9 Aprile 2019

Martedì della V Settimana di Quaresima


Oggi Gesù ci dice: “Le Scritture mi rendono testimonianza. Venite a me per avere la vita eterna” (Cfr. Gv 5,39.40 - Antifona alla comunione).

Dal Vangelo secondo Giovanni 8,21-30: Voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo, con queste parole Gesù svela la sua identità che trascende l’orizzonte terreno perché le sue origini sono oltre il tempo e lo spazio. Ma i Giudei non hanno occhi per vedere al di là del velo della carne del Cristo, perché non hanno fede. Gesù così indica loro un percorso che inevitabilmente dovrà giungere alla sommità del Calvario: Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono. Inchiodato sulla Croce, svelerà a tutti la sua divinità e solo questa grande rivelazione sarà capace di suscitare la fede nel cuore degli uomini. Chi non accetterà questa testimonianza, chi non saprà cogliere il mistero della sua Persona morirà nei suoi peccati; è la morte eterna che porta con sé l’eterna separazione da Colui che è la risurrezione e la vita (Gv 11,25): Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati.

Il rivelatore escatologico - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni): Il quarto evangelista anche in Gv 8, a varie riprese e con diverse immagini, presenta Gesù come il rivelatore escatologico. Con la frase iniziale: Io sono la luce del mondo (Gv 8,12), il Maestro si proclama la manifestazione piena e perfetta della salvezza per tutta l’umanità. Lo abbiamo già messo in risalto nell’esegesi del prologo e del dialogo con Nicodemo (Gv 1,4s.9; 3,19ss): la metafora della luce, nella Bibbia e nella letteratura giudaica antica, indica la rivelazione della vita divina. Il Verbo incarnato in Gv 8,12, definendosi luce del mondo, si presenta come la manifestazione piena e perfetta dell’amore del Padre per l’umanità. In realtà Gesù finché è nel mondo, è la luce del mondo (Gv 9,5); egli è venuto nel mondo per essere la sua luce (Gv 12,46), cioè per illuminarlo con la sua parola divina.
Nella terza e nella quarta scena di Gv 8,12-59 Gesù si proclama la Parola primordiale che rivela al mondo ciò che ha udito presso il Padre (Gv 8,25s). Egli dice, cioè manifesta all’umanità, ciò che Dio gli ha insegnato (Gv 8,28), ciò che ha visto presso il Padre (Gv 8,38). Il Maestro è la persona divina che dice la verità ascoltata presso Dio (Gv 8,40), ossia rivela la parola definitiva del Padre, manifesta e comunica in pienezza la vita di Dio (Gv 8,46).

Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): v. 21 «Io (me ne) vado e mi cercherete ...». Gesù riprende qui alcuni motivi di un brano precedente (7,31-36); ma ora il tono si fa più severo perché prospetta ai giudei la morte eterna. In Gv 7,34 si legge: «Mi cercherete e non mi troverete»; qui: «Mi cercherete e morirete nel vostro peccato». II peccato, al singolare, consiste essenzialmente nel rifiuto della fede in Gesù; gli altri peccati (cf. v. 24 «peccati», al plurale) sono una conseguenza di questo atteggiamento di incredulità ostinata. L’ostilità nei confronti di Gesù avrebbe condotto i giudei alla rovina, alla morte eterna, per aver rifiutato colui che era venuto a portare la luce della verità. - «Dove vado io, voi non potete venire». Gesù sta per tornare al Padre attraverso la passione e la glorificazione; i giudei, persistendo nella loro incredulità, non potranno raggiungerlo nella gloria del cielo.
v. 22 Dicevano dunque i giudei: “Forse si ucciderà ... ». I giudei fraintendono le parole di Gesù e le interpretano in modo distorto e sarcastico. Mentre sopra (7,35) facevano dell’ironia, dicendo che forse voleva recarsi a insegnare ai pagani nella diaspora, cioè in terra pagana, ora prospettano la possibilità che voglia suicidarsi per disperazione, costatando il fallimento delle sue utopie. In effetti, Gesù avrebbe offerto volontariamente la propria vita per la salvezza del mondo, anche se sarebbero stati i giudei a ucciderlo, attuando inconsciamente il progetto salvifico di Dio. In precedenza (7,35) i suoi avversari avevano predetto senza saperlo  l’evangelizzazione universale; ora preannunziano la morte redentrice di Cristo, liberamente accettata. Il ricorso all’espediente dell’ironia consente a Giovanni di mettere in bocca ai nemici di Gesù affermazioni cristologi­che fondamentali, che erano ben note ai suoi lettori.

Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati - Henri van de Bussche (Giovanni): Qui sta la loro colpa: essi non hanno voluto riconoscere Io sono, né nell’Antico Testamento, né ora che Io sono è presente in Gesù. L’affermazione personale assoluta: «Io sono» è senza dubbio un’allusione diretta al nome del Dio dell’alleanza, Iahvé. Questo nome è stato rivelato a Mosè nel roveto ardente, con tutta la discrezione richiesta dal mistero della natura divina, come una promessa per l’avvenire: Io sono libera Israele dall’Egitto (Es. 3,15), sigilla l’elezione (Es. 33,19) e assicura la protezione personale di Dio e la restaurazione di Israele). La rivelazione personale di Gesù ci riporta ancora una volta al tempo del deserto. Questa volta la critica di Gesù raggiunge l’esistenza stessa di Israele, perché Israele deve la sua esistenza e la sua vita a lo sono che l’accompagna. Ma il nome di Iahvé, nome pieno di ricordi per il popolo dell’alleanza, non contiene soltanto una promessa. Se Israele non riconosce Io sono, questo nome assume l’aspetto di giudizio; tale è il messaggio di alcuni testi del tempo dell’esilio, per esempio di Ez. 7,27: Li tratterò secondo la loro condotta, li giudicherò secondo i loro giudizi; così sapranno che lo sono Iahvé! Io sono trova in Gesù la sua realizzazione più perfetta. per il loro bene o per il loro male. Non riconoscendo Io sono in Gesù, i giudei commettono il più grave dei peccati e sigillano una storia secolare di peccato.

Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo; accenno velato alla crocifissione ed alla glorificazione di Cristo secondo il linguaggio del quarto evangelista (cf. Giov., 3,14; 12,32,34). Allora conoscerete che io sono; cf. commento al vers. 24; le parole richiamalo quelle usate dai profeti a conclusione degli oracoli di minaccia pronunziati contro il popolo infedele (cf. Esodo 10,2; Ezechiele, 6,7,10, 13,14; 7,4,9,27; 11,10; 12,16,20 ecc.). L’«elevazione» («Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo») di Cristo sulla croce, alla quale seguirà la glorificazione di lui, darà ai giudei increduli la risposta esatta alla loro precedente domanda («Chi sei tu?», vers. 25) e suggellerà la loro condanna (cf. Giov., 19,37; Apocalisse, 1,7; Mt.,26,64 e testi paralleli). Non faccio nulla da me; con questa dichiarazione il Maestro mette in evidenza la sua intima unione e la continua dipendenza dal Padre. Dico ciò che il Padre mi ha insegnato, cf. vers. 40.

Conoscerete, troverete la risposta...: Giovanni Paolo II (Omelia, 30 marzo 1982): Cristo dice: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete...”: conoscerete, troverete la risposta a questo interrogativo che ora ponete a me, non fidandovi delle parole che vi dico. “L’innalzare” mediante la Croce costituisce in un certo qual senso la chiave per conoscere tutta la verità, che Cristo proclamava. La Croce è la soglia, attraverso la quale sarà concesso all’uomo di avvicinarsi a questa realtà che Cristo rivela. Rivelare vuol dire “rendere noto”, “rendere presente”. Cristo rivela il Padre. Mediante lui il Padre diventa presente nel mondo umano. “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo” (Gv 8,28). Cristo si richiama al Padre come all’ultima fonte della verità che annunzia: “Colui che mi ha mandato è veritiero, ed io dico al mondo le cose che ho udito da lui” (Gv 8,26). Ed infine: “Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite” (Gv 8,29). In queste parole si svela davanti a noi quella illimitata solitudine, che Cristo deve sperimentare sulla Croce, nella sua “elevazione”. Questa solitudine inizierà durante la preghiera nel Getsemani – la quale deve essere stata una vera agonia spirituale – e si compirà nella crocifissione. Allora Cristo griderà: “Elì, Elì, lemà sabactàni”, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Ora, invece, come se anticipasse quelle ore di tremenda solitudine, Cristo dice: “Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo...”. Come se volesse dire, in primo luogo: anche in questo supremo abbandono non sarò solo! adempirò allora ciò che “Gli è gradito”, ciò che è la Volontà del Padre! e non sarò solo! - E, inoltre: il Padre non mi lascerà in mano alla morte, poiché nella Croce c’è l’inizio della risurrezione. Proprio per questo, “la crocifissione” diventerà in definitiva la “elevazione”: “Allora saprete che Io sono”. Allora, pure, conoscerete che “io dico al mondo le cose che ho udito da lui”.

Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono - Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): Gesù non poteva dire con più chiarezza che un giorno anche il suo popolo giungerà alla fede in lui: allora conoscerete che io sono ... Sarà l’agire del Padre, che sul calvario dirà chi è il Figlio; sarà il Padre a confermare che il Figlio non ha fatto nulla da se stesso e ha portato a termine l’opera che gli ha affidato (5,30.36); e sarà ancora il Padre a sigillare, innalzando il Figlio nella gloria, che il Figlio suo ha solo detto quello che Egli gli ha insegnato. Perciò è vero quanto disse un giorno Gesù: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato» (7,16).
Le parole di Gesù sono state davvero solenni; molti dei suoi uditori ne hanno percepito l’importanza e credettero in lui (8,30). Ma si tratta di vera fede? Ebbene, Gesù passerà ora al vaglio la loro fede, per poterli davvero liberare dalla loro situazione di peccato.

Colui che mi ha mandato è con me: Bibbia di Navarra: «Colui che mi ha mandato»: è un’espressione che si rinviene assai di frequente nel Vangelo di san Giovanni per indicare Dio Padre (cfr Gv 5,37; 6,44; 7,28; 8,16).
I Giudei che ascoltavano Gesù non capivano a chi il Signore si riferisse nel dire “colui che mi ha mandato”; san Giovanni però, narrando l’episodio, spiega che Cristo parla di Dio Padre, dal quale procede.
«Parlava loro del Padre»: è la lettura proposta dalla maggior parte dei codici greci. Tra cui quelli più importanti. Altri codici e alcune versioni, come la Vulgata, leggono “chiamava Dio Padre suo”.
«Le cose che ho udito da lui»: Gesù ha del Padre una conoscenza connaturale, ed è alla luce di tale conoscenza che parla agli uomini; non conosce per rivelazione o per ispirazione, come i profeti o gli autori sacri, ma secondo una modalità infinitamente superiore. Perciò può affermare che nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare (cfr Mt 11,27).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Cristo rivela il Padre. Mediante lui il Padre diventa presente nel mondo umano.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Il tuo aiuto, Dio onnipotente, ci renda perseveranti nel tuo servizio, perché anche nel nostro tempo la tua Chiesa si accresca di nuovi membri e si rinnovi sempre nello spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

  



8 Aprile 2019


Lunedì V Settimana di Quaresima


Oggi Gesù ci dice: “Io sono la luce del mondo,  chi segue me avrà la luce della vita.” (Gv 8,12 - Acclamazione al Vangelo).

Vangelo - Dal Vangelo secondo Giovanni 8,12-20: Le parole di Gesù lo autorivelano come luce del mondo e come Dio: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero. I farisei non conoscendo Gesù automaticamente si accusano di non conoscere il Padre, perché Gesù e il Padre sono una cosa sola (cfr. Gv 10,30).

Io Sono la luce del mondo - I farisei provano astio verso Gesù perché comprendono bene le sue affermazioni. Innanzi tutto, Io Sono è la stessa espressione con la quale Dio si rivelò agli Israeliti, quando inviò Mosè a liberarli dal paese di Egitto (Es 3,14). Proclamarsi luce del mondo nel contesto della festa delle Capanne assume, infine, un significato particolarissimo. Alla sera dell’ultimo giorno della festa delle Capanne, il popolo con una grandiosa luminaria, faceva memoria della nube luminosa che aveva accompagnato Israele nel deserto. Era il segno della presenza del Signore, Luce di Israele, che di notte indicava la via da percorrere (Es 13,20-22). Ma non era solo memoria di un passato, era anche un’esperienza perenne per il popolo eletto: «È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce» (Sal 36,9); ed era anche struggente attesa (cfr. Mt 4,16), e  Gesù da Simeone era stato indicato «luce per illuminare le genti» (Lc 2,32). In questo contesto, appare chiaro che Gesù era cosciente di portare a compimento le antiche profezie e che sarà la sua luce a fugare le tenebre in chi lo accoglie. I farisei vogliono prove, e soltanto una testimonianza solida, così come sta scritto nella loro Legge, può provare la sincerità delle affermazioni di Gesù. I farisei non possono penetrare il mistero di Gesù, il Figlio di Dio, perché non conoscono il Padre, non conoscono Gesù, il Figlio di Dio, perché giudicano secondo la carne. I farisei sono nell’errore perché giudicano Gesù dall’apparenza, che è quella di un uomo comune; «essi non vedono risplendere nella carne la gloria del Figlio di Dio» (sant’Agostino) perché accecati dall’odio e dalla vanagloria. Un errore che si perpetua ancora oggi in molte menti che credono di essere illuminate.

Io Sono - Catechismo della Chiesa Cattolica 211: Il nome divino «Io Sono» o «Egli È» esprime la fedeltà di Dio il quale, malgrado l’infedeltà degli uomini e il castigo che il loro peccato merita, «conserva il suo favore per mille generazioni» (Es 34,7). Dio rivela di essere «ricco di misericordia» (Ef 2,4) arrivando a dare il suo Figlio. Gesù, donando la vita per liberarci dal peccato, rivelerà che anch’egli porta il nome divino: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che “Io Sono”» (Gv 8,28).

Io Sono la luce del mondo - Henri van de Bussche (Giovanni): La disputa incominciata durante la festa dei Tabernacoli continua. Di nuovo (palin, cfr. 8,12) è la saldatura abituale. Più di un elemento delle discussioni precedenti ritornano sul tappeto. E la discussione arriva a un punto tale che i limiti della rivelazione velata sono quasi superati.
Gesù si rivela come l’Io sono, come il Figlio del Padre, come l’Io-sono-da-tutta-l’eternità. Ma Gesù non va al di là di ciò che è possibile in questo stadio della rivelazione?
In realtà un velo ricopre ancora questa rivelazione personale, perché essa è fatta per via di enigmi. D’altronde la rivelazione totale non si verificherà se non al momento in cui Gesù non pronuncerà più nessuna parola ma apparirà nel suo corpo spezzato, nella gloria del Padre. Sarà anche il momento in cui l’accecamento dei Giudei raggiunge il suo parossismo. Senza sosta si rimprovera ad essi il loro peccato, la mancanza di fede. Essi si gloriano di essere della discendenza di Abramo, ma Gesù dimostra che sono figli delle tenebre, a servizio della menzogna, del delitto e di Satana.
Il torneo si fa sempre più aspro. I contrasti si susseguono. I giudei vogliono uccidere Gesù, ma egli se ne va quando vuole. Se essi lo uccidono, moriranno. L’accusano di peccato, lui e il cieco che egli ha guarito; in realtà sono essi stessi divorati dai peccati. Lo destinano alle più grandi profondità dell’inferno, mentre egli è venuto dall’alto e vi ritorna. L’elenco dei contrasti può essere facilmente completato; il commento vi tornerà. Questo gioco di opposizioni aumenta il cupo presentimento di ciò che sta per accadere. Ma la paura di una tragedia pesa più sulla sorte del giudaismo che su quella di Gesù. Perché Gesù domina la lotta. Le sue prime parole sono: lo vado ... e la sua ultima parola: prima che Abramo fosse, Io sono (da tutta l’eternità)! Il torneo non pone nessun problema alla giuria. Si tramano progetti omicidi. Ma Gesù se ne va lui stesso, e quando vuole. Giovanni mette l’accento sul pronome: Io. I giudei che ora cercano di uccidere Gesù, lo cercheranno più tardi senza trovarlo. Sono alla ricerca di Iahvé e non lo hanno riconosciuto in Gesù. Continueranno a cercare Dio in un Messia che non verrà mai più. La loro ricerca sarà un fallimento. Per loro colpa.

Gesù è Dio - Catechismo della Chiesa Cattolica 653: La verità della divinità di Gesù è confermata dalla sua risurrezione. Egli aveva detto: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono» (Gv 8,28). La risurrezione del Crocifisso dimostrò che egli era veramente «Io Sono», il Figlio di Dio e Dio egli stesso. San Paolo ha potuto dichiarare ai Giudei: «La promessa fatta ai nostri padri si è compiuta, poiché Dio l’ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel salmo secondo: Mio Figlio sei tu, oggi ti ho generato» (At 13,32-33). La risurrezione di Cristo è strettamente legata al mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio. Ne è il compimento secondo il disegno eterno di Dio.

Chiunque crede in Cristo non rimane nelle tenebre - Catechismo della Chiesa Cattolica 2466: In Gesù Cristo la verità di Dio si è manifestata interamente. Pieno di grazia e di verità, egli è la «luce del mondo» (Gv 8,12), egli è la verità. Chiunque crede in lui non rimane nelle tenebre. Il discepolo di Gesù rimane fedele alla sua parola, per conoscere la verità che fa liberi e che santifica. Seguire Gesù è vivere dello Spirito di verità che il Padre manda nel suo nome e che guida «alla verità tutta intera» (Gv 16,13). Ai suoi discepoli Gesù insegna l’amore incondizionato della verità: «Sia il vostro parlare sì, sì; no, no» (Mt 5,37).

Cristo, luce del mondo - A. Feuillet e P. Grelot: 1. Compimento della promessa. - Nel Nuovo Testamento la luce escatologica promessa dai profeti è diventata realtà: quando Gesù incomincia a predicare in Galilea, si compie l’oracolo di Is 9,1 (Mt 4,16). Quando risorge secondo le profezie, si è per «annunziare la luce al popolo ed alle nazioni pagane» (Atti 26,23). Perciò i cantici conservati da Luca salutano in lui sin dall’infanzia il sole nascente che deve illuminare coloro che stanno nelle tenebre (Lc 1,78 s; cfr. Mal 3,20; Is 9,1; 42,7), la luce che deve illuminare le nazioni (Lc 2,32; cfr. Is 42,6; 49,6). La vocazione di Paolo, annunziatore del vangelo ai pagani, si inserirà nella linea degli stessi testi profetici (Atti 13,47; 26,18).
2. Cristo rivelato come luce. - Tuttavia vediamo che Gesù si rivela Come luce del mondo soprattutto con i suoi atti e le sue parole.
Le guarigioni di ciechi (cfr. Mc 8,22-26) hanno in proposito un significato particolare, come sottolinea Giovanni riferendo l’episodio del cieco nato (Gv 9). Gesù allora dichiara: «Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo» (9,5). Altrove commenta: «Chi mi segue non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (8,12); «io, la luce, sono venuto nel mondo affinché chiunque crede in me non cammini nelle tenebre» (12,46). La sua azione illuminatrice deriva da ciò che egli è in se stesso: la parola stessa di Dio, vita e luce degli uomini, luce vera che illumina ogni uomo venendo in questo mondo (1,4.9). Quindi il dramma che si intreccia attorno a lui è un affrontarsi della luce e delle tenebre: la luce brilla nelle tenebre (1,4), ed il mondo malvagio si sforza di spegnerla, perché gli uomini preferiscono le tenebre alla luce quando le loro opere sono malvagie (3,19). Infine, al momento della passione, quando Giuda esce dal cenacolo per tradire Gesù, Giovanni nota intenzionalmente: «Era notte» (13,30); e Gesù, al momento del suo arresto, dichiara: «È l’ora vostra, ed il potere delle tenebre» (Lc 22, 53).
3. Cristo trasfigurato. - Finché Gesù visse quaggiù, la luce divina che egli portava in sé rimase velata sotto l’umiltà della carne. C’è tuttavia una circostanza in cui essa divenne percepibile a testimoni privilegiati, in una visione eccezionale: la trasfigurazione. Quel volto risplendente, quelle vesti abbaglianti come la luce (Mt 17,2 par.), non appartengono più alla condizione mortale degli uomini: sono un’anticipazione dello stato di Cristo risorto, che apparirà a Paolo in una luce radiosa (Atti 9,3; 22,6; 26,13); provengono dal simbolismo proprio delle teofanie del VT. Di fatto la luce che risplendette sulla faccia di Cristo è quella della gloria di Dio stesso (cfr. 2Cor 4,6): in qualità di Figlio di Dio egli è «lo splendore della sua gloria» (Ebr 1,3). Così, attraverso Cristo-luce, si rivela qualcosa della essenza divina. Non soltanto Dio «dimora in una luce inaccessibile» (1Tim 6,16); non soltanto lo si può chiamare «il Padre degli astri» (Giac 1,5), ma, come spiega S. Giovanni, «egli stesso è luce, ed in lui non ci sono tenebre» (1Gv 1,5). Per questo tutto ciò che è luce proviene da lui, dalla creazione della luce fisica nel primo giorno (cfr. Gv 1, 4) fino alla illuminazione dei nostri cuori ad opera della luce di Cristo (2Cor 4,6). E tutto ciò che rimane estraneo a questa luce appartiene al dominio delle tenebre: tenebre della notte, tenebre dello sheol e della morte, tenebre di Satana.

Diffondere Cristo, Luce delle genti .- Benedetto XVI (Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2009): Alle Chiese antiche come a quelle di recente fondazione ricordo che sono poste dal Signore come sale della terra e luce del mondo, chiamate a diffondere Cristo, Luce delle genti, fino agli estremi confini della terra. La missio ad gentes deve costituire la priorità dei loro piani pastorali [...]. La spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità delle nostre Chiese (cfr. Redemptoris missio, 2). È necessario, tuttavia, riaffermare che l’evangelizzazione è opera dello Spirito e che prima ancora di essere azione è testimonianza e irradiazione della luce di Cristo (cfr. Redemptoris missio, 26) da parte della Chiesa locale, la quale invia i suoi missionari e missionarie per spingersi oltre le sue frontiere. Chiedo perciò a tutti i cattolici di pregare lo Spirito Santo perché accresca nella Chiesa la passione per la missione di diffondere il Regno di Dio e di sostenere i missionari, le missionarie e le comunità cristiane impegnate in prima linea in questa missione, talvolta in ambienti ostili di persecuzione. Invito, allo stesso tempo, tutti a dare un segno credibile di comunione tra le Chiese, con un aiuto economico, specialmente nella fase di crisi che sta attraversando l’umanità, per mettere le giovani Chiese locali in condizione di illuminare le genti con il Vangelo della carità. Ci guidi nella nostra azione missionaria la Vergine Maria, stella della Nuova Evangelizzazione, che ha dato al mondo il Cristo, posto come luce delle genti, perché porti la salvezza “sino all’estremità della terra” (At 13,47).

 Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “Io sono la luce del mondo,  chi segue me avrà la luce della vita.” (Gv 8,12 - Acclmazione al Vangelo). 
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che con il dono del tuo amore ci riempi di ogni benedizione, trasformaci in creature nuove, per esser preparati alla Pasqua gloriosa del tuo regno. Per il nostro Signore Gesù Cristo...



7 Aprile 2019

V Domenica di Quaresima

Oggi Gesù ci dice: “Ritornate a me con tutto il cuore, perché io sono misericordioso e pietoso” (Gl 2,12-13 - Acclamazione al Vangelo).

I Lettura - Is 43,16-21: Il vaticinio è rivolto a Israele, popolo «sordo» e «cieco» (Cf. Is 43,8), perché si affranchi dalla paura e si apra alla speranza. La «cosa nuova» che Dio sta preparando per il suo popolo è la fine della prigionia. Con potenza Dio trasformerà interiormente Israele e lo renderà capace di dargli gloria: «Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi». Come Dio, ai tempi dell’esodo, rese asciutto il Mar Rosso per far transitare Israele, così ora aprirà «nel deserto una strada»; immetterà «fiumi nella steppa», che serviranno a dissetare il suo popolo. Il Signore Dio, per tale prodigio, sarà glorificato dalle bestie selvatiche della steppa e lodato dal suo popolo. Tale unisono di lodi sta a significare che la salvezza del popolo eletto coinvolge l’intero universo.

Salmo Responsoriale - Dal Salmo 125 (126): «Per la messe materiale come per quella spirituale sono necessarie fatiche e sudori; è per questo che Dio rende stretta e angusta la via che conduce alla virtù (Cf. Mt 7,14). E come l’acqua è necessaria per far crescere la messe, così le lacrime servono alla virtù; come l’aratro è necessario per la terra, così giovano all’anima fedele le tentazioni e le afflizioni che la lacerano. Il profeta quindi vuol dire che dobbiamo ringraziare Dio non solo per il ritorno ma anche per la prigionia. E come il seminatore non si rattrista ma pensa alla messe futura, quando siamo nell’afflizione non tormentiamoci ma pensiamo che ciò ci procurerà un gran bene» (San Giovanni Crisostomo).

II Lettura - Fil 3,8-14: Agli eterni litigiosi, Giudei e Giudeo-cristiani, incapaci di staccarsi dall’osservanza della Legge, Paolo dichiara che per lui ormai conta solo Gesù Cristo, la sua «sublime conoscenza», la fede in lui, «la comunione alle sue sofferenze... nella speranza di giungere alla risurrezione dei morti». Paolo poggia la speranza di giungere alla risurrezione dei morti su due preziosi elementi: da una parte, perché, per pura benevolenza, è stato conquistato da Cristo Gesù; dall’altra lui, l’apostolo, si sforza di correre «verso la mèta» per conquistare Cristo. Una somma di sforzi: tutto è grazia, tutto è generosa adesione umana.

Vangelo - Dal Vangelo secondo Giovanni 8,1-11: Da molti esegeti, per motivi di critica testuale e letteraria, la storia dell’“adultera perdonata” è ritenuta un masso erratico proveniente dalla tradizione sinottica. La pericope, al di là della questione dell’adulterio, mette in risalto la misericordia di Gesù perfettamente in sintonia con l’amore misericordioso del Padre celeste: «Io non godo della morte del malvagio, ma che il malvagio si converta dalla sua malvagità e viva» (Ez 33,11). Gesù non è venuto «per condannare il mondo, ma per salvare il mondo» (Gv 12,47; Cf. Gv 8,15): l’invito perentorio rivolto alla donna adultera di non peccare più è una forte spinta a uscire fuori dalla miseria del peccato per incominciare una vita nuova. In questa luce, il racconto giovanneo, è un appello rivolto a tutti gli uomini perché, smettendo di giudicarsi a vicenda, sentano il bisogno di essere salvati da Dio.

«Relicti sunt duo, misera et misericordia» (Sant’Agostino) - Nel tentativo di cogliere in fallo Gesù, i farisei e gli scribi si servono di un sotterfugio: gli trascinano dinanzi una donna colta in flagrante adulterio. Solo un espediente, ma non si fanno scrupolo di esporre la povera sventurata al dileggio della folla. Ciechi tutori della Legge, non si rendono conto che è mostruoso amministrare la giustizia calpestando la dignità della persona umana nella quale, come maestri della Parola, avrebbero dovuto cogliere l’immagine di Dio secondo cui era stata creata (Cf. Gen 1,27).
«La dignità umana si radica nella creazione ad immagine e somiglianza di Dio. Dotata di un’anima spirituale e immortale, d’intelligenza e di libera volontà la persona umana è ordinata a Dio e chiamata, con la sua anima e il suo corpo, alla beatitudine eterna» (Catechismo della Chiesa Cattolica, Compendio 358).
Come verità fondamentale, ma non soltanto per i credenti, «la giustizia sociale non può essere ottenuta se non “nel rispetto della dignità trascendente dell’uomo”, perché la persona umana rappresenta sempre lo scopo ultimo verso cui è orientata la società» (Catechismo della Chiesa Cattolica 1929).
La stima della persona umana implica sempre «il rispetto dei diritti che scaturiscono dalla sua dignità di creatura. Questi diritti sono anteriori alla società e ad essa si impongono. Essi sono il fondamento di ogni autorità: una società che li irrida o rifiuti di riconoscerli nella propria legislazione positiva, mina la propria legittimità morale. Se manca tale rispetto, un’autorità non può che appoggiarsi sulla forza o sulla violenza per ottenere l’obbedienza dei propri sudditi» (Catechismo della Chiesa Cattolica 1930). E ancora, il rispetto della persona umana «non può assolutamente prescindere dal rispetto di questo principio: “I singoli” devono “considerare il prossimo, nessuno eccettuato, come un altro se stesso, tenendo conto della sua vita e dei mezzi necessari per viverla degnamente”» (Catechismo della Chiesa Cattolica 1931). Calpestando questo principio fondato sulla carità, nessuna legislazione «sarebbe in grado, da se stessa, di dissipare i timori, i pregiudizi, le tendenze all’orgoglio e all’egoismo, che ostacolano l’instaurarsi di società veramente fraterne. Simili comportamenti si superano solo con la carità, la quale vede in ogni uomo un “prossimo”, un fratello» (Catechismo della Chiesa Cattolica 1931).
I farisei avvelenati dalla legge del taglione «occhio per occhio, dente per dente» (Es 21,23) sono incapaci di amare: avrebbero dovuto sentire il dovere di farsi prossimo per quella sventurata donna perché bisognosa di tutto; avrebbero dovuto capire che invece delle pietre aveva bisogno di amore perché bisognosa di un aiuto sincero per ritrovare la via della conversione; aveva bisogno che le indicassero la Via (Cf. Gv 14,6) per ritornare tra le braccia del Padre.
Gli antichi erano soliti scrivere sui sepolcri Sit tibi terra levis (la terra ti sia lieve). Parole che a volte, in tono scherzoso, si usavano per dire: Va’! i tuoi errori, i fastidi che ci hai dato siano perdonati.
I farisei non volevano rinunciare a questo rito, ma c’era un problema: l’adultera era viva e la tomba vuota. Urgeva quindi ammazzare la donna e poi vergare, forse con mano tremula, sulla tomba Sit tibi terra levis. Ipocrita perdono postumo: una prassi che è diventata abitudine e che ha messo profonde radici nel cuore di molti!

Felipe F. Ramos (Il Vangelo secondo Giovanni): I dottori della legge e i farisei avevano tutto da guadagnare. Gesù poteva pronunziarsi per l’applicazione della legge, e, in questo caso, come è stato detto molte volte, la sua fama di uomo compassionevole e misericordioso sarebbe crollata. Vi era però qualcosa di più serio e più compromettente. Sotto l’amministrazione dell’impero romano, i giudei avevano perso il diritto d’applicare la pena di morte (v. Gv 18,31). Un parere a favore dell’applicazione della legge avrebbe compromesso seriamente Gesù davanti alle autorità romane, come se avesse voluto intromettersi nell'amministrazione di quella provincia dell’impero.
Nel caso contrario, cioè nel caso che Gesù si fosse pronunziato contro la legge, la situazione - tenendo conto della sua missione - sarebbe stata non meno imbarazzante. Con quale diritto esponeva la legge un uomo che pronunziava contro le sue disposizioni? Con quale autorità si presentava al popolo come maestro? E quanto, siano minori i diritti con cui poteva avanzare qualsiasi pretesa messianica!

Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra  - Giuseppe Segalla (Giovanni): tracciava dei segni per terra: al v. 8 è detto «scriveva». Tra le diverse soluzioni, talora molto ingegnose, ma poco probabili, ne ricordiamo solo due: o è un gesto di disinteresse e di imperturbabilità, di cui vengono portati anche esempi dalla letteratura araba [E. POWER, Writing on the Ground (Joh. 8,6.8), Biblica 2 (1921) 54-57] oppure, e questo mi sembra più probabile, è un gesto simbolico che richiama concretamente Gr 17,13: «Sulla terra verrà scritto chi ti abbandona, perché ha abbandonato il Signore, la sorgente di acqua viva». Non quindi ai peccati, ma ai peccatori si riferirebbe e questo sarebbe conforme al contesto di carattere profetico.

Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo - Silvano Fausti (Una Comunità legge il Vangelo di Giovanni): rimase solo e la donna che era nel mezzo. La donna era stata posta nel mezzo dagli zelanti della legge che condanna. Ora essa rimane sola con il solo Gesù, nel mezzo della sconfinata misericordia di Dio. Il peccato è il luogo dove si manifesta la sovrabbondanza della sua grazia (cf. Rm 5,20).
Dice Agostino: «Sono rimasti due: la misera e la misericordia». Alla fine ciò che rimane di ogni uomo è l’incontro della propria miseria con la misericordia di Dio.
Maggiore è l’abisso del peccato, maggiore è l’amore che si riceve e la conoscenza di Dio e di sé che si ottiene.
E maggiore sarà la capacità di amare (cf. Lc 7,42b.43a).
Gesù, l’unico senza peccato, non se ne va. Rimane con la peccatrice: è il Figlio, misericordioso come il Padre. Se condanna il peccato perché è e fa male, assolve e ne slega il peccatore perché lo ama.
C’è in ciascuno di noi la parte adultera e la parte di chi vuoi lapidarla. Invece di lapidarla, bisogna riconoscersi in essa: è il luogo d’incontro con il Signore.

«Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?» - Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): Il racconto dà l’impressione che neppure si sia accorto che se ne sono andati via tutti, perché, rialzandosi, chiede: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?», Quella risponde: «Nessuno, Signore».
Allora Gesù, che già si era presentato come il realizzatore delle Scritture (7,38), come colui che porta a compimento una Legge che è stata data per la vita, non per la morte (Dt 30,15-20), si trova in situazione di dare alla Legge la possibilità di raggiungere il suo scopo. Non nega la colpevolezza della donna.
Sa che è sotto la condanna della Legge. Secondo la norma della Legge è già morta. Ma le ridà la vita. Annulla la condanna, non la norma della Legge. Alla donna infatti dice: «Va’ e non peccare più» (8,11). L’aveva già detto al rattrappito guarito presso la piscina di Betzatà: «Non peccare più perché non ti accada di peggio» (5,14).
L’immagine di Gesù è davvero solenne. Egli di nuovo appare come colui che toglie il peccato del mondo (1,20), come colui che è venuto non per condannare, ma per salvare e dare la vita eterna (3,16-17).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (Vangelo).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Vieni in nostro aiuto, Padre misericordioso, perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità, che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi. Egli è Dio e vive e regna con te...



6 Aprile 2019

 Sabato della IV Settimana di Quaresima


Oggi Gesù ci dice: Beati coloro che custodiscono la parola di Dio con cuore integro e buono e producono frutto con perseveranza.” (Cfr. Lc 8,15 - Acclamazione al Vangelo).

Dal Vangelo secondo Giovanni 7,40-53: Due sono gli attori di questa pericope evangelica: l’incredulità del popolo, e l’albagia dei sacerdoti e dei farisei. Era nato un dissenso tra la gente, e forse approfittando di questa confusione, i sacerdoti e i farisei tentano di arrestare Gesù. Ma l’“ora” non è ancora giunta e “nessuno mise le mani su di lui”. A fronte di tanto ardire da parte del Sinedrio si oppone la semplicità della guardie che erano state mandate ad arrestare Gesù, e la saggezza di Nicodemo.
La semplicità delle guardie e la loro constatazione, Mai un uomo ha parlato così!, e l’appello di Nicodemo, La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?, avrebbero potuto far cambiare idea ai sinedriti, ma tant’è, l’orgoglio è una gabbia di ferro e quando cattura l’intelligenza dell’uomo la ottenebra, rendendo temerari i giudizi, e menzogneri i propositi e le parole.
La risposta sprezzante dei sinedriti a Nicodemo, Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!, è dettata dal fatto che comunemente si credeva che il Messia si sarebbe manifestato improvvisamente e senza equivoci, ma prima di tale manifestazione egli sarebbe stato completamente nascosto e sconosciuto. Di Gesù, invece, erano ben note a tutti le sue origini galilaiche: egli pertanto non poteva essere il Messia. I pregiudizi rendono ciechi le guide spirituali del popolo eletto, i loro occhi non vedono e le loro menti, vasi colmi d’ira, partoriscono progetti infami: vogliono uccidere Gesù, ma non sanno che tutto, anche la morte in croce del Figlio di Dio, entra nel progetto salvifico di Dio. L’ora di Gesù non è nelle mani degli uomini, ad essi compete scrutare sapientemente, e, abbandonando pregiudizi e menzogne, accogliere con fede l’amore del Padre. Ignorando colpevolmente la volontà e il progetto di Dio, i sacerdoti e i farisei vanno dritti verso il loro obiettivo, e presto Giuda, uno dei Dodici, aprirà loro un varco per mettere le mani su Gesù e tradurlo dinanzi a un tribunale.

Costui è davvero il profeta! - Silvano Fausti (Una Comunità legge il Vangelo di Giovanni): questi è veramente il profeta (cf. 4,19). Qui c’è un primo riconoscimento di Gesù
come «il profeta», promesso da Mosè, al quale dare ascolto (cf. Dt 18,15-18): infatti dice la parola di Dio. La prima cosa da capire in una persona è la sua parola: se è in nome di Dio, dice la verità che dà vita; se è falso profeta, come il serpente, dice la menzogna che dà morte.
v.41: questi è il Cristo (cf. 4,29). Un secondo livello di conoscenza di Gesù è riconoscerlo non solo come il profeta che parla in nome di Dio, ma anche come il Cristo, che compie ogni sua parola, realizzando il Regno promesso. Il titolo di Cristo va oltre quello di profeta: il Cristo non solo dice la Parola, per altro sempre inascoltata, ma la compie, restituendo l’uomo alla sua verità. Vince infatti il male che la Parola denuncia e fa il bene che essa annuncia.
viene forse dalla Galilea il Cristo? È l’obiezione dei giudei ai primi cristiani: il Messia è dalla Giudea, dalla casa di Davide (cf. 2Sam 7,lss). Gesù in realtà è dalla Giudea, anche e i suoi abitavano a Nazaret (cf.4,9; Mt 1,1 ;2,22s; Lc 1,27; 2,1-11;2,39).

Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno mise le mani su di lui: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 14 gennaio 1998): La grande ora nella storia del mondo è quella in cui il Figlio dà la vita, facendo udire la sua voce salvatrice agli uomini che sono sotto il dominio del peccato. È ‘ora della redenzione. Tutta la vita terrena di Gesù è orientata verso quest’ora [...]. Quest’ora drammatica è voluta e determinata dal Padre. Prima dell’ora scelta dal disegno divino, i nemici non possono impadronirsi di Gesù. Parecchie volte si è tentato di fermare Gesù o di ucciderlo. Riportando uno di questi tentativi, il Vangelo di Giovanni pone in luce l’impotenza degli avversari: “Cercarono di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettergli le mani addosso, perché non era ancora giunta la sua ora” (7,30). Quando l’ora viene, appare anche come l’ora dei nemici. “Questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre”, dice Gesù a “coloro che gli eran venuti contro, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani” (Lc 22,52-53). In quest’ora buia sembra che il potere erompente del male non possa essere fermato da nessuno. E tuttavia anche quest’ora rimane sotto il potere del Padre. Sarà Lui a permettere ai nemici di Gesù di catturarlo. La loro opera si inscrive misteriosamente nel piano stabilito da Dio per la salvezza di tutti.  Più che l’ora dei nemici, l’ora della passione è dunque l’ora di Cristo, l’ora del compimento della sua missione. Il Vangelo di Giovanni ci fa scoprire le disposizioni intime di Gesù all’inizio dell’ultima Cena: “Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1). È dunque l’ora dell’amore, che vuole andare “sino alla fine”, cioè fino al dono supremo. Nel suo sacrificio, Cristo ci rivela l’amore perfetto: non avrebbe potuto amarci più profondamente!

Gesù conosceva la sua “ora” - Paolo VI (Udienza Generale, 17 febbraio 1971): Nessun mortale può misurare il tempo che gli rimane da vivere, né sapere quante e quali sofferenze dovrà sopportare. Invece Gesù sapeva. Possiamo farci un’idea della psicologia d’un uomo che prevede nettamente un martirio morale e fisico, quale Gesù sopportò? Egli predisse più volte, in momenti di traboccante coscienza, la sua passione ai suoi discepoli; la narrazione evangelica è piena di queste confidenze profetiche, che dimostrano la straziante prescienza di Gesù circa il destino che lo attendeva (cfr. Mc. 8,31; 9,31; 10,33ss.). Egli conosceva l’«ora sua»; questa dell’«ora sua» sarebbe una meditazione interessantissima per penetrare un po’ nell’animo di Cristo; l’evangelista Giovanni vi dedica indicazioni frequenti e preziose (cfr. Gv  2,4; 7,30; 12,23; 13,1; 17,1); Cristo, si direbbe, ha continuamente davanti a sé l’orologio del tempo futuro, e di quello presente riferito ai cicli misteriosi degli avvenimenti visti da Dio; le profezie del passato e quelle del futuro sono un libro aperto davanti al suo occhio divino (cfr. Vangelo di S. Matteo; Gv 13,18; 15,25; Lc 24, 25; ecc.).

L’Ora di Gesù e il dono dello Spirito Santo - Catechismo della Chiesa Cattolica 729-730: Solo quando giunge l’Ora in cui sarà glorificato, Gesù promette la venuta dello Spirito Santo, poiché la sua morte e la sua risurrezione saranno il compimento della Promessa fatta ai Padri: lo Spirito di verità, l’altro sarà donato dal Padre per la preghiera di Gesù; sarà mandato dal Padre nel nome di Gesù; Gesù lo invierà quando sarà presso il Padre, perché è uscito dal Padre. Lo Spirito Santo verrà, noi lo conosceremo, sarà con noi per sempre, dimorerà con noi; ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà tutto ciò che Cristo ci ha detto e gli renderà testimonianza; ci condurrà alla verità tutta intera e glorificherà Cristo; convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. Infine viene l’Ora di Gesù: Gesù consegna il suo spirito nelle mani del Padre nel momento in cui con la sua morte vince la morte, in modo che, «risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre» (Rm 6,4), egli dona subito lo Spirito Santo «alitando » sui suoi discepoli. A partire da questa Ora, la missione di Cristo e dello Spirito diviene la missione della Chiesa: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20,21).

Allora Nicodemo... - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): v. 50 Quello che precedentemente era stato da Gesù; richiamo dell’evangelista al personaggio noto al lettore, perché di esso si era parlato al cap. 3. Nicodemo, che era un membro del sinedrio, non condivide la convinzione degli altri capi ebrei che hanno condannato indiscriminatamente una intera folla perché favorevole al Maestro
v. 51 La nostra Legge condanna forse un uomo senza averlo ascoltato...?; Nicodemo, fariseo ed esperto conoscitore della Legge, richiama testi espliciti di essa, nei quali è fatto divieto di condannare un imputato prima di interrogarlo e di stabilirne la colpevolezza (cf. Deuteronomio, 1, 16-17; 17, 4). «Senza averlo ascoltato?»; molti codici aggiungono: «senza prima averlo ascoltato?» (lettura seguita anche dalla Volgata: nisi prius audierit ab ipso).
v. 52 Forse anche tu sei galileo?; il rilievo di Nicodemo non trova una risposta adeguata; probabilmente i capi ebrei non desiderano affrontare una discussione giuridica con un esperto fariseo, qual era l’interlocutore. Essi preferiscono replicargli con un’insinuazione tagliente: Nicodemo ha parlato in tal modo perché forse è un galileo come Gesù. Studia e vedrai che dalla Galilea non esce il profeta; «studia», letteralmente: scruta, come Giov., 5, 39; i capi ebrei si fanno forti delle Scritture, secondo le quali il profeta non ha origine in Galilea. «Il profeta»; si può dire che la totalità dei documenti hanno la lettura senza l’articolo (vedrai che nessun profeta esce dalla Galilea), ma il papiro Bodmer II (P.8), insieme con la versione sahidica, pone l’articolo, il quale dà al testo un senso eccellente, conforme alla dichiarazione fatta al vers. 40.
v. 53 E se ne ritornaronociascuno a casa sua; il vers. 53 è un’annotazione descrittiva aggiunta dal redattore, il quale, vedendo che il vers. 52 concludeva in forma brusca il racconto e dovendo narrare l’episodio della donna adultera, ha ritenuto opportuno inserire una formula di transizione.

La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa? - Henri van den Bussche (Giovanni): Nicodemo fa una domanda piena di buon senso: in qual modo questi signori possono ingiuriare degli uomini per la loro ignoranza della Legge, se essi stessi non osservano la legge? ... Questo rilievo rafforza in modo inatteso l’accusa di Gesù in 7,19. Il dottore della legge ricorda loro il codice, la Legge stessa che prescrive che nessun accusato sia condannato senza essere stato ascoltato (Dt. 1,16; 17,4). L’inchiesta deve essere approfondita e imparziale.
L’osservazione di Nicodemo li irrita ancor di più. E rivolgono verso di lui le loro invettive. Imparziale? Perché deve prendere le difese di questo galileo? È forse anche lui della Galilea? Questa domanda racchiude tutto il disprezzo del borghese della buona società, orgoglioso e presuntuoso, per il popolo del nord semipagano, Nicodemo, che conosce così bene la Legge, studi dunque la Scrittura (5,39): non è mai uscito un profeta dalla Galilea e mai ne uscirà (il verbo si trova al presente: l’affermazione è sempre valida).
Certi esegeti moderni hanno dimostrato che questi conoscitori della Scrittura hanno commesso un errore: Giona ben Amittai era della Galilea (2 Re 14, 25). Noi abbiamo altri esempi della millanteria dei rabbini, quando affermano che ogni tribù e persino ogni città di Israele ha generato dei profeti. Tuttavia nelle attuali circostanze, anche se essi conoscono la Scrittura a memoria, possono essere spinti dalla loro rabbia a non tener conto di un caso unico.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “Mai un uomo ha parlato così!” (Vangelo).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Signore onnipotente e misericordioso, attira verso di te i nostri cuori, poiché senza di te non possiamo piacere a te, sommo bene. Per il nostro Signore Gesù Cristo...