1 Novembre 2025
 
Tutti i Santi
 
Ap 7,2-4.9-14; Salmo Responsoriale Dal Salmo 23 (24); 1Gv 3,1-3; Mt 5,12
 
La Bibbia e i Padri della Chiesa [I Padri Vivi]: Celebrare la Solennità di Tutti i Santi vuol dire annunciare il mistero pasquale nei santi, che soffrirono insieme con Cristo ed insieme con lui furono glorificati. La santità cristiana consiste infatti nella imitazione e nella partecipazione a quell’unico amore che aveva Cristo nell’offrire al Padre la sua vita per gli uomini. La santità cristiana consiste nella vita paziente di ogni giorno nello spirito delle beatitudini; è nello stesso tempo l’adempimento della perenne vocazione dell’uomo alla perfezione. La chiamata alla santità riecheggiava nel Vecchio Testamento. Cristo dirà ai suoi: siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste (Mt 5,48). San Paolo ricorderà ai Tessalonicesi: questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione (cf. 1Ts 4,3).
Cambiano i tempi e le condizioni in cui vive la Chiesa, ma la chiamata alla santità non viene meno. La santità si manifesta esteriormente in modi diversi, viene realizzata dagli uomini secondo le doti della natura, i carismi, i tempi e le circostanze della vita. A base però della santità sta un’unica cosa: l’amore. Il santo camminava per la vita praticando il comandamento nuovo lasciato da Cristo. Oggi, la Chiesa contempla con gli occhi di Giovanni apostolo «una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua; tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello» (Ap 7,9) ed esulta con grande gioia. Contempla la Città santa, la Gerusalemme celeste dove un gran numero dei nostri fratelli glorifica già adesso il nome del Signore. In questo giorno solenne, la Chiesa manifesta ai suoi figli ancora pellegrinanti sulla terra il loro esempio di vita. Ai nostri fratelli, che sono già arrivati alla patria celeste, la Chiesa chiede aiuto e sostegno per coloro che sono ancora in via.
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
che ci doni la gioia di celebrare in un’unica festa
i meriti e la gloria di tutti i Santi, concedi al tuo popolo,
per la comune intercessione di tanti nostri fratelli,
l’abbondanza della tua misericordia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Catechismo degli Adulti: Un’immensa assemblea [754] L’odierna cultura dell’effimero sembra non aver memoria per i padri che ci hanno preceduto, né premura per le generazioni che verranno. La fede della Chiesa ci mette invece in comunione con tutti e con tutto. Noi pellegrini nel tempo ci ritroviamo insieme con gli angeli, i santi e i defunti in un’immensa assemblea, in una festa cosmica. «Voi vi siete accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, al Mediatore della nuova alleanza» (Eb 12,22-24). Soprattutto, la Chiesa si sente in comunione con la Vergine Maria, la sua prima e più perfetta realizzazione, che, assunta alla gloria celeste in anima e corpo, la precede alle nozze eterne e nello stesso tempo l’accompagna con materna premura durante il suo cammino storico. «In te si rallegra, o piena di grazia, ogni creatura», canta un inno della liturgia bizantina, trascritto in un’icona luminosissima, nella quale Maria siede in trono con il Figlio sulle ginocchia, in mezzo alla celeste Gerusalemme e a una vegetazione paradisiaca, mentre intorno si accostano angeli, santi del cielo e credenti della terra di ogni condizione. Maria, la Chiesa e il mondo riconciliato sono chiamati ad essere «la dimora di Dio con gli uomini» (Ap 21,3). [755] «Noi crediamo alla comunione di tutti i fedeli in Cristo, di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la loro purificazione e dei beati del cielo; tutti insieme formano una sola Chiesa» .
Si prega insieme ai santi e si pregano i santi [970] In dipendenza da Cristo unico mediatore, anche i santi sono cooperatori e destinatari della nostra preghiera. Ci insegnano a pregare con l’esempio e gli scritti; lodano e supplicano Dio insieme con noi. Al di là della nostra consapevolezza esplicita, preghiamo sempre inseriti nella comunione universale in Cristo e mai come individui isolati. Siamo dunque accompagnati dai santi. Ma possiamo anche dialogare con loro, lodarli e supplicarli, perché sono persone. Non costituiscono uno schermo nei confronti di Dio e di Cristo. Lodandoli, celebriamo un frutto del mistero pasquale e un riflesso della bontà divina. Ricorrendo alla loro intercessione, riconosciamo umilmente che siamo indegni di presentarci davanti a Dio e abbiamo bisogno della solidarietà dei fratelli.
[971] Tra i santi ha una posizione singolare la Vergine Maria. È il modello della preghiera cristiana, intesa come ascolto, contemplazione, lode, intercessione. Accompagna, quasi in un perenne cenacolo, la preghiera della Chiesa. A lei salgono sempre la lode commossa e la supplica fiduciosa. Insieme al “Padre nostro” la preghiera più familiare è l’”Ave Maria”, costituita appunto da un saluto gioioso di lode per le meraviglie che Dio ha compiuto in lei e per mezzo di lei, dandoci Gesù, e da una supplica, perché nella sua santità interceda per noi peccatori, per le nostre attuali necessità e per il momento decisivo della morte.
 
Prima Lettura: La prima lettura della solennità odierna ci aiuta a capire chi sono i santi. Essi sono coloro che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello. La santità è un dono, si riceve da Cristo, non è frutto dell’ingegno umano. Nell’Antico Testamento essere santi voleva dire essere separati da tutto ciò che è impuro, nella riflessione cristiana vuol dire il contrario e cioè essere uniti a Dio.
 
Seconda Lettura: Pochi versetti, ma colmi di grandi verità. Innanzi tutto, il mondo non conosce i cristiani perché non conosce Gesù Cristo. Come dire che il mondo odia, perseguita i credenti in Cristo perché odia Cristo. Ma questo non deve abbattere i cristiani, essi sono figli di Dio e quindi già al presente vivono nella certezza di essere amati da Dio come figli carissimi. Quando si compirà ogni cosa e Gesù verrà nella gloria, allora si manifesterà in pienezza il vero essere dei credenti e potranno così vedere Dio faccia a faccia. Nell’oggi dei cristiani c’è posto solo per il desiderio della patria celeste.  
 
Vangelo
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
 
Bibbia per la formazione cristiana: Per Gesù, le beatitudini non sono l’esposizione di una dottrina, ma la proclamazione della buona notizia che egli è venuto a portare e che possiamo riassumere in una frase: il regno di Dio è vicino!
Mentre annunciano la vicinanza del regno, le beatitudini indicano in che modo Dio esercita il suo potere sovrano su tutti gli uomini. Approfondendo questo aspetto potremo comprendere meglio il messaggio di Gesù raccolto dai Vangeli di Matteo e di Luca. Dio esercita la sua sovranità come un re che garantisce la giustizia ai suoi sudditi. il suo potere regale interviene a proteggere il povero, a difendere chi non sa o non può difendersi da solo, a fare giustizia «alla vedova e all’orfano», assicurando così a ciascuno il pieno rispetto dei suoi diritti in una società in cui si tenderà sempre a godere dei beni della terra dimenticando o calpestando i più deboli.
Affermare che il regno di Dio è vicino significa dunque dichiarare che sta per realizzarsi una situazione in cui regnerà la giustizia. Grazie ad essa, i deboli non dovranno più aver paura dei più forti.
Per questo Gesù esprime la sua profonda concinzione che il regno di Dio è vicino invitando i poveri e coloro che soffrono ad essere pieni di gioia.
Le beatitudini rivelano Dio come un re che non si disinteressa degli uomini, ma si leva a difendere i deboli, poveri e gli oppressi.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 5,1-12a
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
 
Parola del Signore.
 
Beati - L’evangelista Matteo ha nove beatitudini a differenza di Luca che ne ha quattro e alle quali fa seguire “quattro guai” (Cf. Lc 6,20-26).
Gesù salì sul monte: si pose a sedere. Due note da non trascurare. Il monte per i semiti è il luogo che Dio preferenzialmente sceglie per manifestarsi ai suoi eletti: ai lettori ebrei per assonanza sarà venuto in mente il monte Sinai. Su quella montagna Dio si era rivelato a Mosè e aveva dato al popolo d’Israele la Legge (Cf. Es 19). Il sedersi è invece la postura propria del Maestro ai cui piedi si congregano i discepoli. Le intenzioni dell’evangelista Matteo quindi sono chiare: Gesù è Dio che si manifesta ai suoi discepoli sul monte ed è il Maestro che dona al “nuovo Israele” la nuova Legge, la “Magna Charta” del Regno di Dio.
L’evangelista Matteo, «che presenta Gesù come il Maestro definitivo di Israele, lo colloca in questo stesso contesto del luogo della rivelazione di Dio e della sua Legge e gli attribuisce un’autorità superiore a quella di Mosé e di tutti i maestri [gli scribi] di Israele. È nel contesto del “discorso della montagna”, infatti, che Gesù è definito come “uomo che insegna con autorità e non come i loro scribi” [Mt 7,29]» (Don Primo Gironi).
Queste note comunque non cancellano la storicità dell’episodio evangelico realmente accaduto su «una delle colline vicino a Cafarnao» (Bibbia di Gerusalemme).
Beati è una formula ricorrente nei Salmi, nei libri sapienziali e nel Nuovo Testamento, soprattutto nel libro dell’Apocalisse. Beato è l’uomo che cammina nella legge del Signore e per questo è ricolmo delle benedizioni di Dio, dei suoi favori e delle sue consolazioni divine soprattutto nei momenti cruciali in cui deve sopportare umiliazioni, affanni e persecuzioni. Gesù apre il suo discorso proclamando beati i “poveri in spirito”, una aggiunta questa che fa bene intendere che il Maestro fa riferimento non agli indigenti, ma ai “poveri di Iahvé”, cioè a coloro che nonostante tutto restano fedeli al Signore, anzi le prove sono spinte a fidarsi di Dio, a chiudersi nel suo cuore, a rinserrarsi tra le sue braccia. I “poveri in spirito” sono coloro che fanno del dolore una scala per salire fino a Dio. Sono coloro che restano nonostante tutto saldi nelle promesse di Dio (Cf. Mt 27,39-44). In questa ottica sono beati quelli che sono nel pianto, i perseguitati per la giustizia, i diffamati. Ai miti fanno corona coloro che hanno fame e sete della giustizia, cioè coloro che amano vivere all’ombra della volontà di Dio, attuandola nella loro vita e mettendola sempre al primo posto. Beati sono i misericordiosi cioè coloro che imitano la bontà, la pietà e la misericordia di Dio soprattutto a favore dei più infelici e dei più bisognosi. I puri di cuore sono beati per la purezza delle intenzioni, l’onestà della vita, perché sempre disponibili ai progetti divini. E infine, gli operatori di pace, che «nella Bibbia esprime la comunione con Dio e con gli uomini ed è il dono che riassume il vangelo [Cf. Lc 2,14], sono i più evidenti figli del Padre celeste» (S. Garofalo).
Il “discorso della Montagna” si chiude con due beatitudini rivolte ai perseguitati. Israele in tutta la sua storia aveva dovuto fare i conti con numerosi persecutori e se, quasi sempre, aveva accettato l’umiliazione delle catene, della tortura fisica e  dell’esilio, come purificazione e liberazione dal peccato, mai avrebbe pensato alla persecuzione come a una fonte di gioia e di felicità. Il discorso di Gesù va poi collocato proprio in un momento doloroso della storia ebraica: Israele gemeva sotto il durissimo e spietato giogo di Roma.
Nel nuovo Regno bandito da Gesù di Nazaret invece la persecuzione, e anche la calunnia, l’ingiustizia o l’odio gratuito, sono sorgenti di felicità se sopportate per «causa sua». Ancora di più, la sofferenza vicaria dà «compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). Solo in questa prospettiva la persecuzione è la via grande, spaziosa e larga, spalancata al dono della salvezza e apportatrice di ogni bene e dono: «Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli». Un discorso che è rivolto a tutti: ai discepoli e alla folla, nessuno escluso.
 
La beatitudine e Cristo - J. L. D’Aragon e X. Léon-Dufour: Gesù non è semplicemente un sapiente di grande esperienza, ma è colui che vive pienamente la beatitudine che propone.
1. Le «beatitudini», poste all’inizio del discorso inaugurale di Gesù, offrono, secondo Mt 5, 3-12, il programma della felicità cristiana. Nella recensione di Luca, esse sono abbinate a delle constatazioni di sventura, esaltando in tal modo il valore superiore di certe condizioni di vita (Lc 6, 20-26). Queste due interpretazioni tuttavia non possono essere ricondotte alla beatificazione di virtù o stati di vita. Si compensano a vicenda; soprattutto esprimono la verità in esse contenuta solo a condizione che venga loro attribuito quel significato che Gesù aveva dato loro. Gesù infatti è venuto da parte di Dio a pronunciare un solenne si alle promesse del VT; il regno dei cieli è lì, le necessità e le afflizioni sono soppresse, la misericordia e la vita, concesse da Dio. Effettivamente, se certe beatitudini sono pronunciate al futuro, la prima («Beati i poveri...»), che contiene virtualmente le altre, intende attualizzarsi fin d’ora. C’è di più. Le beatitudini sono un sì detto da Dio in Gesù. Mentre il VT giungeva ad identificare la beatitudine con Dio stesso, Gesù si presenta a sua volta come colui che porta a compimento l’aspirazione alla felicità: il regno dei cieli è presente in lui. Più ancora, Gesù ha voluto «incarnare» le beatitudini vivendole perfettamente, mostrandosi «mite ed umile di cuore» (Mt 11, 29).
2. Le altre proclamazioni evangeliche tendono tutte parimenti a dimostrare che Gesù è al centro della beatitudine. Maria è «proclamata beata» per aver dato alla luce il Salvatore (Lc 1, 48; 11, 27), perché ha creduto (1, 45); con ciò essa annunzia la beatitudine di tutti coloro che, ascoltando la parola di Dio (11, 28), crederanno senza aver visto (Gv 20, 29). Guai ai farisei (Mt 23, 13-32), a Giuda (26, 24), alle città incredule (1, 21)! Beato Simone, al quale il Padre ha rivelato in Gesù il Figlio del Dio vivente (Mt 16, 17)! Beati gli occhi che hanno visto Gesù (13, 16)! Beati soprattutto i discepoli che, in attesa del ritorno del Signore, saranno fedeli, vigilanti (Mt 24, 46), tutti dediti al servizio reciproco (Gv 13, 17).
I valori di Cristo - Mentre il VT si sforzava timidamente di aggiungere ai valori terreni della ricchezza e del successo il valore della giustizia nella povertà e nell’insuccesso, Gesù, dal canto suo, denuncia l’ambiguità di una rappresentazione terrena della beatitudine. Ormai i beati di questo mondo non sono più i ricchi, i pasciuti, gli adulati, ma coloro che hanno fame e che piangono, i poveri e i perseguitati (cfr. 1 Piet 3, 14; 4, 14). Questo rovesciamento dei valori era possibile ad opera di colui che è ogni valore. Due beatitudini principali comprendono tutte le altre: la povertà con il suo corteo delle opere di giustizia, di umiltà, di mitezza, di purezza, di misericordia, di preoccupazione per la pace; e poi la persecuzione per amore di Cristo. Ma questi stessi valori non sono nulla senza Gesù che dà loro tutto il senso. Quindi soltanto colui che ha posto Cristo al centro della sua fede può intendere le beatitudini dell’Apocalisse. Beato se le ascolta (Apoc 1, 3; 22, 7), se rimane vigilante (16, 15), perché è chiamato alle nozze dell’agnello (19, 9), per la risurrezione (20, 6) Anche se deve dare la vita in testimonianza, non si perda d’animo: «Beati i morti che muoiono nel Signore!» (14, 13).
 
I santi - Jules De Vaulx: Usata in senso assoluto, questa parola [santi] era eccezionale nel Antico Testamento; era riservata agli eletti dei tempi escatologici. Nel Nuovo Testamento designa i cristiani. Attribuita dapprima ai membri della comunità primitiva di Gerusalemme ed in modo speciale al piccolo gruppo della Pentecoste (Atti 9,13; 1Cor 16,1; Ef 3,5), essa fu estesa ai fratelli di Giuda (Atti 9,31-41), poi a tutti i fedeli (Rom 16,2; 2Cor 1,1; 13,12). Mediante lo Spirito Santo il cristiano partecipa di fatto alla santità stessa divina. Formando la vera «nazione santa» ed il «sacerdozio regale», costituendo il «tempio santo» (1Piet 2,9; Ef 2,21), i cristiani devono rendere a Dio il vero culto, offrendosi con Cristo in «sacrificio santo» (Rom 12,1; 15,16; Fil 2,17). Infine la santità dei cristiani, che proviene da una elezione (Rom 1,7; 1 Cor 1,2), esige da essi la rottura col peccato e con i costumi pagani (1Tess 4,3): essi devono agire «secondo la santità che viene da Dio e non secondo una sapienza carnale» (2Cor 1,12; cfr. 1Cor 6,9ss; Ef 4,30-5,1; Tito 3,4-7; Rom 6,19). Questa esigenza di vita santa sta alla base di tutta la tradizione ascetica cristiana; si fonda non sull’ideale di una legge ancora esterna, ma sul fatto che il Cristiano «afferrato da Cristo» deve «partecipare alle sue sofferenze ed alla sua morte per giungere alla sua risurrezione» (Fil 3,10-14).
 
Il peso dell’umanità e la grazia di Dio: “I santi si sentono ogni giorno decadere, sotto il peso di terreni pensieri, dalle altezze della contemplazione; contro la loro volontà, anzi senza saperlo, sono assoggettati alla legge del peccato e della morte, e sono distratti dalla presenza di Dio da opere terrene, per quanto buone e giuste. Hanno dunque delle buone ragioni per gemere continuamente presso il Signore, hanno ben motivo per cui veramente umiliati e compunti non solo a parole, ma di cuore, si dichiarino peccatori, chiedano sempre perdono per tutte le debolezze in cui, battuti dalla debolezza della carne, incorrono ogni giorno, e versano vere lacrime di penitenza, poiché vedono che fino alla fine della loro vita essi saranno tormentati dalle pene che li affliggono e che neanche possono offrire le loro suppliche senza il fastidio delle immaginazioni. Resisi conto, quindi, ch’essi non riescono, per il peso della carne, a raggiungere con le forze umane la meta desiderata e che non riescono a congiungersi, come desiderano, al sommo bene, ma che invece sono travolti, come prigionieri, verso le cose mondane, ricorrono alla grazia di Dio il quale fa giusti i malvagi (Rm 4,5) e gridano con l’Apostolo: Oh, me infelice! chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo del signor nostro Gesù Cristo [Rm 7,24-25]. Sentono che non possono portare a termine il bene che vogliono e che invece ricadono sempre nel male che non vogliono e odiano, cioè le immaginazioni e preoccupazioni delle cose terrene.” (Cassiano Giovanni, Collationes, 18,10).

Il Santo del Giorno - 1 Novembre 2025 - Tutti i santi. La meravigliosa varietà della fede: Un caleidoscopio di volti e voci, un catalogo infinito di storie e di avventure, umane e spirituali, l’elenco dei santi narra tutta la meraviglia della vita cristiana, in ogni sua sfaccettatura, con tutta la sua carica profetica. Quella odierna è una solennità liturgica di luce e speranza, che ci mostra una Chiesa capace di portare il Cielo in mezzo agli uomini. I santi e i beati sono coloro che hanno dato forma nella storia al Vangelo, aprendo, con il loro esempio, la strada verso il cuore di Dio nel segno del messaggio del Risorto. Celebrare la memoria di tutti i santi insieme significa non solo ricordare l’universale chiamata alla “perfezione”, ma anche riscoprire l’infinito nei piccoli gesti, nelle nostre storie ordinarie. Perché la “fantasia dello Spirito” si manifesta nei modi più inaspettati e chiede solo di essere pronti per accoglierla, vivendo ogni momento come il frammento di un cammino che porta al cuore della vita. Auguri a tutti quindi. (Matteo Liut)
 
O Dio, unica fonte di ogni santità,
mirabile in tutti i tuoi Santi,
fa’ che raggiungiamo anche noi la pienezza del tuo amore,
per passare da questa mensa,
che ci sostiene nel pellegrinaggio terreno,
al festoso banchetto del cielo.
Per Cristo nostro Signore.
 
31 Ottobre 2025
 
Venerdì XXX Settimana T. O.
 
Rm 9,1-5; Salmo Responsoriale dal Salmo 147; Lc 14,1-6
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
accresci in noi la fede, la speranza e la carità,
e perché possiamo ottenere ciò che prometti,
fa’ che amiamo ciò che comandi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Nostra aetate 4: Come attesta la sacra Scrittura, Gerusalemme non ha conosciuto il tempo in cui è stata visitata; gli Ebrei in gran parte non hanno accettato il Vangelo, ed anzi non pochi si sono opposti alla sua diffusione. Tuttavia secondo l’Apostolo, gli Ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento. Con i profeti e con lo stesso Apostolo, la Chiesa attende il giorno, che solo Dio conosce, in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con una sola voce e «lo serviranno sotto uno stesso giogo» (Sof 3,9).
Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo.
E se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo.
E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura. Curino pertanto tutti che nella catechesi e nella predicazione della parola di Dio non si insegni alcunché che non sia conforme alla verità del Vangelo e dello Spirito di Cristo.
La Chiesa inoltre, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli Ebrei, e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque. In realtà il Cristo, come la Chiesa ha sempre sostenuto e sostiene, in virtù del suo immenso amore, si è volontariamente sottomesso alla sua passione e morte a causa dei peccati di tutti gli uomini e affinché tutti gli uomini conseguano la salvezza. Il dovere della Chiesa, nella sua predicazione, è dunque di annunciare la croce di Cristo come segno dell’amore universale di Dio e come fonte di ogni grazia.
 
Prima Lettura - Cristo ci ha riscattati dalla legge - José Mária Gonzalez-Ruiz: Paolo è obbligato a trattare un tema che, in qualche modo, lo indispone psichicamente: la «provvidenzialità» del popolo d’Israele nella storia della salvezza. Fin dal primo momento si nota che è un tema nel quale egli non sa e non riesce a muoversi con piena oggettività: in definitiva, egli era ed era stato un giudeo superortodosso.
Perciò la prima cosa che mette avanti è il suo atteggiamento emotivo ed etico: non lo lascia indifferente la situazione di disprezzo in cui, praticamente, si è trovato Israele dopo gli avvenimenti cristiani.
Arriverà fino a chiedere per sé l’anatèma, cioè di essere «separato da Cristo a vantaggio dei suoi fratelli, i suoi consanguinei secondo la carne». La parola greca «anàthema» traduce nella versione dei Settanta quella ebraica «herem», una cosa offerta a Dio sia per il suo servizio (Lv 27,28) e sia per la sua distruzione (Dt 7,26; Gs 6,17). Più tardi, arrivò a confondersi col concetto e l’espressione di «maledizione» (Zc 14,11).
Nel NT, è l’equivalente di «kátara» (maledizione, At 23,12; 1Cor 12,3; 16,22; Gal 1,8-9). Pare che san Paolo applichi a se stesso il processo «redenzione per mezzo dell’incarnazione» in virtù del quale «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione» (Gal 3,13). Paolo è dunque disposto a incarnarsi «nello stato di maledizione da parte di Cristo» nel quale è caduto il suo popolo, per liberarlo da questa maledizione.
Come vediamo, l’impostazione è chiara e rigorosa: Paolo accetta un atteggiamento ecumenico e dialogante col giudaismo, ma senza fare concessioni diplomatiche o apologetiche.
Infatti, da una parte, riconosce che al popolo d’Israele appartiene quel cumulo di promesse divine delle quali parla così spesso l’AT. Dall’altra, però, avverte fin dal principio che il giudaismo, così come egli lo aveva vissuto intensamente, aveva cessato di essere un’esperienza religiosa. Era ormai fuori della storia della salvezza.
 
Vangelo
Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?
 
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 14,1-6
 
Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservar- lo. Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisìa.
Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: «È lecito o no guarire di sabato?». Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò.
Poi disse loro: «Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?». E non potevano rispondere nulla a queste parole.
 
Parola del Signore.
 
Un sabato Gesù accetta di andare a pranzare in casa di uno dei capi dei farisei. Non si conosce il motivo dell’invito, ma la nota essi stavano ad osservalo potrebbe rivelarlo. I farisei tallonavano Gesù per metterlo alla prova e trarlo in errore, ma spesso non uscivano allo scoperto perché avevano paura della folla (Mt 21,26), ora può essere osservato con più calma.
Gesù non ha mai lesinato di sottoporre la mentalità e la vita dei Farisei a una dura critica: sferza la loro superbia (Lc 18,10-14), la loro avidità (Mt 12,40), la loro ambizione (Mt 23,5ss) e la loro ipocrisia (Mt 15,3-7). È in casa di uno dei capi dei farisei non per condannarli ma per guarirli: “Paradossalmente si può dire che Gesù ama i farisei più di tutti i peccatori, perché affetti dal peccato più tremendo e più nascosto che ci sia: quello che, sotto un manto di bene, si oppone direttamente a quel Dio che è grazia e misericordia” (Silvano Fausti. Una comunità legge il Vangelo di Luca).
Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisia, forse era stato piazzato davanti a Gesù di proposito per provocare una sua reazione: e stavano a vedere se lo guariva in giorno di sabato, per poi accusarlo (Mc 3,2).
 È lecito o no guarire di sabato?”. Ma essi tacquero, i farisei conoscono la risposta, ma preferiscono il silenzio per indurre Gesù a uscire allo scoperto, e Gesù lo fa: Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò.
Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato? (cfr. Mt 12,11; Lc 13,15). Con questa domanda Gesù spiazza i suoi interlocutori, come già aveva fatto tante altre volte: “Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione” (Mc 7,9; cfr. Mt 15,2-3.6; Mc 7,8), i farisei così ancora una volta si trovano a corto di una risposta, difatti non potevano rispondere nulla a queste parole.
C’è tanta amarezza in questo confronto perché va considerato che i farisei hanno molte cose in comune con Gesù, e dai Vangeli viene messo in evidenza come Egli apprezzi la loro religiosità e perfino nelle controversie si preoccupi della loro salvezza. Ma la cecità, la superbia di sentirsi giusti e l’errata convinzione di essere gli unici custodi legittimi della Legge e della volontà di Dio ha fatto sì che essi si autoescludessero dall’entrare nel regno di Dio.
 
Gesù e la Legge - Catechismo della Chiesa Cattolica 581-582: Gesù è apparso agli occhi degli Ebrei e dei loro capi spirituali come un «rabbi». Spesso egli ha usato argomentazioni che rientravano nel quadro dell’interpretazione rabbinica della Legge. Ma al tempo stesso, Gesù non poteva che urtare i dottori della Legge; infatti, non si limitava a proporre la sua interpretazione accanto alle loro; «egli insegnava come uno che ha autorità e non come i loro scribi» (Mt 7,29). In lui, è la Parola stessa di Dio, risuonata sul Sinai per dare a Mosè la Legge scritta, a farsi di nuovo sentire sul monte delle beatitudini. Questa Parola non abolisce la Legge, ma la porta a compimento dandone in maniera divina l’interpretazione definitiva: «Avete inteso che fu detto agli antichi [...]; ma io vi dico» (Mt 5,33-34). Con questa stessa autorità divina, Gesù sconfessa certe «tradizioni degli uomini» care ai farisei i quali annullano la parola di Dio. Spingendosi oltre, Gesù dà compimento alla Legge sulla purità degli alimenti, tanto importante nella vita quotidiana giudaica, svelandone il senso «pedagogico» con una interpretazione divina: «Tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può contaminarlo [...]. Dichiarava così mondi tutti gli alimenti [...]. Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore dell’uomo,escono le intenzioni cattive» (Mc 7,18-21). Dando con autorità divina l’interpretazione definitiva della Legge, Gesù si è trovato a scontrarsi con certi dottori della Legge, i quali non accettavano la sua interpretazione, sebbene fosse garantita dai segni divini che la accompagnavano. Ciò vale soprattutto per la questione del sabato: Gesù ricorda, ricorrendo spesso ad argomentazioni rabbiniche, che il riposo del sabato non viene violato dal servizio di Dio o del prossimo, servizio che le guarigioni da lui operate compiono.
 
Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei… - Alice Baum: Il Nuovo Testamento dipinge i farisei come i veri e propri avversari di  Gesù; va però considerato, d’altro canto, che Gesù ha molto in comune con i farisei, che egli prende sul serio la loro religiosità e perfino nelle dispute si preoccupa di loro. Il conflitto nasce da una differente posizione nei confronti della Legge. Per Gesù (e per il cristianesimo primitivo - Paolo) la Torah non poteva essere considerata una necessità assoluta per la salvezza. Non la “tradizione dei padri” ma Gesù era l’interprete autentico della volontà assoluta di Dio. Di qui la sua libertà sovrana di fronte alla Legge, cosa che per la credenza dei farisei nell’origine divina della Torah non era possibile imitare. La seconda causa del conflitto era la distanza dei farisei da tutte le attese messianico-escatologiche imminenti, cosicché la pretesa messianica che Gesù avanzava con la parola e l’azione era per loro inaccettabile. Certo, nella concezione della Legge dei farisei c’era il pericolo di una religiosità esteriorizzata, e non di rado vi ci sono caduti. I rimproveri che il Nuovo Testamento solleva contro di loro si trovano anche negli scritti rabbinici.
Tuttavia dedurre dalla radicalizzazione e dalla polemica inasprita del Nuovo Testamento che i farisei fossero tutti indistintamente degli ipocriti e il fariseismo soltanto un adempimento esteriore della Legge, contraddice i dati di fatto storici. Diversamente non avrebbe potuto dar vita alle grandi figure del periodo post-biblico e vitalizzare con una nuova linfa il giudaismo successivo al 70 d.C. e al 135 d.C. 71.
 
Ireneo (Contro le eresie, 4,11-13.15.16): Il Signore non ha abrogato, ma ha ampliato e completato i precetti naturali della legge, quelli cioè che giustificano l’uomo, e che venivano osservati anche prima della legge da coloro che erano giusti per la loro fede e piacevano a Dio. Risulta chiaro dalle sue parole: È stato detto agli antichi: Non commettere adulterio. Ma io dico a voi: Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore (Mt 5,27-28). E ancora: È stato detto: Non uccidere. Ma io vi dico: Chiunque si adira con suo fratello senza motivo è passibile di condanna (Mt 5,21-22). E ancora: È stato detto: Non spergiurare... Ma io vi dico di non giurare mai. Il vostro sì, sia un sì; il vostro no, un no (Mt 5,33-37). E altre espressioni simili. Tutti questi precetti non sono contrari e non aboliscono i precedenti, come vanno dicendo i seguaci di Marcione, ma li dilatano ed estendono, come il Signore stesso ha detto: Se la vostra giustizia non è superiore a quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli (Mt 5,20).
 
Il Santo del Giorno - 31 Ottobre 2025 - San Alfonso Rodriguez. Un istante, un incontro sulla via anche così si toccano i cuori: Chissà quante volte abbiamo cambiato il destino di una persona, magari qualcuno che abbiamo incontrato fugacemente nel nostro cammino esistenziale, qualcuno che abbiamo incontrato per un istante e poi mai più. E chissà se in quell’istante breve d’incontro siamo stati testimoni dell’Infinito, portatori di un messaggio di amore universale e di verità. Ecco la responsabilità di testimoniare in ogni istante della nostra vita il messaggio del Risorto: perché in ogni istante potremmo toccare il cuore di qualcuno e “salvarlo”.
Proprio come tanti, di passaggio, furono toccati da un semplice fratello portinaio a Palma di Maiorca: sant’Alfonso Rodriguez. Era nato a Segovia, in Spagna, nel 1533 in una famiglia di mercanti di lana e, con il desiderio di consacrarsi, studiò dai gesuiti di Alcalà. A 23 anni, dopo la morte del padre, dovette però occuparsi degli affari di famiglia. Si sposò ed ebbe tre figli, ma all’età di 31 anni rimase vedovo. Poco prima aveva perso anche due figli: il dolore fu troppo e per questo decise di lasciare tutti i beni al fratello, riprendendo gli studi presso i gesuiti. La Compagnia di Gesù, nella quale Alfonso volle restare sempre fratello coadiutore, lo accolse e lo inviò a Palma di Maiorca, dove svolse con attenzione e delicatezza il ruolo di portinaio del convento dal quale all’epoca passavano i missionari diretti in America. Padre spirituale e mistico, per molti l’incontro con Rodriguez sulla strada verso le terre di missione fu un’esperienza preziosa, come accadde a san Pietro Claver, l’«apostolo degli schiavi». Rodriguez morì nel 1617.
 
 
Si compia in noi, o Signore,
la realtà significata dai tuoi sacramenti,
perché otteniamo in pienezza
ciò che ora celebriamo nel mistero.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 30 Ottobre 2025
 
Giovedì XXX Settimana T. O.
 
Rm 8,31b-39; Salmo Responsoriale dal Salmo 108 (109); Lc 13,31-35
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
accresci in noi la fede, la speranza e la carità,
e perché possiamo ottenere ciò che prometti,
fa’ che amiamo ciò che comandi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Nella celebrazione del Triduo Pasquale, vertice di tutto l’Anno liturgico, celebriamo “il Mistero centrale della fede: la passione, morte e risurrezione di Cristo. Nel Vangelo di san Giovanni, questo momento culminante della missione di Gesù viene chiamato la sua «ora», che si apre con l’Ultima Cena. L’Evangelista lo introduce così: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1).
Tutta la vita di Gesù è orientata a questa ora, caratterizzata da due aspetti che si illuminano reciprocamente: è l’ora del «passaggio» (metabasis) ed è l’ora dell’«amore (agape) fino alla fine». In effetti, è proprio l’amore divino, lo Spirito di cui Gesù è ricolmo, che fa «passare» Gesù stesso attraverso l’abisso del male e della morte e lo fa uscire nello «spazio» nuovo della risurrezione. È l’agape, l’amore, che opera questa trasformazione, così che Gesù oltrepassa i limiti della condizione umana segnata dal peccato e supera la barriera che tiene l’uomo prigioniero, separato da Dio e dalla vita eterna. Partecipando con fede alle celebrazioni liturgiche del Triduo Pasquale, siamo invitati a vivere questa trasformazione attuata dall’agape. Ognuno di noi è stato amato da Gesù «fino alla fine», cioè fino al dono totale di Sé sulla croce, quando gridò: «È compiuto!» (Gv 19,30).
Lasciamoci raggiungere da questo amore, lasciamoci trasformare, perché veramente si realizzi in noi la risurrezione.” (Benedetto XVI, Udienza Generale 4 Aprile 2012).
 
Prima Lettura - Giuliano Vigini (Il Nuovo Testamento): 8,31 Il primo (“Chi sarà contro di noi?”) dei sei interrogativi presenti nei vv. 31-35 esprime l’assoluta convinzione che non ci sono minacce e ostacoli che possano separare i cristiani dal piano di salvezza di Dio e dal potere invincibile dell’amore che egli ha donato in Cristo, suo Figlio (32).
8,33 Paolo usa l’aggettivo ekletos (eletto) altre cinque volte (16,13; Col 3,12; 1 Tm 5,21; 2 Tm 2,10; Tt 1,1),  riferendolo a chi è stato scelto poi una particolare missione.
Chi è stato chiamato non può essere messo sul banco degli imputati, purché Dio stesso prende le sue difese, dichiarandolo giusto. Ogni accusa si scioglie per effetto dell’azione giustificante di Dio.
8,35 L’amore che Cristo ha manifestato all’uomo donando se stesso è il vincolo che nessuno potrà spezzare o da cui nulla lo potrà separare (39).
8,36 Citando il Sal 44,23, Paolo prepara in questo versetto la dichiarazione successiva (37). Le tribolazioni fanno sì parte della condizione cristiana, ma non costituiscono una prova che Dio non ami coloro che soffrono.
Anzi, è proprio grazie al dono di Gesù (“colui che ci ha amati”, 37) che anche noi conseguiamo la vittoria sul male, sul dolore e sulla morte.
 
Vangelo
Non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme.
 
Erode Antipa (cf. Lc 3,1), molto probabilmente non palesemente ma con manovre astute cercava di sbarazzarsi di Gesù; a questa manovra scaltra farebbe allusione l’epiteto di «volpe».
“Questa notizia non manca di sorprendere il lettore; infatti sembra poco probabile che il tetrarca, il quale si era mostrato incerto e titubante nel far decapitare Giovanni Battista (cf. Mc., 6, 17-29; si veda anche Lc., 9, 7-9; 23, 8), voglia ora uccidere Gesù; inoltre appare ancora più improbabile che proprio i Farisei, dichiarati avversari del Maestro, lo avvertano di mettersi al sicuro; essi in verità dovevano essere molto contenti che Erode facesse morire una persona tanto indesiderata. È tuttavia verosimile che il tetrarca avesse fatto ricorso a questa abile manovra, mettendo in giro tale minaccia, per non aver a che fare con Gesù; così si spiega anche l’appellativo «volpe» (vers. seguente), con il quale il Salvatore designa l’astuto monarca, svelando così il vero scopo di quel sottile ed abile raggiro” (Benedetto Prete).
Il terzo giorno è una espressione che indica un lasso di tempo molto breve. La passione è a una passo, e allora tutto sarà compiuto (Gv 19,28.30), un compimento che include insieme la fine e il compimento di Gesù, reso «perfetto» dai patimenti e dalla morte (Eb 2,10; 5,9; cf. Gv 19,30).
Vi sono ancora delle opere da compiere: “Ecco, io scaccio demòni e compio guarigioni  oggi e domani”, e nessuno può ostacolare o mettere a termine il “cammino” di Gesù sulla strada di Gerusalemme, dove deve compiersi il suo destino (cf. Lc 2,38). Come in Gv 7,30; 8,20 (cf. Gv 8,59; 10,39; 11,54), i nemici di Gesù non possono attentare alla sua vita, finché «la sua ora non è giunta».
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 13,31-35
 
In quel momento si avvicinarono a Gesù alcuni farisei a dirgli: «Parti e vattene via di qui, perché Erode ti vuole uccidere».
Egli rispose loro: «Andate a dire a quella volpe: “Ecco, io scaccio demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno la mia opera è compiuta. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io prosegua nel cammino, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”.
Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te: quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa è abbandonata a voi! Vi dico infatti che non mi vedrete, finché verrà il tempo in cui direte: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”».

Parola del Signore.
 
Alcuni farisei di buona pasta avvisano Gesù che Erode vuole ucciderlo, e le minacce di questo uomo non vanno prese alla leggera. Erode Antipa, tetrarca della Galilea e della Perea, è un uomo dissoluto e sanguinario. Figlio di Erode il grande, al pari del padre, è un uomo lussurioso, scaltro, pronto a tutto. Di tal uomo si ricorderà una triste e perversa vicenda: accalappiato da una ballerina non esiterà a far decapitare Giovanni il Battista.
Il perché Erode voglia uccidere Gesù non viene detto, ma la notizia, conoscendo il personaggio, è da ritenere veritiera.
Invece di fuggire, Gesù manda un messaggio molte eloquente ad Erode: Andate a dire a quella volpe. Il lemma alopex (volpe) sia nella letteratura ellenistica che in quella rabbinica era sinonimo di astuzia e di malizia.
Ecco, io scaccio demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno la mia opera è compiuta, questa espressione molto comune in aramaico, esprime un breve lasso di tempo, e ricorda Os 6,2. La risposta ai farisei fa intendere che il destino di Gesù non appeso ai sotterfugi di Erode, la libertà di Gesù è piena.
Però è necessario, sarà Gesù, quando sul quadrante della volontà di Dio scoccherà l’ora, a consegnasi nelle mani dei carnefici per portare a compimento il progetto di salvezza tracciato ab aeterno a favore di tutti gli uomini. Naturalmente i tre giorni  stanno ad indicare anche i giorni della passione-morte di Gesù, della sepoltura, e, al terzo giorno, della risurrezione.
Gerusalemme, Gerusalemme, Gesù ancora una volta denuncia la perfidia degli israeliti, sempre pronti ad armarsi di pietre per scagliare contro chi ragiona diversamente, è la sorte che è toccata ai profeti scomodi, la stessa sorte toccherà a Gesù. Il lamento su Gerusalemme è composto da un riferimento veterotestamentario, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto, un’immagine che ricorda l’affetto paterno di Dio verso il suo popolo (cfr. Sal 90 [91],4; Dt 32,11) e da una profezia la vostra casa è abbandonata a voi: una profezia oscura, indeterminabile, ma che si possono approntare due soluzioni. La prima, se l’affermazione allude a Ger 22,1-9, la casa non si riferirebbe al tempio di Gerusalemme, né “deserta” alla sua distruzione, avvenuta nel 70, ma alla casa del re di Giuda. La seconda ipotesi protenderebbe, molto probabilmente, al tempio, la casa di Dio, che sarà abbandonata dalla Gloria di Dio e abbandonato nelle mani dei pagani che lo distruggeranno, non lasciando pietra su pietra (cfr. Lc 21,5).
 
Parti e vattene via di qui, perché Erode ti vuole uccidere - Don Silvio Longobardi: È solo un frammento del ministero di Gesù ma permette di capire in quali condizioni egli realizza l’opera che il Padre gli ha affidato. Le folle lo cercano, il potere lo osserva. I discepoli lo ascoltano con fiducia perché lo considerano un profeta; i farisei, invece, lo ritengono un impostore. Sono proprio i farisei che lo invitano a partire per sfuggire all’ira di Erode. In apparenza è un gesto di amicizia, in realtà cercano pretesti per liberarsi di Gesù. Lo considerano un pericolo, un rabbi che stravolge la tradizione dei padri. La minaccia ha un suo nucleo di verità. È vero, Gesù non si presenta come un agitatore politico, ma è vero anche che l’entusiasmo popolare viene visto con diffidenza, anzi con un certo fastidio, una possibile causa di sommosse popolari. Meglio allontanare un uomo come Gesù, abbiamo meno problemi. Gesù si trova ancora in Galilea ma è in cammino verso Gerusalemme (Lc 9,51). Non può rinunciare ad andare nella città santa dove troverà compimento la sua missione. Gesù considera i farisei come gli ambasciatori di Erode e chiede loro di rispondere al re con queste parole: “è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io prosegua nel cammino, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme” (13,32-33). Gesù non si lascia intimidire dalle minacce, non si nasconde, non ha intenzione di rinunciare al compito che gli è stato affidato, anzi ribadisce che andrà fino in fondo.
Queste parole invitano anche noi ad evitare ogni forma di mediocrità. Lungo il cammino incontriamo spesso ostacoli, piccoli e grandi. A volte all’esterno ma tante altre volte all’interno. Il Signore ci chiede di rimanere fedeli al compito che ci è stato affidato. C’è una storia da costruire, ci sono ancora tante pagine da scrivere, nessuno deve fermarsi a metà. Un santo eremita diceva: “Non riposarci, dopo aver incominciato, non venir meno alle fatiche, non dire abbiamo coltivato a lungo l’ascesi; accresciamo invece la prontezza della nostra volontà, come se incominciassimo ogni giorno” (Sant’Antonio Abate).
 
«Chi ci separerà dall’amore di Cristo?» - Settimio Cipriani (Le Lettere di Paolo): 31-34 Gioia, serenità e sicurezza sprizzano dal pensiero dell’immenso «amore» di Dio verso gli uomini, perché tutto il piano della salvezza in Cristo non è altro che frutto dell’amore. E allora perché temere? «Se Dio è per noi, chi (sarà) contro di noi» (v. 31)? Egli, che ha dato per noi alla morte il «proprio Figlio» (v. 32), non ci concederà la salvezza e tutto quanto è necessario per raggiungerla? Chi ci potrà «accusare», se proprio lui ci assolve «giustificandoci» (v. 33)? Ci potrà forse condannare Cristo, che non solo è «morto e risorto», ma è addirittura nostro «intercessore» «alla destra» (v. 34) del Padre (cfr. Ebr. 1, 3; 12, 2; 1Giov. 2, 1)? Chi ci ha dato il più, non potrà negarci il meno! È un inno davvero commosso e sublime, pur nella sua stringatezza e concisione, all’amore di Dio verso i redenti, che niente varrà a spezzare: «Chi ci separerà mai dall’amore di Cristo» (v. 35)? Né i pericoli esterni e visibili (v. 35), derivanti dalla rischiosa attività apostolica («tribolazione, persecuzione, fame, spada, morte» ecc.); né quelli invisibili, derivanti dalle oscure e misteriose forze del cosmo («altezza, profondità»: v. 39) o dagli spiriti del male («angeli, principati, potenze»: v. 38), potranno giammai «separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, Signore nostro» (v. 39). «L’amore di Dio» verso di noi (v. 39), che raggiunge il suo apice nel dono che egli ci ha fatto di Cristo (v. 39), è una forza così travolgente, una catena così attanagliante che nessuna potenza creata potrà mai infrangerla, salvo l’uomo stesso in un gesto di follia! «Solo chi vince Dio, ci può fare del male. Ma chi può vincere l’Onnipotente?» (S. Agostino).
Per quanto dipende dall’«amore di Dio», abbiamo il potere non solo di vincere ma di «stravincere» (v. 37) contro tutte le difficoltà e tentazioni che ci vorrebbero staccare dall’Autore della nostra salvezza. Quale incrollabile base di fiducia per ogni cristiano, degno di questo nome!
 
Giovanni Crisostomo (Exp . in Matth., LXXIV, 3): … non mi vedrete più sino a quando non direte: Benedetto Colui che viene nel nome del Signore!: queste sono parole di un amante ardente, che vigorosamente vuole attrarli a Sé con le predizioni dell’avvenire e non solo confondendo col ricordo del passato. È chiaro infatti, in queste parole, l ‘accenno al giorno del suo secondo avvento.
 
Il Santo del Giorno - 30 Ottobre 2025 - San Marciano da Siracusa. Le radici apostoliche della fede in Sicilia: Un sottile filo rosso lungo le pieghe dei secoli collega la nostra storia a quella degli Apostoli e quindi a quella del Figlio di Dio, incarnato, morto e risorto. Siracusa in san Marciano ritrova proprio le radici apostoliche e quindi il legame profondo con Cristo. Le fonti sulla vita di questo santo martire in realtà sono tardive, ma questo non sminuisce la portata storica e di fede della figura di Marciano, che, secondo la tradizione, ad Antiochia era divenuto discepolo di san Pietro. Quest’ultimo lo inviò poi in Sicilia a portare il Vangelo. A Siracusa l’impegno di Marciano ebbe un notevole successo, portando a numerose conversioni, ma attirandosi l’inimicizia e l’odio di «coloro che in quel tempo avevano indegnamente lo scettro del comando». Per questo il protovescovo di Siracusa venne catturato e martirizzato. Alcune sue reliquie, poi, giunsero fino in Lazio, forse per mare, e sono conservate nella cripta della Cattedrale di Gaeta, che lo celebra come compatrono. (Matteo Liut)
 
Si compia in noi, o Signore,
la realtà significata dai tuoi sacramenti,
perché otteniamo in pienezza
ciò che ora celebriamo nel mistero.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
29 Ottobre 2025
 
Mercoledì XXX Settimana T. O.
 
Rm 8,26-30; Salmo Responsoriale dal Salmo 12 (13); Lc 6,12-19
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
accresci in noi la fede, la speranza e la carità,
e perché possiamo ottenere ciò che prometti,
fa’ che amiamo ciò che comandi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Catechismo della Chiesa Cattolica 2736 Siamo convinti che «nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare» (Rm 8,26)? Chiediamo a Dio «i beni convenienti»? Il Padre nostro sa di quali cose abbiamo bisogno, prima che gliele chiediamo, ma aspetta la nostra domanda perché la dignità dei suoi figli sta nella loro libertà. Pertanto è necessario pregare con il suo Spirito di libertà, per poter veramente conoscere il suo desiderio.
2737 « Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri » (Gc 4,2-3). 200 Se noi chiediamo con un cuore diviso, « adultero », 201 Dio non ci può esaudire, perché egli vuole il nostro bene, la nostra vita. « O forse pensate che la Scrittura dichiari invano: "Fino alla gelosia ci ama lo Spirito che egli ha fatto abitare in noi"? » (Gc 4,5). Il nostro Dio è « geloso » di noi, e questo è il segno della verità del suo amore. Entriamo nel desiderio del suo Spirito e saremo esauditi.
 
Prima Lettura - Giuliano Vigini (Il Nuovo Testamento): 8,26-27 Questo è l’unico brano di Paolo in cui si presenta l’intercessione dello Spirito Santo. Come Cristo intercede nei cieli, così lo Spirito intercede per i credenti nelle difficoltà della vita terrena. Egli viene in soccorso alla loro debolezza e, in particolare, alla loro incapacità di pregare e perfino di sapere che cosa chiedere a Dio nella preghiera nell’ora della prova e della sofferenza.
8,26 L’azione di intercessione dello Spirito avviene “con gemiti inesprimibili”: espressione spesso considerata un’allusione al canto in lingue dei fedeli (cfr. 1 Cor 12-14), e che, come 8,23 (“gemiamo interiormente”), si riferirebbe alla preghiera in lingue praticata dai corinzi. E più probabile, invece, che essa sia da intendere come supplica dello Spirito che Dio solo può percepire e comprendere, mentre resta “muta” (alalétos, senza parole) per l’uomo, andando al di là di ogni sua capacità di comprensione.
8,27 “Colui che scruta i cuori” è Dio (cfr., ad es., 1Sam 16,7; 1Re 8,39; Sal 7,10; 139,23).
8,29 Quelli che “da sempre ha conosciuto” sono coloro che Dio ha prescelto prima ancora che il mondo fosse (cfr. Ef 1,4), perché riproducessero in sé l’immagine di Cristo, partecipando alla sua risurrezione (cfr. 8,17; 2 Cor 3,18; 4,4-6; Fil 3,20-21).
 
Vangelo
Verranno da oriente a occidente e siederanno a mensa nel regno di Dio.
 
Oggi la liturgia presenta un aspetto fondamentale della salvezza già compiuta in Cristo Gesù, mette in evidenza due temi molto cari al mondo biblico. Da una parte, il Signore Dio apre la porta del suo regno a tutti gli uomini e dall’altra essa si presenta “stretta”, sottintendendo in questo modo il grande impegno necessario per entravi, così come è sottolineato dalla seconda lettura e dalla parte centrale del vangelo. Tutto è grazia, ma il dono esige l’operosa collaborazione dell’uomo.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 13,22-30
 
In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».
Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 
Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».
 
Parola del Signore.
 
Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno L’opera evangelizzatrice di Gesù non conosce riposo. Egli è in cammino alla volta di Gerusalemme, il centro geografico verso cui tende tutta la storia della salvezza: nell’opera lucana, la Città santa è il punto di arrivo dell’itinerario di Gesù (Cf. Lc 9,51; 13,22.33; 17,11; 19,11.28) ed anche il punto di partenza della predicazione del vangelo nel mondo (Atti 1-2).
La domanda del tale era una questione molto dibattuta anche nelle scuole rabbiniche. Gesù non risponde a questa domanda, certamente oziosa e capziosa, e si limita a mettere l’interlocutore in guardia da simili considerazioni che non portano a nulla di concreto. Importante invece è sforzarsi di entrare per la porta stretta.
Più che sforzo il testo greco ha lotta: come dire che tutta la vita cristiana è milizia. La «lotta [agon] accentua l’impegno cosciente delle proprie forze per raggiungere una meta [...]. Il lavoro dell’apostolo non è solamente un adempimento fedele del dovere, ma un agon, collegato a pesi e strapazzi [Col 1,29; lTm 4,10]. Si tratta della meta ultima e immutabile, la sola che valga: [...] il premio della vittoria, che il cristiano sarà in grado di raggiungere solo se si impegna, talvolta con il sacrificio di tutta la vita e mediante la comunione con le sofferenze di Cristo [Cf. Fil 3,15]» (A. Ringward).
All’anonimo interlocutore, Gesù sta dicendo, con estrema chiarezza, che per entrare nel regno di Dio non è solo richiesto il massimo impegno, ma anche la massima rinuncia. Qui siamo molto lontano da quel Vangelo edulcorato, infantile, dove tutto si poggia su un preteso buonismo di Dio che perdona tutti e tutto. Per salvarsi non basterà aver mangiato e bevuto in sua presenza, non sarà sufficiente aver avuto l’onore di averlo ospitato come maestro nelle nostre piazze, non serviranno nemmeno i legami di razza, essere figli di Abramo non servirà a nulla per evitare l’esclusione meritata da una condotta iniqua (Cf. Lc 3,7-9; Gv 8,33s).
Quando il padrone di casa si alzerà ... Il padrone di casa è Cristo Gesù, il quale «chiude la porta alla morte di ogni peccatore, il cui tempo per accumulare meriti è ormai finito, poiché la penitenza dopo la morte è infruttuosa. Per questo Egli dirà ai peccatori: Non vi conosco!» (Nicola di Lira, Postilla super Lucam, XIII).
In Luca, gli operatori di ingiustizia non sono i falsi profeti e guaritori come in Mt 7,21-23, ma i Giudei increduli e i pagani convertiti che non fanno la volontà del Padre.
Gli esclusi, quei Giudei che ritenevano di essere giusti davanti agli uomini (Lc 16,15), piangeranno come disperati e saranno in preda del risentimento e della rabbia quando vedranno i pagani sedere a mensa nel regno di Dio.
Verranno da oriente e da occidente ... Quanto sognato dai profeti, cioè il raduno di tutte le genti nell’unico ovile di Cristo (Cf. Is 2,2-5; 25,6-8; 60,1ss; 66,18-21; Gv 10,16), «incomincia a realizzarsi fin d’ora, nel ministero pubblico di Gesù [Cf. Lc 14,21.23,26; 15,32; 16,9], e troverà più pieno compimento nel ministero apostolico [Cf. Atti degli Apostoli]» (Carlo Ghidelli).
In questo modo e con queste immagini (pianto e stridore di denti ... siederanno a mensa), Gesù proclama ai Giudei, che ritenevano di essere i primi e gli unici destinatari delle promesse messianiche fatte ai profeti, l’universalità della salvezza. L’unica condizione che viene chiesta è la libera e gioiosa risposta alla chiamata misericordiosa di Dio.
Alla fine, sarebbe facile metterci noi cristiani al posto dei Giudei e credere, come lo credeva Israele, che le porte ormai sono per sempre spalancate per tutti. Chi dà per scontata la propria salvezza è un illuso e un povero stolto: non «ci sarà neanche salvezza automatica per i cristiani che rimanderanno al domani la riforma, sempre da riprendere, del loro comportamento. La porta è stretta per tutti: quelli che commettono il male non potranno appellarsi alla loro familiarità superficiale con il Cristo per farsi aprire, quando la porta sarà chiusa» (H. Cousin).
 
Penitenza e opzione fondamentale - Maria Ignazia Danieli (Penitenza in Schede Bibliche Pastorali): Nella odierna civiltà «del benessere», ma anche all’epoca dei grandi profeti biblici, la parola penitenza suona dissueta e lontana. L’aver sottolineato poi a tante riprese, e giustamente, che i termini con cui la bibbia parla di penitenza vogliono sostanzialmente dire «convertirsi; tornare indietro; tornare all’origine della salvezza, cioè al Signore», ha portato oggi a considerare quasi esclusivamente l’aspetto della penitenza come atteggiamento interiore dell’uomo, trasmutazione del suo essere desideroso di ricongiungersi a Dio da cui lo distoglie il peccato.
È certo che quel che conta davanti a Dio è l’orientamento fondamentale della vita. Poiché non siamo noi che scegliamo Dio, ma è lui che ci ha scelti; non siamo noi che lo amiamo per primi, ma è lui che ci ha amati (Gv. 15,16; 1Gv. 4,10; Rom. 5,8), Gesù può chiederci dove poniamo il punto di convergenza della nostra vita, quale è la intensità della nostra risposta al suo dono infinito. La vita conosce solo due possibili dimensioni, che la rivelazione cristiana rende irrefutabili e consapevoli: l’amore di Dio fino al disprezzo di sé (caritas) o l’amore di sé fino al disprezzo di Dio (cupiditas); sono i due amori dai quali, secondo Agostino, si generano le due città, celeste e terrena, mischiate nel crogiuolo del mondo fino a che la forza purificante del fuoco divino avrà tutto assunto e bruciato in sé.
La verità del nostro guardare a Dio, del nostro essere rivolti a lui, della nostra penitenza, consiste nell’aver gettato nella fornace divina il nostro cuore, il nostro pensiero, la nostra volontà (Dt. 6,4ss).
La conversione non si dà senza la rinuncia radicale a se stessi e la opzione fondamentale di vivere di Dio e per Dio (Dt. 30,14-20; Mc. 8,34-35). La opzione interiore necessariamente si traduce in atti esteriori. Ricor­diamo la parola di Gesù nel discorso della montagna: «Se dunque stai offrendo il tuo dono all’altare e lì ti ricordi che il fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e prima va’, riconciliati con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono» (Mt. 5,23-24).
Per essere di Cristo e, nel Cristo, di Dio, è necessario fare dei gesti esterni, riconciliarsi, qualunque nube di divisione ci fosse tra noi e i fratelli, nella forza della parola del Signore. Siamo tutti un popolo di riconciliati (Cf. Rom. 5,10-11): la parola del vangelo ci dice che bisogna mettersi in sintonia con la grande onda di unità che Gesù è venuto a portare a tutta la creazione: questo il senso della incarnazione e della redenzione. Quando parliamo della riconcilia­zione - che è poi uno dei gesti più veri e significativi della nostra penitenza - sappiamo bene che basta un piccolo gesto per ritrovarsi nell’unico essere, nella verità: ogni faziosità non è solo errore morale, ma una frantumazione dell’essere, una rottura della verità. Per questo abbiamo il dovere di praticare un abito di unità e di mortificazione che esprima il nostro desiderio di dilatazione, la nostra sete di Dio. Tutto questo non avviene senza sforzo, senza penitenza: è stato detto che si va verso una via di spoliazione e di secolarizzazione; ma queste forme che si svuotano di esteriorismi vanno riempite di contenuti. Sempre più si parla di una vita da «cristiano indistinto»; ma se questa è un’esigenza vera, va compiuta ripudiando ciò che è sbagliato ed egoistico, ecco la croce, il sacrificio, la mortificazione: «Non avete ancora resistito fino  al sangue nella lotta  contro  il peccato» (Ebr. 12,4).
Questa frase della lettera agli Ebrei dice il senso cristiano della penitenza che, così intesa, diventa la nostra massima contestazione e insieme il vertice della nostra unità col mondo. Certo la mortificazione non vale nulla senza l’amore, ma al vero amore non si arriva senza mortificazione; e senza mortificazione non si arriva a quella preghiera umile che fa perdere il proprio io nell’Io divino, conforme all’operazione del Signore che è Spirito (Cf. 2Cor. 3,18).                                                                                                                                                                                                     
Lumen gentium 14: Il santo Concilio si rivolge quindi prima di tutto ai fedeli cattolici. Esso, basandosi sulla sacra Scrittura e sulla tradizione, insegna che questa Chiesa peregrinante è necessaria alla salvezza. Solo il Cristo, infatti, presente in mezzo a noi nel suo corpo che è la Chiesa, è il mediatore e la via della salvezza; ora egli stesso, inculcando espressamente la necessità della fede e del battesimo (cfr. Gv 3,5), ha nello stesso tempo confermato la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano per il battesimo come per una porta. Perciò non possono salvarsi quegli uomini, i quali, pur non ignorando che la Chiesa cattolica è stata fondata da Dio per mezzo di Gesù Cristo come necessaria, non vorranno entrare in essa o in essa perseverare. Sono pienamente incorporati nella società della Chiesa quelli che, avendo lo Spirito di Cristo, accettano integralmente la sua organizzazione e tutti i mezzi di salvezza in essa istituiti, e che inoltre, grazie ai legami costituiti dalla professione di fede, dai sacramenti, dal governo ecclesiastico e dalla comunione, sono uniti, nell’assemblea visibile della Chiesa, con il Cristo che la dirige mediante il sommo Pontefice e i vescovi. Non si salva, però, anche se incorporato alla Chiesa, colui che, non perseverando nella carità, rimane sì in seno alla Chiesa col «corpo», ma non col «cuore». Si ricordino bene tutti i figli della Chiesa che la loro privilegiata condizione non va ascritta ai loro meriti, ma ad una speciale grazia di Cristo; per cui, se non vi corrispondono col pensiero, con le parole e con le opere, non solo non si salveranno, ma anzi saranno più severamente giudicati.
 
Il numero di quelli che si salvano - Agostino: Certo son pochi quelli che si salvano. Ricordate la domanda fatta nel Vangelo: “Signore, son pochi quelli che si salvano?” (Lc 13,21). E che cosa risponde il Signore? Non dice: Non sono pochi; né sono molti, ma: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta (ibid.)”. Allora, ha confermato che son pochi, perché solo pochi possono entrare, se la porta è stretta. In altra circostanza, dice anche: “È stretta la via che porta alla vita e pochi ci si mettono; è larga e spaziosa invece la via che porta alla morte, e molti la prendono” (Mt 7,13-14). Come facciamo a sognar moltitudini? Sentitemi, voi pochi. Siete molti a sentire, ma pochi a darmi ascolto. Vedo un’aia, ma cerco il grano. A stento si vedono i chicchi di grano, quando si batte il grano; ma verrà la ventilazione. Son pochi, allora, quelli che si salvano, se si pensa ai molti che si dannano; ma i pochi sono una gran massa. Quando verrà il ventilatore col ventilabro in mano, pulirà l’aia; raccoglierà il grano nei suoi granai; la pula la brucerà in un fuoco inestinguibile (cf. Lc 3,17). La pula non si permetta di irridere il grano: quello che si dice è vero, non trae nessuno in inganno. Siate pure molti tra molti, ma al confronto con altri molti sembrate pochi. Da quest’aia uscirà una massa così grande da riempire il regno dei cieli. Cristo Signore non si può contraddire. Disse che son pochi quelli che entrano per la porta stretta e che molti si perdono per la via larga, e disse anche: “Molti verranno da Oriente e Occidente” (Mt 8,11). Molti, certamente pochi: e pochi, e molti. Vorrà dire alcuni pochi e alcuni molti? No. Proprio quei pochi sono i molti; pochi in confronto di quelli che si perdono, ma tanti, se riferiti alla moltitudine degli Angeli. Sentite, carissimi. L’Apocalisse dice: “Poi vidi gente d’ogni lingua e stirpe e razza, che veniva con palme e in vesti bianche, ed era una moltitudine innumerevole” (Ap 7,9). Questa è la massa dei santi. Con quanto più chiara voce l’aia ventilata, purgata dalla turba degli empi e falsi cristiani, separati quelli che fanno ressa ma non toccano il corpo di Cristo; allontanati, dunque, quelli che si dannano, la massa che sta alla destra, senza timore di alcun male, senza timore di perdere alcun bene, sicura di regnare con Cristo, con quanta fiducia dirà: “So bene quanto è grande il Signore” (Sal 134,5).
 
Il Santo del giorno - 29 Ottobre 2025 - San Narciso: Aveva quasi cent’anni quando venne eletto 30° vescovo di Gerusalemme. Era nato nel 96 da famiglia non israelita. Nonostante l’età, governò a lungo e con fermezza. Presiedette il Concilio in cui si decise che la Pasqua dovesse cadere di domenica. E a lui si attribuisce, proprio nel giorno di Pasqua, il miracolo di aver mutato l’acqua in olio per le lampade della sua chiesa, rimaste a secco. Per il suo rigore furono sparse calunnie sul suo conto. Si allontanò da Gerusalemme e, creduto morto, vennero eletti uno dopo l’altro due successori. Ma lui, alla morte del secondo, ricomparve. L’ultima notizia su di lui è in una lettera del coadiutore sant’Alessandro: si dice che aveva compiuto 116 anni. (Avvenire)
 
Si compia in noi, o Signore,
la realtà significata dai tuoi sacramenti,
perché otteniamo in pienezza
ciò che ora celebriamo nel mistero.
Per Cristo nostro Signore.