13 SETTEMBRE 2025
San Giovanni Crisostomo, Vescovo e Dottore della Chiesa
1Tm 1,15-17; Salmo Responsoriale Dal Salmo 112 (113); Lc 6,43-49
Colletta
O Dio, forza di chi spera in te,
che hai fatto risplendere il santo vescovo Giovanni Crisostomo
per la mirabile eloquenza e la perseveranza nella tribolazione,
fa’ che, illuminati dai suoi insegnamenti,
siamo rafforzati dal suo esempio di eroica costanza.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Benedetto XVI (Catechesi 19 Settembre 2007): Giovanni Crisostomo si preoccupa di accompagnare con i suoi scritti lo sviluppo integrale della persona, nelle dimensioni fisica, intellettuale e religiosa. Le varie fasi della crescita sono paragonate ad altrettanti mari di un immenso oceano: «Il primo di questi mari è l’infanzia» (Omelia 81,5 sul Vangelo di Matteo). Infatti «proprio in questa prima età si manifestano le inclinazioni al vizio e alla virtù». Perciò la legge di Dio deve essere fin dall’inizio impressa nell’anima «come su una tavoletta di cera» (Omelia 3,1 sul Vangelo di Giovanni): di fatto è questa l’età più importante. Dobbiamo tener presente come è fondamentale che in questa prima fase della vita entrino realmente nell’uomo i grandi orientamenti che danno la prospettiva giusta all’esistenza. Crisostomo perciò raccomanda: «Fin dalla più tenera età premunite i bambini con armi spirituali, e insegnate loro a segnare la fronte con la mano» (Omelia 12,7 sulla prima Lettera ai Corinzi). Vengono poi l’adolescenza e la giovinezza: «All’infanzia segue il mare dell’adolescenza, dove i venti soffiano violenti..., perchè in noi cresce... la concupiscenza» (Omelia 81,5 sul Vangelo di Matteo). Giungono infine il fidanzamento e il matrimonio: «Alla giovinezza succede l’età della persona matura, nella quale sopraggiungono gli impegni di famiglia: è il tempo di cercare moglie” (ibid.). Del matrimonio egli ricorda i fini, arricchendoli – con il richiamo alla virtù della temperanza – di una ricca trama di rapporti personalizzati. Gli sposi ben preparati sbarrano così la via al divorzio: tutto si svolge con gioia e si possono educare i figli alla virtù. Quando poi nasce il primo bambino, questi è «come un ponte; i tre diventano una carne sola, poiché il figlio congiunge le due parti» (Omelia 12,5 sulla Lettera ai Colossesi), e i tre costituiscono «una famiglia, piccola Chiesa» (Omelia 20,6 sulla Lettera agli Efesini).
I Lettura: Settimio Cipriani (Le Lettere di Paolo): Paolo inserisce la sua conversione nel quadro generale della condotta di Dio verso i «peccatori», che Cristo «è venuto per salvare» (v. 15). Essendo egli il «primo» (v. 10) e più grande dei peccatori, può ben servire da «esempio» e richiamo per tutti gli altri ad avere fiducia nella misericordia e «longanimità» di Cristo per ottenere la «vita eterna» (v. 16). Anzi, proprio in questa funzione di «esemplarità» per gli altri, oltre che nella sua «ignoranza» (v. 13), l’Apostolo vede uno dei motivi della grande bontà di Dio verso di lui, quasi a dire: «Se Dio ha perdonato a quel tale, non punirà nessuno» (S. Giovanni Crisostomo).
Si noti l’umiltà sconcertante di Paolo, che anche altrove si chiamava «il minimo degli Apostoli, neppure degno di essere chiamato Apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio» (1Cor. 15, 9).
La formula: «Questo è un detto degno di fede ...» (v. 15) ricorre altre quattro volte nelle Pastorali (1Tim. 3, 1; 4, 9; 2Tim. 2, 11; Tit. 3, 8) e in genere introduce qualcosa di molto importante e che sta a cuore all’Apostolo. Quanto segue, infatti, è come un compendio della dottrina soteriologica paolina, e trova il suo riscontro in Luca (19, 10): «Il Figlio dell’uomo è venuto per salvare ciò che era perduto», o nell’altro detto dei Signore: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto di molti» (Matt. 20, 28; Mc 10,45). Paolo qui cita o dalla predicazione orale, o da qualche inno liturgico che enunciava completamente la dottrina della salvezza (cfr. qualcosa di simile in 1 Cor 15,1-5).
Vangelo
Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico?
Il brano evangelico si conclude con l’immagine della casa costruita sulla roccia o sulla terra, con la quale Gesù pone il discepolo in modo immediato dinanzi al suo libero discernimento: egli può costruire la sua salvezza come può costruire la sua eterna rovina. In Ez 13,1-16, la furia degli elementi della natura sta ad indicare l’ira di Dio che si abbatte rovinosamente su tutto quanto era stato costruito dai falsi profeti (cfr. Mt 7,15-20): «Ingannano infatti il mio popolo dicendo “Pace!”, e la pace non c’è; mentre il mio popolo costruisce un muro, ecco, essi lo intonacano di fango. Di’ a quelli che lo intonacano di fango: Cadrà! Scenderà una pioggia torrenziale, cadrà grandine come pietre, si scatenerà un uragano ed ecco, il muro viene abbattuto ... Perciò dice il Signore Dio: Con ira scatenerò un uragano, per la mia collera cadrà una pioggia torrenziale, nel mio furore per la distruzione cadrà grandine come pietre; demolirò il muro che avete intonacato di fango, lo atterrerò e le sue fondamenta rimarranno scoperte; esso crollerà e voi perirete insieme con esso e saprete che io sono il Signore» (Ez 13,11-14). Nella vita del cristiano vi saranno anche tempeste, essere discepoli di Cristo non mette al riparo dalla tempesta! Sul credente potranno cadere le tempeste più tumultuose, ma se la sua vita è costruita sulla roccia che è Cristo, non dovrà temere. La casa non rovinerà e passata la bufera il discepolo canterà con gioia e gratitudine: “Benedetto il Signore, mia roccia” (Sal 143 [144],1).
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 6,43-49
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo.
L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.
Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico?
Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene.
Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande».
Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande».
Parola del Signore.
Il contrassegno - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Luca): Per sapere se uno che insegna sia degno di fede, bisogna considerare come indizio sicuro le sue azioni. Dai frutti si conosce l’albero.
Le buone azioni sono i frutti che maturano sull’albero sano, le cattive azioni sono come la frutta guasta di un albero malato. La mancanza di azioni indica che un uomo è come un albero che non porta frutti. Naturalmente non ci si può attendere fichi dai cardi e grappoli di uva dalle spine.
Non è dunque l’aspetto esteriore di un uomo, non sono le sue belle parole, le sue promesse allettanti ed i suoi programmi risonanti, l’espansione dei suoi sentimenti e la gamma dei suoi umori, a fornire il criterio per una giusta valutazione; ma soltanto le sue azioni e la sua vita possono manifestare la sincerità delle sue intenzioni e quindi la rettitudine della sua condotta. Intenzione e azione formano in fondo una sola cosa. E questa unità è il solo contrassegno sicuro della verità.
Il discorso della montagna, presente nel Vangelo di Matteo e qui ripreso da Luca che lo ambienta in aperta campagna, si chiude con un quadro che mostra l’importanza dell’azione. Una casa fondata sulla roccia resiste malgrado la tempesta. Una casa costruita sulla sabbia, rovina con la piena dell’acqua.
Nel regno di Dio costruisce la sua casa su terreno roccioso ogni uomo che non solo ascolta, ma mette in pratica. Chi invece ascolta e approva, anche se con entusiasmo, senza però conformare all’insegnamento udito la sua condotta, costruisce sulla sabbia.
Solo un agire cristiano, come espressione di una vita interiore cristiana, è vero cristianesimo.
L’uomo che costruisce la sua casa - In ogni frangente della vita, l’uomo sente fisiopsichicamente di essere libero, come l’uomo della parabola che costruisce la sua casa e sceglie liberamente come o dove costruire. Ma non sempre l’uomo è veramente libero perché, molte volte, deve confrontarsi con la Legge che spesso lo limita nel suo agire. Pagare il prezzo di una sottomissione alla Legge, per alcuni significa vivere in uno stato di libertà “non libera”. Una libertà vigilata o condizionata per molti è così fonte di frustrazioni o di rabbiose ribellioni.
Invece, per il cristiano, la libertà, che si situa ad un livello più alto perché essa si esplica in un ambito essenzialmente interiore, segue un percorso molto diverso e ha un punto di partenza e un punto di arrivo: la creazione e la redenzione.
La libertà cristiana, innanzi tutto, scaturisce da un atto libero di Dio che «ha creato l’uomo ragionevole conferendogli la dignità di una persona dotata dell’iniziativa e della padronanza dei suoi atti» (Catechismo della Chiesa Cattolica 1730).
Ma l’uomo di fatto non ha corrisposto alla infinita liberalità di Dio: «Liberamente ha peccato. Rifiutando il disegno d’Amore di Dio, si è ingannato da sé, è divenuto schiavo del peccato» (Catechismo della Chiesa Cattolica 1739).
Riconquistata dalla gloriosa «morte del corpo di carne» (Col 1,22) di Cristo straziato e inchiodato su una croce, l’uomo è stato rifondato nella vera libertà dei figli Dio (Cf. Gal 5,1): infatti, la «libertà della quale usufruisce il cristiano, piuttosto che essere il risultato di astrazioni filosofiche, scaturisce dal fatto della morte vittoriosa di Cristo [Ebr 2,14s] e da quel contatto personale e diretto con il Salvatore, che si realizza attraverso il battesimo [Rom 6,4; Gal 3,27; Col 2,12] nel quale si riceve uno spirito di figlio adottivo e non uno spirito di schiavo [Rom 8,14-17]» (G. Laurentini).
A motivo di questa ineffabile liberazione, gli uomini non sono «più sotto la legge, ma sotto la grazia» (Rom 6,14). E l’iniziativa «divina nell’opera della grazia previene, prepara e suscita la libera risposta dell’uomo. La grazia risponde alle profonde aspirazioni della libertà umana; la invita a cooperare con essa e la perfeziona» (Catechismo della Chiesa Cattolica 2022).
E proprio perché il cristiano si trova sotto il regime della grazia (Cf. Rom 5,17.21; 6,15) sa, cioè è coscientemente consapevole, che la libertà non va espletata «in malo modo, come licenza di fare qualunque cosa purché piaccia, anche il male» (GS 17). In altre parole, è profondamente convinto che la libertà cristiana non è libertinaggio né dissolutezza e che egli, nonostante tutto, resta vulnerabile: liberato dal peccato originale, il peccato attuale provoca la perdita o la diminuzione della grazia. La personalità umana si disgrega: l’uomo si ritrova diviso in se stesso. La coscienza non recepisce la «voce» di Dio, la volontà si ribella. La passionalità tende a predominare sulla ragione: ferito nella libertà, prevalgono gli istinti, l’orgoglio, l’egoismo. Si attenua la tendenza al bene.
San Pietro invita i cristiani a comportarsi «come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio» (1Pt 2,16). E di tenersi lontano dai falsi profeti: «Temerari, arroganti ... con discorsi gonfiati e vani adescano mediante le licenziose passioni della carne coloro che si erano appena allontanati da quelli che vivono nell’errore. Promettono loro libertà, ma essi stessi sono schiavi della corruzione. Perché uno è schiavo di ciò che l’ha vinto» (2Pt 3,1passim). Così l’apostolo Paolo dovrà rimproverare i cristiani della Chiesa di Corinto i quali distorcendo il detto Tutto mi è lecito, da attribuire forse allo stesso Apostolo, si erano lasciati andare ad ogni sorta di licenziosità (Cf. 1Cor 6,12s).
In questo stato di libertà e di tendenza al male (Cf. Rom 7,14-25), il cristiano sa che non basta aspirare alla libertà, ma che occorre, una volta raggiunta, custodirla perfettamente liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tendendo alla salvezza con scelta libera del bene, e procurandosi con diligente iniziativa i mezzi convenienti (Cf. GS 17).
Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico? - E. Jacquemin e Xavier Léon-Dufour (Dizionario di Teologia Biblica): 1. Discernere la volontà di Dio. - Il discernimento e la pratica della volontà divina si condizionano a vicenda: bisogna compiere la volontà di Dio per apprezzare la dottrina di Gesù (Gv 7,17), ma d’altra parte bisogna riconoscere in Gesù e nei suoi comandamenti i comandamenti stessi di Dio (14,23s). Ciò rientra nel mistero dell’incontro delle due volontà, quella dell’uomo peccatore e quella di Dio: per andare a Gesù, bisogna essere «attratti» dal Padre (6,44), attrazione che, secondo la parola greca, è ad un tempo costrizione e dilettazione (giustificando l’espressione di S. Agostino: «Dio che mi è più intimo di me stesso»). Per discernere la volontà di Dio non basta conoscere la lettera della legge (Rom 2,18), ma occorre aderire ad una persona, e ciò può avvenire solo per mezzo dello Spirito Santo che Gesù dona (Gv 14,26). Allora il giudizio rinnovato permette di «discernere qual è la volontà di Dio, ciò che è bene, ciò che gli piace, ciò che è perfetto» (Rom 12,2). Questo discernimento non riguarda soltanto la vita quotidiana; perviene alla «piena conoscenza della sua volontà, sapienza ed intelligenza spirituale» (Col 1,9): questa è la condizione di una vita che piaccia al Signore (1,10; cfr. Ef 5,17). Anche la preghiera non può più essere che una preghiera «secondo la sua volontà» (1Gv 5,14), e la formula classica «se Dio lo vuole» assume una risonanza totalmente diversa (Atti 18,21; 1Cor 4,19; Giac 4,15), perché suppone un riferimento costante al «mistero della volontà di Dio» (Ef 1, 3-14).
2. Praticare la volontà di Dio. - A che pro conoscere ciò che il padrone vuole, se non lo si mette in pratica (Lc 12,47; Mt 7,21; 21,31)? Questa «pratica» costituisce propriamente la vita cristiana (Ebr 13,21), in opposizione alla vita secondo le passioni umane (1Piet 4,2; Ef 6,6). Più precisamente, la volontà di Dio a nostro riguardo è santità 1Tess 4,3), ringraziamento (5,18); pazienza (1Piet 3,17) e buona condotta (2,15). Questa pratica è passibile, perché «è Dio che suscita in noi e il volere e l’operare per l’esecuzione del suo beneplacito» (Fil 2, 13). Allora c’è comunione delle volontà, accordo della grazia e della libertà.
Necessità delle opere - Girolamo (In Matth. I, 7, 21-23): Non chiunque mi dice: «Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21). Prima ha detto che coloro i quali manifestano esteriormente una vita onesta non debbono essere accolti se le loro dottrine sono malvagie; ora, al contrario, afferma che non si deve dar credito a coloro i quali, mentre possono vantare l’integrità della loro fede, vivono disonestamente, distruggendo con le loro malvagie opere la purezza della dottrina. L’una e l’altra virtù è infatti necessaria ai servi di Dio, in modo che le opere siano confermate dalle parole, e le parole dalle opere.
A quest’affermazione potrebbe sembrar contraria l’altra che dice: “Nessuno può dire: «Signore Gesù», se non nello Spirito Santo” (1Cor 12,3). Ma è consuetudine delle Scritture riconoscere alle parole lo stesso valore dei fatti, affinché risultino palesi nelle loro conseguenze, e respingere coloro che, senza addurre opere, si vantano di possedere la conoscenza del Signore, e perciò si sentono dire dal Salvatore: “Andate via da me, operatori di iniquità! Io non vi conosco” (Lc 13,27). Nello stesso senso si esprime l’Apostolo: “Confessano di conoscere Dio, ma coi fatti lo negano” (Tt 1,16).
Il Santo del giorno - 13 Settembre 2025 - San Giovanni Crisostomo: Giovanni, nato ad Antiochia (probabilmente nel 349), dopo i primi anni trascorsi nel deserto, fu ordinato sacerdote dal vescovo Fabiano e ne diventò collaboratore. Grande predicatore, nel 398 fu chiamato a succedere al patriarca Nettario sulla cattedra di Costantinopoli. L’attività di Giovanni fu apprezzata e discussa: evangelizzazione delle campagne, creazione di ospedali, processioni anti-ariane sotto la protezione della polizia imperiale, sermoni di fuoco con cui fustigava vizi e tiepidezze, severi richiami ai monaci indolenti e agli ecclesiastici troppo sensibili alla ricchezza. Deposto illegalmente da un gruppo di vescovi capeggiati da Teofilo di Alessandria, ed esiliato, venne richiamato quasi subito dall’imperatore Arcadio. Ma due mesi dopo Giovanni era di nuovo esiliato, prima in Armenia, poi sulle rive del Mar Nero. Qui il 14 settembre 407, Giovanni morì. Dal sepolcro di Comana, il figlio di Arcadio, Teodosio il Giovane, fece trasferire i resti mortali del santo a Costantinopoli, dove giunsero la notte del 27 gennaio 438. (Avvenire)
Concedi, Dio misericordioso,
che i santi misteri, ricevuti nella memoriadi san Giovanni Crisostomo,
ci confermino nel tuo amore
e ci rendano fedeli testimoni della tua verità.
Per Cristo nostro Signore.