5 Aprile 2019


Venerdì della IV Settimana di Quaresima


Oggi Gesù ci dice: “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.” (Cfr. Mt 4,4b - Acclamazione al Vangelo).


Dal Vangelo secondo Giovanni 7,1-2.10.25-30: La festa delle Capanne, molto frequentata dai contadini, si celebrava fra il 15-22 di Tsri (settembre - ottobre), e durava sette - otto giorni. Era la festa del ringraziamento per il raccolto e della implorazione della pioggia per la semina. Gesù partecipa alla festa, “non apertamente, ma quasi  di nascosto”. La sua presenza alla festa genera in “alcuni abitanti Gerusalemme” meraviglia in altri sconcerto, infatti Giovanni registra due opinioni discordanti: «I Giudei intanto lo cercavano durante la festa e dicevano: “Dov’è quel tale?”. E la folla, sottovoce, faceva un gran parlare di lui. Alcuni infatti dicevano: “È buono!”. Altri invece dicevano: “No, inganna la gente!”. Nessuno però parlava di lui in pubblico, per paura dei Giudei» (Gv 7,11-13).
Nessuno però parlava di Gesù in pubblico perché era “stata messa in atto da parte dei giudei una specie di terrore morale contro la popolarità dilagante di Gesù [9,22; 19,38; 201,9]” (Giuseppe Segalla, Giovanni). La stessa cosa capiterà anche alla prima comunità cristiana di origine giudaica.
Tanta miscredenza da parte dei giudei viene registrata da Giovanni anche al versetto 25: “Alcuni abitanti di Gerusalemme dicevano: «Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, eppure non gli dicono nulla. I capi hanno forse riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia»”.
Gesù insegna nel tempio, pur sapendo che i giudei lo cercavano di ucciderlo, e il suo insegnamento-rivelazione, una risposta palese ai dubbi di “alcuni abitanti di Gerusalemme” (cfr. v. 25), provoca un ennesimo contenzioso: i giudei, sempre in agguanto, con proditoria malvagità cercarono di arrestarlo, ma “nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora”, ma ormai il tempo è vicino, è l’ora di Gesù, la piena manifestazione della sua gloria (Gv 17,1ss), ma anche l’ora dei suoi nemici (Lc 22,53), la massima manifestazione del loro odio rabbioso.

Giuseppe Segalla (Giovanni): Il brano iniziale prepara i discorsi di controversia che seguono. Dopo una breve introduzione storico- geografica, tipica di Giovanni (7,1-2; cfr 4,1-3.43-45), si possono distinguere due parti: 1) Gesù e i fratelli (7,3-10); 2) le diverse reazioni alla presenza di Gesù a Gerusalemme (7,11-13). La prima parte con il tema del tempo stabilito dal Padre e dell’odio del mondo prepara a comprendere l’odio contro Gesù fino a volerlo sopprimere; la seconda parte, con i vari giudizi sulla persona di Gesù, prepara le controversie sulla sua messianità (Gv 7) e sulla salvezza escatologica, legata alla sua persona (Gv 8).

I giudei cercavano di ucciderlo - Catechismo degli Adulti 226-227: Da tempo Gesù si rendeva conto del rischio mortale. Ripetutamente aveva affermato che quanti si convertono al Regno vanno incontro a persecuzioni: a maggior ragione la stessa sorte sarebbe toccata a lui; tanto più che anche Giovanni Battista era stato ucciso, per ordine di Erode.
Nei Vangeli troviamo numerose predizioni di Gesù riguardo a un suo futuro di sofferenza: alcune sono allusive; tre sono piuttosto dettagliate, rese probabilmente più esplicite dai discepoli alla luce degli eventi compiuti.
Gesù dunque è consapevole del pericolo; ma gli va incontro con decisione: «Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore» (Mc 10,32). Il pericolo non indebolisce la sua fedeltà a Dio e non rallenta i suoi passi.
L’ostilità contro Gesù fu alimentata da quanti, senza comprenderne le opere e l’insegnamento, lo considerarono un sovvertitore della religione e un pericoloso agitatore di folle.
Gesù era consapevole della morte che lo attendeva, ma andò incontro ad essa con coraggio, per essere fedele a Dio.

Gesù insegnava - A. Barucq e P. Grelot: Cristo Dottore 1. Durante la vita pubblica di Gesù, l’insegnamento costituisce un aspetto essenziale della sua attività: egli insegna nelle sinagoghe (Mt 4,23 par.; Gv 6,59), nel tempio (Mt 21,23 par.; Gv 7,14), in occasione delle feste (Gv 8,20) ed anche quotidianamente (Mt 26,55). Le forme del suo insegnamento non differiscono da quelle usate dai dottori di Israele, ai quali si è mescolato nella sua giovinezza (Lc 2,46), che all’occasione riceve (Gv 3,1s.10) e che più di una volta lo interrogano (Mt 22,16s.36 par.). Quindi a lui, come ad essi, viene dato il titolo di rabbi, cioè maestro, ed egli l’accetta (Gv 13, 13), pur rimproverando agli scribi del suo tempo di ricercarlo, come se non ci fosse per gli uomini un solo maestro, che è Dio (Mt 23,7 s).
2. Tuttavia, se appare alle folle come un dottore tra gli altri, se ne distingue in diversi modi. Talvolta parla ed agisce come profeta. O ancora, si presenta come l’interprete autorizzato della legge, che porta alla perfezione (Mt 5,17). A tale riguardo egli insegna con un’autorità singolare (Mt 13,54 par.), a differenza degli scribi, così pronti a nascondersi dietro l’autorità degli antichi (Mt 7,29 par.). Inoltre la sua dottrina presenta un carattere di novità che colpisce gli uditori (Mc 1,27; 11,18), sia che si tratti del suo annuncio del regno, oppure delle regole di vita che egli dà: trascurando le questioni di scuola, oggetto di una tradizione che rigetta (cfr. Mt 15,1-9 par.), egli vuol far conoscere il messaggio autentico di Dio e portare gli uomini ad accoglierlo.
3. Il segreto di questo atteggiamento così nuovo sta nel fatto che, a differenza dei dottori umani, la sua dottrina non è sua, ma di colui che l’ha mandato (Gv 7,16s); egli dice soltanto Cciò che il Padre gli insegna (Gv 8,28).
Accogliere il suo insegnamento significa quindi essere docili a Dio stesso. Ma per giungere a tanto occorre una certa disposizione del cuore che inclina a compiere la volontà divina (Gv 7,17). Più profondamente ancora, bisogna aver ricevuto quella grazia interiore che, secondo la promessa dei profeti, rende l’uomo docile all’insegnamento di Dio (Gv 6, 44 s). Si tocca qui il mistero della libertà umana alle prese con la grazia: la parola di Cristo-dottore urta contro l’accecamento volontario di coloro che pretendono di veder Chiaro (cfr. Gv 9,39ss).

Le opinioni della gente - Catechismo degli Adulti 250: Già al suo tempo la gente, presa dallo stupore, si domandava: da dove gli viene questa autorità, questa potenza nell’operare e questa sapienza nel parlare? qual è la vera identità di quest’uomo? I discepoli stessi non finivano di meravigliarsi e si dicevano tra loro: «Chi è dunque costui?» (Mc 4,41).
Presto «il suo nome era diventato famoso» (Mc 6,14) e in Galilea si affermava sempre più, nell’opinione popolare, l’idea che Gesù fosse un grande profeta taumaturgo; tant’è vero che, in occasione dell’ingresso solenne a Gerusalemme, ai cittadini che chiedono spiegazioni la folla dei pellegrini galilei risponderà: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea» (Mt 21,11).
Per alcuni farisei era invece un falso profeta, posseduto da Satana, perché violava la legge e si intratteneva con i peccatori.

Giudeo incredulo secondo san Giovanni - Xavier Léon-Dufout: I vangeli parlano dei Giudei contemporanei di Gesù, sia il quarto che gli altri (ad es. Gv 3,1; 12,9). Tuttavia, al tempo in cui Giovanni scriveva, la Chiesa e la sinagoga costituiscono due comunità nettamente separate; il problema della Chiesa nascente alle prese con i Giudei non esiste più, se non nel quadro generale dell’incredulità del mondo nei confronti di Cristo. Per lo più il termine Giudeo non è una designazione etnica, ma un vocabolo teologico a base storica. Si tratta in prima linea dei Giudei che crocifissero Gesù, ma più profondamente, attraverso ad essi, di tutti gli increduli. Diversi indizi fanno vedere che Giovanni tende a fare del Giudeo il «tipo» dell’incredulo, una categoria del pensiero religioso. Nel suo vangelo si parla delle usanze e delle feste giudaiche come proprie di un popolo straniero (Gv 2,6.13; 5,1; 6,4; 7,2 ...); a differenza di Nicodemo (7,51), Gesù parla ai Giudei come ad estranei (8,17; 10,34; cfr. 7,19.22); ordinariamente il termine designa avversari di Gesù (2,18.20; 5,16.18; 6,41 ... ); e, viceversa, chiunque appartiene a Gesù o si preoccupa veramente di lui è trattato da nemico dei Giudei, anche se è di origine giudaica (5,15; 7,15 confrontato con 7,11; 1,19). «I Giudei» finiscono per essere, sotto la penna di Giovanni, un tipo della incredulità, il che implica un pericolo di utilizzazione antisemita del quarto vangelo. Una simile interpretazione non è certo convalidabile. Nella misura in cui si tratta dei Giudei che parteciparono alla crocifissione di Gesù, questi sono stati sostituiti dal mondo, diventato a sua volta persecutore dei discepoli di Cristo come Gesù è stato costituito giudice dei Giudei (19,13) che non hanno voluto riconoscerlo come loro re (19,14.19-22), Così il cristiano deve giudicare il mondo che lo vuole giudicare: per questo sente continuamente la testimonianza del Paraclito, il difensore di Gesù.

Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò - Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): alzò la voce; forse per far tacere chi l’aveva interrotto mentre insegnava, ma anche per controbattere quanto essi dicevano. Questo «alzare la voce» è segno di autorità: è il Maestro che parla; il Maestro che si rivela. Gesù non rinnega la sua origine umana, che del resto è sotto gli occhi di tutti. Solo nega che sia questa sua origine umana a caratterizzare la sua missione e a dare significato alla sua vita. Bisogna andare oltre. Per questo dice: «Io non sono venuto da me stesso, ma c’è veramente qualcuno che mi ha mandato e che voi non conoscete. Io invece lo conosco perché vengo da lui ed è lui che mi ha mandato» (7,28-29).
Il lettore cristiano potrebbe completare quello che Gesù dice con quanto ha già udito: Gesù è «colui che è disceso dal cielo» (3,12; 6,42); è «colui che viene dall’alto ... e dà testimonianza di ciò che ha visto e udito» (3,31. 32); l’origine vera di Gesù è in Dio (1,14.18).
Questo però non è il caso dei Gerosolimitani, che ora vengono accusati di non conoscere Dio, come in 5,37 i loro capi erano stati accusati di «non avere mai udito la sua voce, né avere mai visto il suo volto». L’accusa è molto forte e spiega la violenta reazione dell’uditorio (7,30). Eppure con queste sue parole Gesù, come in 5,37-40, indica il cammino per entrare nel mistero della sua persona. L’evangelista non si ripete, ma il senso è lo stesso: solo chi accetta quella conoscenza di Dio che viene dalle Scritture e per mezzo di essa si lascia ammaestrare da Dio (6,45) e condurre da lui (6,44), riconoscerà chi è veramente Gesù; se non c’è questa docilità a Dio, l’unica reazione possibile è di far tacere la sua voce: cercarono di catturarlo, ma ... la sua ora non era ancora venuta (7,30).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato.” (cfr. Salmo Responsoriale).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Padre santo, che nei tuoi sacramenti hai posto il rimedio alla nostra debolezza, fa’ che accogliamo con gioia i frutti della redenzione e li manifestiamo nel rinnovamento della vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo...  



4 Aprile 2019

Giovedì della IV Settimana di Quaresima


Oggi Gesù ci dice: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito; chiunque crede in lui ha la vita eterna.” (Cfr. Gv 3,16).

Dal Vangelo secondo Giovanni 5,31-47: L’unità tra il Padre e il Figlio consiste nella assoluta armonia che esiste tra l’attività del Padre e quella del Figlio, il che ovviamente esige radicalmente un’identità di natura. Il mistero delle Persone divine e del loro operare viene esplicitato in relazione alla salvezza: il Figlio, vero Dio e vero Uomo, si trova nel mondo per compiere l’opera del Padre, che è quella di portare agli uomini la salvezza. Il principio di questa comunanza di attività tra il Padre e il Figlio è l’amore: il credente che si fa raggiungere da questo amore riceve il dono immediato della vita e non incorre nel giudizio.

Gesù evoca tre testimoni, Giovanni il Battista mandato da Dio: Egli era la lampada che arde e risplende; i miracoli da lui compiuti: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato; e infine il Padre: E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. La testimonianza  del Padre, più che a un singolo avvenimento (come il battesimo o la trasfigurazione di Gesù) rimanda alla testimonianza  globale della sacra Scrittura: Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me (cfr. Lc 24,25-27: «[Gesù] Disse loro [ai discepoli di Emmaus]: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui).
Ma nonostante queste lapalissiane testimonianze, i giudei non credono, non credono colpevolmente per due motivi. Innanzitutto, perché non hanno mai ascoltato la voce del Padre né hanno mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in loro; infatti non credete a colui che egli ha mandato. E infine, perché non hanno in loro l’amore del Padre.
Il paradosso è che i giudei pur scrutando le Scritture, nelle quali pensano di avere la vita eterna, non riescono a cogliere che sono proprio esse che danno testimonianza di Gesù, come Colui che deve venire, il Cristo atteso da Israele.  Alla fine il testimone a carico che accuserà il popolo ebraico non sarà Gesù, ma sarà Mosè nel quale ripongono la loro speranza: «Non crediate che sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza. Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché egli ha scritto di me. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?».

I tre testimoni: Silvano Fausti (Una comunità legge il Vangelo di Giovanni): v. 35: egli era la lampada. Giovanni non è la luce (1,8), ma la lampada ravvivata dalla luce che diffonde.
voi non voleste rallegrarvi unora sola alla sua luce. Giovanni suscitò un grande entusiasmo, che subito si spense. La luce della sua testimonianza durò ben poco tra i suoi contemporanei. I figli di Abramo sono ben diversi da lui, che si «rallegrò» alla vista del giorno di Gesù, il Figlio (cf. 8,56): non visse per altro! I suoi figli invece cercano di ucciderlo.
v. 36: io ho la testimonianza più grande di Giovanni. Giovanni, secondo il suo desiderio, «diminuisce», perché lui cresca (cf. 3,30); così anche la sua testimonianza cede il posto ad una più grande.
le opere che il Padre mi ha dato perché le compia. Ciò che si fa, testimonia ciò che si è. Gesù compie le tesse opere del Padre! Suo cibo è fare la sua volontà: in lui, il Figlio, si compie la sua opera a favore degli uomini.
le stesse opere che faccio testimoniano di me, ecc. Queste opere sono i miracoli nei quali Gesù rivela che tanto Dio ha amato il mondo da dare il suo unico Figlio per salvarlo (3,16): rivelano Dio come Padre, lui come Figlio e noi come suoi fratelli amati.
v. 37: il Padre, che mi ha inviato, egli ha testimoniato di me. Dopo aver parlato del Battista e delle proprie opere, Gesù torna alla testimonianza dell’ Altro (v. 32). Il Padre ha testimoniato di lui non solo attraverso le sue opere di Figlio, come ha appena detto. Chi accoglie la Parola, dentro di sé ascolta la voce e vede il volto del Padre, che il Figlio è venuto a mostrarci. Questo avviene perché, se la Parola dimora in noi, il nostro cuore si illumina della sua verità: è la testimonianza interiore dello Spirito,concessa a chi ha in sé l’amore di Dio, che gli fa comprendere la Scrittura (vedi il v. 42). È quell’attrazione interiore del Padre (6,44), che rende l’uomo disponibile ad essere «teodidatta», discepolo di Dio (6,45). Secondo una tradizione ebraica, un israelita, prima di nascere, conosce già tutta la Bibbia a memoria e i suoi misteri gli sono chiari. Ma alla nascita un angelo, con una pressione sulla fossetta del mento, gli fa dimenticare tutto, perché abbia la gioia e il merito di riscoprirlo attraverso la Parola. C’è infatti nell’uomo una conoscenza e un amore virtuale della verità, che si risveglia all’ascolto della Parola: appena la sente, riconosce che lì sta di casa.
La stessa testimonianza degli uomini e della Scrittura è accolta come vera perché cade su un terreno fecondo: un cuore di figlio, che è nostalgia del Padre. Alla Parola esteriore sempre si accompagna un’attrazione interiore, che ci fa scoprire in essa la nostra verità nascosta.
né la voce mai avete udito, ecc. Quando fu data la legge, il popolo vide la gloria e udì la voce del Signore (Dt 5,24). Gesù rimprovera i suoi accusatori di non essere aperti alla rivelazione che è stata loro conce a. Si sono fermati alla parola, senza sentire a guardare chi parla. È una forma di autismo spirituale: chi guarda alla parola senza entrare in comunione con colui che parla, nega il senso primo della parola stessa.

Le Scritture - Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): Israele ha udito la voce di Dio il giorno del Sinai (Es cc. 19-20). Israele sempre l’ascolta, quando si proclamano le Scritture. C’è però il fatto che questa parola, in alcuni almeno dei contemporanei di Gesù, non si è radicata in essi (5,38), non l’hanno veramente accolta. Possono essere, come Nicodemo, maestri d’Israele, ma di fatto ignorano dove la parola di Dio li vuole portare. La loro indagine è attenta, rigorosa, amorosa, perché essi pensano di avere nelle Scritture o per mezzo di esse la vita eterna (5,39). Non le hanno mai comprese come un cammino verso colui che, accolto, dà la vita a chi vuole (5,21). Le hanno assolutizzate.
Come l’acqua del pozzo di Giacobbe, come quella della piscina di Betzatà, così le Scritture non sono la sorgente della vita, ma conducono verso colui che è, con il Padre, la Sorgente. È quanto vuole insegnare Gesù quando dice: «Le Scritture danno testimonianza di me, ma voi non volete venire a me per avere la vita» (5,39-40). Perché avviene ciò? Quali ostacoli ci possono essere in una persona per credere in Gesù e avere la vita? Gesù lo sa e con coraggio lo dice ai suoi interlocutori, e oggi a noi.

Cristo completa la Rivelazione Dei Verbum 4: Dopo aver a più riprese e in più modi, parlato per mezzo dei profeti, Dio « alla fine, nei giorni nostri, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,1-2). Mandò infatti suo Figlio, cioè il Verbo eterno, che illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e spiegasse loro i segreti di Dio (cfr. Gv 1,1-18). Gesù Cristo dunque, Verbo fatto carne, mandato come «uomo agli uomini», «parla le parole di Dio» (Gv 3,34) e porta a compimento l’opera di salvezza affidatagli dal Padre (cfr. Gv 5,36; 17,4). Perciò egli, vedendo il quale si vede anche il Padre (cfr. Gv 14,9), col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione che fa di sé con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l’invio dello Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna. L’economia cristiana dunque, in quanto è l’Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai, e non è da aspettarsi alcun’altra Rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo (cfr. 1Tm 6,14 e Tt 2,13).

Il Padre - Catechismo degli Adulti 328: Gesù, pur nella continuità con lAntico Testamento, ci dà unimmagine di Dio assolutamente nuova. Egli solo conosce il Padre nella sua identità più vera; egli solo lo può rivelare. Lo scopo supremo della sua missione è far conoscere agli uomini il suo nome, glorificarlo.
329 Attraverso di lui il Padre si manifesta come amore senza limiti. Ama non solo i giusti, i sofferenti e gli oppressi, ma anche i peccatori, gli oppressori e i bestemmiatori, perfino i crocifissori del suo Figlio. Li ama così come sono. Prende su di sé il peso dei loro peccati. Dà quanto ha di più caro, per salvarli: «Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8).
330 Gesù stesso riceve tutto dal Padre, anche ciò che gli appartiene più intimamente, le opere che compie, l’amore per i fratelli, la vita stessa: «Chi ha visto me ha visto il Padre... Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me» (Gv 14,9-11). Il Figlio viene dal Padre e va al Padre; e tutto in lui viene dal Padre come dono e torna incessantemente al Padre come lode, gratitudine o obbedienza. Chi accoglie Gesù partecipa alla sua vita filiale e riceve in sé lo Spirito che gli fa gridare: «Abbà, Padre!» (Rm 8,15). Allora conosce Dio in modo nuovo.
331 Il nome “Padre”, attribuito a Dio già nell’Antico Testamento, assume un significato ben più profondo, per il fatto che Dio si rivela nel Figlio unigenito e comunica agli uomini lo Spirito del suo Figlio. Con questo nuovo significato diventa il nome definitivo: «Il nome che conviene propriamente a Dio è quello di “Padre” piuttosto che di “Dio”... Dire “Dio” significa indicare il dominatore di tutte le cose; dire “Padre” significa invece raggiungere una proprietà intima... “Padre” è dunque in certo modo il nome più vero di Dio, il suo nome proprio per eccellenza».
332 Il termine “Padre” è analogico; indica il principio da cui il Figlio riceve tutto ciò che è e fa. In realtà Dio si colloca al di là delle differenze di sesso e riunisce in sé i valori della paternità e della maternità. È il Padre materno, autorità che responsabilizza e tenerezza accogliente. È comunque un soggetto personale, che pone davanti a sé altre persone e non un tutto indefinito, immergendosi nel quale ognuno perde la propria identità.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** «Le Scritture danno testimonianza di me, ma voi non volete venire a me per avere la vita» (5,39-40).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che ci hai dato la grazia di purificarci con la penitenza e di santificarci con le opere di carità fraterna, fa’ che camminiamo fedelmente nella via dei tuoi precetti, per giungere rinnovati alle feste pasquali. Per il nostro Signore Gesù Cristo...



3 Aprile 2019

Mercoledì della IV Settimana di Quaresima


Oggi Gesù ci dice: “Io sono la risurrezione e la vita, chiunque crede in me non morirà in eterno.” (Gv 11,25a.26).

Dal Vangelo secondo Giovanni 5,17-30: Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco: il pensiero giudaico “stentava a conciliare il riposo di Dio dopo la creazione, riposo di cui il sabato è l’immagine [Gen 2,2s], con la sua continua attività nel governo del mondo. Si distingueva l’attività di creatore, che è terminata, e l’attività di giudice, che non cessa mai. Gesù identifica la sua attività con quella del giudice sovrano. Da ciò l’indignazione dei giudei e il discorso con cui Gesù giustifica la sua pretesa.” (Bibbia di Gerusalemme). Il brano giovanneo può essere diviso in due parti: nella prima parte Gesù rivela di avere ottenuto dal Padre il potere di dare la vita, nella seconda parte viene messo in evidenza il potere giudiziale del Figlio. Gesù sarà il giudice supremo nell’ultimo giorno. Questo giudizio “rivelerà l’esito del processo [cfr. Gv 3,11] inaugurato dalla venuta del Figlio [Gv 5,25; 12,31]. Gli uomini saranno giudicati secondo la fede accordata o rifiutata a Gesù [Gv 3,18-21; 16,8-11), salvatore di quanti non lo respingono [Gv 3,18; 8,15; 12,47).” (Bibbia di Gerusalemme).

Il Padre infatti ama il Figlio: Silvano Fausti (Una comunità legge il Vangelo del Padre): il Padre ama il Figlio (cf. 3,35). Adamo, seguito dai suoi discendenti, non conobbe l’amore del Padre. Questa ignoranza è l’origine dei nostri mali: chi non si sente amato, non si ama e non sa amare. Gesù infatti dirà ai suoi accusatori che non hanno in se stessi l’amore del Padre (v. 42). Dio è amore di Padre verso il Figlio e di Figlio verso il Padre; e tutto ciò che esiste è partecipazione di questo amore.
L’amore del Padre si è reso visibile in quello del Figlio per tutti gli uomini e si manifesta in coloro che, credendo in lui, considerano gli altri come fratelli. Solo se ci amiamo tra noi, l’amore è credibile. Esso non si può dimostrare: si può solo mostrare.
gli mostra tutte le cose. «La legge» dell’agire del Figlio è vedere l’amore del Padre, il quale gli è sempre presente: gli «mostra», qui e ora, come agire con i fratelli. Qualunque azione che non viene dall’amore, viene dall’egoismo e dà morte invece di vita.
le cose che egli fa. «Egli» può indicare sia il Padre che il Figlio. Dal contesto pare indicare piuttosto il Figlio, perché si parla del suo agire.
gli mostrerà opere maggiori di queste (cf.14,12). «Queste» opere, che il Padre gli mostra e che Gesù ha compiuto, corrispondono a quanto i discepoli hanno visto,in particolare la guarigione dell’infermo. Le «opere maggiori» saranno quelle che seguono: il dono del pane (6,1 ), della luce (9,1ss) e, in particolare, della vita a Lazzaro (11,1ss).
affinché voi vi meravigliate. Sarà la meraviglia del mattino di Pasqua, in cui si compirà nel Figlio l’opera del Padre a favore dei suoi figli.

… gli ha dato il potere di giudicare - Catechismo della Chiesa Cattolica 1038-1039: La risurrezione di tutti i morti, «dei giusti e degli ingiusti» (At 24,15), precederà il giudizio finale. Sarà «l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce [del Figlio dell’uomo] e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna» (Gv 5,28-29). Allora Cristo «verrà nella sua gloria, con tutti i suoi angeli [...]. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. [...] E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» (Mt 25,31-33.46). Davanti a Cristo che è la verità sarà definitivamente messa a nudo la verità sul rapporto di ogni uomo con Dio. Il giudizio finale manifesterà, fino alle sue ultime conseguenze, il bene che ognuno avrà compiuto o avrà omesso di compiere durante la sua vita terrena: «Tutto il male che fanno i cattivi viene registrato a loro insaputa. Il giorno in cui Dio non tacerà (Sal 50,3) [...] egli si volgerà verso i malvagi e dirà loro: Io avevo posto sulla terra i miei poverelli, per voi. Io, loro capo, sedevo nel cielo alla destra di mio Padre, ma sulla terra le mie membra avevano fame. Se voi aveste donato alle mie membra, il vostro dono sarebbe giunto fino al capo. Quando ho posto i miei poverelli sulla terra, li ho costituiti come vostri fattorini perché portassero le vostre buone opere nel mio tesoro: voi non avete posto nulla nelle loro mani, per questo non possedete nulla presso di me».

Il Giudizio dell’ultimo Giorno: Catechismo della Chiesa Cattolica 678-679: In linea con i profeti e Giovanni Battista Gesù ha annunziato nella sua predicazione il Giudizio dell’ultimo Giorno. Allora saranno messi in luce la condotta di ciascuno e il segreto dei cuori. Allora verrà condannata l’incredulità colpevole che non ha tenuto in alcun conto la grazia offerta da Dio. L’atteggiamento verso il prossimo rivelerà l’accoglienza o il rifiuto della grazia e dell’amore divino. Gesù dirà nell’ultimo giorno: “Ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Cristo è Signore della vita eterna. Il pieno diritto di giudicare definitivamente le opere e i cuori degli uomini appartiene a lui in quanto Redentore del mondo. Egli ha “acquisito” questo diritto con la sua croce. Anche il Padre “ha rimesso ogni giudizio al Figlio” (Gv 5,22). Ora, il Figlio non è venuto per giudicare, ma per salvare e per donare la vita che è in lui. È per il rifiuto della grazia nella vita presente che ognuno si giudica già da se stesso, riceve secondo le sue opere e può anche condannarsi per l’eternità rifiutando lo Spirito d’amore.

... quanti fecero il male per una risurrezione di condanna: Catechismo degli Adulti 1219-1221: La pena dell’inferno è per sempre: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno... E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» (Mt 25,4146). «Il loro verme non muore e il fuoco non si estingue» (Mc 9,48). «Il fumo del loro tormento salirà per i secoli dei secoli, e non avranno riposo né giorno né notte quanti adorano la bestia» (Ap 14,11). L’eternità dell’inferno fa paura. Si è cercato di metterla in dubbio, ma i testi biblici sono inequivocabili e altrettanto chiaro è l’insegnamento costante della Chiesa. In che cosa consiste questa pena? La Bibbia per lo più si esprime con immagini: Geenna di fuoco, fornace ardente, stagno di fuoco, tenebre, verme che non muore, pianto e stridore di denti, morte seconda. La terribile serietà di questo linguaggio va interpretata, non sminuita. La Chiesa crede che la pena eterna del peccatore consiste nell’essere privato della visione di Dio e che tale pena si ripercuote in tutto il suo essere. Non si tratta di annientamento per sempre. Lo escludono i testi biblici sopra riportati, che indicano una sofferenza eterna e altri che affermano la risurrezione degli empi. Lo esclude la fede nella sopravvivenza personale, definita dal concilio Lateranense V. Del resto neppure il diavolo è annientato, ma tormentato «giorno e notte per i secoli dei secoli» (Ap 20,10) insieme con i suoi angeli. Quando la Sacra Scrittura parla di perdizione, rovina, distruzione, corruzione, morte seconda, si riferisce a un fallimento della persona, a una vita completamente falsata.

Da me, io non posso fare nulla - Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): Gesù conclude questa prima parte del suo discorso risottolineando la convergenza, la concomitanza, la perfetta sintonia del suo agire con quello del Padre: «Io non faccio nulla da me stesso». E poi, riprendendo l’idea di giudizio, con solennità afferma: «II mio giudizio è giusto», lo è per due motivi: I° perché egli giudica secondo quello che ascolta, si intende dal Padre; 2° perché egli cerca di fare la volontà di chi lo ha mandato.
Sono espressioni che indicano sempre un’indicibile autorità. Sembra di sentire l’eco delle parole che Gesù pronuncerà di fronte al Sinedrio: «Vedrete il Figlio dell’uomo, seduto accanto a Dio onnipotente, venire sulle nubi del cielo» (Mc 14,62). Come avverrà nel Sinedrio, anche qui i suoi ostili uditori potrebbero pronunciare, ancora una volta (vedi 5,18), la loro sentenza di morte. Da quanto segue, invece, ricaviamo che l’accusa non esplicitata degli uditori suonerebbe come in 8,13: «Tu dai testimonianza di te stesso. La tua testimonianza non è valida». Ma non è così, perché a Gesù non mancano testimoni di alta qualità.

«Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco». Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio - Gesù eguale al Padre secondo la divinità, e inferiore al Padre secondo l’umanità: Paolo VI (Il Credo del popolo di Dio): Noi crediamo in Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio. Egli è il Verbo eterno, nato dal Padre prima di tutti i secoli, e al Padre consustanziale, homoousios to Patri, e per mezzo di Lui tutto è stato fatto. Egli si è incarnato per opera dello Spirito nel seno della Vergine Maria, e si è fatto uomo: eguale, pertanto al Padre secondo la divinità, e inferiore al Padre secondo l’umanità, ed Egli stesso uno, non per una qualche impossibile confusione delle nature, ma per l’unità della persona. Egli ha dimorato in mezzo a noi, pieno di grazia e di verità. Egli ha annunciato e instaurato il Regno di Dio, e in Se ci ha fatto conoscere il Padre. Egli ci ha dato il suo Comandamento nuovo, di amarci gli altri com’Egli ci ha amato. Ci ha insegnato la via delle Beatitudini del Vangelo: povertà in spirito, mitezza, dolore sopportato nella pazienza, sete della giustizia, misericordia, purezza di cuore, volontà di pace, persecuzione sofferta per la giustizia. Egli ha patito sotto Ponzio Pilato, Agnello di Dio che porta sopra di sé i peccati del mondo, ed è morto per noi sulla Croce, salvandoci col suo Sangue redentore. Egli è stato sepolto e, per suo proprio potere, è risorto nel terzo giorno, elevandoci con la sua Resurrezione alla partecipazione della vita divina, che è la vita della grazia. Egli è salito al Cielo, e verrà nuovamente, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, ciascuno secondo i propri meriti; sicché andranno alla vita eterna coloro che hanno risposto all’Amore e alla Misericordia di Dio, e andranno nel fuoco inestinguibile coloro che fino all’ultimo vi hanno opposto il loro rifiuto. E il suo Regno non avrà fine.

Giovanni Paolo II (Udienza Generale,  21 dicembre 1988): L’apostolo Giovanni, nella sua prima lettera, ci annuncia, con gioioso entusiasmo, che la “vita - cioè la vita divina, la vita eterna, Dio stesso come vita - si è fatta visibile” [1Gv 1,2]. La vita può essere raggiunta, può essere “veduta” e “toccata”. Questo è il contenuto essenziale del messaggio evangelico, sul quale insiste in modo speciale Giovanni. È il mistero dell’incarnazione. Il mistero del Verbo “che si fa carne”, e viene ad “abitare in mezzo a noi”. È il mistero del Natale, che festeggeremo tra pochi giorni. La vita infinita di Dio, vita beata, vita di perfetta pienezza, vita trascendente e soprannaturale, ci viene incontro, si offre a noi, si rende accessibile all’uomo, si propone come possibile, anzi come la piena felicità dell’uomo. Chi mai lo avrebbe potuto pensare? Noi, povere e fragili creature, spesso incapaci di custodire e rispettare la nostra stessa vita fisica e naturale, noi esseri fatti per una vita divina ed eterna? Chi mai avrebbe potuto immaginarlo, se non fosse stato rivelato dall’amore di Dio infinitamente misericordioso? Eppure questo è il destino dell’uomo. Questa è la sorte fortunata offerta a tutti. Anche ai più miserabili peccatori, anche ai più odiosi spregiatori della vita. Tutti possono ascendere a partecipare della stessa vita divina, poiché così ha voluto, in Cristo, il Padre celeste. Questo è il messaggio cristiano. E questo è il messaggio del Natale. “La vita si è fatta visibile - dice Giovanni [1Gv 1,2] - noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna”. Noi certo oggi, dopo duemila anni dalla presenza fisica di Gesù sulla terra, non possiamo avere la stessa esperienza che di lui hanno avuto Giovanni e gli altri apostoli; eppure anche noi, oggi, possiamo e dobbiamo essere suoi testimoni. E chi è il “testimonio”? È colui che è stato “presente ai fatti”, che ha - per così dire - “visto e toccato” ciò di cui testimonia. Ha avuto una conoscenza diretta, sperimentale.

 Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  [Gesù] si è incarnato per opera dello Spirito nel seno della Vergine Maria, e si è fatto uomo: eguale, pertanto al Padre secondo la divinità, e inferiore al Padre secondo l’umanità, ed Egli stesso uno, non per una qualche impossibile confusione delle nature, ma per l’unità della persona.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che dai la ricompensa ai giusti e non rifiuti il perdono ai peccatori pentiti, ascolta la nostra supplica: l’umile confessione delle nostre colpe ci ottenga la tua misericordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
 



2 Aprile 2019

Martedì della IV Settimana di Quaresima

Oggi Gesù ci dice: «Vuoi guarire?» (Vangelo).

Dal Vangelo secondo Giovanni 5,1-16: La guarigione del paralitico alla piscina, situata nei pressi della porta delle Pecore che conduceva al tempio, avviene di sabato, una vera iattura per i Giudei che vedono male e peccato in ogni angolo del mondo. L’uomo infermo, in verità, è afflitto da due malanni: da una parte, è malato da tanto tempo, trentotto anni, e ciò lascia supporre che la sua malattia è inguaribile, dall’altra parte, non può approfittare dell’efficacia miracolosa dell’acqua, riservata al primo che vi entra, poiché non ha nessuno che lo immerge nella piscina. Un caso veramente disperato. Gesù prende l’iniziativa e guarisce l’uomo intimandogli di non peccare più: Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio. Gesù “non dice che l’infermità sia stata una conseguenza del peccato [cfr. Gv 9,2s]. Avverte l’infermo che la grazia della sua guarigione lo impegna a convertirsi [cfr. Mt 9,2-8]; dimenticandolo, rischierebbe peggio della infermità passata. Il miracolo è dunque il «segno» di una resurrezione spirituale” (Bibbia di Gerusalemme). La guarigione mette in risalto l’onnipotenza di Gesù capace di rimettere in piedi un uomo malato e rassegnato, ma mette anche in evidenza la cecità dei Giudei, impotenti di accogliere il Dono di Dio.

Alain Marchaduour (Vangelo di Giovanni): Presentazione del malato (vv. 3-5). Nella maggior parte delle Bibbie la numerazione dei versetti passa da 3 a 5, poiché 3b e 4 mancano nei manoscritti più antichi.
Se la piscina era un luogo vicino ai bagni legati al culto di Serapide, si capisce che ci fossero lì malati di ogni sorta. Gesù ne avvista uno in mezzo a questa folla e prende l’iniziativa. Alcuni hanno cercato di sapere il perché di questa menzione dei trentotto anni d’infermità. Sant’Agostino vede in essa il segno dell’imperfezione (40-2 = 38): mancavano al malato la fede e la carità! P. Boismard pensa al tempo del deserto che, secondo Dt 2,14, durò trentotto anni! Questa cifra significa per lo meno una lunga durata. L’uomo è dunque affetto da un duplice handicap: da una parte, è malato da tanto tempo che si può pensare che sia inguaribile. D’altra parte, non può profittare dell’efficacia dell’acqua, riservata al primo che vi entrava, poiché non ha nessuno che lo getti nella piscina. Questo tratto sottolinea la sua solitudine e la sua rassegnazione che ha portato il suo prossimo a disinteressarsi del suo caso, considerato disperato.
L’intervento di Gesù (vv. 6-9a). Gesù prende l’iniziativa c volge lo sguardo verso il malato. Informato della durata del suo male, lo interroga per conoscere il suo desiderio. Di fronte alla sua confessione d’impotenza, fa per lui, il più povero fra tutti quei poveri malati, quel che le acque agitate ottenevano a favore del più forte di loro. Il Signore interviene in suo aiuto esclusivamente. Il raffronto tra le acque guaritrici e Gesù mostra la superiorità di lui. Come quando le acque vengono agitate, è stato guarito un solo infermo, ma per Gesù è bastata la parola, senza che sia stato necessario il segno dell’acqua: «L’uomo fu guarito all’istante».

Gesù salvatore di tutto il mondo - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni): Nel miracolo della piscina probatica, Gesù non si accontenta di ridare la salute fisica all’infermo, ma si preoccupa anche della sua salvezza spirituale. Infatti lo esorta a non peccare più (Gv 5,14). In questo brano, quindi, Gesù ci appare non solo come un taumaturgo più o meno fortunato, ma veramente come il salvatore di tutto l’uomo, corpo e spirito. Veramente Gesù «viene a guarire un paralitico che è malato da 38 anni e, ciò facendo, «mostra che egli porta la vita agli uomini».
L’uomo moderno, nonostante lo straordinario progresso della scienza, della tecnica, della medicina e del benessere, è affetto da tante malattie, somatiche, psichiche e spirituali. Il peccato e l’egoismo paralizzano i suoi movimenti e la sua vita. Spesso ci sentiamo oppressi dal peso delle nostre colpe, viviamo in letargo, siamo dei poveri paralitici. Le nostre più nobili aspirazioni, umane e spirituali, sono spesso atrofizzate; siamo incapaci di realizzarci e come uomini e come cristiani, perché affetti dalla paralisi dell’egoismo. Chi ci guarirà da tanti mali? Chi sarà il nostro Salvatore? Solo Gesù, il Figlio del Dio vivo.

Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio - Henri van de Bussche (Giovanni): Poco dopo, non subito (meta tauta: cfr. 5,1), Gesù lo ritrova nel tempio, dove probabilmente il guarito è venuto a ringraziare Dio. In 9,35 Gesù andrà a trovare il cieco, che è stato espulso dalla comunità di Israele. La risposta di Gesù evoca la credenza popolare che vede in ogni malattia la punizione di un peccato. Gesù non intende confermare questa opinione (9,3; cfr. 11,4), ma vuol condurre il guarito da una felicità semplicemente umana a una riflessione religiosa.
Guarigione e perdono dei peccati sono paralleli in quanto derivano l’una e l’altro dai pieni poteri del Figlio dell’Uomo. In occasione della guarigione del paralitico di Cafarnao, Marco ha narrato la discussione (Mc. 2,9-11). Qui l’idea del giudizio di condanna resta provvisoriamente misteriosa, ma è certamente presente (cfr. 9,35: Tu credi nel Figlio dell’Uomo? 9,39: per un giudizio...). La cosa più grave da cui l’uomo è minacciato non è una malattia più grave, ma il giudizio. Questa minaccia non è esplicitata se non nel momento in cui i giudei riaprono la disputa. La rivelazione del Figlio dell’Uomo non li riguarda prima di ogni altra cosa? Essi dovranno scegliere tra fede e giudizio.

Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato - Catechismo della Chiesa Cattolica 574: Fin dagli inizi del ministero pubblico di Gesù, alcuni farisei e alcuni sostenitori di Erode, con alcuni sacerdoti e scribi, si sono accordati per farlo morire. Per certe sue azioni (per la cacciata dei demoni; il perdono dei peccati; le guarigioni in giorno di sabato; la propria interpretazione dei precetti di purità legale; la familiarità con i pubblicani e i pubblici peccatori). Gesù è apparso ad alcuni malintenzionati sospetto di possessione demoniaca. Lo si è accusato di bestemmia e di falso profetismo, crimini religiosi che la Legge puniva con la pena di morte sotto forma di lapidazione.
575: Molte azioni e parole di Gesù sono dunque state un «segno di contraddizione» per le autorità religiose di Gerusalemme, quelle che il Vangelo di san Giovanni spesso chiama «i Giudei», ancor più che per il comune popolo di Dio. Certamente, i suoi rapporti con i farisei non furono esclusivamente polemici. Ci sono dei farisei che lo mettono in guardia in ordine al pericolo che corre. Gesù loda alcuni di loro, come lo scriba di Mc 12,34, e mangia più volte in casa di farisei. Gesù conferma dottrine condivise da questa élite religiosa del popolo di Dio: la risurrezione dei morti, le forme di pietà (elemosina, preghiera e digiuno), e l’abitudine di rivolgersi a Dio come Padre, la centralità del comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. 
576: Agli occhi di molti in Israele, Gesù sembra agire contro le istituzioni fondamentali del popolo eletto:
- l’obbedienza alla Legge nell’integralità dei suoi precetti scritti e, per i farisei, nell’interpretazione della tradizione orale;
- la centralità del Tempio di Gerusalemme come luogo santo dove Dio abita in un modo privilegiato;
- la fede nell’unico Dio del quale nessun uomo può condividere la gloria.

Si, ci sono molti nostri fratelli, ai margini della vita, “paralizzati”- Giovanni Paolo II (Messaggio, 21 Febbraio 1980): Carissimi [...] Mi torna in mente l’episodio evangelico dell’uomo paralitico, presso una piscina, a Gerusalemme: Gesù passò e vedendolo, gli chiese se voleva essere curato; ed egli rispose: “Non ho nessuno”, ossia non ho un “uomo” che mi aiuti. E Cristo, lo aiutò, curandolo (cfr. Gv 5,2-9).
Ogni anno, all’inizio della quaresima, il Papa è solito, come fa anche oggi, rivolgere un messaggio a tutta la Chiesa, esortandola a preparare e a vivere la Pasqua, come un’autentica liberazione. E questo, mediante il distacco del cuore “dalle ricchezze materiali, dal potere sugli altri e dalle sottigliezze egoiste di dominio” [...], per maggior attenzione e aiuto ai fratelli che soffrono, e desiderano un “uomo” che li aiuti a liberarsi dai mali, che li “paralizzano” nella vita.
Si, ci sono molti nostri fratelli, ai margini della vita, “paralizzati”, che desiderano poter camminare: come uomini, nel cammino di tutta l’umanità, che Dio desidero si costituisse in una sola famiglia; e come “riscattati dal Signore”, nel cammino della Chiesa, comunità di salvezza. Come cristiani, vedendoli e conoscendo il loro dramma, dobbiamo pensare se siamo “l’uomo” per aiutarli, o se abbiamo i mezzi per dare l’aiuto di cui essi hanno bisogno. Ma non basta aiutare, o dare del nostro superfluo e persino del nostro necessario; bisogna farlo con la conversione dello spirito.
Convertirsi è ricercare la disposizione all’incontro con Dio e con i cuori, nell’amore con il prossimo, a stabilire la divisione dei beni con i meno favoriti delle nostre società, con coloro che, per diversi motivi, non possono continuare a vivere nella loro terra, e devono partire, molte volte senza sapere per dove.
Noi, uomini e discepoli di Cristo, non possiamo rimanere indifferenti, senza tentare di aiutarli e trovare “dove” essi possano sentirsi uomini, fratelli di tutti gli uomini, figli di Dio e liberi, con la libertà rara per la quale Cristo ci ha liberati (cfr. Gal 5,1), così incompatibile con il disamore.



Salvifici doloris 15: In conseguenza dell’opera salvifica di Cristo l’uomo esiste sulla terra con la speranza della vita e della santità eterne. E anche se la vittoria sul peccato e sulla morte, riportata da Cristo con la sua croce e risurrezione, non abolisce le sofferenze temporali dalla vita umana, né libera dalla sofferenza l’intera dimensione storica dell’esistenza umana, tuttavia su tutta questa dimensione e su ogni sofferenza essa getta una luce nuova, che è la luce della salvezza. È questa la luce del Vangelo, cioè della Buona Novella. Al centro di questa luce si trova la verità enunciata nel colloquio con Nicodemo: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito». Questa verità cambia dalle sue fondamenta il quadro della storia dell’uomo e della sua situazione terrena: nonostante il peccato che si è radicato in questa storia e come eredità originale e come «peccato del mondo» e come somma dei peccati personali, Dio Padre ha amato il Figlio unigenito, cioè lo ama in modo durevole; nel tempo poi, proprio per quest’amore che supera tutto, egli «dà» questo Figlio, affinché tocchi le radici stesse del male umano e così si avvicini in modo salvifico all’intero mondo della sofferenza, di cui l’uomo è partecipe.



Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** «Vuoi guarire?» (Vangelo).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Dio fedele e misericordioso, in questo tempo di penitenza e di preghiera disponi i tuoi figli a vivere degnamente il mistero pasquale e a recare ai fratelli il lieto annunzio della tua salvezza. Per il nostro Signore Gesù Cristo...