre il Vangelo dobbiamo sentirci dire: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. L’oggi di Dio entra nei nostri cuori, nelle nostre giornate, anche se tutto quel che accade intorno ci spinge a non credere più a nulla, a non ritenere possibile che questo “oggi” straordinario possa giungere, per rassegnarci tutti all’ineluttabile. Noi crediamo, invece, che l’oggi del Signore - quella festa di cui abbiamo ascoltato nella prima lettura - arrivi per ogni uomo e per ogni donna, in tutti i luoghi della terra, anche in quelli nei quali sembra più impossibile.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Vangelo).   
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, che nella partecipazione a questi santi misteri
ci doni il pegno della redenzione eterna,
fa’ che la tua Chiesa,
riunita nel rendimento di grazie,
sia per tutti gli uomini sacramento di salvezza.
Per Cristo nostro Signore.





9 Gennaio 2020

FERIA PROPRIA 9 GENNAIO

1Gv 4,11-18; Sal 71 (72); Mc 6,45-52




Colletta:  O Dio, luce del mondo, concedi a tutte le genti il bene di una pace sicura e fa’ risplendere nei nostri cuori quella luce radiosa che illuminò la mente dei nostri padri. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Andò sul monte a pregare - Gli evangelisti, in modo particolare Luca, amano ricordare la preghiera di Gesù, la quale, oltre a manifestare il suo essere sempre in comunione col Padre, è sempre preludio di qualche avvenimento importante. Gesù, al suo battesimo, prega e riceve l’unzione dello Spirito Santo (Cf. Lc 3,22). Prega prima della missione in Galilea (Cf. Mc 1,35), prima della istituzione dei Dodici e del discorso inaugurale (Cf. Lc 6,12-13). Prega prima e dopo la moltiplicazione dei pani (Cf. Mc 6,41.46; Mt 14,29.23), prima della professione di fede di Pietro (Cf. Lc 9,18) e perché la fede di Pietro, capo degli Apostoli, non venga meno nella tentazione (Cf. Lc 22,32). Prega prima di insegnare il Padre nostro (Cf. Lc 9,18) e in occasione della trasfigurazione (Cf. Lc 9,28-29). Prega prima di realizzare, mediante la sua passione, il disegno di salvezza del Padre (Cf. Lc 22,41-44).
Tale insistenza certamente si prefigge di educare i credenti alla preghiera: «Non è forse anzitutto contemplando il suo Maestro orante che nel discepolo di Cristo nasce il desiderio di pregare? Può allora impararlo dal Maestro della preghiera. È contemplando ed ascoltando il Figlio che i figli apprendono a pregare il Padre» (Catechismo della Chiesa Cattolica 2601).

Dal Vangelo secondo Marco 6,45-52: [Dopo che i cinquemila uomini furono saziati], Gesù subito costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, a Betsàida, finché non avesse congedato la folla. Quando li ebbe congedati, andò sul monte a pregare. Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli, da solo, a terra. Vedendoli però affaticati nel remare, perché avevano il vento contrario, sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare, e voleva oltrepassarli. Essi, vedendolo camminare sul mare, pensarono: «È un fantasma!», e si misero a gridare, perché tutti lo avevano visto e ne erano rimasti sconvolti. Ma egli subito parlò loro e disse: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». E salì sulla barca con loro e il vento cessò. E dentro di sé erano fortemente meravigliati, perché non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito.

Dopo che i cinquemila uomini furono saziati... - José Maria González-Ruiz (Il Vangelo secondo Marco): Si tratta d’un racconto caratteristico di Marco, e ci porta alla chiave ermeneutica del suo vangelo. A dispetto della spettacolare dimostrazione dei pani e dei pesci, Gesù non accetta di essere considerato come una specie di divo che dev’essere ammirato. Per prima cosa, infatti, egli si separa dai suoi discepoli per evitare che essi cedano alla tentazione di comportarsi come ammiratori fanatici, e si ritira a pregare nella solitudine. Ma, .anche qui, la sua preghiera non era evasiva e disimpegnata: se da una parte guardava il cielo, dall’altra seguiva le vicissitudini umane dei suoi discepoli.
Questi, infatti, si trovavano in un momento difficile, dovendo remare contro corrente per il vento che soffiava contro di loro. Per questo, egli decide di compiere un prodigio. Come sempre, il miracolo non era altro che l’uso del potere divino in favore degli uomini. Gesù non intende imporre il miracolo ai suoi discepoli, tanto che si comporta come se volesse lasciarli alle sue spalle. E allora, i discepoli gridano pensando che, si tratti d’un fantasma.
Qui abbiamo nuovamente un particolare molto caratteristico del secondo vangelo: la sua profonda allergia a tutto quello che potrebbe sapere di magia. I discepoli, infatti, sono come tutti gli altri, e persino come i non credenti; per questo la loro prima interpretazione del miracolo è che si tratti d’un fantasma, d’una cosa sognata da loro in un momento d’angustia. Gesù però umanizza il miracolo: «Coraggio, sono io; non temete».
Per il credente il miracolo è la potenza di Dio che si rivela agli uomini per aiutarli a superare la paura, l’angu­stia e ogni genere di alienazione. Perciò, un possibile miracolo, pubblicizzato con abbondanza di segni abba­glianti, non è segno di Dio. Si tratta realmente d’una «fantasia». Il secondo evangelista non mette in evidenza il miracolo come argomento razionale della presenza di Dio, dato che Gesù fa cose che gli uomini non possono fare. Non si tratta di questo. A Gesù è attribuito un potere taumaturgico; ma quello che apre i discepoli alla fede è l’uso che Gesù fa del suo potere in favore delle necessità umane.
Questo atteggiamento di Gesù può non essere compreso dagli stessi discepoli. Perché Gesù non usa questo potere per liberarli dalla dura necessità del lavoro di ogni giorno? Per questo l’evangelista conclude il racconto dicendo che i discepoli non avevano compreso nulla del precedente episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci: la loro mentalità era ancora offuscata, o meglio, la loro fede non era ancora matura,
Probabilmente essi si attendevano una dichiarazione di principio e l’inizio della marcia per la conquista del potere. Non possiamo infatti dimenticare che quest’episodio corrispondeva ai tempi migliori della marcia del popolo attraverso il deserto verso la terra promessa (Es 16,15; Sal 78,24). In una parola non bisognava perdere il tempo nella ricerca del pane di ogni giorno: sarebbe stato bene dedicarsi alla «rivoluzione» lasciando a Dio la cura di provvedere miracolosamente il pane al suo popolo. La tesi di Gesù è scoraggiante: la «rivoluzione» dev’essere fatta con le proprie braccia. Dio non è un surrogato del lavoro umano.

E salì con loro sulla barca con loro e il vento cessò - Appena Gesù sale sulla barca, il vento cessa di soffiare e di sconquassare la barca. Nell’Antico Testamento il potere di calmare le tempeste, così come di camminare sulle acque è attribuito a Iahvé (Cf. Sal 65,7; 77,20; 89,9-10; Gb 9,8; 26,11-12; 38,16; Sir 24,5-6; Is 43,16). Intenzionalmente è una professione di fede della comunità primitiva nella divinità di Gesù.
Tornata la calma l’evangelista Marco ricorda la meraviglia dei discepoli: E dentro di sé erano fortemente meravigliati. Sono meravigliati perché non riescono a comprendere, non sanno dare un “volto” a Colui che ha moltiplicato i pani e i pesci per cinquemila uomini, e che ora cammina sulle acque, una peculiarità di Dio, e comanda alle forze della natura, per l’evangelista Marco la meraviglia dei discepoli ha le radici nel loro cuore indurito: Erano dentro di sé meravigliati, perché non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito.
Al di là della storicità dell’episodio, si può cogliere un messaggio altamente parenetico: Gesù risorto è sempre presente nella sua Chiesa e se i marosi sembrano farla naufragare, occorre continuare, nonostante tutto, ad avere fiducia nella potenza della sua parola, la quale tacitando la tempesta, fa ritornare la calma e rende possibile la prosecuzione della navigazione. Così l’episodio illumina la vita cristiana fatta a volte anche di affondamenti.

La preghiera di Gesù - P. Beauchamp: 1. La sua preghiera e la sua missione. - Nel vangelo nulla rivela la necessità assoluta della preghiera meglio del posto che essa occupa nella vita di Gesù. Egli prega spesso sul monte (Mt 14,23), solo (ibid.), in disparte Lc 9,18), anche quando «tutti [lo] cercano» (Mc 1, 37). Si avrebbe torto di ridurre questa preghiera al solo desiderio dell’intimità silenziosa con il Padre: essa concerne la  missione di Gesù o l’educazione dei discepoli, che sono menzionate in quattro citazioni della preghiera proprie di Luca: nel battesímo (3,21), prima della scelta dei dodici (6,12), al momento della trasfigurazione (9,29), prima dell’insegnamento del Parer (11,1). La sua preghiera è il segreto che attira coloro che gli sono più vicini ed in cui egli li fa sempre più entrare (9,18). Essa li concerne: egli ha pregato per la fede dei suoi. Il legame tra la sua preghiera e la sua missione è evidente nei quaranta giorni che la inaugurano nel deserto, perché fanno rivivere, superandolo, l’esempio di Mosè. Questa preghiera è una prova per l’orante: Gesù, meglio di Mosè, trionferà del progetto satanico di tentare Dio (Mi 4,7=Deut 6,16: Massa), ed ancor prima della sua passione ci fa vedere di quali ostacoli dovrà trionfare la nostra stessa preghiera.
2. La sua preghiera e la sua passione. - La prova decisiva è quella della fine, quando Gesù prega e vuole far pregare con sé i suoi discepoli sul Monte degli Ulivi. Questo momento contiene tutta la preghiera cristiana; filiale: «Abba»; sicura: «tutto ti è possibile»; prova di obbedienza in cui è respinto il tentatore: «non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36). Ed anche brancolante, come le nostre, quanto al suo vero oggetto. 3. La sua preghiera e la sua risurrezione. - Esaudita infine al di là dell’attesa. Il conforto dell’angelo (Lc 22,43) è la risposta immediata che il Padre dà per il momento presente, ma la lettera agli Ebrei ci fa vedere in un modo radicale ed ardito che è la risurrezione ad esaudire questa preghiera così veramente umana di Cristo, «nei giorni della sua carne, avendo innalzato, con un forte gemito e con lacrime, preghiere e suppliche a colui che lo poteva salvare dalla morte, ed essendo stato esaudito a motivo della sua «pietà» (Ebr 5,7). La risurrezione di Gesù, momento centrale della salvezza dell’umanità, è una risposta alla preghiera dell’uomo-Dio che riprende tutte le domande umane della storia della salvezza (Sal 2,8: «chiedimi»).
4. La sera della cena. - Qui Gesù, dopo aver detto prima, tra l’altro, come pregare, prega poi egli stesso. Il suo insegnamento riprende quello dei sinottici quanto alla certezza di essere esaudito (parresìa in 1Gv 3,21; 5,14), ma la condizione «nel mio nome» apre nuove prospettive. Si tratta di passare dalla richiesta più o meno istintiva alla vera preghiera. Il «sinora non avete domandato nulla nel mio nome» (Gv 16,24) si può quindi applicare a molti battezzati. Pregare «nel nome» di Cristo suppone più che una formula, così come compiere un passo in nome di un altro suppone un legame reale con quest’altro. Pregare in tal modo non significa domandare unicamente le cose del cielo, ma volere ciò che Gesù vuole; ora la sua volontà è la sua missione: che la sua unità con il Padre diventi il fondamento dell’unità dei chiamati. «Che tutti siano uno come tu, Padre, sei in me, ed io in te» (Gv 17,22s). Essere nel suo nome e volere ciò che egli vuole significa pure camminare nei suoi comandamenti, il primo dei quali impone la carità che si domanda. La carità quindi è tutto nella preghiera: condizione e termine. Il Padre dona tutto a motivo di questa unità. Così l’affermazione costante dei sinottici, che ogni preghiera è esaudita, è confermata qui per cuori rinnovati: «senza dire alcuna parabola» (Gv 16,29). Questa è una situazione nuova, che però realizza la promessa del giorno di Jahve, in cui «tutti coloro che invocheranno il nome di Jahve saranno salvati» (Gioe 3,5 = Rom 10,13); la preghiera della cena promulga l’èra attesa, in cui i benefici del cielo corrisponderanno ai desideri della terra (Os 2,23-25; Is 30,19-23; Zac 8,12-15; Am 9,13). Tale è la preghiera di Gesù, che trascende la nostra; di rado egli dice «prego», ma generalmente «chiedo», ed una volta «voglio» (alla fine: Gv 17,24). Questa preghiera esprime la sua intercessione (eterna secondo Ebr 7,25) e rivela il contenuto interiore tanto della passione quanto del pasto eucaristico. Infatti l’eucaristia è il pegno della presenza totale di Dio nel suo dono e la possibilità dello scambio perfetto.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Gesù andò sul monte a pregare” (Vangelo).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Sostieni, Signore,
con la tua provvidenza questo popolo nel presente e nel futuro,
perché con le semplici gioie che disponi sul suo cammino
aspiri con serena fiducia alla gioia che non ha fine.
Per Cristo nostro Signore.





8 Gennaio 2020

FERIA PROPRIA 8 GENNAIO

1Gv 4,7-10; Sal 71 (72); Mc 6,34-44

Colletta: O Padre, il cui unico Figlio si è manifestato nella nostra carne mortale, concedi a noi, che lo abbiamo conosciuto come vero uomo, di essere interiormente rinnovati a sua immagine. Egli è Dio, e vive e regna con te...

Il racconto della moltiplicazione dei pani è da leggere con occhi pieni di fede: Gesù è rifiutato, ma egli cerca gli uomini nonostante tutto, è pronto a rinunciare alla sua solitudine per aiutarli, per confortarli: Gesù è il Pastore compassionevole che nutre le sue pecore con la Parola e con il Pane degli Angeli. Il luogo deserto richiama alla mente il miracolo della manna (Es 16,12-35). Alcuni commentatori ritengono che tutto il racconto della moltiplicazione dei cinque pani e dei due pesci, i gesti di Gesù, la preghiera di benedizione, ricorda l’istituzione dell’Eucarestia (Mc 14,22). L’abbondanza dei pani e dei pesci avanzati stanno a significare i sovrabbondanti doni di Dio (Es 16,19-24), che liberalmente e gratuitamente versa nel cuore degli uomini. Al termine di questo miracolo non ci sono le solite espressioni di meraviglia e ciò fa credere che Marco lo abbia voluto raccontare non tanto come un miracolo quanto come un segno messianico che svelasse ai Dodici il segreto della persona di Gesù.

Dal Vangelo secondo Marco 6,34-44: In quel tempo, sceso dalla barca, Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i suoi discepoli dicendo: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congedali, in modo che, andando per le campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangiare». Ma egli rispose loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Gli dissero: «Dobbiamo andare a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?». Ma egli disse loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere». Si informarono e dissero: «Cinque, e due pesci». E ordinò loro di farli sedere tutti, a gruppi, sull’erba verde. E sedettero, a gruppi di cento e di cinquanta. Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero a loro; e divise i due pesci fra tutti. Tutti mangiarono a sazietà, e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene e quanto restava dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.

 Prima moltiplicazione dei pani - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): La moltiplicazione dei pani costituisce uno dei miracoli più rilevanti e ricchi di significati simbolici. Viene riportato da tutti e quattro gli evangelisti. La redazione di Mc sembra quella più arcaica.
Il carattere messianico emerge dalla stessa ambientazione. Il luogo deserto evoca il tempo dell’ Esodo, che nel giudaismo prefigurava il tempo messianico. Gesù appare come il profeta escatologico che riunisce, guida e nutre le pecore disperse d’Israele. Mosè prima di morire aveva pregato Dio di mettere a capo del popolo un pastore, «perché la comunità del Signore non sia un gregge senza pastore» (Nm 27,17). Ezechiele aveva severamente condannato la trascuratezza e la condotta dissennata dei re di Giuda, vaticinando che Dio avrebbe mandato il vero pastore, «il mio servo David» (34,23). Ora è Gesù che si prende cura del gregge.
È controverso se l’evangelista abbia dato una interpretazione eucaristica al miracolo. La disposizione della folla in gruppi di cento e di cinquanta, in forma di aiuole, fa pensare a un’ordinata assemblea liturgica. Qualche esegeta (B. van Iersel) ritiene che nello sviluppo della tradizione il racconto del miracolo sia stato trasformato in senso eucaristico con la rielaborazione del v. 41. La benedizione e la frazione del pane, la distribu­zione richiamano i gesti compiuti da Gesù durante l’ultima cena. Altri commentatori escludono il rapporto del miracolo con l’eucaristia, perché l’elevazione degli occhi al cielo non si riferisce alla benedizione del pane, ma rappresenta l’invocazione di Dio per compiere un miracolo e inoltre la distribuzione dei pesci non ha nulla a che fare con la cena del Signore. La benedizione e lo spezzamento del pane sono gesti ordinari per ogni pasto giudaico (cf. Pesch, I, pp. 548-549 e 554; Gnilka, pp. 351-352).
Alcuni elementi del racconto sembrano assumere un significato simbolico. L’erba verde su cui Gesù fa adagiare la folla allude al Salmo 23, che celebra Dio come buon pastore, e sembra connotare il tempo pasquale (cf. Gv 6,4, dove si accenna esplicitamente alla vicinanza della Pasqua). La sistemazione della folla in gruppi ordi­
nati rievoca I ‘ordinamento degli israeliti durante l’Esodo (le schiere d’Israele); le dodici ceste degli avanzi richiamano la raccolta delle tribù d’Israele. I cinque pani forse si riferiscono ai cinque libri della Legge rno aica (cf. Pesch, I, pp. 551-553).

Moltiplicazione dei pani - Hildegard Gollinger: Secondo il racconto di tutti e quattro gli evangelisti, Gesù saziò con 5 pani e 2 pesci 5000 uomini (Mc 6,32-34; Mt 14,13-21; Lc 9,10-17; Gv 6,1-15). Inoltre Mc 8,1-10 e - dipendente da lui - Mt 15,32-39 riportano una seconda moltiplicazione dei pani (7 pani - 4000 persone). Questi racconti neotestamentari di moltiplicazione dei pani sono comprensibili soltanto in base al loro sfondo veterotestamentario. L’Antico Testamento racconta storie di distribuzioni di cibo da parte di Mosè (Es 16 e Nm 11: manna e quaglie) e di Eliseo (2Re 4,42-44). I racconti neotestamentari della moltiplicazione dei pani sono chiaramente elaborati secondo lo schema di questi modelli veterotestamentari. Intendono dimostrare che Gesù è in grado di fare ciò che Mosè ed Eliseo, dei quali l’Antico Testamento racconta i miracoli maggiori, furono in grado di fare, anzi, che li supera. Se si fa attenzione, infatti, il confronto con i racconti riguardanti Mosè ed Eliseo dimostra la chiara ed evidente superiorità di Gesù. Eliseo aveva saziato con 20 pani 100 persone, Gesù con 5 pani ne sazia 5000! Mosè dovette pregare Dio per avere del cibo per gli israeliti nel deserto, Gesù invece agisce in virtù e con potere propri. Agli evangelisti non interessa tanto l’evento storico in quanto tale; esso deve piuttosto essere trasparente rispetto alla verità teologica che con esso viene veicolata: Gesù non è soltanto il nuovo Mosè atteso per il principio del tempo della salvezza, il pastore vero, ma supera i più grandi uomini di Dio dell’Antico Testamento. Egli è più di costoro, è il salvatore escatologico divino, il Messia o - come dicono i greci - il Cristo. Lette in questo modo, le storie della moltiplicazione dei pani occupano un posto significativo nell’annuncio di Cristo compiuto dalla giovane chiesa.
La rappresentazione della moltiplicazione dei pani (Mc 6,41) ricorda i racconti dell’istituzione dell’eucaristia, come pure le celebrazioni eucaristiche del primo cristianesimo. Da ciò risulta chiaro che la chiesa intende la moltiplicazione dei pani non in maniera puramente “materiale” come distribuzione di cibo per il corpo, bensì come modello dell’eucaristia. Gesù non dà soltanto il vero “pane del Cielo” (cf. Sal 78,24), ma lui stesso e questo “pane della vita” (Gv 6,35), che noi riceviamo nell’eucaristia.

I miracoli nella vita di Gesù - Paul Ternant (Miracolo in Dizionario di Teologia Biblica): 1. I fatti. - «Rinnova i prodigi e compi altri miracoli!», implorava Ben Sira (Eccli 36,5), esprimendo l’aspirazione di tutto Israele dopo l’esilio, deluso da un ritorno meno brillante del nuovo esodo annunziato. Gesù viene a soddisfare quest’attesa, pur scoraggiando il gusto del sensazionale e della rivincita che essa implicava.
Al contrario dei racconti dell’esodo, quelli evangelici risalgono ai primi testimoni e sono molto sobri. Per ciò stesso, come per la loro natura, per la mancanza di sforzo da parte di Gesù (mancanza compatibile con l’uso pedagogico di formule, toccamenti, unzioni, procedimenti per tappe [Mc 8,23ss], che costituiscono l’azione simbolica), per una intenzionalità religiosa ed un atteggiamento di preghiera (esplicita [Gv 11,41s] o suggerita [Mc 6,41; 7,34; 9,9; 11,24]) che esclude ogni magia, per la difficoltà di spiegare senza di essi la fede della Chiesa, per il loro inserimento nella trama del vangelo, i miracoli che questo riferisce si distinguono radicalmente dai prodigi inventati dai vangeli apocrifi, nonché da quelli che la leggenda attribuisce a rabbini, a dèi (ad es. Esculapio) od a sapienti pagani (ad es. Apollonio di Tiana), contemporanei delle origini cristiane. Ogni confronto oggettivo fa risaltare il valore storico e religioso dei nostri testi. Gesù ha «fatto segno» al suo popolo
mediante fatti reali e realmente straordinari.
2. Segni efficaci della salvezza. a) Con i suoi miracoli Gesù manifesta che il regno messianico annunziato dai profeti è giunto nella sua persona (Mt 11,4s); attira l’attenzione su di sé e sulla buona novella del regno che egli incarna; suscita un’ammirazione ed un timore religioso che inducono gli uomini a chiedersi chi egli sia (Mt 8,27; 9,8; Lc 5,8 ss). Con essi Gesù attesta sempre la sua missione e la sua dignità, si tratti del suo potere di rimettere i peccati (Mc 2,5-12 par.), o della sua autorità sul sabato (Mc 3,4s par.; Lc 13,15s; 14,3ss), della sua messianità regale (Mt 14,33; Gv 1,49), del suo invio da parte del Padre (Gv 10,36), della potenza della fede in lui (Mt 8,10-13; 15,28 par.), con la riserva che impone la speranza giudaica di un messia temporale e nazionale (Mc 1,44; 5,43; 7,36; 8,26). Già in questo essi sono segni, come dirà S. Giovanni.
Se provano la messianità e la divinità di Gesù, lo fanno indirettamente, attestando che egli è veramente ciò che pretende di essere. Perciò non devono essere isolati dalla sua parola: vanno di pari passo con l’evangelizzazione dei poveri (Mt 11,5 par.). I titoli che Gesù dà a sé, i poteri che rivendica, la salvezza che predica, le rinunzie che esige, ecco ciò di cui i miracoli fanno vedere l’autenticità divina, a chi non rigetta a priori la verità del messaggio (Is 16,31). In tal modo questo è superiore ai miracoli, come lascia capire la frase su Giona secondo Lc 11,29-32. Esso si impone come il segno primario e solo necessario (Gv 20,29), per la ineguagliabile autorità personale del suo araldo (Mt 7,29) e per la sua qualità interna, costituita dal fatto che, realizzando la rivelazione anteriore (Lc 16,31; Gv 5,46s), corrisponde negli uditori all’appello dello Spirito (Gv 14,17.26); proprio esso, prima di essere confermato ed illustrato dai miracoli, li dovrà distinguere dai falsi segni (Mc 13,22s; Mt 7,22; cfr. 2Tess 2,9; Apoc 13,13). Qui, come in Deut, «i miracoli discernono la dottrina, e la dottrina discerne i miracoli» (Pascal).

Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro...: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 7 luglio 1993): Nella vita di Gesù sono ben visibili le note essenziali della “carità pastorale” che Egli ha per i suoi fratelli “uomini”, e che chiede ai suoi fratelli “pastori” di imitare. Il suo è, anzitutto, un amore umile: “Io sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29). Significativamente ai suoi Apostoli raccomanda di rinunciare alle loro ambizioni personali e ad ogni spirito di dominio per imitare l’esempio del “Figlio dell’uomo”, che “non è venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mc 10,45; Mt 20,28); (cfr. Pastores dabo vobis, 21-22). Ne consegue che la missione di pastore non può essere esercitata con un atteggiamento di superiorità o di autoritarismo (cfr. 1 Pt 5,3), che irriterebbe i fedeli e forse li allontanerebbe dall’ovile. Sulle orme di Cristo buon Pastore, ci si deve formare ad uno spirito di umile servizio (cfr. CCC 876). Gesù inoltre ci dà l’esempio di un amore pieno di compassione, ossia di partecipazione sincera e fattiva alle sofferenze e difficoltà dei fratelli. Egli sente compassione per le folle senza pastore (cfr. Mt 9,36), perciò si preoccupa di guidarle con le sue parole di vita e si mette a “insegnar loro molte cose” (Mc 6,34). In virtù di questa stessa compassione, guarisce molti malati (Mt 14,14), offrendo il segno di una intenzione di guarigione spirituale; moltiplica i pani per gli affamati (Mt 15,32; Mc 8,2), eloquente simbolo dell’Eucaristia; si commuove dinanzi alle miserie umane (Mt 20,34; Mc 1,41), e vuole portarvi rimedio; partecipa al dolore di coloro che piangono la perdita di un caro congiunto (Lc 7,13; Gv 11,33-35); anche per i peccatori prova misericordia (cfr. Lc 15,1-2), in unione con il Padre, che è pieno di compassione per il figlio prodigo (cfr. Lc 15,20) e preferisce la misericordia al sacrificio rituale (cfr. Mt 9,10-13); e non mancano casi in cui rimprovera i suoi avversari di non comprendere la sua misericordia (Mt 12,7).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Sceso dalla barca, Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose” (Vangelo).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Fortifica, o Padre, la nostra fede
con questo cibo di vita eterna,
perché come veri discepoli del tuo Figlio
testimoniamo nelle opere
il Vangelo che ci hai trasmesso.
Per Cristo nostro Signore.

   




7 Gennaio 2020

FERIA PROPRIA 7 GENNAIO

1Gv 3,22-4,6; Sal 2; Mt 4,12-17.23-25

Colletta: Lo splendore della tua gloria illumini, Signore, i nostri cuori, perché attraverso le tenebre di questo mondo possiamo giungere alla luce della tua dimora. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Gesù lascia Nàzaret: abbandona la sua casa, gli affetti più cari, sua madre e i suoi parenti. A Nàzaret ha vissuto trent’anni, ha lavorato nella bottega di Giuseppe, suo padre putativo, è cresciuto in “sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,52), ora lascia tutto questo dietro le spalle, e va ad abitare a Cafàrnao. Un distacco doloroso che rimarrà nella sua mente e si trasfonderà in una promessa: “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (Mt 19,29). Nella misura in cui egli è stato provato, può consolare e aiutare coloro che sono nella afflizione e nella prova.
Matteo fa un quadro della attività apostolica di Gesù imperniata sulla conversione: “Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo”. 
L’accenno alle “grandi folle” forse è un’iperbole, ma bene sta a documentare l’ansia appagata dei malati: avevano finalmente trovato il “medico” che li sollevava da ogni forma di infermità.
Isaia chiama “Galilea delle genti” (Is 8,23-9,1), cioè dei pagani, la regione di Zàbulon e di Nèftali perché gli abitanti di queste zone erano i più esposti al pericolo di cadere nella idolatria. Proprio di qui Gesù inizia la sua predicazione. Si comincia così a intravedere la futura missione degli apostoli che saranno inviati a “tutte le genti”.

Dal Vangelo secondo Matteo 4,12-17.23-25: In quel tempo, quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta». Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. La sua fama si diffuse per tutta la Siria e conducevano a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guarì. Grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano.

In quel tempo, quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao - Ortensio da Spinetoli (Matteo): L’intento dell’evangelista, con questi sguardi riassuntivi, è fornire un quadro della prima attività missionaria di Gesù in Galilea e nei dintorni, a cominciare dalla cattura del Battista: solo quel tanto che è necessario per creare una base e trovare un uditorio all’imminente discorso. Il periodo di tempo ricapitolato abbraccia, può darsi, alcuni mesi, ma buona parte degli episodi accaduti sono passati sotto silenzio. Gli incontri con i discepoli, all’opposto che in Gv. 1,35-51, sono rievocati succintamente; gli altri fatti narrati dal quarto evangelista, il miracolo di Cana, la visita a Gerusalemme (prima pasqua), il colloquio con Nicodemo, l’incontro con la samaritana e l’ufficiale regio (Gv. 2,1-4,54), sono omessi del tutto. Matteo inizia dalla « seconda » partenza di Gesù da Nazaret, dalla seconda fase, se così si può dire, del ministero galilaico che ha sede a Cafarnao. Come al solito, l’evangelista illustra questo cambiamento di residenza, o più giustamente l’inizio della predicazione messianica, con un riferimento scritturistico (Is. 8,23).
[...].  Da Cafarnao Gesù comincia i suoi primi giri missionari annunciando, sulle orme del Battista, la penitenza e il regno di Dio. La penitenza e il regno non sono un suo intercalare o uno slogan ma il tema dei suoi discorsi. La penitenza ([xeràvota) è un invito a cambiare modo di pensare e di agire, soprattutto nei riguardi del messia e del regno. Occorre assumere un atteggiamento nuovo, distaccato dalle proprie inclinazioni disordinate e dagli orientamenti della propria intelligenza. Bisogna rinunciare ai propri idoli, ma più ancora al proprio credo, persino alle proprie idee religiose se si desidera far parte del regno. Nella società che Gesù intende realizzare non si entra solo col corpo ma prima di tutto con la mente e col cuore. La metànoia (conversione) non è una virtù particolare, è una disposizione d’animo, una rinuncia e conseguentemente un’apertura verso Dio. L’uomo nasce peccatore, con una carica di forza centrifuga da Dio, la conversione è un movimento di ritorno, un cambiamento di rotta, un cammino a ritroso. Sulla bocca di Gesù la parola conversione ha un senso più profondo, ma per il momento l’evangelista non vi si sofferma.

Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino - Alfonso Colzani: Conversione: Termine che nel linguaggio biblico esprime l’idea di un radicale cambiamento di direzione. È la traduzione dell’ebraico teshuvà, dalla radice shuv, che indica l’“andare nella direzione opposta”. Nel greco del Nuovo Testamento l’idea di conversione è resa da due termini: metànoia, che designa il cambiamento di mentalità dell’uomo desideroso di allontanarsi dal male (tradotto anche con “pentirsi”, con sfumatura più intellettuale), ed epistrophé (ritorno, conversione), che corrisponde al teshuvà ebraico.
L’Antico Testamento. La conversione è una tematica centrale del messaggio biblico: la storia del popolo ebraico è continuamente segnata da infedeltà individuali e collettive all’alleanza con Dio, che segneranno la rovina della casa di Israele. Il secondo libro dei Re (17,7-18) lega chiaramente la tragedia della deportazione in Assiria (721 a.C.) alla mancata conversione del popolo, secondo una chiave di lettura della storia tipica dello spirito del Deuteronomio. I profeti, chiamando in causa la responsabilità individuale, fanno appello alla coscienza di ognuno e a quella di tutto il popolo. Dice il profeta Ezechiele: “Convertitevi e desistete da tutte le vostre iniquità, e l’iniquità non sarà più causa della vostra rovina. [..,] Perché volete morire o Israeliti? Io non godo della morte di chi muore. Parola del Signore Dio. Convertitevi e vivrete” (18,30-31). La conversione è fonte di salvezza a motivo della misericordia di Dio, che gioisce solo per essa e non per la morte del malvagio; salvezza che non è destinata al solo popolo di Israele, ma riguarda tutta l’umanità, che è anch’essa chiamata alla conversione, come intuisce il vecchio Tobia, morente: “Tutte le genti che si trovano su tutta la terra si convertiranno e temeranno Dio nella verità” (Tb 14,6).
Nel Nuovo Testamento. Nel Nuovo Testamento la conversione è tematica centrale dell’insegnamento di Gesù; il Vangelo di Marco la inserisce nel nucleo della predicazione di Gesù e come condizione preliminare per abbracciare l’Evangelo: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15). L’evangelista Luca (15,4-31) ne sottolinea particolarmente l’importanza nelle tre parabole della misericordia divina (la pecorella smarrita, la dracma perduta, il figlio prodigo). Il pentimento che permette di ottenere il perdono dei peccati non è solo un atto intellettuale, ma riguarda tutto l’uomo e deve condurre ad un radicale cambiamento di vita. San Paolo negli Atti degli apostoli (26,20) richiama i due elementi fondamentali della conversione, il ritorno a Dio e il mutamento dei modi di vita: “Predicavo di convertirsi (metanóein) e di rivolgersi (letteralmente ‘ritornare’, epistréfein) a Dio, comportandosi in maniera degna della conversione”. Paolo sottolinea qui che in mancanza di un reale cambiamento di vita la conversione è illusoria e vana. San Giovanni presenta la conversione come nuova nascita, passaggio dalle tenebre alla luce. La parabola del buon Pastore, “venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10) manifesta l’universalità della chiamata divina alla conversione, come afferma anche san Paolo: “Dio nostro salvatore vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1Tm 2,3-4).

Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta - A. Feuillet P. Grelot: Cristo, luce del mondo: 1. Compimento della promessa. - Nel Nuovo Testamento la luce escatologica promessa dai profeti è diventata realtà: quando Gesù incomincia a predicare in Galilea, si compie l’oracolo - di Is 9,1 (Mt 4,16). Quando risorge secondo le profezie, si è per «annunziare la luce al popolo ed alle nazioni pagane» (Atti 26,23). Perciò i cantici conservati da Luca salutano in lui sin dall’infanzia il sole nascente che deve illuminare coloro che stanno nelle tenebre (Lc 1,78 s; cfr. Mal 3,20; Is 9,1; 42,7), la luce che deve illuminare le nazioni (Lc 2,32; cfr. Is 42,6; 49,6). La vocazione di Paolo, annunziatore del vangelo ai pagani, si inserirà nella linea degli stessi testi profetici (Atti 13,47; 26,18).
2. Cristo rivelato come luce. - Tuttavia vediamo che Gesù si rivela come luce del mondo soprattutto con i suoi atti e le sue parole. Le guarigioni di ciechi (cfr. Mc 8,22-26) hanno in proposito un significato particolare, come sottolinea Giovanni riferendo l’episodio del cieco nato (Gv 9). Gesù allora dichiara: «Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo» (9,5). Altrove commenta: «Chi mi segue non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (8,12); «io, la luce, sono venuto nel mondo affinché chiunque crede in me non cammini nelle tenebre» (12, 46). La sua azione illuminatrice deriva da ciò che egli è in se stesso: la  parola stessa di Dio,  vita e luce degli uomini, luce vera che illumina ogni uomo venendo in questo mondo (1,4.9). Quindi il dramma che si intreccia attorno a lui è un affrontarsi della luce e delle tenebre: la luce brilla nelle tenebre (1,4), ed il  mondo malvagio si sforza di spegnerla, perché gli uomini preferiscono le tenebre alla luce quando le loro  opere sono malvagie (3,19). Infine, al momento della passione, quando Giuda esce dal cenacolo per tradire Gesù, Giovanni nota intenzionalmente: «Era  notte» (13,30); e Gesù, al momento del suo arresto, dichiara: «È l’ora vostra, ed il potere delle tenebre» (Lc 22,53).
3. Cristo trasfigurato. - Finché Gesù visse quaggiù, la luce divina che egli portava in sé rimase velata sotto l’umiltà della carne. C’è tuttavia una circostanza in cui essa divenne percepibile a testimoni privilegiati, in una visione eccezionale: la trasfigurazione. Quel volto risplendente, quelle vesti abbaglianti come la luce (Mt 17,2 par.), non appartengono più alla condizione mortale degli uomini: sono un’anticipazione dello stato di Cristo risorto, che apparirà a Paolo in una luce radiosa (Atti 9,3; 22,6; 26,13); provengono dal simbolismo proprio delle teofanie del Vecchio Testamento. Di fatto la luce che risplendette sulla faccia di Cristo è quella della gloria di Dio stesso (cfr. 2Cor 4,6): in qualità di Figlio di Dio egli è «lo splendore della sua gloria» (Ebr 1,3). Così, attraverso Cristo-luce, si rivela qualcosa della essenza divina. Non soltanto Dio «dimora in una luce inaccessibile» (1Tim 6,16); non soltanto lo si può chiamare «il Padre degli astri» (Giac 1,5), ma, come spiega san Giovanni, «egli stesso è luce, ed in lui non ci sono tenebre» (1Gv 1,5). Per questo tutto ciò che è luce proviene da lui, dalla creazione della luce fisica nel primo giorno (cfr. Gv 1,4) fino alla illuminazione dei nostri cuori ad opera della luce di Cristo (2Cor 4,6). E tutto ciò che rimane estraneo a questa luce appartiene al dominio delle tenebre: tenebre della notte, tenebre dello sheol e della morte, tenebre di Satana.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato” (I Lettura). 
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

 O Padre, che ci hai nutriti
del corpo e del sangue del tuo Figlio,
fa’ che riconosciamo nel Cristo il nostro Salvatore
e testimoniamo con la vita
la fede che professiamo.
Per Cristo nostro Signore.