30 Settembre 2025
San Girolamo, Presbitero e Dottore della Chiesa
Zc 8,20-23; Salmo Responsoriale Dal Salmo 86 (87); Lc 9,51-56
Colletta
O Dio, che hai dato al santo presbitero Girolamo
un amore soave e vivo per la Sacra Scrittura,
fa’ che il tuo popolo si nutra sempre più largamente
della tua parola e trovi in essa la fonte della vita.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Benedetto XVI (Udienza Generale): Che cosa possiamo imparare noi da san Girolamo? Mi sembra soprattutto questo: amare la Parola di Dio nella Sacra Scrittura. Dice san Girolamo: «Ignorare le Scritture è ignorare Cristo» (Commento ad Isaia, prol.). Perciò è importante che ogni cristiano viva in contatto e in dialogo personale con la Parola di Dio, donataci nella Sacra Scrittura. Questo nostro dialogo con essa deve sempre avere due dimensioni: da una parte, dev’essere un dialogo realmente personale, perché Dio parla con ognuno di noi tramite la Sacra Scrittura e ha un messaggio per ciascuno. Dobbiamo leggere la Sacra Scrittura non come parola del passato, ma come Parola di Dio, che si rivolge anche a noi, e cercare di capire che cosa il Signore voglia dire a noi. Ma per non cadere nell’individualismo dobbiamo tener presente che la Parola di Dio ci è data proprio per costruire comunione, per unirci nella verità nel nostro cammino verso Dio. Quindi essa, pur essendo sempre una Parola personale, è anche una Parola che costruisce comunità, che costruisce la Chiesa. Perciò dobbiamo leggerla in comunione con la Chiesa viva. Il luogo privilegiato della lettura e dell’ascolto della Parola di Dio è la Liturgia, nella quale, celebrando la Parola e rendendo presente nel Sacramento il Corpo di Cristo, attualizziamo la Parola nella nostra vita e la rendiamo presente tra noi. Non dobbiamo mai dimenticare che la Parola di Dio trascende i tempi. Le opinioni umane vengono e vanno. Quanto è oggi modernissimo, domani sarà vecchissimo. La Parola di Dio, invece, è Parola di vita eterna, porta in sé l’eternità, ciò che vale per sempre. Portando in noi la Parola di Dio, portiamo dunque in noi l’eterno, la vita eterna.
E così concludo con una parola di san Girolamo a san Paolino di Nola. In essa il grande Esegeta esprime proprio questa realtà, che cioè nella Parola di Dio riceviamo l’eternità, la vita eterna. Dice san Girolamo: «Cerchiamo di imparare sulla terra quelle verità, la cui consistenza persisterà anche nel cielo» (Ep. 53,10).
I Lettura: Epifanio Gallego (Commento della Bibbia Liturgica): I versetti 20-23 … formano un armonico insieme degli oracoli nei quali sono presentati tutti i popoli della terra, e non solo i giudei, che si muovono verso Gerusalemme, la nuova Gerusalemme dei tempi messianici, il centro di attrazione di tutti i gentili che andranno a «supplicare» e a «consultare Yahveh», cioè a incontrarsi con l’unico Dio cielo e della terra per le uniche due vie convergenti: la conoscenza e l’amore, la rivelazione e la preghiera. Così è stato, anche se l’avveramento della profezia è stato assai diverso da quello che avrebbe potuto immaginare quella generazione.
L’ultimo oracolo è tutto un vangelo posto in bocca ai Gentili: «Vogliamo venire con voi, perché ... Dio è con voi», Chiesa mediatrice e missionaria, testimonianza vivente della presenza di Dio in mezzo agli uomini; Chiesa che non compirà pienamente la sua missione, fino a che la sua faccia non abbia un candore e un’attrattiva capace di suggerire ai popoli di prenderla per la mano, con premura e insistenza, per il bisogno di unirsi al Dio di lei. Dio si riflette in essa, come in uno specchio tersissimo, così la vera salvezza umano-divina.
Vangelo
Prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme.
Dovremmo provare amarezza dinanzi a certi fatti …, mentre Gesù decisamente si mette in cammino verso Gerusalemme, dove avrebbe compiuto la volontà de Padre bevendo fino all’ultima goccia dall’amaro calice della passione, i litigiosi fratelli Giacomo e Giovanni propongono di incenerire i Samaritani colpevoli di non aver accolto il loro Maestro. Decisamente una proposta omicida. Gesù, spinto dall’amore, offre la sua vita per salvare tutti gli uomini, Giacomo e Giovanni vogliono togliere la vita ai Samaritani a motivo di un gretto nazionalismo. Si potrebbe obiettare che i due apostoli non avevano ancora ricevuto lo Spirito Santo e che a motivo di questo le loro menti erano oscurate e fissate a norme e comandamenti tribali, sarà vero, ma c’è un capo di accusa che li condanna. È la vita di Gesù, le sue opere, i suoi insegnamenti, le sue parole, i suoi richiami …, a farci caso tutti tesi a creare un cuore nuovo, aperto alla carità, al perdono, all’amore … dinanzi a questi cristallini inviti di comportamento non ci sono scuse che tengono. Forse è lo stesso dilemma che dilania tanti cristiani, tengono in mano la Parola di Dio, l’ascoltano, magari con molta attenzione, eppure vivono nella ipocrisia, nella invidia, nell’odio, e spesso non contenti di tutto questo, e per torti veri o presunti, a piè sospinto, invocano il fuoco della vendetta divina che consumi l’umanità intera. In verità, a ben considerare, non c’è nulla di nuovo sotto il sole (Qo 1,9).
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 9,51-56
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé.
Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme.
Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.
Parola del Signore.
Gesù prese la ferma decisione ... - Gesù è diretto a Gerusalemme, la città santa, dove si deve compire il suo destino di dolore e di gloria. L’espressione i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto oltre i giorni dell’assunzione di Gesù (Cf. At 1,2) ricorda anche i giorni della passione, morte e resurrezione.
La frase prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme, in greco letteralmente suona egli indurì il volto per andare a Gerusalemme, un modo di dire semitico (Cf. Ger 21,10; Ez 6,2; 21,2) con cui l’evangelista Luca vuole sottolineare la risolutezza di Gesù nell’affrontare il suo destino di morte che lo attende a Gerusalemme: «Ho un battesimo nel quale sarò battezzato; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!» (Lc 12,50). La stessa espressione la troviamo in Isaia 50,7 quando si sottolinea la missione del Servo sofferente: «II Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso».
Il percorso più rapido che dalla Galilea porta a Gerusalemme prevede l’attraversamento della regione dei Samaritani, i quali, sempre molto mal disposti verso i Giudei (Cf. Gv 4,9), si rifiutano di accogliere Gesù. Da qui l’inimmaginabile reazione degli apostoli Giacomo e Giovanni.
La richiesta dei «figli del tuono» (Mc 3,17) cavalca l’onda di un messianismo terreno e ricorda 2Re 1,10-12 in cui Elia, per due volte, chiama il fuoco dal cielo per incenerire i suoi nemici.
La risposta di Gesù non si fa attendere ed è molto dura: si voltò e li rimproverò. Il verbo che Luca usa è epitimao che significa, letteralmente, vincere con un comando, minacciare, usato da Gesù negli esorcismi. In questo modo il senso della richiesta e del rimprovero si fanno più chiari.
In sostanza, come Satana, Giacomo e Giovanni propongono a Gesù un messianismo trionfalistico che sottende il rifiuto della croce. A questa proposta Gesù si oppone con forza. È lo stesso rimprovero che aveva mosso a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mt 16,23).
Rosanna Virgili (Vangelo secondo Luca): Il rifiuto di Samaria e l’inizio del cammino (vv. 51-56) - I versetti iniziali introducono il tempo di tutto il cammino che va fino alla fine del vangelo. La menzione dei «giorni della sua salita (analémpseos)» evoca l’ascensione del Signore risorto in Lc 24,51 («Mentre li benediceva, si separò da loro e veniva fatto salire su, in cielo»), cioè del suo ritorno al Padre. All’origine di questo cammino che si concluderà con la morte e poi con la risurrezione, c’è la decisione di Gesù, segno di come la croce non fosse la meccanica esecuzione di una volontà divina, ma come il Figlio vi partecipasse con la propria fede. Gesù «rese duro il suo volto» (v. 51, to prósopon estérisen), proprio come il Servo, per affrontare il suo destino di sofferenza (cf Is 50,6-7). I preparativi per la partenza vengono fatti in Samaria, che si mostra chiusa all’accoglienza del Maestro (v. 53, cf v. 48). Un dettaglio teologico, più che di cronaca, per manifestare come la salvezza che sarebbe venuta da Gesù dovesse appartenere alla Giudea ed a Gerusalemme e non alla Samaria (cf Gv 4,22: «La salvezza viene dai giudei»). La reazione di Giacomo e Giovanni è tipica dell’atteggiamento profetico (cf 2Re 1,10-14), ma Gesù li rimprovera. Nonostante la città dove la sua resa di amore dovrà consumarsi fosse Gerusalemme, Gesù amerà Samaria e apprezzerà i samaritani più dei giudei (cf Lc 10,29-36; 17,15-17).
Ancor più toccante è, per questo, la reazione frequente di rifiuto che Gesù si trova ad avere. Oltre che qui, all’inizio del cammino per Gerusalemme, Gesù fu rifiutato a Nazaret dai suoi concittadini (cf 4,28-29), all’inizio della missione in Galilea, e poi sarà rifiutato a Gerusalemme (cf 19,41-44). Il modello è quello del profeta perseguitato, secondo la profezia di Simeone (il “segno di contraddizione” di Lc 2,34).
Il fuoco alla fine dei tempi - Il fuoco del giudizio diventa castigo senza rimedio, vero fuoco dell’ira, quando cade sul peccatore indurito. Ma allora - tale è la forza del simbolo - questo fuoco, che non può più consumare l’impurità, rimesta ancora le scorie (cfr. Ez 22,18-22). La rivelazione esprime così quel che può essere l’esistenza di una creatura che rifiuta di essere purificata dal fuoco divino, ma ne rimane bruciata. Qui c’è qualcosa di più che non nella tradizione che riferisce l’annientamento di Sodoma e Gomorra (Gen 19,24). Fondandosi forse sulle liturgie sacrileghe della Geenna (Lev 18, 21; 2 Re 16, 3; 21, 6; Ger 7, 31; 19, 5 s), approfondendo le immagini profetiche dell’incendio (Is 29, 6; 30, 27-33; 31, 9) e della fusione dei metalli, si giunge a rappresentare il giudizio escatologico come un fuoco (Is 66,15s), che prova l’oro (Zac 13, 9). Il giorno di Jahve è come il fuoco del fonditore (Mal 3,2), e brucia come una fornace (Mal 3,19) e divora tutta la terra (Sof 1,18; 3,8) a cominciare da Gerusalemme (Ez 10, 2; Is 29, 6). Ora questo fuoco sembra bruciare dall’interno, come quello che «esce di mezzo a Tiro» (Ez 28,18). Dei cadaveri di quelli che furono ribelli, «il verme non morrà ed il loro fuoco non si spegnerà» (Is 66, 24; cfr. Mc 9,48), «fuoco e verme saranno nella loro carne» (Giudit 16,17). Ma qui si ritrova ancora l’ambivalenza del simbolo: mentre gli empi sono abbandonati al loro fuoco interiore ed ai vermi (Eccli 7,17), gli scampati dal fuoco si trovano circondati dal muro di fuoco che Jahve rappresenta per essi (Is 4,4 s; Zac 2,9). Giacobbe ed Israele, purificati, diventano a loro volta un fuoco (Ab 18), come se partecipassero alla vita di Dio. Con la venuta di Cristo sono incominciati gli ultimi tempi, quantunque la fine dei tempi non sia ancora giunta. Anche nel Nuovo Testamento il fuoco conserva il suo valore escatologico tradizionale, ma la realtà religiosa che esso significa si attua già nel tempo della Chiesa. Annunciato come il vagliatore che getta la paglia nel fuoco (Mt 3,10) e battezza nel fuoco (3,11s), Gesù, pur rifiutando la funzione di giustiziere, ha mantenuto i suoi uditori nell’attesa del fuoco del giudizio, riprendendo il linguaggio classico del Vecchio Testamento. Egli parla della «Geenna del fuoco» (5,22), del fuoco in cui saranno gettati la zizzania improduttiva (13,40; cfr. 7,19) ed i sarmenti (Gv 15,6): sarà un fuoco che non si spegne (Mc 9,43 s), in cui «il loro verme» non muore (9,48), vera fornace ardente (Mt 13,42.50). Null’altro che un’eco solenne del Vecchio Testamento (cfr. Lc 17, 29).
Come seguire Gesù: “E se egli rimprovera i discepoli che volevano far discendere il fuoco su coloro che non avevano voluto accogliere Cristo [cfr. Lc 9,55], questo ci indica che non sempre si devono colpire coloro che hanno peccato: spesso giova di più la clemenza, sia a te, perché fortifica la tua pazienza, sia al colpevole, perché lo spinge a correggersi. Ma il Signore agisce mirabilmente in tutte le sue opere. Egli non accoglie colui che si offre con presunzione, mentre non si adira contro coloro che, senza nessun riguardo, respingono il Signore. Egli vuole così dimostrare che la virtù perfetta non ha alcun desiderio di vendetta, che non c’è alcun posto per la collera laddove c’è la pienezza della carità, e che, infine, non bisogna respingere la debolezza ma aiutarla. L’indignazione stia lungi dalle anime pie, il desiderio della vendetta sia lontano dalle anime grandi; e altrettanto lontano stia dai sapienti l’amicizia sconsiderata e l’incauta semplicità. Perciò egli dice a quello: «Le volpi hanno tane»; il suo ossequio non è accettato perché non è trovato effettivo. Con circospezione si usi dell’ospitalità della fede, nel timore che aprendo agli infedeli l’intimità della nostra dimora si finisca col cadere, per la nostra imprevidente credulità, nella rete della cattiva fede altrui.” (Ambrogio, In Luc., 7,27s.).
Il Santo del Giorno - 30 Settembre 2025 - San Girolamo - Che siano parole o altri strumenti, ciò che conta è portare il Vangelo a tutti: San Girolamo ci offre un interessante spunto di meditazione: oggi, nel XXI secolo, la parola “funziona” ancora come mezzo di trasmissione del Vangelo? La riflessione parte dalla consapevolezza che ogni cristiano ha un’unica chiara vocazione: essere portatore di Dio nel mondo in ogni angolo del pianeta e in ogni tempo, ma oggi sembrano essere efficaci altri linguaggi. In realtà, però, anche se la parola era di certo lo strumento privilegiato per Girolamo, cui si deve la versione “popolare” della Bibbia in latino (la cosiddetta “Vulgata”), a ben guardare la scrittura non è mai stato l’unico mezzo di trasmissione della fede, che passa da un corpo vivo, la Chiesa, con tutte le sue espressioni, dal culto fino alla carità. San Girolamo (o Gerolamo), sacerdote e dottore della Chiesa, allora ci ricorda in realtà che, qualsiasi mezzo scegliamo per portare la Parola di Dio, la preoccupazione dev’essere quella di arrivare a tutti, di toccare le vite di tutti. Era nato in Dalmazia nel 347 e aveva studiato a Roma, spostandosi poi a Treviri. Si trovò in seguito ad Aquileia, dove aveva coltivato anche l’ideale della vita comunitaria. Battezzato nel 366, dal 375 fu eremita in Oriente: visse per qualche tempo nel deserto, per poi trasferirsi ad Antiochia e Costantinopoli. Dopo un periodo a Roma, dove fondò una comunità di vita religiosa femminile, nel 385 s’imbarcò alla volta della Terra Santa: a Betlemme fondò un monastero maschile e uno femminile. Fino alla morte, nel 420, si dedicò alla traduzione della Bibbia. (Matteo Liut)
I divini misteri che abbiamo ricevuto
nella gioiosa memoria di san Girolamo
risveglino, o Signore, i cuori dei tuoi fedeli,
perché, meditando i santi insegnamenti,
comprendano il cammino da seguire
e, seguendolo, ottengano la vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.