IL PENSIERO DEL GIORNO


6 Agosto 2017


Oggi Gesù ci dice: «Alzatevi e non temete» (Mt 17,7).

Ortensio da Spinetoli (Matteo): Ormai «solo Gesù» è il legislatore e il profeta voluto dal Padre. L’interruzione di Pietro serve a ribadire questa suprema decisione divina. La caduta a terra degli apostoli non è causata, in Matteo, dalla vista della nube o dello smarrimento (il «non sapeva quello che dicesse» si trova in Luca) ma dalle parole del Padre. Mentre Pietro vuole assegnare a tutti e tre un’eguale mansione per perpetuare quindi la legge e il profetismo, Iddio fa intendere di aver costituito «solo Gesù» suo unico plenipotenziario e intermediario tra gli uomini. Cadendo a terra (in Matteo solo dopo questo annuncio) essi fanno un atto di sottomissione alla volontà di Dio e all’autorità del suo inviato. La voce del Padre li ha riempiti di timore ma non ha impedito di esprimere il loro omaggio al dottore loro proposto da Dio (cfr. Gen 17,3; 1Sam 24,9; 2Sam 9,8; Dan l0,9 ecc.).
Il monte della trasfigurazione da cui Gesù impartisce i suoi insegnamenti, ha sostituito il monte Sinai e il monte Sion. La gloria di Jahve anch’essa cessa di risiedere nel santuario gerosolimitano e comincia a espandersi sui tre apostoli e su tutti gli uomini.
La trasfigurazione è l’anticipata apoteosi di Cristo. Egli vi appare in tutte le sue attribuzioni: figlio dell’uomo, servo di Jahve, messia, figlio di Dio e con i suoi legami nella storia della salvezza.


Trasfigurazione. In tutti i sinottici il racconto della trasfigurazione di Gesù (Mt 17,1-9 par) è in stretta connessione col precedente primo annuncio della passione, che per i discepoli rimaneva ancora incomprensibile. Nella trasfigurazione, Gesù doveva esser loro rivelato come il vero messia, dapprima per mezzo della testimo­nianza di Mosè ed Elia (Legge e Profeti), poi dallo stesso Padre (dalla nube luminosa della “gloria” di JHWH).  Mt 16,28 (diversamente Mc 9,1) vuole offrire un’interpretazione dell’evento: i discepoli vedono in Gesù il “figlio dell’uomo” che “viene sulle nubi del cielo tratteggiato da Dn 713. Al di là di tutti i racconti tramandati, si deve certamente ammettere un evento straordinario. Il v. 2 parla di una “trasformazione” (metamorfosi) di Gesù. È difficile richiamare paralleli storico-religiosi (metamorfosi degli iniziati nei culti misterici). Il v. 9 chiama “visione” (soltanto Mt) l’esperienza vissuta dai discepoli, che deve esser stata chiaramente affine alle apparizioni pasquali.
La trasfigurazione di Gesù è un’epifania del “Figlio diletto”, la cui gloria si manifesta proprio mentre è incamminato verso la croce. (UR)


Catechismo della Chiesa Cattolica

Un anticipo del Regno: la Trasfigurazione

554 Dal giorno in cui Pietro ha confessato che Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente, il Maestro «cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme, e soffrire molto [...] e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno» (Mt 16,21). Pietro protesta a questo annunzio, gli altri addirittura non lo comprendono. In tale contesto si colloca l’episodio misterioso della trasfigurazione di Gesù su un alto monte, davanti a tre testimoni da lui scelti: Pietro, Giacomo e Giovanni. Il volto e la veste di Gesù diventano sfolgoranti di luce, appaiono Mosè ed Elia che parlano «della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme» (Lc 9,31). Una nube li avvolge e una voce dal cielo dice: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo» (Lc 9,35).

555 Per un istante, Gesù mostra la sua gloria divina, confermando così la confessione di Pietro. Rivela anche che, per «entrare nella sua gloria» (Lc 24,26), deve passare attraverso la croce a Gerusalemme. Mosè ed Elia avevano visto la gloria di Dio sul monte; la Legge e i profeti avevano annunziato le sofferenze del Messia. La passione di Gesù è proprio la volontà del Padre: il Figlio agisce come Servo di Dio. La nube indica la presenza dello Spirito Santo: «Tota Trinitas apparuit: Pater in voce, Filius in homine, Spiritus in nube clara – Apparve tutta la Trinità: il Padre nella voce, il Figlio nell’uomo, lo Spirito nella nube luminosa»: «Tu ti sei trasfigurato sul monte, e, nella misura in cui ne erano capaci, i tuoi discepoli hanno contemplato la tua gloria, Cristo Dio, affinché, quando ti avrebbero visto crocifisso, comprendessero che la tua passione era volontaria ed annunziassero al mondo che tu sei veramente l’irradiazione del Padre».

556 Alla soglia della vita pubblica: il battesimo; alla soglia della pasqua: la trasfigurazione. Col battesimo di Gesù «declaratum fuit mysterium primae regenerationis – fu manifestato il mistero della prima rigenerazione»: il nostro Battesimo; la trasfigurazione «est sacramentum secundae regenerationis – è il sacramento della seconda rigenerazione»: la nostra risurrezione. Fin d’ora noi partecipiamo alla risurrezione del Signore mediante lo Spirito Santo che agisce nel sacramento del corpo di Cristo. La trasfigurazione ci offre un anticipo della venuta gloriosa di Cristo «il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» (Fil 3,21). Ma ci ricorda anche che «è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio» (At 14,22): «Pietro non lo capiva ancora quando sul monte desiderava vivere con Cristo. Questa felicità Cristo te la riservava dopo la morte, o Pietro. Ora invece egli stesso ti dice: Discendi ad affaticarti sulla terra, a servire sulla terra, a essere disprezzato, a essere crocifisso sulla terra. È discesa la vita per essere uccisa; è disceso il pane per sentire la fame; è discesa la via, perché sentisse la stanchezza del cammino; è discesa la sorgente per aver sete; e tu rifiuti di soffrire?».


Marcello Semeraro, vescovo

Meditando sul mistero della Trasfigurazione...

Meditando sul mistero della Trasfigurazione, noi possiamo muoverci in più direzioni, tutte indicateci dal Prefazio di questa festa. Una ci conduce a considerare la gloria di Gesù che si rivela agli Apostoli: “Dinanzi ai testimoni da lui prescelti, egli rivelò la sua gloria”. Quale gloria? Non si tratta di un bagliore materiale, per quanto l’evangelista, come abbiamo ascoltato, accumulando i superlativi si diffonda nel darci dei paragoni: gli abiti di Gesù appaiono splendenti, di un candore che umanamente è impossibile realizzare (cfr. Mc 9,3). In realtà dobbiamo entrare nella dimensione della fede, perché, come leggiamo all’inizio del Quarto Vangelo, si tratta della “gloria di Figlio unico che viene dal Padre” (Gv 1,14; cfr. 2Pt 1,17). Come l’evangelista san Giovanni - che fu uno dei testimoni della Trasfigurazione - anche noi, dunque, professiamo che Gesù è il Figlio di Dio.
C’è poi una seconda direzione e questa ci riguarda in prima persona, perché Gesù “nella sua umanità, in tutto simile alla nostra, fece risplendere una luce incomparabile” (Prefazio). Nel mistero della sua Trasfigurazione Gesù compie l’annuncio della nostra trasformazione. Anzi, non solo della nostra: nella sua Trasfigurazione Gesù volle pure “anticipare… la meravigliosa sorte della Chiesa, suo mistico corpo”. Come, dunque, sono colmi di speranza questa festa e il Mistero che essa celebra! La Trasfigurazione, infatti, ci rivela il senso intimo del cristianesimo, che è essenzialmente la rivelazione del nuovo, del creativo, della risurrezione nella vita eterna e nella gloria, come scrive l’apostolo Paolo: “La nostra cittadinanza… è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose” (Fil 3,20-21).
Si apre, così, una terza direzione poiché la Trasfigurazione ci permette di scorgere, nella luce di Cristo risorto, quali saranno gli uomini glorificati e il mondo trasformato; e non solo quali saranno alla fine dei tempi, ma addirittura quali possono essere già da oggi come un rapido anticipo della gloria futura, se ascolteranno la Parola del Figlio prediletto. Quando, cioè, sono uomini nuovi, perché questo ci ha promesso Gesù: “Quando il tuo occhio è semplice, anche tutto il tuo corpo è luminoso… Se dunque il tuo corpo è tutto luminoso, senza avere alcuna parte nelle tenebre, sarà tutto nella luce, come quando la lampada ti illumina con il suo fulgore” (Lc 11,34-36).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Se dunque il tuo corpo è tutto luminoso, senza avere alcuna parte nelle tenebre, sarà tutto nella luce, come quando la lampada ti illumina con il suo fulgore.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che nella gloriosa Trasfigurazione del Cristo Signore, hai confermato i misteri della fede con la testimonianza della legge e dei profeti e hai mirabilmente preannunziato la nostra definitiva adozione a tuoi figli, fa’ che ascoltiamo la parola del tuo amatissimo Figlio per diventare coeredi della sua vita immortale. Egli è Dio, e vive e regna con te...


 IL PENSIERO DEL GIORNO

5 Agosto 2017

Oggi Gesù ci dice: «Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,10).

La parola chiave del versetto evangelico è beati, e ha il senso di una esclamazione di gioia. Gesù Maestro «indica ai suoi seguaci come si dovrebbe vivere: non semplicemente in conformità a una serie di regole, ma rivoluzionando dall’interno il proprio atteggiamento e la propria mentalità. La cosa straordinaria è che egli ha dato all’uomo la capacità di vivere questo ideale apparentemente impossibile» (Howard Marshall).


Le beatitudini: Beati è una formula ricorrente nei Salmi, nei libri sapienziali e nel Nuovo Testamento, soprattutto nel libro dell’Apocalisse. Beato è l’uomo che cammina nella legge del Signore e per questo è ricolmo delle benedizioni di Dio, dei suoi favori e delle sue consolazioni divine soprattutto nei momenti cruciali in cui deve sopportare umiliazioni, affanni e persecuzioni. Gesù apre il suo discorso proclamando beati i “poveri in spirito”, una parola questa che fa bene intendere che il Maestro fa riferimento non agli indigenti, ma ai “poveri di Iahvé”, cioè a coloro che nonostante tutto restano fedeli al Signore, anzi le prove sono spinte a fidarsi di Dio, a chiudersi nel suo cuore, a rinserrarsi tra le sue braccia. I “poveri in spirito” sono coloro che fanno del dolore una scala per salire fino a Dio. Sono coloro che restano nonostante tutto saldi nelle promesse di Dio (Cf. Mt 27,39-44). In questa ottica sono beati quelli che sono nel pianto, i perseguitati per la giustizia, i diffamati. Ai miti fanno corona coloro che hanno fame e sete della giustizia, cioè coloro che amano vivere all’ombra della volontà di Dio, attuandola nella loro vita e mettendola sempre al primo posto. Beati sono i misericordiosi cioè coloro che imitano la bontà, la pietà e la misericordia di Dio soprattutto a favore dei più infelici e dei più bisognosi. I puri di cuore sono beati per la purezza delle intenzioni, l’onestà della vita, perché sempre disponibili ai progetti divini. E infine, gli operatori di pace, che «nella Bibbia esprime la comunione con Dio e con gli uomini ed è il dono che riassume il vangelo [Cf. Lc 2,14], sono i più evidenti figli del Padre celeste» (Salvatore Garofalo).
Il “discorso della Montagna” si chiude con due beatitudini rivolte ai perseguitati. Israele in tutta la sua storia aveva dovuto fare i conti con numerosi persecutori e se, quasi sempre, aveva accettato l’umiliazione delle catene, della tortura fisica e  dell’esilio, come purificazione e liberazione dal peccato, mai avrebbe pensato alla persecuzione come a una fonte di gioia e di felicità. Il discorso di Gesù va poi collocato proprio in un momento doloroso della storia ebraica: Israele gemeva sotto il durissimo e spietato giogo di Roma.
Nel nuovo Regno bandito da Gesù di Nazaret invece la persecuzione, e anche la calunnia, l’ingiustizia o l’odio gratuito, sono sorgenti di felicità se sopportate per «causa sua». Ancora di più, la sofferenza vicaria dà «compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). Solo in questa prospettiva la persecuzione è la via grande, spaziosa e larga, spalancata al dono della salvezza e apportatrice di ogni bene e dono: «Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli». Un discorso che è rivolto a tutti: ai discepoli e alla folla, nessuno escluso.


Benedetto XVI (Omelia, 29 Giugno 2010): [...] se pensiamo ai due millenni di storia della Chiesa, possiamo osservare che – come aveva preannunciato il Signore Gesù (cfr Mt 10,16-33) - non sono mai mancate per i cristiani le prove, che in alcuni periodi e luoghi hanno assunto il carattere di vere e proprie persecuzioni. Queste, però, malgrado le sofferenze che provocano, non costituiscono il pericolo più grave per la Chiesa. Il danno maggiore, infatti, essa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del Corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto. Questa realtà è attestata già dall’epistolario paolino. La Prima Lettera ai Corinzi, ad esempio, risponde proprio ad alcuni problemi di divisioni, di incoerenze, di infedeltà al Vangelo che minacciano seriamente la Chiesa. Ma anche la Seconda Lettera a Timoteo - di cui abbiamo ascoltato un brano – parla dei pericoli degli “ultimi tempi”, identificandoli con atteggiamenti negativi che appartengono al mondo e che possono contagiare la comunità cristiana: egoismo, vanità, orgoglio, attaccamento al denaro, eccetera (cfr 3,1-5). La conclusione dell’Apostolo è rassicurante: gli uomini che operano il male - scrive - “non andranno molto lontano, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti” (3,9). Vi è dunque una garanzia di libertà assicurata da Dio alla Chiesa, libertà sia dai lacci materiali che cercano di impedirne o coartarne la missione, sia dai mali spirituali e morali, che possono intaccarne l’autenticità e la credibilità.


L’Ora delle persecuzioni

486 In base alla posizione della Chiesa rispetto alla società civile, possiamo distinguere tre epoche fondamentali nella sua storia.
La prima epoca è quella delle persecuzioni. La Chiesa penetra nella civiltà greco-romana, sfidando una dura opposizione. Ha su di sé l’antipatia delle masse popolari, superstiziose e moralmente corrotte, la diffidenza e il disprezzo degli intellettuali, l’ostilità dello stato totalitario. Si preoccupa soprattutto di consolidare la sua vita interna. Le comunità, riunite ciascuna attorno al proprio vescovo, sono piccole, fervorose e collegate fra loro da una rete di intense relazioni. I credenti prendono sul serio la comune vocazione alla santità, pronti a qualsiasi sacrificio, dato che «il martirio colpiva fin dalla nascita»nota. All’interno della propria comunità e nei rapporti tra le diverse comunità, fanno una concreta esperienza di comunione, fondata sul battesimo, incentrata sull’eucaristia, regolata da precise norme disciplinari, vissuta nella carità fraterna, nella condivisione dei beni spirituali e materiali. Tuttavia non mancano scandali, eresie, discordie, conflitti disciplinari.

487  La fede si propaga in modo capillare da persona a persona per la testimonianza spontanea di ogni credente presso parenti e amici, ospiti e clienti, compagni di lavoro e di viaggio. Un grande apologeta può dire con fierezza: «Siamo di ieri, ma abbiamo già riempito il mondo e tutti i vostri territori, le città, le isole, le fortezze, i municipi, le borgate, gli stessi accampamenti, le tribù, le decurie, la reggia, il senato, il foro». Senza far chiasso, il cristianesimo si diffonde e intanto si libera lentamente della sua matrice ebraica e assume un’espressione greca. Questo processo di trasposizione culturale giunge a maturazione nel III secolo, con i prestigiosi maestri della scuola teologica di Alessandria in Egitto. Tuttavia, dati i rapporti conflittuali con la società, l’incidenza sulla civiltà greco-romana nel suo complesso rimane marginale fino alla svolta costantiniana.

488 Numerosi sono i màrtiri, eroici e umanissimi, come possiamo rilevare da lettere, atti e passioni. Ma forse più numerosi sono coloro che non resistono al momento della prova.
Si tratta dunque di una stagione senz’altro splendida per creatività ed eroismo, ma non certo perfetta e da idealizzare.

864 «Beati i perseguitati per causa della giustizia» (Mt 5,10). Si tratta di chi subisce insulti, discriminazioni e violenze a motivo della nuova giustizia evangelica, e quindi a motivo della sua identità cristiana: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia» (Mt 5,11). L’amore appassionato per Cristo e il fascino del suo vangelo danno il coraggio, e anche la gioia, di affrontare le prove, quotidiane o eccezionali che siano, nella consapevolezza di seguire più da vicino il Maestro, ingiustamente perseguitato.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Il danno maggiore, infatti, la Chiesa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del Corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, nostra forza e nostra speranza, senza di te nulla esiste di valido e di santo; effondi su di noi la tua misericordia perché, da te sorretti e guidati, usiamo saggiamente dei beni terreni nella continua ricerca dei beni eterni. Per il nostro Signore...


IL PENSIERO DEL GIORNO

4 Agosto 2017

Oggi Gesù ci dice: «La parola del Signore rimane in eterno: e questa è la parola del Vangelo che vi è stato annunciato» (1Pt 1,25) .

A partire dal battesimo, “i cristiani non devono considerarsi semplicemente come membri o anche fratelli della grande comunità umana. La nuova nascita li ha fatti figli di Dio. Gli uni per gli altri sono fratelli nella fede (1Gv 4,7.12.16). Questo nuovo vincolo deve dare nuova forza al loro amore.
La nuova nascita ha avuto luogo attraverso il battesimo; ma questo aspetto è già stato messo in rilievo da Pietro. Ora egli ci offre un nuovo principio generale di questa nuova vita: la parola di Dio ricevuta nell’intimo del cuore e creatrice di questa nuova vita. Infatti la parola di Dio, per la sua stessa natura, supera il mondo terreno e partecipa delle caratteristiche divine (On 6,26); essa è vita cioè operante e, in contrapposizione con tutto quello che è terreno, è permanente. Questo spiega come, quando si avvicina all’uomo ed è da lui accolta, generi in lui questa nuova vita” (Felipe F. Ramos, Commento della Bibbia Liturgica).

La sacra Scrittura norma della fede

615 Molti, anche praticanti, si considerano cattolici, ma a modo proprio. Non si curano seriamente della parola di Dio. Ignorano la Sacra Scrittura, oppure ne danno un’interpretazione individuale o di gruppo, senza tener conto dell’interpretazione autentica del magistero ecclesiale. Invece, chiamato a vivere la fede, il cristiano ha bisogno di leggere il libro sacro e di leggerlo in accordo con la Chiesa.

Infallibilità della Chiesa

616 La fede della Chiesa riconosce nella Scrittura la propria norma e ad essa si sente vincolata; tuttavia, come a suo tempo ne ha fissato il canone, l’elenco dei libri sacri, così in ogni epoca si sente autorizzata a interpretarla, perché sa di essere animata dal medesimo Spirito Santo, che ne è l’autore. Gesù si è impegnato ad accompagnare «fino alla fine del mondo» (Mt 28,20) gli annunciatori del vangelo, da lui stesso inviati, tanto che «chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,16); ha assicurato per sempre l’assistenza dello Spirito Paraclito, per condurre i discepoli «alla verità tutta intera» (Gv 16,13) e sostenere la loro testimonianza di fede. Perciò la Chiesa, fin dalle origini, è convinta di possedere questa presenza del Signore risorto e del suo Spirito, che fa di lei la «colonna» e il «sostegno della verità» (1Tm 3,15) e consente ai suoi pastori di guidare i fratelli «all’unità della fede e della conoscenza» (Ef 4,13) e di custodire inalterato il «deposito» (2Tm 1,14) della dottrina cristiana. Di fatto, pur avendo commesso errori in altri campi, mai si è contraddetta nella dottrina della fede, in mezzo a tanti sconvolgimenti storici.

617 La verità è un dono che la Chiesa riceve dal Signore; non è motivo di vanto, ma di umile gratitudine e grave responsabilità. Gesù Cristo non si è limitato a parlare una volta per sempre nel lontano passato, ma riprende la stessa parola e l’attualizza incessantemente con la luce del suo Spirito, attraverso mediazioni umane. Non abbandona il suo messaggio alle fragili risorse della ricerca umana, ma garantisce e offre lui stesso, infallibilmente, la verità salvifica, come attraverso i sacramenti offre la grazia santificante, indipendentemente dalla dignità morale del ministro. Senza questa garanzia i credenti rischierebbero di smarrire l’oggettività e l’integrità della rivelazione; finirebbero per ridurre Dio alla misura della loro esperienza e per credere più a se stessi che a lui. È possibile essere cristiani solo ricevendo in dono la verità e la grazia che sono tra loro complementari.


Dei Verbum

Importanza della sacra Scrittura per la Chiesa

21 La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli. Insieme con la sacra Tradizione, ha sempre considerato e considera le divine Scritture come la regola suprema della propria fede; esse infatti, ispirate come sono da Dio e redatte una volta per sempre, comunicano immutabilmente la parola di Dio stesso e fanno risuonare nelle parole dei profeti e degli apostoli la voce dello Spirito Santo. È necessario dunque che la predicazione ecclesiastica, come la stessa religione cristiana, sia nutrita e regolata dalla sacra Scrittura. Nei libri sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con essi; nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell’anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale. Perciò si deve riferire per eccellenza alla sacra Scrittura ciò che è stato detto: «viva ed efficace è la parola di Dio » (Eb 4,12), « che ha il potere di edificare e dare l’eredità con tutti i santificati» (At 20,32; cfr. 1 Ts 2,13).

Si raccomanda la lettura della sacra Scrittura

25 Perciò è necessario che tutti i chierici, principalmente i sacerdoti e quanti, come i diaconi o i catechisti, attendono legittimamente al ministero della parola, conservino un contatto continuo con le Scritture mediante una lettura spirituale assidua e uno studio accurato, affinché non diventi «un vano predicatore della parola di Dio all’esterno colui che non l’ascolta dentro di sé», mentre deve partecipare ai fedeli a lui affidati le sovrabbondanti ricchezze della parola divina, specialmente nella sacra liturgia. Parimenti il santo Concilio esorta con ardore e insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi, ad apprendere «la sublime scienza di Gesù Cristo» (Fil 3,8) con la frequente lettura delle divine Scritture. «L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo». Si accostino essi volentieri al sacro testo, sia per mezzo della sacra liturgia, che è impregnata di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi, che con l’approvazione e a cura dei pastori della Chiesa, lodevolmente oggi si diffondono ovunque. Si ricordino però che la lettura della sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera, affinché si stabilisca il dialogo tra Dio e l’uomo; poiché «quando preghiamo, parliamo con lui; lui ascoltiamo, quando leggiamo gli oracoli divini». Compete ai vescovi, «depositari della dottrina apostolica», ammaestrare opportunamente i fedeli loro affidati sul retto uso dei libri divini, in modo particolare del Nuovo Testamento e in primo luogo dei Vangeli, grazie a traduzioni dei sacri testi; queste devono essere corredate delle note necessarie e veramente sufficienti, affinché i figli della Chiesa si familiarizzino con sicurezza e profitto con le sacre Scritture e si imbevano del loro spirito. Inoltre, siano preparate edizioni della sacra Scrittura fornite di idonee annotazioni, ad uso anche dei non cristiani e adattate alla loro situazione; sia i pastori d’anime, sia i cristiani di qualsiasi stato avranno cura di diffonderle con zelo e prudenza.

26. In tal modo dunque, con la lettura e lo studio dei sacri libri « la parola di Dio compia la sua corsa e sia glorificata» (2Ts 3,1), e il tesoro della rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre più il cuore degli uomini. Come dall’assidua frequenza del mistero eucaristico si accresce la vita della Chiesa, così è lecito sperare nuovo impulso alla vita spirituale dall’accresciuta venerazione per la parola di Dio, che «permane in eterno» (Is 40,8; cfr. 1Pt 1,23-25).

Padre Ermes Ronchi “La Parola di Dio, Parola di Vita eterna”: Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna. Tu solo. Dio solo. Un inizio bellissimo. Non ho altro di meglio. Ed esclude un mondo intero. Tu solo. Nessun altro c’è su cui poggiare la vita. Tu solo hai parole: Dio parla, il cielo non è vuoto e muto, e la sua parola è efficace e tagliente, spalanca la pietra del sepolcro, vince il gelo, apre strade e nuvole e incontri, apre carezze e incendi. Tu solo hai parole di vita. Pa­role che danno vita, la danno ad ogni parte di me. Danno vita al cuore, allargano e purificano il cuore, ne sciolgono la durezza. Danno vita alla mente perché la mente vive di libertà altrimenti patisce; vive di verità altrimenti si ammala. Vita allo spirito, a questa parte divina deposta in noi, mantengono vivo un pezzetto di Dio in me, una porzione di cielo. Parole che danno vita anche al corpo perché in Lui siamo, viviamo e respiriamo: togli il tuo respiro e siamo subito polvere. Parole di vita eterna, che fanno viva per sempre la vita, che portano in dono l’eternità a tutto ciò che di più bello abbiamo nel cuore.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente e misericordioso, che in san Giovanni Maria Vianney ci hai offerto un mirabile pastore, pienamente consacrato al servizio del tuo popolo, per la sua intercessione e il suo esempio fa’ che dedichiamo la nostra vita per guadagnare a Cristo i fratelli e godere insieme con loro la gioia senza fine. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


IL PENSIERO DEL GIORNO

3 Agosto 2017


Oggi Gesù ci dice: «Il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti» (Mt 13,47-50).

Benedetto Prete: (Il Vangelo secondo Matteo): v. 48: Quando è piena; per l’autore della parabola la rete dev’esser piena di pesci, cosi l’immagine rende perfettamente il pensiero; infatti dopo la pesca vi è una separazione definitiva. I buoni ... i cattivi; se secondo gli ittiologi nel lago di Tiberiade vivono una trentina di specie di pesci; tra di essi, quantunque vi sia una differenza di qualità, nessuna specie è tuttavia commestibile. Forse la distinzione richiama la divisione legale tra pesci puri ed impuri. Il Levitico, 11,9 (cf. Deuteronomio, 14,9 proibiva la manducazione di quei pesci che essendo sprovvisti di squame (come una specie dei Siluridi, i Clarias Macracanthus) non erano considerati come tali. Per lo scopo dottrinale della parabola non è necessaria una precisazione scientifica sulle varie specie  di pesci; inoltre se si traduce: ogni sorta di cose, l’immagine conserva tutto il suo valore, poiché essa intende stabilire che buoni e cattivi sono insieme.


Felipe F. ramos (Commento alla Bibbia liturgica): La parabola della rete gettata in mare descrive una scena ricavata dalla vita di ogni giorno presso il mare di Galilea. La rete gettata in mare si è riempita di pesci. La tirano a terra e comincia la selezione. Il centro di gravità della parabola non è tanto nella rete quanto piuttosto nella selezione che si fa dopo la pesca, una selezione che ha scarso fondamento nella realtà, perché praticamente tutti i pesci del mare di Galilea sono commestibili. Questo particolare è stato introdotto nella parabola per orientarci nella direzione in cui dobbiamo cercare l’insegnamento.
La parabola della rete è eminentemente escatologica: descrive le realtà che avranno luogo negli ultimi giorni, nell’ultimo giorno. Prima la selezione non è possibile. Buoni e cattivi devono convivere e coesistere fino alla fine (la parabola è sulla stessa linea di quello della zizzania). La convivenza e la coesistenza devono durare sino alla fine, come i pesci di tutte le specie stanno insieme nella rete fino a che non giunge la selezione.
Anche nel regno di Dio vi è un’ultima fase: quella della selezione. Solo allora si manifesterà con assoluta chiarezza la vera comunità dei figli di Dio, libera dalla schiavitù, libera da ogni male, libera da coloro confessano Cristo con le labbra, col cuore lontano da lui, libera dai puritanismi farisaici che non sono conciliabili con lo spirito del cristianesimo e approfittano di esso. E tutti quelli che non appartengono alla vera comunità dei figli di Dio saranno esclusi dalla vita e subiranno la sorte dei pesci di cui ci parla la parabola.


Giudizio del mondo. Hella Mohrdiek: In quanto creatore e Signore del mondo Dio è sempre anche il suo giudice (Gen 18,25).
Con la formazione dell’escatologia nei profeti, si giunge all’attesa di un futuro giudizio (Is 24-27): nell’ “giorno di JHWH” tutto il male sarà punito e al tempo steso sarà instaurata la salvezza per Israele, anzi per tutti gli uomini (Is 2,2-4). L’attesa del giudizio è nata interamente dall’esperienza veterotestamentaria di Dio; l’influenza delle religioni dell’oriente antico è percepibile soltanto nella descrizione dei fenomeni concomitanti. Questa influenza aumenta nell’apocalittica. In essa il giudizio si pone alla fine del vecchio eone e assume proporzioni universali: saranno giudicati non solo i vivi, ma anche i morti, non solo gli uomini, ma anche gli angeli e i  demoni. L’idea del giudizio può spingersi fino al punto in cui la vittima di Dio appare completa soltanto quando tutto il mondo è annientato.
Il giudizio diventa in questo caso la fine del mondo, o meglio la fine del mondo è una parte del giudizio, al quale segue il vero e proprio momento del giudizio.
Nel Nuovo Testamento l’idea di giudizio non può essere separata dalla predicazione dell’evangelo: l’atteggiamento tenuto noi confronti di Cristo deciderà la salvezza o la distruzione (Mt 10,325). Nemmeno i credenti sono risparmiati dal giudizio, ma essi possono sperare fiduciosi nella salvezza (Rm 5,9). Secondo Giovanni, il giudizio si realizza già nella distinzione tra credenti e non credenti (3,18).


Spe salvi

41. Nel grande Credo della Chiesa la parte centrale, che tratta del mistero di Cristo a partire dalla nascita eterna dal Padre e dalla nascita temporale dalla Vergine Maria per giungere attraverso la croce e la risurrezione fino al suo ritorno, si conclude con le parole: «...di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti». La prospettiva del Giudizio, già dai primissimi tempi, ha influenzato i cristiani fin nella loro vita quotidiana come criterio secondo cui ordinare la vita presente, come richiamo alla loro coscienza e, al contempo, come speranza nella giustizia di Dio. La fede in Cristo non ha mai guardato solo indietro né mai solo verso l’alto, ma sempre anche in avanti verso l’ora della giustizia che il Signore aveva ripetutamente preannunciato. Questo sguardo in avanti ha conferito al cristianesimo la sua importanza per il presente. Nella conformazione degli edifici sacri cristiani, che volevano rendere visibile la vastità storica e cosmica della fede in Cristo, diventò abituale rappresentare sul lato orientale il Signore che ritorna come re - l’immagine della speranza -, sul lato occidentale, invece, il Giudizio finale come immagine della responsabilità per la nostra vita, una raffigurazione che guardava ed accompagnava i fedeli proprio nel loro cammino verso la quotidianità. Nello sviluppo dell’iconografia, però, è poi stato dato sempre più risalto all’aspetto minaccioso e lugubre del Giudizio, che ovviamente affascinava gli artisti più dello splendore della speranza, che spesso veniva eccessivamente nascosto sotto la minaccia.

47. Alcuni teologi recenti sono dell’avviso che il fuoco che brucia e insieme salva sia Cristo stesso, il Giudice e Salvatore. L’incontro con Lui è l’atto decisivo del Giudizio. Davanti al suo sguardo si fonde ogni falsità. È l’incontro con Lui che, bruciandoci, ci trasforma e ci libera per farci diventare veramente noi stessi. Le cose edificate durante la vita possono allora rivelarsi paglia secca, vuota millanteria e crollare. Ma nel dolore di questo incontro, in cui l’impuro ed il malsano del nostro essere si rendono a noi evidenti, sta la salvezza. Il suo sguardo, il tocco del suo cuore ci risana mediante una trasformazione certamente dolorosa «come attraverso il fuoco». È, tuttavia, un dolore beato, in cui il potere santo del suo amore ci penetra come fiamma, consentendoci alla fine di essere totalmente noi stessi e con ciò totalmente di Dio. Così si rende evidente anche la compenetrazione di giustizia e grazia: il nostro modo di vivere non è irrilevante, ma la nostra sporcizia non ci macchia eternamente, se almeno siamo rimasti protesi verso Cristo, verso la verità e verso l’amore. In fin dei conti, questa sporcizia è già stata bruciata nella Passione di Cristo. Nel momento del Giudizio sperimentiamo ed accogliamo questo prevalere del suo amore su tutto il male nel mondo ed in noi. Il dolore dell’amore diventa la nostra salvezza e la nostra gioia. È chiaro che la «durata» di questo bruciare che trasforma non la possiamo calcolare con le misure cronometriche di questo mondo. Il «momento» trasformatore di questo incontro sfugge al cronometraggio terreno – è tempo del cuore, tempo del «passaggio» alla comunione con Dio nel Corpo di Cristo. Il Giudizio di Dio è speranza sia perché è giustizia, sia perché è grazia. Se fosse soltanto grazia che rende irrilevante tutto ciò che è terreno, Dio resterebbe a noi debitore della risposta alla domanda circa la giustizia – domanda per noi decisiva davanti alla storia e a Dio stesso. Se fosse pura giustizia, potrebbe essere alla fine per tutti noi solo motivo di paura. L’incarnazione di Dio in Cristo ha collegato talmente l’uno con l’altra – giudizio e grazia - che la giustizia viene stabilita con fermezza: tutti noi attendiamo alla nostra salvezza «con timore e tremore» (Fil 2,12). Ciononostante la grazia consente a noi tutti di sperare e di andare pieni di fiducia incontro al Giudice che conosciamo come nostro «avvocato», parakletos (cfr. 1Gv 2,1).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Si è messi espressamente in guardia dal calcolare quando sarà l’ultimo giorno. Al contrario secondo il Nuovo Testamento, il giudizio ammonisce invece a prendere sul serio il presente (Liselotte Mattern). 
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa:  O Dio, nostra forza e nostra speranza, senza di te nulla esiste di valido e di santo;
effondi su di noi la tua misericordia perché, da te sorretti e guidati, usiamo saggiamente dei beni terreni nella  continua ricerca dei beni eterni. Per il nostro Signore Gesù Cristo…


  IL PENSIERO DEL GIORNO


2 Agosto 2017


Oggi Gesù ci dice: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra» (Mt 13,44-46).

La Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli) vv. 44-46: Con queste due parabole il Signore fa conoscere il valore supremo del regno dei cieli e l’atteggiamento che l’uomo deve avere perché possa pervenirvi. pur essendo affini tra di loro, presentano differenze degne di nota: il tesoro significa l’abbondanza dei doni; la perla, la bellezza del Regno. Il tesoro si rinviene all’improvviso, la perla presuppone invece una ricerca tenace; ma in entrambi i casi il ritrovamento suscita una gioia profonda. Parimenti avviene per la fede, per la vocazione, per la vera sapienza, per “il desiderio del cielo”: talvolta si danno inaspettatamente, talaltra sono il risultato di un’intensa ricerca (cfr. In Evangelia homiliae, 11). L’atteggiamento dell’uomo è identico in ambedue le parabole ed è descritto con le medesime parole: «Va, vende tutti i suoi averi e compra». Il distacco. la generosità, sono condizioni indispensabili per giungere al regno dei cieli


Catechismo della Chiesa Cattolica

1720 Il Nuovo Testamento usa parecchie espressioni per caratterizzare la beatitudine alla quale Dio chiama l’uomo: l’avvento del regno di Dio; la visione di Dio: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,8); l’entrata nella gioia del Signore; l’entrata nel riposo di Dio: “Là noi riposeremo e vedremo, vedremo e ameremo, ameremo e loderemo. Ecco ciò che alla fine sarà senza fine. E quale altro fine abbiamo, se non raggiungere al regno che non avrà mai fine?”.

1721 Dio infatti ci ha creato per conoscerlo, servirlo e amarlo, e così giungere in paradiso. La beatitudine ci rende “partecipi della natura divina” (2Pt 1,4) e della vita eterna. Con essa l’uomo entra nella gloria di Cristo  e nel godimento della vita trinitaria.

1722 Una tale beatitudine oltrepassa l’intelligenza e le sole forze umane. Essa è frutto di un dono gratuito di Dio. Per questo la si dice soprannaturale, come la grazia che dispone l’uomo ad entrare nella gioia di Dio.
«“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”; tuttavia nella sua grandezza e nella sua mirabile gloria, “nessun uomo può vedere Dio e restare vivo”. Il Padre, infatti, è incomprensibile; ma nel suo amore, nella sua bontà verso gli uomini, e nella sua onnipotenza, arriva a concedere a coloro che lo amano il privilegio di vedere Dio [...] poiché “ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio».

1723 La beatitudine promessa ci pone di fronte alle scelte morali decisive. Essa ci invita a purificare il nostro cuore dai suoi istinti cattivi e a cercare l’amore di Dio al di sopra di tutto. Ci insegna che la vera felicità non si trova né nella ricchezza o nel benessere, né nella gloria umana o nel potere, né in alcuna attività umana, per quanto utile possa essere, come le scienze, le tecniche e le arti, né in alcuna creatura, ma in Dio solo, sorgente di ogni bene e di ogni amore:
«La ricchezza è la grande divinità del presente; alla ricchezza la moltitudine, tutta la massa degli uomini, tributa un omaggio istintivo. Per gli uomini il metro della felicità è la fortuna, e la fortuna è il metro dell’onorabilità [...] Tutto ciò deriva dalla convinzione che in forza della ricchezza tutto è possibile. La ricchezza è quindi uno degli idoli del nostro tempo, e un altro idolo è la notorietà [...] La notorietà, il fatto di essere conosciuti e di far parlare di sé nel mondo (ciò che si potrebbe chiamare fama da stampa), ha finito per essere considerata un bene in se stessa, un bene sommo, un oggetto, anch’essa, di vera venerazione

1724 Il Decalogo, il Discorso della Montagna e la catechesi apostolica ci descrivono le vie che conducono al Regno dei cieli. Noi ci impegniamo in esse passo passo, mediante azioni quotidiane, sostenuti dalla grazia dello Spirito Santo. Fecondati dalla Parola di Cristo, lentamente portiamo frutti nella Chiesa per la gloria di Dio

Catechismo degli Adulti

Le parabole

125 Le parabole sono racconti simbolici, in cui il paragone fra due realtà viene elaborato in una narrazione. Si tratta di un genere letterario che aveva precedenti nell’Antico Testamento, come ad esempio la severa parabola con cui il profeta Natan indusse a conversione il re David; ma Gesù lo impiega in modo estremamente originale. Vi fa ricorso per lo più quando si rivolge a quelli che non fanno parte della cerchia dei discepoli: i notabili, le autorità, la folla dei curiosi. Narra con eleganza piccole storie verosimili, ambientandole nella vita ordinaria, quasi a insinuare che il Regno è già all’opera con la sua potenza nascosta. Ma ecco, nel bel mezzo della normalità, uscir fuori spesso l’imprevedibile, l’insolito, come ad esempio la paga data agli operai della vigna: uguale per tutti, malgrado il diverso lavoro. È la novità del Regno, il suo carattere di dono gratuito e incomparabile.
Gesù fa appello all’esperienza delle persone. Invita a riflettere e a capire, a liberarsi dai pregiudizi. Il suo punto di vista si pone in contrasto con quello degli interlocutori. Ascoltando la parabola, costoro si trovano coinvolti dentro una dinamica conflittuale e sono costretti a scegliere, a schierarsi con lui o contro di lui. Anzi, la provocazione risulterebbe ancor più evidente, se conoscessimo le situazioni originarie concrete, in cui le parabole furono pronunciate. La loro forza comunque è ben superiore a quella di una generica esortazione moraleggiante.

126 Il regno di Dio è presente e futuro, umile e nascosto; non sconvolge, ma valorizza la realtà quotidiana; sviluppa la sua efficacia silenziosamente, come un piccolo seme o un pugno di lievito; esige da noi il coraggio della fede e una paziente cooperazione.

Una proclamazione di felicità

127 Il regno di Dio non risolve i problemi e non cambia le situazioni come per incanto. Ci si può chiedere, allora, in che senso esso sia una buona notizia, quale felicità porti e a quali condizioni se ne possa fare l’esperienza.
Senz’altro Gesù di Nàzaret intende fare un annuncio e un’offerta di felicità. Le beatitudini del Regno, riferite dagli evangelisti Matteo e Luca, non vogliono essere soltanto una promessa, ma una proclamazione. A motivo del futuro che comincia a venire, assicurano già nel presente gioia e bellezza di vita, come un anticipo. Però è paradossale che ne siano destinatari i poveri e i sofferenti. 


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Nella parabola il verbo cercare è un termine-chiave: solo coloro che cercano il regno di Dio lo troveranno. I giudei non l’hanno trovato perché non l’hanno cercato con sincerità e umiltà.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa:  O Dio, nostra forza e nostra speranza, senza di te nulla esiste di valido e di santo; effondi su di noi la tua misericordia perché, da te sorretti e guidati, usiamo saggiamente dei beni terreni nella  continua ricerca dei beni eterni. Per il nostro Signore Gesù Cristo…