5 Luglio 2019 - Venerdì della XIII Settimana T. O.
Gen 23,1-4.19; 24,1-8.62-67; Sal 105 (106); Mt 9,9-13
Colletta: O Dio, che ci hai reso figli della luce con il tuo Spirito di adozione, fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore, ma restiamo sempre luminosi nello splendore della verità. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Matteo come mestiere faceva l’esattore delle tasse, e per scontato qualcuno pensò che era un uomo avido, qualcun altro pensò che era uno strozzino, e un altro ancora un usario… forse… Forse questa nomea gli è stata appiccicata addosso per esaltare la bontà del Signore che non disdegna di chiamare anche i peccatori, e questo è vero, ma a cassare tutti quegli appellativi c’è la prontezza di Matteo nel rispondere alla chiamata del Maestro divino. Se fosse stato avido avrebbe, da buon contabile, cercato di mettere in parità il bilancio, “cosa guadagno e cosa perdo?”, oppure avrebbe cercato di cavare qualche profitto, entrare a far parte del gruppo dei discepoli in fondo poteva avere il suo guadagno, e se era usuraio certamente non avrebbe mollato tanto facilmente la sua cassaforte. Niente di tutto questo. Matteo faceva il suo lavoro e quando Gesù lo chiamò immantinente, senza pensarci due volte “lo seguì”. In questa cornice il vangelo ci offre tre riflessioni, la prima che tutti, anche i ricchi e anche gli esattori delle tasse, con tutti i sinonimi annessi e connessi, sono amati da Dio; la seconda che Gesù, medico divino, è venuto per i malati, e tutti siamo malati, e ragione vuole che ci facciamo curare; terzo, non saranno le mille devozioni, cose buone certamente, ad aprirci le porte del Paradiso, ma la misericordia: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi...” (Mt 25,34-36).
Vangelo - Dal Vangelo secondo Matteo 9,9-13: In quel tempo, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».
La vocazione di Matteo mette in risalto la potenza della parola di Cristo: essa chiama alla sequela l’esattore di tasse Matteo muovendolo dal di dentro per una risposta pronta e positiva; e ha il potere (exousia) di annunziare la remissione dei peccati, di proclamare ai poveri il vangelo, la buona notizia, e di annunziare la liberazione ai prigionieri. Tra le righe la gioia, la festa per sottolineare l’attenzione amorosa di Dio per i più disperati, per i peccatori, per coloro che a motivo della loro vita o mestiere erano considerati dannati. Matteo cita il profeta Osea (6,6), ma con una notevole e sostanziale differenza. Mentre in Osea l’oggetto diretto della religiosità fatta di «amore e conoscenza» è Dio, nel Vangelo è il peccatore.
Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo - Wolfgang Trilling (Vangelo secondo Matteo): La vocazione dei primi quattro discepoli era stata narrata più dettagliatamente. I sinottici riferiscono soltanto di un altro apostolo le circostanze particolari della vocazione; si tratta di «Levi, il figlio di Alfeo», come lo chiamano Marco e Luca (Mc 2, 14; Lc 5,27). Nel primo Vangelo invece è chiamato Matteo, che, secondo l’antica tradizione, avrebbe scritto questo Vangelo. È un esattore, appartiene cioè alla classe odiata e disprezzata dei pubblicani. Per i giudei osservanti era considerato impuro perché trattava di affari e maneggiava denaro, in secondo luogo era un imbroglione poiché sfruttava il prossimo. E Gesù lo chiama! Di nuovo emerge questa «preferenza» di Dio per ciò che è piccolo e disprezzato. Ai peccatori, gente semplice, si aggiunge ora uno a cui non si dà nemmeno la mano. Anch’egli è galileo, come gli altri. È proprio una «bella compagnia» quella che Gesù raduna intorno a sé! Ce ne scandalizziamo anche noi?
Il pubblicano sente la chiamata, si alza e subito si unisce a Gesù. li suo comportamento corrisponde alla linea appena indicata da Gesù per essere suoi veri discepoli (8, 19-22): non fa obiezioni, non domanda dilazioni, ma agisce con decisione e prontezza, senza riserve. Un altro pubblicano, di cui parla l’evangelista Luca - di nome Zaccheo -, mostrerà che Gesù viene capito proprio da questa gente (cf. Lc 19, 1-10). Le due affermazioni: «Si alzò e lo seguì», ci danno un quadro meraviglioso di quel che vuol dire seguire Gesù ed esser suoi discepoli: è necessario troncare risoluti lo stile di vita «vecchio» e osare l’avventura con Cristo.
Misericordia voglio - Misericordia è un attributo che viene costantemente riferito a Dio e si presenta come una delle caratteristiche peculiari della divinità. In essa si possono distinguere due elementi: uno di disposizione di fondo di Dio al perdono e alla benevolenza; l’altro, ad esso indissolubilmente unito, di effettiva azione divina per il bene dell’uomo. Dietro la parola misericordia soggiace il termine ebraico hesed, il cui significato, assai più ricco di sfumature, lo si coglie molto chiaramente studiando le parole con le quali è associato.
Per esempio in Osea, citato da Matteo, hesed è associato con mispat, giudizio, «che qui significa giustizia; le due virtù sono un aspetto della conversione voluta da Yahweh [Os 12,7] e sono due delle tre virtù in cui Michea fa consistere la volontà di Yahweh [Mi 6,8]. Questi, insieme con la rettitudine, sono gli attributi del rapporto di Yahweh con gli uomini [Ger 9,23]» (JOHN L. McKENZIE, Dizionario Biblico).
I Vangeli presentano la misericordia come dovere di un uomo verso il prossimo. Nel Vangelo odierno, Gesù applica Os 6,6 a questo dovere e lo assume egli stesso verso tutti gli uomini sopra tutto verso coloro che si trovano in particolari condizioni di bisogno. Tra questi primeggiano i peccatori, operando in questo modo un collegamento tra misericordia e perdono dei peccati; collegamento abbastanza ovvio, se la misericordia è l’atteggiamento di Dio verso l’uomo in condizione di miseria, e se la massima miseria dell’uomo è il peccato. Nel Nuovo Testamento tutta la buona novella è il racconto della misericordia fatta da Dio all’uomo peccatore nella morte redentrice di Cristo. Da questa considerazione scaturiscono due riflessioni. La prima è che l’uomo non può sfrontatamente abusare della misericordia di Dio (Sir 5,4-7), ma ad essa deve rispondere con la conversione, con l’adorazione; la seconda è che in conseguenza a tanto amore l’atteggiamento etico dell’uomo che vuol vivere conformemente alla realtà di salvezza, nella quale è stato inserito, deve essere un atteggiamento di misericordia verso il suo simile (Mt 18,23-35); solo così può rendersi degno della misericordia di Dio ed avere l’accesso al suo regno.
Dare ai poveri. - Évode Beaucamp e Jacques Guillet (Dizionario di Teologia Biblica): Rinunziare alla ricchezza non significa necessariamente non comportarsi più da proprietario. Persino al seguito di Gesù vi furono alcune persone agiate, e proprio un ricco uomo di Arimatea accolse il corpo del Signore nella sua tomba (Mt 27, 57). Il vangelo non vuole che ci si sbarazzi della propria fortuna come di un peso ingombrante, ma esige che la si distribuisca ai poveri (Mt 19,21 par.; Lc 12,33; 19,8); facendosi degli amici con il «denaro disonesto» - quale fortuna infatti è, nel mondo, immune da ogni ingiustizia? - i ricchi possono quindi sperare che Dio aprirà loro la via difficile della salvezza (Lc 16,9). Lo scandalo non è che ci sia un ricco ed un povero Lazzaro, ma che Lazzaro, «pur desiderando nutrirsi delle briciole che cadevano dalla tavola del ricco» (Lc 16,21), non ne ricevesse nulla. Il ricco è responsabile del povero; colui che serve Dio dà il suo denaro ai poveri, colui che serve Mammona lo conserva per appoggiarsi su di esso.
Infine la vera ricchezza non è quella che si possiede, ma quella che si dà, perché questo dono chiama la generosità di Dio, unisce nel ringraziamento colui che dà e colui che riceve (2Cor 9,11) e permette al ricco di esperimentare anch’egli che c’è «più felicità nel dare che nel ricevere» (Atti 20,35).
Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori - Gesù durante la sua vita terrena ha dichiarato di voler salvare i peccatori. Il Vangelo di oggi ci mostra il Cristo che chiama Matteo, che per il mestiere era considerato un pubblico peccatore: «Cristo non si vergogna di chiamare Matteo. E perché stupirci che Cristo non abbia avuto vergogna di chiamare un pubblicano, quando non solo non si vergognò di chiamare una donna peccatrice, ma le permise anche di baciare i suoi piedi e di bagnarli con le sue lacrime? [cf. Lc 7,36-50]. Proprio per questo Gesù era venuto: non solo per curare i corpi dalle loro infermità, ma per guarire anche le anime dalle loro iniquità» (Giovanni Crisostomo).
Quindi, quello di Levi, non è l’unico contatto tra il Cristo e il peccato. Gesù è il buon pastore che difende le pecore dai lupi offrendo la sua vita, va in cerca di quella smarrita e di quelle che non fanno parte del suo ovile (Mt 18,12ss; Gv 10,1ss). La parabola del figlio prodigo (Lc 15,11-32) manifesta palesemente i sentimenti di misericordia del Padre e del Figlio, sommo sacerdote misericordioso che sa «compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» (Eb 4,15-16).
Gesù, durante la sua vita, ha dimostrato a fatti, oltre che a parole, la sua misericordia verso i peccatori. Va in casa di Zaccheo, «capo dei pubblicani e ricco», offrendogli la salvezza e un’abbondante moratoria per quanto riguarda tutti i suoi peccati di avarizia (Lc 19,1-10). Il buon ladrone addirittura è il primo santo canonizzato dallo stesso Fondatore della Chiesa (Lc 23,43). Sulla croce prega e scusa i suoi crocifissori (Lc 23,34). Gesù è la «vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (1Gv 2,2). In questo modo, Gesù è il «sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo» (Eb 2,17). Lasciando il mondo, trasmette agli Apostoli e ai loro successori il potere di rimettere i peccati (Mt 18,18; Gv 20,23). Cristo volendo che la sua attività sacerdotale continuasse sulla terra fino alla fine del mondo, poiché il suo sacerdozio «non doveva estinguersi con la morte [Eb 7,24-27]», volle lasciare alla Chiesa, «un sacrificio visibile [...], con cui venisse significato quello cruento che avrebbe offerto una volta per tutte sulla croce prolungandone la memoria fino alla fine del mondo, e applicando la sua efficacia salvifica alla remissione dei nostri peccati quotidiani» (Concilio di Trento, Sess. 22°). Così che ogni volta che «si celebra sull’altare il sacrifico della croce col quale “Cristo nostra pasqua è stato immolato” [1Cor 5,7], si compie l’opera della nostra redenzione» (LG 3).
Nella Messa, esplosione della misericordia divina, Dio in Cristo dichiara il suo amore eterno alla sua creatura; nel Pane Eucaristico il credente gode della misericordia e del perdono di Cristo, «sommo sacerdote santo e innocente» (Eb 7,26).
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Vangelo).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
La divina Eucaristia, che abbiamo offerto e ricevuto, Signore,
sia per noi principio di vita nuova,
perché, uniti a te nell’amore,
portiamo frutti che rimangano per sempre.
Per Cristo nostro Signore.
sia per noi principio di vita nuova,
perché, uniti a te nell’amore,
portiamo frutti che rimangano per sempre.
Per Cristo nostro Signore.