31 Ottobre 2025
 
Venerdì XXX Settimana T. O.
 
Rm 9,1-5; Salmo Responsoriale dal Salmo 147; Lc 14,1-6
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
accresci in noi la fede, la speranza e la carità,
e perché possiamo ottenere ciò che prometti,
fa’ che amiamo ciò che comandi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Nostra aetate 4: Come attesta la sacra Scrittura, Gerusalemme non ha conosciuto il tempo in cui è stata visitata; gli Ebrei in gran parte non hanno accettato il Vangelo, ed anzi non pochi si sono opposti alla sua diffusione. Tuttavia secondo l’Apostolo, gli Ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento. Con i profeti e con lo stesso Apostolo, la Chiesa attende il giorno, che solo Dio conosce, in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con una sola voce e «lo serviranno sotto uno stesso giogo» (Sof 3,9).
Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo.
E se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo.
E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura. Curino pertanto tutti che nella catechesi e nella predicazione della parola di Dio non si insegni alcunché che non sia conforme alla verità del Vangelo e dello Spirito di Cristo.
La Chiesa inoltre, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli Ebrei, e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque. In realtà il Cristo, come la Chiesa ha sempre sostenuto e sostiene, in virtù del suo immenso amore, si è volontariamente sottomesso alla sua passione e morte a causa dei peccati di tutti gli uomini e affinché tutti gli uomini conseguano la salvezza. Il dovere della Chiesa, nella sua predicazione, è dunque di annunciare la croce di Cristo come segno dell’amore universale di Dio e come fonte di ogni grazia.
 
Prima Lettura - Cristo ci ha riscattati dalla legge - José Mária Gonzalez-Ruiz: Paolo è obbligato a trattare un tema che, in qualche modo, lo indispone psichicamente: la «provvidenzialità» del popolo d’Israele nella storia della salvezza. Fin dal primo momento si nota che è un tema nel quale egli non sa e non riesce a muoversi con piena oggettività: in definitiva, egli era ed era stato un giudeo superortodosso.
Perciò la prima cosa che mette avanti è il suo atteggiamento emotivo ed etico: non lo lascia indifferente la situazione di disprezzo in cui, praticamente, si è trovato Israele dopo gli avvenimenti cristiani.
Arriverà fino a chiedere per sé l’anatèma, cioè di essere «separato da Cristo a vantaggio dei suoi fratelli, i suoi consanguinei secondo la carne». La parola greca «anàthema» traduce nella versione dei Settanta quella ebraica «herem», una cosa offerta a Dio sia per il suo servizio (Lv 27,28) e sia per la sua distruzione (Dt 7,26; Gs 6,17). Più tardi, arrivò a confondersi col concetto e l’espressione di «maledizione» (Zc 14,11).
Nel NT, è l’equivalente di «kátara» (maledizione, At 23,12; 1Cor 12,3; 16,22; Gal 1,8-9). Pare che san Paolo applichi a se stesso il processo «redenzione per mezzo dell’incarnazione» in virtù del quale «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione» (Gal 3,13). Paolo è dunque disposto a incarnarsi «nello stato di maledizione da parte di Cristo» nel quale è caduto il suo popolo, per liberarlo da questa maledizione.
Come vediamo, l’impostazione è chiara e rigorosa: Paolo accetta un atteggiamento ecumenico e dialogante col giudaismo, ma senza fare concessioni diplomatiche o apologetiche.
Infatti, da una parte, riconosce che al popolo d’Israele appartiene quel cumulo di promesse divine delle quali parla così spesso l’AT. Dall’altra, però, avverte fin dal principio che il giudaismo, così come egli lo aveva vissuto intensamente, aveva cessato di essere un’esperienza religiosa. Era ormai fuori della storia della salvezza.
 
Vangelo
Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?
 
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 14,1-6
 
Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservar- lo. Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisìa.
Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: «È lecito o no guarire di sabato?». Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò.
Poi disse loro: «Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?». E non potevano rispondere nulla a queste parole.
 
Parola del Signore.
 
Un sabato Gesù accetta di andare a pranzare in casa di uno dei capi dei farisei. Non si conosce il motivo dell’invito, ma la nota essi stavano ad osservalo potrebbe rivelarlo. I farisei tallonavano Gesù per metterlo alla prova e trarlo in errore, ma spesso non uscivano allo scoperto perché avevano paura della folla (Mt 21,26), ora può essere osservato con più calma.
Gesù non ha mai lesinato di sottoporre la mentalità e la vita dei Farisei a una dura critica: sferza la loro superbia (Lc 18,10-14), la loro avidità (Mt 12,40), la loro ambizione (Mt 23,5ss) e la loro ipocrisia (Mt 15,3-7). È in casa di uno dei capi dei farisei non per condannarli ma per guarirli: “Paradossalmente si può dire che Gesù ama i farisei più di tutti i peccatori, perché affetti dal peccato più tremendo e più nascosto che ci sia: quello che, sotto un manto di bene, si oppone direttamente a quel Dio che è grazia e misericordia” (Silvano Fausti. Una comunità legge il Vangelo di Luca).
Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisia, forse era stato piazzato davanti a Gesù di proposito per provocare una sua reazione: e stavano a vedere se lo guariva in giorno di sabato, per poi accusarlo (Mc 3,2).
 È lecito o no guarire di sabato?”. Ma essi tacquero, i farisei conoscono la risposta, ma preferiscono il silenzio per indurre Gesù a uscire allo scoperto, e Gesù lo fa: Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò.
Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato? (cfr. Mt 12,11; Lc 13,15). Con questa domanda Gesù spiazza i suoi interlocutori, come già aveva fatto tante altre volte: “Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione” (Mc 7,9; cfr. Mt 15,2-3.6; Mc 7,8), i farisei così ancora una volta si trovano a corto di una risposta, difatti non potevano rispondere nulla a queste parole.
C’è tanta amarezza in questo confronto perché va considerato che i farisei hanno molte cose in comune con Gesù, e dai Vangeli viene messo in evidenza come Egli apprezzi la loro religiosità e perfino nelle controversie si preoccupi della loro salvezza. Ma la cecità, la superbia di sentirsi giusti e l’errata convinzione di essere gli unici custodi legittimi della Legge e della volontà di Dio ha fatto sì che essi si autoescludessero dall’entrare nel regno di Dio.
 
Gesù e la Legge - Catechismo della Chiesa Cattolica 581-582: Gesù è apparso agli occhi degli Ebrei e dei loro capi spirituali come un «rabbi». Spesso egli ha usato argomentazioni che rientravano nel quadro dell’interpretazione rabbinica della Legge. Ma al tempo stesso, Gesù non poteva che urtare i dottori della Legge; infatti, non si limitava a proporre la sua interpretazione accanto alle loro; «egli insegnava come uno che ha autorità e non come i loro scribi» (Mt 7,29). In lui, è la Parola stessa di Dio, risuonata sul Sinai per dare a Mosè la Legge scritta, a farsi di nuovo sentire sul monte delle beatitudini. Questa Parola non abolisce la Legge, ma la porta a compimento dandone in maniera divina l’interpretazione definitiva: «Avete inteso che fu detto agli antichi [...]; ma io vi dico» (Mt 5,33-34). Con questa stessa autorità divina, Gesù sconfessa certe «tradizioni degli uomini» care ai farisei i quali annullano la parola di Dio. Spingendosi oltre, Gesù dà compimento alla Legge sulla purità degli alimenti, tanto importante nella vita quotidiana giudaica, svelandone il senso «pedagogico» con una interpretazione divina: «Tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può contaminarlo [...]. Dichiarava così mondi tutti gli alimenti [...]. Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore dell’uomo,escono le intenzioni cattive» (Mc 7,18-21). Dando con autorità divina l’interpretazione definitiva della Legge, Gesù si è trovato a scontrarsi con certi dottori della Legge, i quali non accettavano la sua interpretazione, sebbene fosse garantita dai segni divini che la accompagnavano. Ciò vale soprattutto per la questione del sabato: Gesù ricorda, ricorrendo spesso ad argomentazioni rabbiniche, che il riposo del sabato non viene violato dal servizio di Dio o del prossimo, servizio che le guarigioni da lui operate compiono.
 
Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei… - Alice Baum: Il Nuovo Testamento dipinge i farisei come i veri e propri avversari di  Gesù; va però considerato, d’altro canto, che Gesù ha molto in comune con i farisei, che egli prende sul serio la loro religiosità e perfino nelle dispute si preoccupa di loro. Il conflitto nasce da una differente posizione nei confronti della Legge. Per Gesù (e per il cristianesimo primitivo - Paolo) la Torah non poteva essere considerata una necessità assoluta per la salvezza. Non la “tradizione dei padri” ma Gesù era l’interprete autentico della volontà assoluta di Dio. Di qui la sua libertà sovrana di fronte alla Legge, cosa che per la credenza dei farisei nell’origine divina della Torah non era possibile imitare. La seconda causa del conflitto era la distanza dei farisei da tutte le attese messianico-escatologiche imminenti, cosicché la pretesa messianica che Gesù avanzava con la parola e l’azione era per loro inaccettabile. Certo, nella concezione della Legge dei farisei c’era il pericolo di una religiosità esteriorizzata, e non di rado vi ci sono caduti. I rimproveri che il Nuovo Testamento solleva contro di loro si trovano anche negli scritti rabbinici.
Tuttavia dedurre dalla radicalizzazione e dalla polemica inasprita del Nuovo Testamento che i farisei fossero tutti indistintamente degli ipocriti e il fariseismo soltanto un adempimento esteriore della Legge, contraddice i dati di fatto storici. Diversamente non avrebbe potuto dar vita alle grandi figure del periodo post-biblico e vitalizzare con una nuova linfa il giudaismo successivo al 70 d.C. e al 135 d.C. 71.
 
Ireneo (Contro le eresie, 4,11-13.15.16): Il Signore non ha abrogato, ma ha ampliato e completato i precetti naturali della legge, quelli cioè che giustificano l’uomo, e che venivano osservati anche prima della legge da coloro che erano giusti per la loro fede e piacevano a Dio. Risulta chiaro dalle sue parole: È stato detto agli antichi: Non commettere adulterio. Ma io dico a voi: Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore (Mt 5,27-28). E ancora: È stato detto: Non uccidere. Ma io vi dico: Chiunque si adira con suo fratello senza motivo è passibile di condanna (Mt 5,21-22). E ancora: È stato detto: Non spergiurare... Ma io vi dico di non giurare mai. Il vostro sì, sia un sì; il vostro no, un no (Mt 5,33-37). E altre espressioni simili. Tutti questi precetti non sono contrari e non aboliscono i precedenti, come vanno dicendo i seguaci di Marcione, ma li dilatano ed estendono, come il Signore stesso ha detto: Se la vostra giustizia non è superiore a quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli (Mt 5,20).
 
Il Santo del Giorno - 31 Ottobre 2025 - San Alfonso Rodriguez. Un istante, un incontro sulla via anche così si toccano i cuori: Chissà quante volte abbiamo cambiato il destino di una persona, magari qualcuno che abbiamo incontrato fugacemente nel nostro cammino esistenziale, qualcuno che abbiamo incontrato per un istante e poi mai più. E chissà se in quell’istante breve d’incontro siamo stati testimoni dell’Infinito, portatori di un messaggio di amore universale e di verità. Ecco la responsabilità di testimoniare in ogni istante della nostra vita il messaggio del Risorto: perché in ogni istante potremmo toccare il cuore di qualcuno e “salvarlo”.
Proprio come tanti, di passaggio, furono toccati da un semplice fratello portinaio a Palma di Maiorca: sant’Alfonso Rodriguez. Era nato a Segovia, in Spagna, nel 1533 in una famiglia di mercanti di lana e, con il desiderio di consacrarsi, studiò dai gesuiti di Alcalà. A 23 anni, dopo la morte del padre, dovette però occuparsi degli affari di famiglia. Si sposò ed ebbe tre figli, ma all’età di 31 anni rimase vedovo. Poco prima aveva perso anche due figli: il dolore fu troppo e per questo decise di lasciare tutti i beni al fratello, riprendendo gli studi presso i gesuiti. La Compagnia di Gesù, nella quale Alfonso volle restare sempre fratello coadiutore, lo accolse e lo inviò a Palma di Maiorca, dove svolse con attenzione e delicatezza il ruolo di portinaio del convento dal quale all’epoca passavano i missionari diretti in America. Padre spirituale e mistico, per molti l’incontro con Rodriguez sulla strada verso le terre di missione fu un’esperienza preziosa, come accadde a san Pietro Claver, l’«apostolo degli schiavi». Rodriguez morì nel 1617.
 
 
Si compia in noi, o Signore,
la realtà significata dai tuoi sacramenti,
perché otteniamo in pienezza
ciò che ora celebriamo nel mistero.
Per Cristo nostro Signore.