IL PENSIERO DEL GIORNO

6 Dicembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Sento compassione di questa folla: non voglio rimandarli digiuni, perché non svengano lungo la strada» (Mt 15,32).  


Vangelo secondo Matteo 15,29-37: Questa seconda moltiplicazione dei pani è  simile, anche nei dettagli, “alla prima da portarci alla conclusione che si tratti di una variante del medesimo episodio... Le divergenze sono poche: la presenza della folla per la durata di tre giorni, l’iniziativa presa da Gesù, il numero dei pani, il numero dei cesti avanzati, il numero delle persone. I punti in comune sono numerosi: il motivo di Gesù è espressamente indicato nella compassione, la folla si trova in un luogo disabitato, la gente si adagia sulla terra, viene usata la formula eucaristica, la scena è vicina al lago e il miracolo è seguito da un viaggio in barca” (www.corsobiblico.it). Senza voler forzare il testo come non vedere nello spezzare il pane un preludio all’istituzione dell’Eucarestia? Gesù è il pane disceso dal cielo per saziare tutti gli uomini e donare loro con questo cibo divino la vita eterna.


Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande? - Pastores gregis 73: Di fronte a scenari umanamente tanto complessi per l’annuncio del Vangelo, torna quasi spontaneamente alla memoria il racconto della moltiplicazione dei pani narrata nei Vangeli. I discepoli espongono a Gesù le loro perplessità riguardo alla folla, che affamata della sua parola lo ha seguito sin nel deserto, e gli propongono: «Dimitte turbas [...] Congeda la folla [...]» (Lc 9,12). Hanno, forse, timore e non sanno davvero come sfamare un numero così grande di persone. Un analogo atteggiamento potrebbe insorgere nell’animo nostro, quasi sconfortato dall’enormità dei problemi, che interpellano le Chiese e noi Vescovi personalmente. Occorre, in questo caso, fare ricorso a quella nuova fantasia della carità che deve dispiegarsi non solo e non tanto nell’efficienza dei soccorsi prestati, ma più ancora nella capacità di farsi vicini a chi è nel bisogno, permettendo ai poveri di sentire ogni comunità cristiana come la propria casa. Gesù, però, ha una maniera sua propria di risolvere i problemi. Quasi provocando gli Apostoli, dice loro: « Dategli voi stessi da mangiare » (Lc 9,13). Conosciamo bene la conclusione del racconto: «Tutti mangiarono e si saziarono e delle parti loro avanzate furono portate via dodici ceste» (Lc 9,17). Quell’abbondanza residua è presente ancora oggi nella vita della Chiesa!


Wolfagang Trilling (Vangelo secondo Matteo): Il cerimoniale è lo stesso della prima volta. Gesù prende il pane e, recitata la preghiera di ringraziamento, lo spezza e lo dà ai discepoli perché lo distribuiscano alla folla. Anche questa volta si raccolgono i pezzi avanzati e si stabilisce il numero di quelli che hanno mangiato. La prima volta cinquemila uomini, la seconda quattromila, senza contare le donne e i bambini. In Israele si contano gli omini, come capofamiglia. li numero elevato non solo vuol dare l’idea della grandezza del miracolo, ma sottolineare che qui si è radunato ed è stato nutrito il popolo. Naturalmente non tutto il popolo di Israele, ma una gran numero, così da poter essere considerato una significativa rappresentanza.
Come «popolo» Israele era stato condotto attraverso il deserto verso la terra promessa. La scena risveglia nei cuori questo ricordo; nello stesso tempo si presenta un’immagine per il futuro: Dio si prenderà cura del suo popolo, se questi gli sarà nuovamente fedele e sottomesso. In lui non c’è penuria, ma ogni abbondanza: egli ci risana e sazia la nostra fame; è un Dio amico degli uomini; Gesù ha guarito le malattie fisiche e saziato la fame corporale.
L’amore di Dio non va interpretato solo in senso spirituale!
Dio vede l’uomo anche nelle sue necessità materiali e se ne rende partecipe con una passione più profonda di quella che abbiamo noi, gli uni per gli altri. Egli vuole che tutti gli uomini siano sazi e sani. Nel regno di Dio non esistono solo i valori spirituali e gli atteggiamenti interiori; i suoi discepoli non devono dimenticare le molteplici necessità e miserie degli uomini che hanno fame e freddo e vivono nell’indigenza. Tutto l’uomo è chiamato alla salvezza e deve giungere al banchetto celeste.
Nella prima moltiplicazione dei pani Gesù scende dalla barca, nutre la folla e sale sul monte a pregare. Ora discende dal monte, congeda la folla, dopo il miracolo, e sale in barca per passare all’altra riva. Non è ancora giunto il tempo di restare: Gesù è ancora solo di passaggio in mezzo ai suoi. Ci sono certamente momenti privilegiati, in cui il semplice stare assieme rappresenta un anticipo del possesso eterno; come «i tre giorni» che la folla ha trascorso al seguito di Gesù. Ma ora il viaggio deve proseguire; il Messia è chiamato a pellegrinare, affinché tutti ricevano la buona novella. «Andiamocene altrove, per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!» (Mc 1,38). Gesù è pellegrino tra i pellegrini.



Il pane dei poveri - Basilio Caballero (Il Pane per ogni giorno): Seguendo l’esempio di Cristo, che solidarizzò con la folla esausta, la comunità ecclesiale, cioè tutti noi che siamo invitati a partecipare alla mensa del Signore, ha un impegno con i poveri e gli affamati di questo mondo. Celebrare la cena del Signore significa dividere il suo e il nostro pane. Perciò, se vogliamo che le nostre eucaristie siano autentiche e degne, non possiamo sottrarci alla realizzazione dell’utopia messianica che annunciava il profeta Isaia e che è prefigurata nella mol­tiplicazione dei pani.
Così contribuiremo a rendere effettiva la partecipazione di tutti ai beni della terra, la cui destinazione è comune e non tollera monopoli. La crisi economica è, nella sua origine, una crisi d’amore e di solidarietà; così il pane smette di essere mezzo di comunione tra gli uomini, come simbolo per eccellenza del sostentamento umano. Il pane è la mensa condivisa nei momenti allegri e tristi; da qui la sua grandezza di segno. Il pane condiviso in solidarietà, specialmente con i più poveri, è inoltre un gesto sacro, espressione di religione autentica, secondo san Giacomo apostolo.
Non è in nostro potere moltiplicare i pani, ma lo è dividere il nostro con gli altri, moltiplicare il pane del­l’amore e dell’affetto. La fame e la povertà sono multiformi. Solidarizzare con chi ha bisogno del pane quotidiano significa impegnarsi a ottenere per tutti ciò che racchiude l’espressione «fame di pane», cioè: lavoro e cibo, casa e famiglia, cultura e libertà, dignità personale e diritti umani. Senza dimenticare nemmeno i nuovi poveri della società attuale: anziani soli, malati terminali, bambini senza famiglia, madri abbandonate, delinquenti, drogati, alcolisti...
Queste sono al giorno d’oggi le opere di misericordia verso il povero, nel quale Gesù si identifica, secondo la parabola del giudizio finale.

Già asciutto il solco delle nostre lacrime,
ti benediciamo, Signore Dio, padre dei poveri,
perché tu solo salvi la vita dell’indigente,
tu che, in Cristo, sei il pane dell’affamato.

Il tuo popolo pellegrino nel deserto
ha pane in abbondanza. Manca solo
che sappiamo dividerlo in amore e solidarietà.

Beato chi apre le sue mani
nel gesto di dividere! Perché questo fu lo stile
misericordioso di Cristo con i bisognosi.

Concedici, Padre, di imitarlo fedelmente
perché quando arriverà Gesù Cristo, tuo Figlio,
ci trovi degni di sederci alla sua mensa. Amen.


Catechismo della Chiesa Cattolica

I segni del regno di Dio

547 Gesù accompagna le sue parole con numerosi «miracoli, prodigi e segni» (At 2,22), i quali manifestano che in lui il Regno è presente. Attestano che Gesù è il Messia annunziato.

548 I segni compiuti da Gesù testimoniano che il Padre lo ha mandato. Essi sollecitano a credere in lui. A coloro che gli si rivolgono con fede egli concede ciò che domandano. Allora i miracoli rendono più salda la fede in colui che compie le opere del Padre suo: testimoniano che egli è il Figlio di Dio. Ma possono anche essere motivo di scandalo. Non mirano a soddisfare la curiosità e i desideri di qualcosa di magico. Nonostante i suoi miracoli tanto evidenti, Gesù è rifiutato da alcuni; lo si accusa perfino di agire per mezzo dei demoni.

549 Liberando alcuni uomini dai mali terreni della fame, dell’ingiustizia, della malattia e della morte, Gesù ha posto dei segni messianici; egli non è venuto tuttavia per eliminare tutti i mali di quaggiù, ma per liberare gli uomini dalla più grave delle schiavitù: quella del peccato, che li ostacola nella loro vocazione di figli di Dio e causa tutti i loro asservimenti umani.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  Gesù è il pane disceso dal cielo per saziare tutti gli uomini e donare loro con questo cibo divino la vita eterna.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Dio grande e misericordioso, prepara con la tua potenza il nostro cuore a incontrare il Cristo che viene, perché ci trovi degni di partecipare al banchetto della vita e ci serva egli stesso nel suo avvento glorioso. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


IL PENSIERO DEL GIORNO

5 Dicembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Il Signore verrà, e tutti i santi con lui: in quel giorno splenderà una grande luce» (cf. Zc 14,5.7).  


Vangelo secondo Luca 10,21-24: L’espressione Signore del cielo e della terra, evoca l’azione creatrice di Dio (Cf. Gen 1,1). Il motivo della lode sta nel fatto che il Padre ha «nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le ha rivelate ai piccoli». Le cose nascoste «non si riferiscono a ciò che precede; si devono intendere invece dei “misteri del regno” in generale [Mt 13,11], rivelati ai “piccoli”, i discepoli [Cf. Mt 10,42], ma tenuti nascosti ai “sapienti”, i farisei e i loro dottori» (Bibbia di Gerusalemme).
Molti anni dopo Paolo ricorderà queste parole di Gesù ai cristiani di Corinto: «Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio» (1Cor 1,26-29). ... nessuno sa chi è il Figlio... La rivelazione della mutua conoscenza tra il Padre e il Figlio pone decisamente il brano evangelico in relazione «con alcuni passi della letteratura sapienziale riguardanti la sophia. Solo il Padre conosce il Figlio, come solo Dio conosce la sapienza [Gb 28,12-27; Bar 3,32]. Solo il Figlio conosce il Padre, così come solo la sapienza conosce Dio [Sap 8,4; 9,1-18]. Gesù fa conoscere la rivelazione nascosta, come la sapienza rivela i segreti divini [Sap 9,1-18; 10,10] e invita a prendere il suo giogo su di sé, proprio come la sapienza [Prov 1,20-23; 8,1-36]» (Il Nuovo Testamento, Vangeli e Atti degli Apostoli).
... né chi è il Padre se non il Figlio... Gesù è l’unico rivelatore dei misteri divini, in quanto il Padre ne ha comunicato a lui, il Figlio, la conoscenza intera. Da questa affermazione si evince che Gesù è uguale al Padre nella natura e nella scienza, è Dio come il Padre, di cui è il Figlio Unico.


La Bibbia di Navarra, I Quattro Vangeli: Questo passo del Vangelo è comunemente noto come “l’inno di giubilo” del Signore. Lo troviamo anche in san Matteo (11,25-27). È uno dei momenti in cui Gesù manifesta la sua gioia vedendo che gli umili comprendono e accolgono la parola di Dio. Nostro Signore evidenzia inoltre un effetto dell'umiltà: linfanzia spirituale. Così, in altro luogo, dice: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3). Ma linfanzia spirituale non comporta debolezza, instabilità e ignoranza: «Ho meditato frequentemente sulla vita di infanzia spirituale: essa non è in contrasto con la fortezza; anzi, richiede una volontà forte, una maturità ben temprata, un carattere fermo e aperto [...]. Farsi bambini significa rinunziare alla superbia, alla sufficienza, riconoscere che, per imparare a camminare e perseverare nel cammino, da soli non possiamo nulla, ma abbiamo bisogno della grazia, del potere di Dio nostro Padre» (È Gesù che passa, nn. 10 e 143).


Carlo Ghidelli (Il Nuovo testamento): perché hai nascosto ... e le hai rivelate: ecco il duplice motivo della lode e del ringraziamento. Si potrebbero risolvere le due coordinate in una sola frase subordinata: «perché, mentre nascondi ... riveli», ma forse, così, si dà maggior rilievo alla volontà di Dio come valore sommo. - Queste cose, cioè i misteri del Regno di Dio (cf 8,10; 12,32): può riferirsi sia alle cose appena dette (la vittoria su Satana e i loro nomi scritti in cielo: v. 20), sia al mistero della persona e della missione di Gesù (soprattutto se consideriamo i vv. che seguono). - ai sapienti e agli intelligenti ... ai piccoli: ecco due categorie di persone che si atteggiano in modo contrario nei confronti del Regno di Dio. I primi non vanno identificati solamente con i «teologi» del tempo di Gesù, gli scribi e i farisei, i tipici nemici di Gesù, che pensavano di avere il monopolio della legge e perciò della conoscenza della volontà di Dio, ma rappresentano la categoria di persone che si credono autosufficienti, che non hanno bisogno della rivelazione salvifica di Gesù (Gv 7,48), che si affidano solo alla sapienza di questo mondo (cf 1Cor 1,18ss) per risolvere tutti i loro problemi, compreso quello della salvezza. I piccoli, invece, sono coloro che si aprono alla salvezza, come ad un dono che viene dal Padre. La loro caratteristica è la disponibilità ad essere donati da Dio. Sono in altri termini, i poveri, gli umili, i semplici, i peccatori pentiti di cui parla il vangelo; sono l’antitipo dei poveri di Jahvé di cui parla lAntico Testamento (cf Sof 3,12).


Evangelii gaudium 4-5: I libri dell’Antico Testamento avevano proposto la gioia della salvezza, che sarebbe diventata sovrabbondante nei tempi messianici. Il profeta Isaia si rivolge al Messia atteso salutandolo con giubilo: «Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia» (9,2). E incoraggia gli abitanti di Sion ad accoglierlo con canti: «Canta ed esulta!» (12,6). Chi già lo ha visto all’orizzonte, il profeta lo invita a farsi messaggero per gli altri: «Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme» (40,9). La creazione intera partecipa di questa gioia della salvezza: «Giubilate, o cieli, rallegrati, o terra, gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo e ha misericordia dei suoi poveri» (49,13).
Zaccaria, vedendo il giorno del Signore, invita ad acclamare il Re che viene umile e cavalcando un asino: «Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso!» (Zc 9,9). Ma forse l’invito più contagioso è quello del profeta Sofonia, che ci mostra lo stesso Dio come un centro luminoso di festa e di gioia che vuole comunicare al suo popolo questo grido salvifico. Mi riempie di vita rileggere questo testo: «Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia» (Sof 3,17).
È la gioia che si vive tra le piccole cose della vita quotidiana, come risposta all’invito affettuoso di Dio nostro Padre: «Figlio, per quanto ti è possibile, tràttati bene … Non privarti di un giorno felice» (Sir 14,11.14). Quanta tenerezza paterna si intuisce dietro queste parole!
 Il Vangelo, dove risplende gloriosa la Croce di Cristo, invita con insistenza alla gioia. Bastano alcuni esempi: «Rallegrati» è il saluto dell’angelo a Maria (Lc 1,28). La visita di Maria a Elisabetta fa sì che Giovanni salti di gioia nel grembo di sua madre (cfr Lc1,41). Nel suo canto Maria proclama: «Il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore» (Lc 1,47). Quando Gesù inizia il suo ministero, Giovanni esclama: «Ora questa mia gioia è piena» (Gv 3,29). Gesù stesso «esultò di gioia nello Spirito Santo» (Lc 10,21). Il suo messaggio è fonte di gioia: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11). La nostra gioia cristiana scaturisce dalla fonte del suo cuore traboccante. Egli promette ai discepoli: «Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia» (Gv 16,20). E insiste: «Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia» (Gv 16,22). In seguito essi, vedendolo risorto, «gioirono» (Gv 20,20). Il libro degli Atti degli Apostoli narra che nella prima comunità «prendevano cibo con letizia» (2,46). Dove i discepoli passavano «vi fu grande gioia» (8,8), ed essi, in mezzo alla persecuzione, «erano pieni di gioia» (13,52). Un eunuco, appena battezzato, «pieno di gioia seguiva la sua strada» (8,39), e il carceriere «fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per aver creduto in Dio» (16,34). Perché non entrare anche noi in questo fiume di gioia?


A. Rdouard e M-F. Lacon: La gioia dello Spirito, frutto della croce - Di fatto Gesù, che aveva esultato di gioia perché il Padre si rivelava per mezzo suo ai piccoli (Lc 10,21 s), dà la propria vita per questi piccoli, suoi amici, allo scopo di comunicare loro la gioia di cui il suo amore è la fonte (Gv 15,9-15), mentre ai piedi della sua croce i suoi nemici ostentano la loro gioia malvagia (Lc 23,35 ss). Attraverso la croce Gesù va al Padre; i discepoli dovrebbero rallegrarsene, se lo amassero (Gv 14,28) e se comprendessero lo scopo di questa partenza, che è il dono dello Spirito (16,7). Grazie a questo dono, essi vivranno della vita di Gesù (14,16-20) e, poiché domanderanno nel suo nome, otterranno tutto dal Padre; allora la loro tristezza si muterà in gioia, la loro gioia sarà perfetta e nessuno la potrà togliere loro (14,13 s; 16,20-24).
Ma i discepoli hanno così poco compreso che la passione porta alla risurrezione, e la passione distrugge a tal punto la loro speranza (Lc 24,21) che non osano abbandonarsi alla gioia che li invade dinanzi alle apparizioni (24,41). Tuttavia quando il risorto, dopo aver loro mostrato che le Scritture erano compiute ed aver loro promesso la forza dello Spirito (24,44.49; Atti 1,8), sale al cielo, essi hanno una grande gioia (Lc 24,52 s); la venuta dello Spirito la rende tanto comunicativa (Atti 2,4.11) quanto incrollabile: «sono lieti di essere giudicati degni di soffrire per il nome» del salvatore di cui sono i testimoni (Atti 5,41; cfr. 4,12; Lc 24,46ss).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Gli Apostoli «sono lieti di essere giudicati degni di soffrire per il nome» del salvatore di cui sono i testimoni.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Accogli, o Padre, le preghiere della tua Chiesa e soccorrici nelle fatiche e nelle prove della vita; la venuta del Cristo tuo Figlio ci liberi dal male antico che è in noi e ci conforti con la sua presenza. Per il nostro Signore...


IL PENSIERO DEL GIORNO

4 Dicembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Dall’oriente e dall’occidente verranno nel regno dei cieli» (Vangelo).  


Vangelo secondo Matteo 8,5-11: Il racconto della guarigione del servo del centurione romano, ci suggerisce che il Vangelo ha superato gli angusti confini della Palestina, e ha raggiunto il cuore dei pagani: “non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti.” (Col 3,11). La Chiesa per un po’ di tempo resterà chiusa nella gabbia del nazionalismo giudaico (At 11,9), poi, a motivo della continua ostilità dei giudei, comprenderà che la Buona Novella doveva essere annunciata a tutti i popoli (Mt 28,19): “Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore: Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino alla estremità della terra».” (At 13,46-48). Alla testardaggine d’Israele, popolo disobbediente e ribelle (Rm 10,21), Dio risponde pazientemente con la fedeltà: quando nell’ovile di Cristo saranno entrate tutte quante le genti, allora tutto Israele sarà salvato (Rm 11,25-26). Il Vangelo è luce che illumina tutta l’umanità, la pazienza e la fedeltà di Dio aprono i cuori degli uomini alla pace e alla speranza.


Benedetto Prete (Vangelo secondo Matteo): v. 8 Matteo riporta il fatto in forma compendiosa, come appare manifestamente dal racconto parallelo di Luca, 7, l-10. Quest’ultimo evangelista parla di una ambasceria inviata a Gesù dal centurione per ottenere la guarigione. Le umili parole del centurione rivelano uno scrupolo religioso. L’ufficiale romano conosceva, per esperienza diretta, che gli Ebrei non entravano volentieri nelle case dei pagani per timore di contrarre un’impurità legale. Il centurione desidera risparmiare a Gesù un atto che poteva contaminarlo e renderlo inviso ai correligionari. Questo delicato sentimento suggerisce all’ufficiale un’espressione di fede viva nella potenza di Cristo. Gesù non aveva bisogno di recarsi nella sua casa, poiché egli, possedendo dei grandi poteri, era in grado di comandare all’infermità con una parola ed il suo ordine sarebbe stato eseguito dalle forze del male che minacciavano il servo morente.
v. 9 Il centurione fa appello alla propria esperienza; egli conosce la potenza della parola e l’efficacia di un ordine, poiché nella sua carriera militare aveva visto come il comando giunge lontano.
v. 10 Gesù ... restò ammirato; Cristo, come uomo, era soggetto alla meraviglia. L’evangelista rileva questo aspetto interessante della natura umana di Gesù. Il Redentore elogia la fede del centurione pagano, il quale gli aveva espresso la propria fiducia nella potenza della sua parola. Non bisogna tuttavia sottilizzare troppo le parole di Cristo, né intenderle in modo assoluto, come se nessun altro ebreo avesse raggiunto l’intensità della fede del centurione.
vv. 11-12 La fede dell’ufficiale pagano richiama a Matteo un detto che Gesù pronunziò in altra circostanza (cf. Lc., 13,28-29). Cristo lamenta la sorte degli Ebrei (i figli del regno) che dovevano essere gli eredi delle promesse fatte ai patriarchi (Abramo, Isacco, Giacobbe) e che invece, per un’ostinata cecità, non entrarono nel regno messianico che attendevano; al loro posto furono chiamati i pagani da ogni parte del mondo. Il pensiero è espresso con le immagini del banchetto e delle tenebre; i pagani siedono festosamente a mensa con i patriarchi, gli Ebrei invece rimangono nelle tenebre e in un luogo di pianto e di dolore.


Jean Duplacy: Per la Bibbia la fede è la sorgente e il centro di tutta la vita religiosa. Al disegno, che Dio realizza nel tempo, l’uomo deve rispondere mediante la fede. Sulle orme di Abramo, «padre di tutti coloro che credono» (Rom 4,11), i personaggi esemplari del Vecchio Testamento sono vissuti e sono morti nella fede (Ebr 11) che Gesù « porta a perfezione» (Ebr 12,2). I discepoli di Cristo sono «coloro che hanno creduto» (Atti 2,44) e «che credono» (1Tess 1,7).
La varietà del vocabolario ebraico della fede riflette la complessità dell’atteggiamento spirituale del credente. Tuttavia due radici sono dominanti: ‘aman evoca la fermezza e la certezza; batah, la sicurezza e la fiducia. Il vocabolario greco è ancora più vario. Di fatto la religione greca praticamente non concedeva posto alla fede; quindi i LXX, non disponendo di parole appropriate per rendere l’ebraico, sono andati a tastoni. Alla radice batah corrispondono soprattutto: elpis, elpizo, pèpoitha (Volg.: spes, sperare, confido); alla radice ‘aman: pistis, pistèuo, alètheia (Volg.: fides, credere, veritas). Nel Nuovo Testamento le ultime parole greche, relative al campo della conoscenza, diventano nettamente predominanti. Lo studio del vocabolario rivela già che la fede, secondo la Bibbia, ha due poli: la fiducia che si pone in una persona «fedele» ed impegna tutto l’uomo; e dall’altra parte, un passo dell’intelligenza, cui una parola a dei segni permettono di accedere a realtà che non si vedono (Ebr 11,1).


Giovanni Paolo II (Omelia, 4 Giugno 1989): Le parole “Signore, ... io non sono degno” (Lc 7,6) furono pronunciate per la prima volta da un centurione romano, un uomo che era un soldato nella terra di Israele. Benché fosse uno straniero e un pagano, amava il popolo d’Israele, tanto che - come ci dice il Vangelo - aveva perfino costruito una sinagoga, una casa di preghiera (cf. Lc 7,5). Per questo motivo i Giudei appoggiarono caldamente la richiesta che voleva fare a Gesù, di guarire il suo servo. Rispondendo al desiderio del centurione, Gesù s’incamminò verso la sua casa. Ma ora il centurione, volendo prevenire l’intento di Gesù, gli disse: “Signore, non stare a disturbarti, perché io non sono degno che tu venga sotto il mio tetto; ecco perché non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te. Ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito (Lc 7,6-7). Cristo accedette al desiderio del centurione, ma nello stesso tempo “restò ammirato” dalle parole del centurione e rivolgendosi alla folla che lo seguiva disse. “Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande” (Lc 7,9).
Se ripetiamo le parole del centurione quando ci accostiamo alla Comunione, lo facciamo perché queste parole esprimono una fede che è forte e profonda. Le parole sono semplici, ma in un certo senso contengono la verità fondamentale la quale dice chi è Dio e chi è l’uomo. Dio è il santo, il creatore che ci dà la vita e che ha fatto tutto ciò che esiste nell’universo. Noi siamo creature e suoi figli, bisognosi di essere guariti dai nostri peccati. [...] Le parole del centurione sono la voce della creatura che dà lode al Creatore per la sua generosità e bontà. Quelle parole contengono addirittura l’intero Vangelo: l’intera buona Novella della nostra salvezza. Danno testimonianza del dono meraviglioso di Dio stesso, espresso nella Parola di vita. Dio conferisce all’uomo un dono assolutamente gratuito - una partecipazione alla sua stessa natura divina. Dona alle sue creature la vita eterna in Cristo. L’uomo è graziato da Dio.
La fede del centurione romano fu grande ... Sapeva di non essere degno di un simile dono, e che questo dono era infinitamente più grande di quanto lui, semplice uomo, avrebbe mai potuto realizzare o anche desiderare, perché il dono è realmente soprannaturale. La meraviglia di questo dono è che ci dà la possibilità di conseguire l’oggetto della nostra più profonda aspirazione. vivere per sempre in unione intima con Dio, fonte di ogni bene. Nella Eucaristia partecipiamo sacramentalmente a questo stesso dono. La Eucaristia è un memoriale della Passione e morte di Gesù: ci riempie di grazia, ed è segno della nostra futura gloria. Attraverso la fede dobbiamo costantemente rinnovare la nostra gratitudine per il dono divino.
In Cristo, che è il dono divino, il dono del Vangelo, il dono dell’Eucaristia è offerto a ognuno. Ognuno è invitato a diventare membro della “famiglia della fede” (cf. Gal 6,10). In questa Chiesa non vi sono “stranieri”. Perfino chi viene da “un Paese distante”, da molto lontano, è “in casa” nella Chiesa. È ciò che dice la prima lettura odierna dal libro dei Re: quando Salomone dedica il grande tempio di Gerusalemme, prega perché “tutti i popoli della terra conoscano il tuo nome” (1Re 8,43). Nonostante le differenza di razza, di nazionalità, di lingua e di cultura, tutti sono chiamati a partecipare in pari misura all’unità e alla fratellanza del Popolo di Dio. Pur rendendoci conto che la storia ha lasciato a noi cristiani quelle divisioni e differenze di fede che rendono impossibile per noi partecipare insieme all’Eucaristia, proclamiamo ardentemente che venga il momento quando la preghiera di Cristo troverà una piena risposta, che tutti possano essere una cosa sola, affinché il mondo creda (cf. Gv 17,21).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Wolfgang Trilling: L’episodio afferma con chiarezza che mai può valere un diritto alla salvezza in forza di una tradizione o per i meriti degli antenati o per il fatto di appartenere a una famiglia, a una associazione, a un popolo. Ciò che decide è «una fede così grande». Colui che la possiede viene concesso in abbondanza quello che chiede, anzi gli vien dato anche quello che, nella sua modestia, non ardisce ancora chiedere.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Il tuo aiuto, o Padre,ci renda perseveranti nel bene in attesa del Cristo tuo Figlio;quando egli verrà e busserà alla portaci trovi vigilanti nella preghiera, operosi nella carità fraterna ed esultanti nella lode. Per il nostro Signore Gesù Cristo


IL PENSIERO DEL GIORNO

3 Dicembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Vegliate: non sapete quando il padrone di casa ritornerà» (Vangelo).  


Vangelo secondo Marco 13,33-37: Il vangelo di questa prima domenica di Avvento è la parte conclusiva del discorso escatologico (Cf. Mt 24,1-3; Lc 21,5-7). Differentemente «dal discorso di Matteo, che aggiunge alla prospettiva della rovina di Gerusalemme e del tempio quella della fine del mondo [Cf. Mt 24,1], il discorso di Marco ha maggiormente conservato l’orientamento primitivo, che riguarda esclusivamente la rovina di Gerusalemme» (Bibbia di Gerusalemme). Al di là di questi rilievi, il tema centrale del vangelo è quello della vigilanza: il discepolo fedele, poiché non conosce «quando il padrone di casa ritornerà», vigila sostenuto dalla preghiera, dall’ascolto della Parola di Dio, dalla penitenza e dalla carità ardente, sopra tutto verso gli ultimi, i più indigenti.


Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate! - Jacques Hervieux (Vangelo di Marco): L’evangelista conclude ricordando la particolare insistenza di Gesù: «Lo dico a tutti: vegliate!» (v. 37). Il discorso era iniziato con riservatezza, rivolto esclusivamente ai suoi discepoli (13,3-4) e si presentava come una confidenza per pochi eletti, proprio nello stile del «messaggio in codice» delle apocalissi, che si rivolgono ai lettori con linguaggio volutamente sibillino. I perseguitati devono capire, non i persecutori! Ma qui, in conclusione, il pressante richiamo a vigilare è diretto «a tutti», poiché riguarda molte generazioni.


Avvento del Signore. La venuta di Dio - W. Mundl (Venire in Dizionario dei Concetti Biblici del Nuovo Testamento - EDB) - La venuta di Gesù nella carne (1Gv 4,2) lascia adito al dubbio già manifestato dal Battista in carcere: sei tu il «venturo» cioè il messia promesso? (Mt 11,3e).
La folla di Gerusalemme, col Sal 118,25s, saluta in Gesù il re di salvezza che viene nel nome del Signore (Mt 21,9).
La morte di croce metterà in dubbio la messianicità di Gesù (Mt 27,42); ma con la risurrezione Gesù è «costituito figlio di Dio con potenza» (Rm 1,4): e questa potenza risulterà visibile anche sul mondo terreno. È pertanto attinente al messaggio pasquale la certezza che Gesù verrà con potenza e gloria. Il ritorno del Cristo è formulato nei sinottici a partire da Dn 7,13, interpretato messianicamente: il figlio dell’uomo verrà nelle nubi del cielo (Mt 24,30 par.; 26,64 par.). Il Cristo venturo sarà il giudice (Mt 25,31; 2Cor 5,10; ecc.). Non c’è alcuna differenza reale fra lui e Dio in questa funzione (Mt 10,32s). Il vigore di questa speranza, che percorre tutto il Nuovo Testamento, è attestato nell’invocazione maranathà (1Cor 16,22) e nella preghiera dell’Apocalisse 22,20: «Vieni, Signore Gesù».
La venuta del Signore si collega alla venuta del regno di Dio (Mt 6,10; Lc 11,2): non bisogna infatti separarle (Mt 16,28; Lc 22,29s). Precederanno il Cristo falsi profeti e messia, e l’anticristo (Mc 13,22s; 1Gv 2,18; 2Ts 2,3ss).
Il giorno e l’ora di questa venuta sono sconosciuti agli angeli del cielo, e anche al Figlio; solo il Padre li conosce: perciò neppure ai discepoli sarà dato di sapere (Mc 13,32; At 1,7). Il Signore verrà all’improvviso, inatteso come il «ladro di notte» (Mt 24,42; 1Ts 5,2 passim). I discepoli devono perciò «vigilare» attentamente per essere trovati pronti alla sua venuta (Mt 24,42; 25,13 e passim).
Quantunque il termine di questa venuta resti indeterminato, non si esclude la speranza in una venuta imminente (Ap 22,20).
Il quarto vangelo considera la pasqua e la pentecoste nella prospettiva della venuta di Gesù e dello Spirito. Gesù non lascia orfani i discepoli, ma verrà a confermarli. A coloro che lo amano si manifesterà; il Padre e il Figlio verranno e faranno dimora nel cuore dei credenti (Gv 14,16ss).
Gesù promette similmente la venuta del Paraclito, del Consolatore. Il Paraclito ha il compito di testimoniare Cristo e quale spirito di verità guiderà i discepoli alla verità (Gv 15,26; 16,7.8.13).
Questo non significa, come spesso si è creduto, una rinuncia alla speranza del futuro, tipica del cristianesimo primitivo. L’idea degli «ultimi giorni», della risurrezione e del giudizio sono ben presenti nei vangeli e inscindibili dalla persona di Gesù (Gv 5,25.29; 6,39.44.54; 11,25s). È posta in evidenza esclusivamente la stretta relazione che intercorre tra la presenza di salvezza nella venuta del Cristo e il futuro. Espressione classica resta la frase: «È giunto il momento ed è questo, in cui...» (Gv 4,23; 5,25).
Ora l’uomo deve andare a questo Signore, che è venuto e che verrà. L’accenno esplicito è contenuto nella parabola del banchetto nuziale (Mt 22,1ss; Lc 14,15ss). L’invito alla cena non è però accolto dall’uomo (Mt 22,3; Lc 14,20). Giovanni usa la medesima immagine (5,40; 7,37). Naturalmente non si tratta di un andare senza alcun nesso specifico; è piuttosto un seguire, un opìsò érchesthai oppure akolouthéin (Mc 1,20; Mt 10,38 par.; 16,24 par.; nel linguaggio di Giovanni troviamo, oltre a akolouthéin, anche pistéuein, credere) .
Il fatto che Cristo sia già venuto crea il presupposto perché l’uomo lo segua; ma la risposta all’invito di Gesù può essere soltanto opera della grazia divina (Gv 6,37.44).


E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine - La Chiesa, come ci ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica, «celebrando ogni anno la liturgia dell’Avvento, attualizza l’attesa del Messia: mettendosi in comunione con la lunga preparazione della prima venuta del Salvatore, i fedeli ravvivano l’ardente desiderio della seconda venuta» (524).
Ma come l’uomo del XXI secolo attende l’ultima venuta del Cristo? Come celebra la prima venuta del Salvatore? Domande che esigono una risposta, ma prima di queste domande, a monte, ce n’è una ancora più pregnante: Crede in Dio? Celebra il Natale, mistero del Dio «fatto carne» (Cf. Gv 1,14)? Attende la venuta gloriosa del Risorto?
Per molti, senza timore di esagerare, si può dire che l’incarnazione, la morte, la risurrezione e la parusia del Cristo sono eventi da relegare nella mitologia. Questi eventi non sono più patrimonio di valori per l’uomo contemporaneo, perché ha rinunciato al Dio rivelato. E poiché egli non sempre trova la soluzione dei tanti problemi che oggi lo angustiano, affida alla scienza il compito di spiegare ogni cosa e ciò che non viene spiegato o non è veritiero o non è utile al progresso dell’umanità.
Egli crede soltanto nella scienza elevandola a dogma inviolabile. La scienza è il nuovo dio dinanzi al quale piegare le ginocchia.
Il credo ateo del mondo sembra avere cancellato il credo religioso. E se la scienza può spiegare tutto, che bisogno c’è di un «Redentore? Da che cosa dobbiamo essere redenti? Pensare così è il risultato di un ingenuo ottimismo, ogni giorno l’uomo si accorge di rinnovare la costruzione della torre di Babele: un frenetico edificare sulle sabbie mobili della divisione, del peccato, della morte» (Messale Festivo, LDC).
Per il cristiano, come suggerisce la Costituzione dogmatica Dei Filius, anche «se la fede è sopra la ragione, non vi potrà mai essere vera divergenza tra fede e ragione: poiché lo stesso Dio che rivela i misteri comunica la fede, ha anche deposto nello spirito umano il lume della ragione, questo Dio non potrebbe negare se stesso, né il vero contraddire il vero» (c. 4). Perciò «la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio. Anzi, chi si sforza con umiltà e perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche se egli non se ne avveda, viene come condotto dalla mano di Dio, il quale, mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quello che sono» (GS 36).
Quando l’uomo rinuncia alla fede dimostra tutta la sua debolezza, tutta la sua vulnerabilità.
«Il pensiero moderno lontano dal cristianesimo, lungi dall’aver fatto un solo passo innanzi verso la soluzione del problema cruciale, sbocca invece nel pessimismo più nero e desolante. L’uomo è solo una volontà che cerca ciecamente la vita, la quale però non è altro che lotta e dolore [Schopenhauer]. Lo stato naturale dell’essere è il dolore, la felicità è una chimera [Hartmann]. L’uomo è e deve rimanere completamente disperato [Sartre]. L’uomo è obbligato a vivere l’assurdità della sua esistenza [Camus]. Ma tutte le filosofie più «disperate e agghiaccianti non potranno mai soffocare la ricerca ansiosa dell’uomo alla felicità, alla vita, alla salvezza, al conseguimento di un destino pari alla sua dignità» (Vncenzo Raffa).
Il tempo dell’attesa si incunea in questa ansiosa ricerca rendendo l’uomo più divino, «di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2Cor 3,18).


Catechismo della Chiesa Cattolica

n. 1040 Il giudizio finale avverrà al momento del ritorno glorioso di Cristo. Soltanto il Padre ne conosce l’ora e il giorno, egli solo decide circo la sua venuta. Per mezzo del suo Figlio Gesù pronunzierà allora la sua parola definitiva su tutta la storia. Conosceremo il senso ultimo di tutta l’opera della creazione e di tutta l’Economia della salvezza, e prenderemo le mirabili vie attraverso le quali la provvidenza divina avrà condotto ogni cosa verso il suo fine ultimo. Il giudizio finale manifesterà che la giustizia di Dio trionfa su tutte le ingiustizie commesse dalle sue creature e che il suo amore è più forte della morte.

n. 1041 Il messaggio del giudizio finale chiama alla conversione fin tanto che Dio donna agli uomini «il momento favorevole, il giorno della salvezza» (2Cor 6,2). Ispira il santo timor di Dio. Impegna per la giustizia del regno di Dio. Annunzia la «beata speranza» (Tt 2,13) del ritorno del Signore il quale «verrà per essere glorificato nei suoi santi ed essere riconosciuto mirabile in tutti quelli che avranno creduto» (2Ts 1,10).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate! Il pressante richiamo a vigilare è diretto «a tutti», poiché riguarda molte generazioni.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, nostro Padre, nella tua fedeltà che mai vien meno ricordati di noi, opera delle tue mani, e donaci l’aiuto della tua grazia, perché attendiamo vigilanti con amore irreprensibile la gloriosa venuta del nostro redentore, Gesù Cristo tuo Figlio. Egli è Dio, e vive e regna con te ...


IL PENSIERO DEL GIORNO

2 Dicembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di comparire davanti al Figlio delluomo» (Cfr. Lc 21,36 - Acclamazione al Vangelo).  


Vangelo secondo Luca 21,34-36: La pagina evangelica è un forte appello alla vigilanza. Nella attesa della venuta del Giudice divino i discepoli di Gesù non devono lasciarsi sopraffare da dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita. Se i cristiani non saranno vigilanti, anche per loro il giorno della fine del mondo sopravverrà improvvisamente come su tutti gli abitanti della terra. Il brano evangelico si conclude con un invito alla preghiera. I discepoli non solo devono essere svegli, ma devono anche pregare in ogni momento: solo così sarà loro possibile sottrarsi alla catastrofe che sta per accadere nell’imminenza della venuta del Figlio dell’uomo. La preghiera è qui presentata qui come l’antidoto per evitare il rilassamento dei costumi connesso con il ritardo della parusia: proprio il prolungarsi dell’attesa fa comprendere ai cristiani che la preghiera deve essere incessante (cfr. 1Ts 5,17).


La Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): Dobbiamo stare allerta, perché non sappiamo né il giorno né l’ora in cui il Signore verrà a chiederci conto delle nostre azioni. Occorre perciò vivere sempre docili alla volontà divina, facendo in ogni momento le cose che è doveroso fare. Bisogna vivere in modo che la morte, quando verrà, ci trovi preparati. Per coloro che vivono con questa disposizione la morte improvvisa non è mai una sorpresa. A costoro san Paolo dice: «Voi. fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa sorprendervi come un ladro» (lTs 5,4). Viviamo, dunque, in continua vigilanza. Questa consiste nella lotta incessante per non attaccarci alle cose di quaggiù (la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita: cfr lGv 2,16) e nella pratica assidua della preghiera, che ci rende uniti a Dio. Se viviamo in tal maniera, “quel giorno” sarà per noi un giorno di gaudio e non di terrore; infatti la vigilanza continua avrà avuto come risultato, mercé l’aiuto di Dio, che le nostre anime siano preparate, cioè in grazia. per ricevere il Signore. Così l’incontro con Cristo non sarà sancito da un giudizio di condanna, ma da un abbraccio definitive, col quale Gesù ci introdurrà nella casa del Padre. «Non brilla nella tua anima il desiderio che tuo Padre Dio abbia a rallegrarsi quando dovrà giudicarti?» (Cammino, n. 746).


Catechismo della Chiesa Cattolica

n. 672 Vegliate: Prima dell’ascensione Cristo ha affermato che non era ancora giunto il momento del costituirsi glorioso del regno messianico atteso da Israele, regno che doveva portare a tutti gli uomini, secondo i profeti, l’ordine definitivo della giustizia, dell’amore e della pace. Il tempo presente è, secondo il Signore, il tempo dello Spirito e della testimonianza, ma anche un tempo ancora segnato dalla necessità e dalla prova del male, che non risparmia la Chiesa e inaugura i combattimenti degli ultimi tempi. È un tempo di attesa e di vigilanza.

n. 2612 Preghiera e vigilanza: In Gesù «il regno di Dio è vicino» (Mc 1,15); egli chiama alla conversione e alla fede, ma anche alla vigilanza. Nella preghiera, il discepolo veglia attento a colui che è e che viene, nella memoria della sua prima venuta nell’umiltà della carne e nella speranza del suo secondo avvento nella gloria. La preghiera dei discepoli, in comunione con il loro Maestro, è un combattimento, ed è vegliando nella preghiera che non si entra in tentazione.

n. 2742 Vegliate in ogni momento pregando: «Pregate incessantemente» (1Ts 5,17), «rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre nel nome del Signore nostro Gesù Cristo» (Ef 5,20); «pregate incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi» (Ef 6,18). «Non ci è stato comandato di lavorare, di vegliare e di digiunare continuamente, mentre la preghiera incessante è una legge per noi». Questo ardore instancabile non può venire che dall’amore. Contro la nostra pesantezza e la nostra pigrizia il combattimento della preghiera è il combattimento dell’amore umile, confidente, perseverante. Questo amore apre i nostri cuori su tre evidenze di fede, luminose e vivificanti.

n. 2743 Pregate in ogni momento: Pregare è sempre possibile: il tempo del cristiano è il tempo di Cristo risorto, che è con noi «tutti i giorni» (Mt 28,20), quali che siano le tempeste. Il nostro tempo è nelle mani di Dio: «È possibile, anche al mercato o durante una passeggiata solitaria, fare una frequente e fervorosa preghiera. È possibile pure nel vostro negozio, sia mentre comperate sia mentre vendete, o anche mentre cucinate».

n. 2744 Pregare è una necessità vitale: Pregare è una necessità vitale. La prova contraria non è meno convincente: se non ci lasciamo guidare dallo Spirito, ricadiamo sotto la schiavitù del peccato. Come può lo Spirito Santo essere la « nostra vita », se il nostro cuore è lontano da lui? «Niente vale quanto la preghiera; essa rende possibile ciò che è impossibile, facile ciò che è difficile. [...] È impossibile che cada in peccato l’uomo che prega». «Chi prega, certamente si salva; chi non prega certamente si danna».

n. 2745 Preghiera e vita cristiana: Preghiera e vita cristiana sono inseparabili, perché si tratta del medesimo amore e della medesima abnegazione che scaturisce dall’amore. La medesima conformità filiale e piena d’amore al disegno d’amore del Padre. La medesima unione trasformante nello Spirito Santo, che sempre più ci configura a Cristo Gesù. Il medesimo amore per tutti gli uomini, quell’amore con cui Gesù ci ha amati. «Tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome ve lo concederà. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri» (Gv 15,16-17). «Prega incessantemente colui che unisce la preghiera alle opere e le opere alla preghiera. Soltanto così possiamo ritenere realizzabile il principio di pregare incessantemente».


Vieni, Signore Gesù - Basilio Caballero (La Parola per ogni giorno): Oggi termina il discorso escatologico secondo la versione di Luca e finisce l’anno liturgico, che lascia il passo all’avvento. Da quando è arrivato nella città di Gerusalemme, Cristo ha insegnato ogni giorno nel tempio. La sua passione e la sua morte sono ormai imminenti. Oggi termina l’istruzione ai suoi discepoli e alla gente con questi avvertimenti: «State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso ... Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».
In questa esortazione alla vigilanza c’è un particolare proprio dell’evangelista Luca: la preghiera. Vigilanza e preghiera sono virtù sorelle e inseparabili che si sostengono a vicenda; devono andare insieme, come atteggiamenti fondamentali del cristiano, vere virtù cardinali, perno e caposaldo di una vita animata dalla fede e dalla speranza. «Perseverate nella preghiera e vegliate in essa, rendendo grazie», raccomandava san Paolo ai Colossesi (4,2).
La preghiera sostiene la fede e la speranza vigilante, mantenendo il nostro contatto e il nostro dialogo con Dio, come faceva Gesù. Perciò la preghiera è il miglior antidoto contro la sonnolenza e il letargo spirituale che ci privano dell’acutezza, della sensibilità e dei riflessi cristiani necessari a discernere l’ora di Dio nella nostra vita personale e comunitaria. La preghiera è anche una grande forza per superare le tentazioni quotidiane che anticipano già il grande combattimento escatologico finale.
Il supremo modello cristiano di veglia e preghiera vigilante è Cristo nella sua agonia (= lotta) del Getsemani, in contrapposizione alla sonnolenza dei suoi discepoli. Per questo li avvertì: «Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole» (Mt 26,41). Già prima, nella preghiera per antonomasia che è il «Padre nostro», Gesù aveva fatto riferimento a questo nella sesta invocazione al Padre che dice: «Non c’indurre in tentazione».


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** «Il Figlio dell’uomo verrà con certezza. Lo si vedrà con i propri occhi. Nessuno potrà sottrarsi a tale evento. E tutti coloro che lo vedranno, comprenderanno chiaramente che è proprio lui. [...] Gesù non verrà più nella debolezza della sua figura terrena, ma in tutta la grandezza e lo splendore della sua glorificazione» (Alois Stoger).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Ridesta, Signore, la volontà dei tuoi fedeli perché, collaborando con impegno alla tua opera  di salvezza, ottengano in misura sempre più abbondante i doni della tua misericordia.  Per il nostro Signore...