1 Settembre 2025
 
Lunedì XXII Settimana T. O.
 
1Ts 4,13-18; Salmo Responsoriale Dal Salmo 95 (96); Lc 4,16-30
 
Colletta
Dio onnipotente,
unica fonte di ogni dono perfetto,
infondi nei nostri cuori l’amore per il tuo nome,
accresci la nostra dedizione a te,
fa’ maturare ogni germe di bene
e custodiscilo con vigile cura.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Papa Francesco (Angelus 23 Gennaio 2022): I compaesani di Gesù sono colpiti dalla sua parola. Anche se, annebbiati dai pregiudizi, non gli credono, si accorgono che il suo insegnamento è diverso da quello degli altri maestri (cfr v. 22): intuiscono che in Gesù c’è di più. Che cosa? C’è l’unzione dello Spirito Santo. A volte, capita che le nostre prediche e i nostri insegnamenti rimangono generici, astratti, non toccano l’anima e la vita della gente. E perché? Perché mancano della forza di questo oggi, quello che Gesù “riempie di senso” con la potenza dello Spirito è l’oggi. Oggi ti sta parlando. Sì, a volte si ascoltano conferenze impeccabili, discorsi ben costruiti, che però non smuovono il cuore e così tutto resta come prima. Anche tante omelie – lo dico con rispetto ma con dolore – sono astratte, e invece di svegliare l’anima l’addormentano. Quando i fedeli incominciano a guardare l’orologio – “quando finirà questo?” – addormentano l’anima. La predicazione corre questo rischio: senza l’unzione dello Spirito impoverisce la Parola di Dio, scade nel moralismo o in concetti astratti; presenta il Vangelo con distacco, come se fosse fuori dal tempo, lontano dalla realtà. E questa non è la strada. Ma una parola in cui non pulsa la forza dell’oggi non è degna di Gesù e non aiuta la vita della gente. Per questo chi predica, per favore, è il primo a dover sperimentare l’oggi di Gesù, così da poterlo comunicare nell’oggi degli altri. E se vuole fare lezioni, conferenze, che lo faccia, ma da un’altra parte, non al momento dell’omelia, dove deve dare la Parola così che scuota i cuori.
 
I Lettura: La parusia non è un finale discontinuo - José Maria Gonzalez-Ruiz (1-2 Tessalonicesi, Commento della Bibbia Liturgica): Paolo parla qui un linguaggio semplice e pieno d’immagini. La ragione è che, siccome il centro della sua predicazione era stato costituito dall’annunzio della parusia di Cristo, i tessalonicesi credettero che si trattasse d’una cosa imminente, d’un avvenimento nel quale non sarebbero più stati coinvolti i membri della comunità che erano morti dopo la partenza di Paolo. Egli stesso non avrebbe potuto assicurare se la parusia fosse un avvenimento prossimo o lontano: «riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti voi ben sapete che come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore» (1 Ts 5,1).
È vero che lo stesso Paolo si include nel numero di coloro che potrebbero essere presenti al momento della «parusia»; ma a quale generazione cristiana, attraverso i secoli, è stato proibito di credersi alle soglie della fine del mondo? Dopo duemila anni, per quanto vediamo che il giorno del Signore va ritardando, abbiamo ancora il diritto d’immaginare imminente l’avvenimento finale al quale tende tutta la storia, impregnata del regno di Dio per l’azione fecondatrice dell’evangelizzazione.
Perciò - continua Paolo - i fedeli, coscienti dell’insicurezza del momento, saranno sempre vigilanti. uniti a Cristo nella fede, nella speranza e nell’amore. In questo modo, riceveranno la salvezza che Gesù ha loro meritata con la sua morte aperta alla risurrezione (5,1-11).
Fra i consigli che dà a questo riguardo, Paolo insiste sul concetto della «continuità» dell’avvenimento parusiaco. Questo finale della storia che confluisce nella risurrezione non sarà indipendente e discontinuo da quel lavoro lento di gestazione che l’umanità va compiendo col suo sforzo di trasformazione progressiva della materia mediante il lavoro: «vi esortiamo vivamente, fratelli, a correggere gli indisciplinati José...» (5,14).
 
Salmo Responsoriale: «Il Signore “viene a giudicare la terra”; questo avverrà con la venuta di Cristo, re di giustizia e di pace il quale affermerà la giustizia (Cf. Ps 93). “Viene”, dice il salmista. Ora è venuto il Cristo, il Figlio di Dio incarnatosi nel grembo verginale di Maria. Egli viene continuamente con la sua grazia (Ap 1,8); poi, alla fine del mondo, verrà per il giudizio finale: “Giudicherà il mondo con giustizia e nella sua fedeltà i popoli”. “Nella sua fedeltà”, cioè per dare la risurrezione gloriosa a coloro che lo hanno accolto.
Difficile poter dire la data di composizione del salmo; probabilmente Difficile poter dire la data di composizione del salmo; probabilmente è stato scritto in un tempo di grande compattezza di Israele, poco dopo la costruzione del tempio di Salomone, prima che avvenisse lo scisma delle tribù del nord (1Re 11,26s)» (Padre Paolo Berti).
 
Vangelo
Mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio... Nessun profeta è bene accetto nella sua patria.
 
Gesù è Nazaret dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entra nella sinagoga e si alzò a leggere. Ma la sua “sapineza” non suscita accoglienza ma scandalo. I Nazareni lo conoscono da sempre, e così conoscono i suoi parenti, e di conseguenza si sarebbero aspettati meno “cultura”, meno “sapienza”: gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?», i soliti pregiudizi che sbarrano la via della salvezza. Ai Nazareni scettici Gesù risponde che di solito i profeti sono disprezzati dai loro compatrioti mentre riscuotono onori dagli estranei ai quali spesso il Signore li invia, come nel caso della vedova di Serepta e di Naaman il Siro. Questo dire suscita ira, rabbia e soltanto perché impediti dai meno focosi, o forse anche perché soggiogati dalla impossibilitò straordinaria di Gesù, i Nazareni non giungono a macchiarsi dell’uccisione del loro conterraneo che non metterà più piede nella sua patria incredula. Scenderà a Cafarnao e vi prenderà dimora, nella casa di Simone il pescatore.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 4,16-30
 
In quel tempo, Gesù venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, 
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi,
a proclamare l’anno di grazia del Signore».
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
 
Parola del Signore.
 
Questa Scrittura oggi si è adempiuta - Subito dopo aver superato le tentazioni nel deserto (Cf. Lc 4,1-13), Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo. Gesù inizia il suo ministero in Galilea pieno di Spirito Santo, che è il protagonista della intera opera lucana. Non a caso il Libro degli Atti degli Apostoli è stato chiamato il Vangelo dello Spirito Santo.
Nazaret, il villaggio dove Gesù «era cresciuto» (Lc 4,16), non è menzionata né dallo storico Giuseppe Flavio, né nel Talmud. San Girolamo nel V secolo affermava che fosse un viculus ovvero un piccolo villaggio, abitato da un centinaio di persone. A Nazaret l’angelo del Signore aveva annunciato alla vergine Maria la nascita del Figlio dell’Altissimo, il Salvatore del mondo (Cf. Lc 1,32.35).
Gesù, come tutti gli Ebrei, amava frequentare la sinagoga che è l’edificio in cui gli Israeliti si radunavano per pregare, per leggere e per studiare la Legge. Il decano degli anziani, il quale era incaricato della celebrazione, a volte invitava qualcuno dei presenti a predicare. Fu così che Gesù venne invitato a leggere il profeta Isaia.
Il brano che Gesù legge è tratto dal libro di Isaia (61,1ss) dove il profeta, da parte di Dio, annunzia un messaggio di consolazione al popolo d’Israele. Ma in verità il testo isaiano non era scritto sul rotolo perche è frutto del lavoro redazionale di Luca che ha fuso insieme Is 61,1-2 e 58,6.
Lo Spirito del Signore ... mi ha mandato... a proclamare l’anno di grazia del Signore. Il giubileo, prescritto ogni cinquanta anni (Cf. Lv 25,10), era stato istituito per donare la libertà agli schiavi e la restituzione dei beni patrimoniali.
L’anno di grazia, «con cui termina questa profezia, non è altro che il tempo di perdono che Dio accorda a quanti gli si accostano con sentimenti di umiltà e di povertà, il tempo della pace, nel senso più vasto del termine: la pace di Dio, intesa come suo dono amoroso; la pace di Dio, intesa come bene atteso dall’alto; la pace con Dio, intesa come riconciliazione col suo amore» (Carlo Ghidelli).
Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato. In Gesù questa Scrittura si compie perfettamente, ma in una dimensione molto più ampia in quanto raggiunge l’uomo nella sua totalità. I destinatari di questa Buona Novella sono i poveri, cioè gli umili, i deboli, i piccoli e i contriti di cuore che da sempre, per la loro obbedienza alla volontà di Dio, hanno attirato sulla terra lo sguardo benevolo del Padre fino a costringerlo amorevolmente a mandare il Verbo, la cui «incarnazione costituisce l’attestato più eloquente della sua premura nei confronti degli uomini» (Teodereto di Ciro).
In Gesù di Nazaret il Padre compie il suo progetto di salvezza e il suo compimento non è una resa di conti, ma è gioia, festa: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza» (Ne 8,10). Il Vangelo, che sostanzialmente è una buona notizia, quando è veramente compreso, rallegra il cuore di chi lo accoglie, e porta a condividere questa gioia: chi è contento desidera che anche gli altri lo siano.
La profezia si è compiuta in Gesù e la sua stessa presenza rappresenta «l’oggi della salvezza, il compimento della Scrittura appena letta. Gesù con la sua parola non annunziava soltanto, ma attuava la salvezza divina, contenuta nelle promesse profetiche ... La parola di Gesù diventa evento salvifico, vivo, attuale» (Angelico Poppi). Quella di Gesù è un’affermazione che dovrebbe far sognare ad occhi aperti tutti gli uomini: un sogno che diventerà realtà quando finalmente l’umanità, varcata la soglia della vita terrena, per essa si spalancheranno per sempre le porte della casa del Padre.
 
Gesù di Nazaret - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): Gli abitanti di Nazaret conoscevano fin troppo bene Gesù, che era cresciuto tra di loro, per credere che il figlio di Maria e di Giuseppe il falegname fosse stato unto dallo Spirito di Dio come il messia atteso per secoli. Il suo nome di sempre, quello che ripeteranno gli apostoli nei loro discorsi dopo la pentecoste, fu, è e sarà «Gesù di Nazaret»: un figlio del popolo, situato in un tempo e in uno spazio concreti.
Gesù di Nazaret: Dio fatto uomo. Questo è il Cristo della nostra fede. Non crediamo in un mito, tanto meno in un’idea o un’ideologia, ma in Gesù Cristo, Figlio di Dio e suo Messia, che visse in un contesto storico e sociologico, radicato in una famiglia di Nazaret, che rappresenta tutta l’umanità.
Se, come gli abitanti di Nazaret e i giudei contemporanei di Cristo, non siamo capaci di superare lo «scandalo» dell’incarnazione di Dio nella natura umana, riassunto in queste tre parole «Gesù di Nazaret», vuol dire che non abbiamo capito niente del mistero personale di Cristo. Egli è meta e culmine della rivelazione biblica di Dio e del suo piano di salvezza per l’uomo.
«Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi». Eterno «oggi» di Dio che è la sua ultima parola, invito alla fede e pietra d’inciampo per chi non l’accetta. «Oggi » di salvezza, invece, per chi con gli apostoli esclama per bocca di Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,68).
Gesù proclama un vangelo di liberazione per il presente. Per questo il cristianesimo è fede ancorata alla realtà, che è l’oggi di Dio. Non siamo nostalgici del passato, né la Chiesa è una comunità rivolta verso il passato, neanche nella celebrazione del culto. Perché questo non è memoria morta, ma attualizzazione nella fede dei fatti della salvezza operata da Dio attraverso Gesù Cristo. Dobbiamo vivere con gioia ogni giorno come l’«oggi» eterno di Dio, riscoprendo con la fede la Parola che ci fa nascere ogni giorno per Dio nello Spirito di Cristo risorto.
 
Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato - Origene , In Luc., 32, 2-6: Anche ora, se lo volete, in questa sinagoga, in questa nostra assemblea gli occhi vostri possono fissare il Salvatore. Quando voi riuscite a rivolgere lo sguardo più profondo del vostro cuore verso la contemplazione della Sapienza, della Verità e del Figlio unico di Dio, allora i vostri occhi vedranno Gesù. Felice assemblea quella di cui la Scrittura testimonia che «gli occhi di tutti erano fissi in lui». Come desidererei che questa nostra assemblea potesse ricevere una simile testimonianza, cioè che tutti voi, catecumeni e fedeli donne, uomini e fanciulli aveste gli occhi, non gli occhi del corpo ma quelli dell’anima, rivolti a guardare Gesù! Quando voi vi volgerete verso di lui, dalla sua luce e dal suo volto i vostri volti saranno fatti più chiari, e potrete dire: “Impressa su di noi è la luce del tuo volto, o Signore" (Sal 4,7), “cui appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen” (1Pt 4,11).
 
Il santo del giorno - 1 Settembre 2025 - San Giosuè, Patriarca: Il giovane Giosuè fa il suo tirocinio al servizio di Mosè. Accumula esperienza e conoscenza, diventa un uomo pieno dello spirito di saggezza. Per questa sua sapienza e docilità merita di diventare il successore di Mosè, che guiderà il popolo nell’ingresso nella terra promessa. Il passaggio del Giordano più che un’azione bellica è una processione liturgica da lui guidata.
Al centro dell’evento vi è l’Arca trasportata dai sacerdoti. Non appena essi toccano l’acqua, questa si divide per lasciar passare il popolo all’asciutto. Anche la conquista di Gerico viene presentata come un’azione liturgica di cui sono protagonisti i sacerdoti. Per sei giorni essi aprono il corteo intorno alle mura della città. Il settimo giorno compiono il giro per ben 7 volte, e al termine dell’ultimo, al suono delle trombe, le mura crollano. I due episodi sono accomunati da una premessa teologica: la conquista della terra è un dono di Dio, Giosuè ne è lo strumento. (Avvenire)
 
O Signore, che ci hai saziati con il pane del cielo,
fa’ che questo nutrimento del tuo amore
rafforzi i nostri cuori
e ci spinga a servirti nei nostri fratelli.
Per Cristo nostro Signore.
 
 31 Agosto 2025
 
XXII Domenica T. O.
 
Sir 3,17-20.28-29; Salmo Responsoriale dal Salmo 67 [68]; Eb 12,18-19.22-24a; Lc 14,1.7-14
 
Colletta
O Dio, che chiami i poveri e i peccatori
alla festosa assemblea della nuova alleanza,
concedi a noi di onorare la presenza del Signore
negli umili e nei sofferenti,
per essere accolti alla mensa del tuo regno.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Papa Francesco (Angelus 28 Agosto 2016): L’episodio del Vangelo di oggi ci mostra Gesù nella casa di uno dei capi dei farisei, intento ad osservare come gli invitati a pranzo si affannano per scegliere i primi posti. È una scena che abbiamo visto tante volte: cercare il posto migliore anche “con i gomiti”. Nel vedere questa scena, egli narra due brevi parabole con le quali offre due indicazioni: una riguarda il posto, l’altra riguarda la ricompensa.
La prima similitudine è ambientata in un banchetto nuziale. Gesù dice: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cedigli il posto!”… Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto» (Lc 14,8-9). Con questa raccomandazione, Gesù non intende dare norme di comportamento sociale, ma una lezione sul valore dell’umiltà. La storia insegna che l’orgoglio, l’arrivismo, la vanità, l’ostentazione sono la causa di molti mali. E Gesù ci fa capire la necessità di scegliere l’ultimo posto, cioè di cercare la piccolezza e il nascondimento: l’umiltà. Quando ci poniamo davanti a Dio in questa dimensione di umiltà, allora Dio ci esalta, si china verso di noi per elevarci a sé; «perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (v. 11).
Le parole di Gesù sottolineano atteggiamenti completamente diversi e opposti: l’atteggiamento di chi si sceglie il proprio posto e l’atteggiamento di chi se lo lascia assegnare da Dio e aspetta da Lui la ricompensa. Non dimentichiamolo: Dio paga molto di più degli uomini! Lui ci dà un posto molto più bello di quello che ci danno gli uomini! Il posto che ci dà Dio è vicino al suo cuore e la sua ricompensa è la vita eterna. «Sarai beato – dice Gesù – … Riceverai la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti» (v. 14).
È quanto viene descritto nella seconda parabola, nella quale Gesù indica l’atteggiamento di disinteresse che deve caratterizzare l’ospitalità, e dice così: «Quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi e ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti» (vv. 13-14). Si tratta di scegliere la gratuità invece del calcolo opportunistico che cerca di ottenere una ricompensa, che cerca l’interesse e che cerca di arricchirsi di più. Infatti i poveri, i semplici, quelli che non contano, non potranno mai ricambiare un invito a mensa. Così Gesù dimostra la sua preferenza per i poveri e gli esclusi, che sono i privilegiati del Regno di Dio, e lancia il messaggio fondamentale del Vangelo che è servire il prossimo per amore di Dio. Oggi, Gesù si fa voce di chi non ha voce e rivolge a ciascuno di noi un accorato appello ad aprire il cuore e fare nostre le sofferenze e le ansie dei poveri, degli affamati, degli emarginati, dei profughi, degli sconfitti dalla vita, di quanti sono scartati dalla società e dalla prepotenza dei più forti. E questi scartati rappresentano in realtà la stragrande maggioranza della popolazione.
In questo momento, penso con gratitudine alle mense dove tanti volontari offrono il loro servizio, dando da mangiare a persone sole, disagiate, senza lavoro o senza fissa dimora. Queste mense e altre opere di misericordia – come visitare gli ammalati, i carcerati… – sono palestre di carità che diffondono la cultura della gratuità, perché quanti vi operano sono mossi dall’amore di Dio e illuminati dalla sapienza del Vangelo. Così il servizio ai fratelli diventa testimonianza d’amore, che rende credibile e visibile l’amore di Cristo.
 
I Lettura: Il libro del Siracide prende nome dal suo autore, un ebreo di Gerusalemme chiamato «Gesù figlio di Sirach, figlio di Eleàzaro» (Sir 50,27), maestro di sapienza e appassionato studioso della Legge di Dio. Per l’autore di questo libro sapienziale, l’umiltà viene da Dio ed è un dono che il Signore largisce ai suoi amici. Un dono da ricercare perché soltanto l’umile sarà ricolmato dei favori divini: «Numerosi sono gli uomini alteri e superbi, ma agli umili (Dio) rivela i suoi segreti». ([19] greco 248 e sin). L’umile, vivendo modestamente, glorifica Dio con la sua vita. L’umiltà, che è verità e conoscenza dei propri limiti, indica la vera posizione dell’uomo davanti a Dio sia come creatura che come peccatore. Nel libro è sottolineato anche il valore preziosissimo dell’elemosina: oltre ad essere una fonte di retribuzione divina è anche un tesoro che viene depositato in Cielo (cfr. Mt 6,2-4; Lc 12,21.33ss).
 
II Lettura: La lettera agli Ebrei mette a confronto le due alleanze: quella Antica e quella Nuova. L’Antica è simboleggiata dal monte Sinai dove Dio si manifestò al suo popolo con segni terrificanti che resero impossibile la visione del suo volto. Nella Nuova Alleanza, simboleggiata dal monte Sion, Dio si manifesta nella debolezza della carne umana (Gv 1,14). Cristo Gesù, vero Dio e vero uomo, è l’unico Mediatore di questa Nuova Alleanza e anche via pacifica e amabile attraverso la quale l’uomo arriva alla contemplazione del volto del Padre: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14,9). La Nuova Alleanza a differenza dell’Antica, è eterna ed immutabile perché sancita nel sangue del Figlio Unigenito, Cristo Gesù.
 
Vangelo
Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.
 
Gesù accettando di entrare «in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare» fa bene intendere che la sua opposizione verso di essi non è per partito preso o per pregiudizi, ma che si fonda su ragioni molto più profonde delle solite diatribe scolastiche. Un ospite come Gesù certamente doveva attirare l’attenzione degli invitati e suscitare la frenesia di stargli vicino. C’è da ricordare anche che quel giorno era un sabato e Gesù, appena entrato in casa del fariseo, aveva guarito un idropico (Lc 14,2-5). Una guarigione che era stata accettata unanimemente anche se malvolentieri (Lc 14,2-6). Tutto questo costituiva una miscela esplosiva. Gesù è sotto lo sguardo di tutti, ma Egli non è da meno: osservando e notando come i notabili cercano di accaparrarsi i primi posti, propone ai commensali una lezione sulla virtù dell’umiltà: parole severe, ma scontate in quanto non fanno che svelare l’ipocrisia e la vanità degli scribi e dei farisei notoriamente affamati di lodi, di onori e inoltre amanti dei primi posti (cfr. Mt 23,1 -12). Gesù «vuol mettere in luce che tutti i presenti, invitante ed invitati sono una massa di cafoni, pieni di pregiudizi egoistici, di banali arrivismi e di preoccupazioni gerarchiche. Gesù con le sue nette affermazioni vuole smantellare i pregiudizi mettendo a nudo i loro sentimenti. A parte la questione delle precedenze imposte dal galateo e dalle tradizioni giudaiche, in fondo si tratta anche di non cadere nel ridicolo. C’è sempre tanta ambizione e tanto arrivismo nella società di tutti i tempi: contro di essi Gesù oppone un caloroso invito all’umiltà» (C. Ghidelli).
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 14,1.7-14
 
Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
 
Parola del Signore.
 
Quando prepari un banchetto, invita i poveri - Siamo di sabato e Gesù, partecipando al pranzo di un fariseo distinto, accenna al banchetto escatologico del regno. Il suo gesto è strutturato nel modo seguente: guarisce un uomo infermo (14,1-6), tratta del servizio interumano (14,7-14) e fa vedere che il banchetto di Dio è un dono offerto gratuitamente ai più abbandonati della terra (14,15-24). È comune in tutti questi casi considerare la vera esistenza come un dono che si riceve e che si offre agli altri.
Il dono del regno, che è concesso inizialmente all’infermo (14,1-6) e che culmina nella pienezza del banchetto escatologico (14,15-24), si traduce in un atteggiamento o in una forma di esistenza. Tale è il messaggio che contiene il nostro testo (14,7-14). Negativamente, questo atteggiamento si definisce in prove di vera umiltà: non si può mai pretendere di occupare il primo posto o di distinguersi ed essere onorati più degli altri. La vita vera non si acquista guadagnando un semplice onore, né l’uomo è grande per il fatto che cerca la grandezza.
La vita si acquista nel servizio in favore degli altri; la vera grandezza è sempre un effetto (o un’espressione) del dono che si offre agli altri e che si riceve dagli altri (cf 14,7-11).
Ma è più importante formulare l’aspetto positivo del problema. Sappiamo dalla storia e dall’esperienza che l’uomo è un soggetto attivo: stabilisce relazioni con gli altri, li aiuta e dipende da essi nella sua vita. Ebbene, Gesù aggiunge che, nella festa della vita, la legge definitiva non può mai essere lo scambio: «Ti do perché mi dia, ti invito sperando di essere invitato, ti aiuto perché prevedo che un giorno sarò aiutato». Questo atteggiamento trasforma il mondo in un affare. Il mondo di Gesù è invece incentrato nell’amore che offre liberamente e non è una specie di affare.
Gesù precisa: invita quelli che non potranno mai restituirti il favore, aiuta il povero, offri quello che hai senza pensare a qualche ricompensa. 
Quando agirai in questo modo, avrai l’impressione d’aver perduto qualcosa, ma stai creando intorno a te un’immagine (un segno, un preludio) di quel regno decisivo che è il dono di Dio che guarisce, un dono di Dio che offre tutto quello che ha ai diseredati di questo mondo. È possibile che gli uomini che si muovono su un piano «mercantile» dicano che sei matto; diranno forse che sei sciocco e che non sai vivere con i piedi per terra. Cristo però ti assicura che il tuo gesto porta la verità del regno di Dio che non ha fine.
Le parole di Gesù hanno due aspetti primordiali: a) da un punto di vista personale, la novità di Gesù (del regno) esige il superamento dell’egoismo che mira a trasformarci in centro della vita degli altriÈ radicale, sotto questo aspetto, la parola di Gesù: «Chiunque si esalta, sarà umiliato, e chi si umilia, sarà esaltato» (14,11). Chi cerca solo la sua giustizia, il suo vantaggio e la sua pienezza, si perde come essere umano; non ha compreso la verità del Cristo che, sulla croce, offre la sua esistenza per gli altri; b) solo chi dà senza calcolare, chi si dà per gli altri e getta nel mondo il suo seme (muore) avrà raggiunto la sua grandezza. Il testo evangelico lo precisa accennando alla pienezza della risurrezione (14,14). Cristo ricupera nella gloria quello che ha perduto (che ha dato per gli altri) nella morte. In modo simile i credenti ricuperano (in modo sovraeminente) quello che hanno sa puto dare agli altri.
 
Umiltà - Gottfried Hiezernberger: Nell’AT è un atteggiamento dello spirito che esplica i propri positivi effetti nei confronti di Dio e nei confronti dei propri simili. Nei confronti di Dio umiltà significa pietà, giustizia. Dio protegge gli umili (Mi 6,8), li consola (Is 57,15), li innalza (Sal 147,6) ed entra in comunione con loro (Sal 51,19). I superbi, invece, Dio li distrugge e dimostra che la loro apparente potenza è in realtà impotenza e nullità. Per mezzo dell’umiltà  nei confronti dei propri simili si può trovare Dio (2Cr 36,12); in questo caso l’umiltà  è l’atteggiamento veramente umano del servire. Accanto all’atteggiamento dello spirito,  l’umiltà  indica anche la situazione della piccolezza, della necessità o povertà, cosicché i poveri possono esser considerati gli umili. Questa concezione veterotestamentaria permane ancora nella beatitudine in Luca (6,20). Per il resto, invece, l’umiltà  nel NT acquisisce una motivazione nuova e un significato più profondo, quale comportamento adeguato del redento.
1. L’irrompente signoria di Dio richiama a un atteggiamento nuovo che Gesù stesso aveva vissuto in maniera esemplare (Mt 11,28s.). Non è intesa come virtù nel senso di mansuetudine personale, ma affonda le sue radici nella disponibilità attiva a servire nell’amore (Mc 10,45).
2. Ciò esige dal cristiano un cosciente abbassamento (Lc 14,11) del superbo e autoritario voler-vivere-di-se-stessi all’atteggiamento del bambino (Mt 1,3s). Ogni autoesaltazione è assurda (1Cor 1,28-31) di fronte alla colpa e ai limiti della propria fede (Rm 12,3); la consapevolezza di dipendere dalla pietà di Dio (Rm 3,21ss) deve portare a far proprio questo amore pietoso di Dio e di concretizzarlo (Col 3,12-14) nel servizio al prossimo (Rm 12,10) e al debole (Rm 14,1). Detto ciò l’umiltà, non ha nulla a che vedere con la debolezza o la passività, al contrario, essa esige pieno impegno al servizio di Dio e degli uomini. L’umiltà non è l’atteggiamento di schiavi (da qui deriva la negatività del significato), ma di esseri umani liberi e pieni di amore. 
 
Gesù modello di tutte le virtù: Catechismo della Chiesa Cattolica 520: Durante tutta la sua vita, Gesù si mostra come nostro modello: è «l’uomo perfetto» che ci invita a diventare suoi discepoli e a seguirlo; con il suo abbassamento, ci ha dato un esempio da imitare, con la sua preghiera, attira alla preghiera, con la sua povertà, chiama ad accettare liberamente la spogliazione e le persecuzioni.
521 Tutto ciò che Cristo ha vissuto, egli fa sì che noi possiamo viverlo in lui e che egli lo viva in noi. «Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo». Siamo chiamati a formare una cosa sola con lui; egli ci fa comunicare come membra del suo corpo a ciò che ha vissuto nella sua carne per noi e come nostro modello: «Noi dobbiamo sviluppare continuamente in noi e, in fine, completare gli stati e i misteri di Gesù. Dobbiamo poi pregarlo che li porti lui stesso a compimento in noi e in tutta la sua Chiesa. [...] Il Figlio di Dio desidera una certa partecipazione e come un’estensione e continuazione in noi e in tutta la sua Chiesa dei suoi misteri mediante le grazie che vuole comunicarci e gli effetti che intende operare in noi attraverso i suoi misteri. E con questo mezzo egli vuole completarli in noi.».
 
Gesù ci invita ad essere umili, modesti e meritevoli di lode - Cirillo di Alessandria, Commento a Luca, omelia 101: Quando, dice, giunge un altro invitato più ragguardevole di te e colui che ha invitato te e lui dirà: «Cedigli il posto». Oh, quale grande vergogna nell’ aver fatto questo! E come un furto, per così dire, e una restituzione di beni rubati. Egli deve restituire quello di cui si è impadronito perché non aveva fatto bene a prenderlo.
La persona modesta e degna di lode, che senza paura di biasimo avrebbe potuto reclamare la dignità di sedersi tra i primi, non vi aspira. Cede agli altri ciò che potrebbe essere detto suo, così che non possa neppure sembrare vinta da un vuoto orgoglio. Una tale persona riceverà tanto onore quanto le spetta. Egli dice: Egli sentirà colui che lo ha invitato dirgli: «Vieni qui» [ ... ].
Se qualcuno tra voi vuole sedersi al di sopra degli altri, si conquisti tale posto secondo il decreto dei cieli e sia coronato da questi onori che Dio concede. Sorpassi i molti per mezzo della testimonianza di gloriose virtù. La regola della virtù è un’umile mente che non ama vantarsi.
Questa è l’umiltà. Il beato Paolo ha considerato anche questo degno di ogni stima. Egli scrive a quelli che con entusiasmo desiderano sante occupazioni: Amate l’umiltà.
 
Il Santo del giorno: 31 Agosto 2025: San Aidano di Lindsfarne, Vescovo: Di Aidano ci è giunta una descrizione a opera del monaco anglosassone Beda il Venerabile, che nacque 20 anni dopo la sua morte. È sconosciuto il luogo e la data di nascita di Aidano, ma si crede che fosse irlandese. Nel 635 fu nel monastero di Iona nell’omonima isola e centro missionario dell’epoca. In quell’anno il re di Northumbria, Oswald desideroso di diffondere il cristianesimo nel suo regno, si rivolse all’abate di Iona, dove era stato convertito e battezzato, affinché mandasse un missionario. Dopo il fallimento del vescovo Cormano, fu mandato lo stesso Aidano, che intanto era stato consacrato vescovo missionario. Accolto dal re Oswald gli concesse l’isola di Lindsfarne nel Mare del Nord per fondarvi un monastero e una sede episcopale. Aidano ebbe un aiuto costante da parte del re Oswald e quando questi morì nel 642, il successore Oswin, continuò ad appoggiarlo nella sua opera di apostolato missionario. Undici giorni dopo la morte del re Oswin assassinato, anche Aidano morì a Bambourgh il 31 agosto 651 e sepolto nel suo monastero. (Avvenire)
 
O Signore, che ci hai saziati con il pane del cielo,
fa’ che questo nutrimento del tuo amore
rafforzi i nostri cuori
e ci spinga a servirti nei nostri fratelli.
Per Cristo nostro Signore.
 
 30 AGOSTO 2025
 
Sabato XXI Settimana T. O.
 
1Ts 4,9-11; Salmo Responsoriale Dal Salmo 97 (98); Mt 25,14-30
 
Colletta
O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli,
concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi
e desiderare ciò che prometti,
perché tra le vicende del mondo
là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
La parabola dei dieci talenti: Benedetto XVI (Angelus, 13 Novembre 2011): Nella celebre parabola dei talenti – riportata dall’evangelista Matteo (cfr. 25,14-30) - Gesù racconta di tre servi ai quali il padrone, al momento di partire per un lungo viaggio, affida le proprie sostanze. Due di loro si comportano bene, perché fanno fruttare del doppio i beni ricevuti. Il terzo, invece, nasconde il denaro ricevuto in una buca. Tornato a casa, il padrone chiede conto ai servitori di quanto aveva loro affidato e, mentre si compiace dei primi due, rimane deluso del terzo. Quel servo, infatti, che ha tenuto nascosto il talento senza valorizzarlo, ha fatto male i suoi conti: si è comportato come se il suo padrone non dovesse più tornare, come se non ci fosse un giorno in cui gli avrebbe chiesto conto del suo operato. Con questa parabola, Gesù vuole insegnare ai discepoli ad usare bene i suoi doni: Dio chiama ogni uomo alla vita e gli consegna dei talenti, affidandogli nel contempo una missione da compiere. Sarebbe da stolti pensare che questi doni siano dovuti, così come rinunciare ad impiegarli sarebbe un venir meno allo scopo della propria esistenza. Commentando questa pagina evangelica, san Gregorio Magno nota che a nessuno il Signore fa mancare il dono della sua carità, dell’amore. Egli scrive: “È perciò necessario, fratelli miei, che poniate ogni cura nella custodia della carità, in ogni azione che dovete compiere” (Omelie sui Vangeli 9,6). E dopo aver precisato che la vera carità consiste nell’amare tanto gli amici quanto i nemici, aggiunge: “se uno manca di questa virtù, perde ogni bene che ha, è privato del talento ricevuto e viene buttato fuori, nelle tenebre” (ibidem).
 
I Lettura: La donna è una persona, non un oggetto 4,1-8 e 4,9-11 (4,1-3a.7-12) - José Maria González-Ruiz: In questo testo Paolo detta alcune norme generali specialmente di morale sessuale.
La prima cosa a cui esorta è «astenersi dall’impudicizia». La parola originale - «pornéia» - significa in generale ogni relazione sessuale profonda fuori del matrimonio. Le esigenze del cristianesimo erano, sotto questo aspetto, assai rigorose, anche se confrontate con quelle della morale giudaica.
La seconda esigenza si riferisce al rispetto che il cristiano deve avere per il corpo proprio o della moglie, secondo il duplice significato che può avere il termine greco skeûos tradotto, nella versione italiana, con corpo e che di per sé significa vaso. Per il cristiano si tratta di membra sacre, essendo consacrate a Cristo, in quanto sono parte del suo corpo mistico.
Alcuni interpreti, traducendo acquistare invece di mantenere, interpretano l’esortazione paolina nel senso di orientarsi verso il matrimonio monogamico. Da tutto il contesto trasuda l’elevatezza della morale sessuale cui deve pervenire il cristiano, per essere un segno della presenza e della santità di Dio nella corrotta società del tempo.
Ma la parte più interessante dell’esortazione è la sua alta motivazione: l’amore fraterno. Paolo non predica una morale sessuale repressiva, ma semplicemente una morale dell’amore vicendevole, una morale dell’elevazione della donna a una categoria pari a quella dell’uomo.
Ogni morale sessuale che perda di vista questo sfondo dell’amore fraterno può facilmente degenerare in una pseudo morale di inibizione sessuale.
 
Vangelo
Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone.
 
Molti credono che «la parabola dei talenti» faccia riferimento a Erode Archelao il quale era partito per Roma per ricevere il titolo di re della Giudea. Al di là di questa nota, l’insegnamento del racconto è molto chiaro. Gesù è l’uomo che intraprende il viaggio, i servi i credenti, i talenti il «patrimonio del padrone dato da amministrare in proporzione diverse “a ciascuno secondo le sue capacità”» (Clara A. Cesarini). Non è degno del premio celeste chi non sente la responsabilità di far crescere il regno. L’inattività del servo malvagio, alla fine della vita, sarà giudicata con severità.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 25,14-30:
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.  Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.  Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.  Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
 
Parola del Signore.
 
I talenti - Felipe F. Ramos (Vangelo secondo Matteo, Commento della Bibbia Liturgica): Nelle sue relazioni con Dio l’uomo non può avanzare diritti; deve invece tener presente la sua assoluta dipendenza, come il servo davanti al suo signore e, come servo, con l’assoluta necessità di ascoltare gli ordini del suo Signore e di eseguirli. Nell’esecuzione di questi ordini deve mettere tutto l’ardore e le capacità di lavoro che lo stesso padrone suppone nei suoi servi, senza avanzare pretese, ma con la consolante e stimolante speranza che il Signore premia lo sforzo personale compiuto per far fruttificare il capitale che ci ha affidato. Questo è l’insegnamento della parabola dei talenti.
La divisione disuguale che un uomo ricco fa dei suoi talenti fra i suoi servi mirava in primo luogo, come narra la parabola, a far sì che il suo capitale fruttasse nelle mani dei suoi servitori. Per questo egli tiene conto delle loro capacità di lavoro e della loro abilità negli affari. I due primi servi della parabola raddoppiano il capitale iniziale loro affidato. Non ci è detto come, semplicemente perché questo non aveva interesse per l’insegnamento della parabola.
Matteo passa immediatamente dal paragone al suo significato. La ricompensa descritta nella parabola comporta un chiaro riferimento alla realtà religiosa. Prendi parte alla gioia del tuo padrone. Questo premio concesso ai due servi fedeli per la loro attiva fedeltà alle consegne del loro signore significa evidentemente la vita eterna. E colui che parla così dev’essere necessariamente il Figlio dell’uomo nella sua qualità di giudice. E solo perché si tratta di realtà soprannaturali, i talenti raddoppiati sono considerati come poco: «sei stato fedele nel poco...».
Il terzo servo lascia improduttivo il capitale del suo signore e in più ragiona in modo insolente nel tentativo di discolparsi. Non ha osato correre il rischio. Il talento non ha fruttificato nelle sue mani, ma può restituirlo integro. Il suo signore gli risponde duramente. Ha deluso le speranze che aveva riposte in lui. Anche lui era cosciente del rischio, ma contava sulla diligenza fedele e laboriosa del suo servo. La sua indolenza è la ragione unica per cui il talento che gli aveva affidato è rimasto improduttivo.
Subito dopo abbiamo due incongruenze: il signore ordina - e non ci è detto a chi sono indirizzati i suoi ordini - che gli sia tolto il talento e che sia dato a colui che ne ha dieci. D’altra parte, la parabola suppone che i primi due servi abbiano già consegnato i loro talenti al loro signore. Sono due particolari che tentano di mettere in rilievo, in primo luogo, la condanna del servo inutile appunto per la sua indolenza e, in più, la norma di retribuzione seguita dal giudice divino: «a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha», norma d’azione indicata già altre volte dal Signore (13,12; Mc 4,23) e che fu messa qui dall’evangelista Matteo come riassunto dell’insegnamento della parabola.
 
E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti - Rapporto dal Purgatorio: L’Inferno: L’anima si trova improvvisamente immersa in una solitudine assoluta, che è come la densità del caos, della morte, del nulla. Tutto è non-presenza, non-comunicazione, non-amore. È, un’assenza totale di movimento, di desiderio, un’immersione nel peccato allo stato bruto, nel male assoluto, oggettivato. L’anima sa di essere peccatrice, ma il peccato non le appartiene più, non è più suo: è esso che la possiede, l’impregna, l’attraversa. L’anima sa di essere dannata e si vede diventata il suo proprio peccato. Vi è come un groviglio tra il dannato e il peccato. Questo è l’inferno. [...].
Qui, inoltre, si comprenda bene, non si ha un’entrata nel nulla, una dissoluzione; si tratta della non-vita: niente dinamismo della vita, niente creatività, niente evoluzione, È uno stato permanente di vertigini e d’oppressione, che crescerà e s’intensificherà sempre di più, perché questa morte è infinita, e l’inferno è eterno. Questa sofferenza è più atroce di ogni cosa; il fuoco più cocente qui sulla terra è glaciale al confronto di questo fuoco dell’inferno, e il freddo più tagliente qui sulla terra è cocente rispetto a questo freddo glaciale della seconda morte. Non è un’esperienza di non-essere, ma di non essere ciò che si è, l’assoluta impossibilità di mai essere, di divenire, ciò che si è, perché si era chiamati a divenirlo nel mistero della croce salvifica, e si è rifiutato il mistero, disprezzato il dono gratuito della salvezza.
 
Girolamo, In Matth. IV, 22, 14-30: “Poiché a chi ha, sarà dato e sarà nell’abbondanza, ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che crede di avere” (Mt 25,29). Molti, pur essendo per natura sapienti e avendo un ingegno acuto, se però sono stati negligenti e con la pigrizia hanno corrotto la loro naturale ricchezza, a confronto di chi invece è un poco più tardo, ma con il lavoro e l’industria ha compensato i minori doni che ha ricevuto, perderanno i loro beni di natura e vedranno che il premio loro promesso sarà dato agli altri. Possiamo capire queste parole anche così: chi ha fede ed è animato da buona volontà nel Signore, riceverà dal giusto Giudice, anche se per la sua fragilità umana avrà accumulato minor numero di opere buone. Chi invece non avrà avuto fede, perderà anche le altre virtù che credeva di possedere per natura. Efficacemente dice che a costui «sarà tolto anche quello che crede di avere». Infatti, anche tutto ciò che non appartiene alla fede in Cristo, non deve essere attribuito a chi male ne ha usato, ma a colui che ha dato anche al cattivo servo i beni naturali.
“E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre, dove sarà pianto e stridor di denti” (Mt 25,30). Il Signore è la luce; chi è gettato fuori, lontano da lui, manca della vera luce.
 
Il Santo del giorno - 30 Agosto 2025 - Beato Alfredo Ildefonso Schuster, Vescovo: Nacque a Roma il 18 gennaio 1880, divenne monaco esemplare e, il 19 marzo 1904, venne ordinato sacerdote nella basilica di San Giovanni in Laterano. Gli furono affidati incarichi gravosi, che manifestavano però la stima e la fiducia nei suoi confronti. A soli 28 anni era maestro dei novizi, poi procuratore generale della Congregazione cassinese, poi priore claustrale e infine abate ordinario di San Paolo fuori le mura. L’amore per lo studio, che fanno di lui un vero figlio di san Benedetto, non verrà meno a causa dei suoi impegni che sempre più occuperanno il suo tempo e il suo ministero. Grande infatti fu la sua passione per l’archeologia, l’arte sacra, la storia monastica e liturgica. Il 15 luglio 1929 fu creato cardinale da papa Pio XI e il 21 luglio fu consacrato arcivescovo di Milano nella suggestiva cornice della Cappella Sistina. Ebbe inizio così il suo ministero di vescovo nella Chiesa ambrosiana fino al 30 agosto 1954, data della sua morte, avvenuta presso il seminario di Venegono, da lui fatto costruire come un’abbazia in cima ad un colle. Fu proclamato beato da Giovanni Paolo II il 12 maggio 1996. (Avvenire)
 
Ci santifichi, o Signore,
la partecipazione alla mensa di Cristo
perché, fatti membra del suo corpo,
siamo trasformati in colui che abbiamo ricevuto.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
29 Agosto 2025
 
Martirio di San Giovanni Battista
 
Ger 1,17-19; Salmo Responsoriale Dal Salmo 70 (71); Mc 6,17-29
 
Colletta
O Dio, che a Cristo tuo Figlio hai dato come precursore,
nella nascita e nella morte, san Giovanni Battista,
concedi anche a noi di lottare con coraggio
per la testimonianza della tua parola,
come egli morì martire per la verità e la giustizia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
La vita non è un bene assoluto: Evangelium viate 47: ... la vita del corpo nella sua condizione terrena non è un assoluto per il credente, tanto che gli può essere richiesto di abbandonarla per un bene superiore; come dice Gesù, «chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» (Mc 8,35). Diverse sono, a questo proposito, le testimonianze del Nuovo Testamento. Gesù non esita a sacrificare sé stesso e, liberamente, fa della sua vita una offerta al Padre (cfr. Gv 10,17) e ai suoi (cfr. Gv 10,15). Anche la morte di Giovanni il Battista, precursore del Salvatore, attesta che l’esistenza terrena non è il bene assoluto: è più importante la fedeltà alla parola del Signore anche se essa può mettere in gioco la vita (cfr. Mc 6,17-29). E Stefano, mentre viene privato della vita nel tempo, perché testimone fedele della risurrezione del Signore, segue le orme del Maestro e va incontro ai suoi lapidatori con le parole del perdono (cfr. At 7,59-60), aprendo la strada all’innumerevole schiera di martiri, venerati dalla Chiesa fin dall’inizio.
 
I Lettura: Tu, stringi la veste ai fianchi, àlzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò: destinatario delle parole di Geremia fu sempre il popolo d’Israele, ma, con coraggio, mai omise un rimprovero, un avvertimento anche alla casa reale, ai sacerdoti, ai (falsi) profeti di corte.
Le sue parole suscitano rabbia, vendetta, pensieri di rivalsa e di morte. I  nemici del profeta Geremia sono numerosi, e lui è ben consapevole che tramano per ucciderlo. Ma il giusto non soccomberà alla prepotenza dei mendaci.
Geremia non è un superuomo, e le trame maligne lo fanno tremare di paura. Egli “si sente un semplice uomo, e vorrebbe essere come uno fra i tanti, come un bambino che non sa parlare. Timido per natura, egli è molto lontano dall’offrirsi volontario come Isaia; ma l’imperativo divino è al di sopra di tutti i suoi sentimenti naturali. «Io sono con te per proteggerti». Che esperienza preziosa di intimità e di presenza del divino nell’umano” (Epifanio Callego).
 
Vangelo
«Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista».
 
La morte cruenta di Giovanni Battista, uomo giusto e santo, fedele al suo mandato e messo a morte per la sua libertà di parola, fa presentire l’arresto e la condanna ingiusta di Gesù. Giovanni muore per la malvagità di una donna e la debolezza di un sovrano, ma la sua morte non è uno dei tanti fatti di cronaca che da sempre fanno parte della storia umana, è invece una Parola che Dio rivolge a tutti gli uomini: morire per la Verità è farsi discepolo del Cristo, ed è offrire la propria vita per la salvezza degli uomini: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando.” (Gv 15,12-14).
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 6,17-29
 
In quel tempo, Erode aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò».
E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto.
E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.

Parola del Signore.
 
La Chiesa non è opera d’un grande profeta, ma di Dio - José Maria González-Ruiz (Commento della Bibbia Liturgica): Lo storico giudaico Giuseppe Flavio narra, nel libro diciottesimo della sua «Archeologia giudaica», che Erode Antipa, per timore dei disordini politici che avrebbe potuto causare il movimento suscitato dal Battista, lo imprigionò nella fortezza di Macheronte, nel sud della Perea, dove lo fece decapitare. Il racconto del secondo vangelo riferisce evidentemente l’aspetto più soggettivo dell’avvenimento che Giuseppe Flavio racconta oggettivamente. Ecco dunque quello che diceva il popolo: quest’uomo di Dio è stato vittima della vendetta d’una donna irritata. Ha dovuto pagare con la morte il coraggio d’aver parlato chiaro ai grandi di questo mondo.
Del resto, il racconto è ricco delle inesattezze che sono caratteristiche delle storie trasmesse di bocca in bocca. La seconda moglie di Antipa, Erodiade, non aveva sposato Filippo, come dice Marco, ma un altro fratello del re, chiamato Erode, che per il resto non ebbe nulla a che vedere con questa storia. È anche possibile che questo Erode avesse il soprannome di Filippo; e, in questo caso, il nostro testo non sarebbe in contraddizione con quello che sappiamo da altre fonti.
Una cosa è sicura: la donna che vediamo ballare e che si chiama Salomè - come riferisce con maggior precisione Giuseppe Flavio, mentre i vangeli ne tacciono il nome - era figlia del primo matrimonio di Erodiade e divenne moglie di Filippo, fratello di Antipa, che regnò nel nord della Palestina fino all’anno 34. L’incertezza dei dati cronologici che abbiamo non consente di stabilire se essa era già sposata al momento della scena descritta. Nel nostro testo, è chiamata «ragazza», e pare che, al tempo della festa qui ricordata, avesse vent’anni.
Antipa aveva spinto Erodiade a lasciare suo fratello Erode e l’aveva sposata dopo essersi liberato della sua prima moglie, figlia del principe arabo Areta. Questo matrimonio era dunque il risultato d’un adulterio, anche se coperto dalle formalità giuridiche. In più, andava contro le prescrizioni della legge giudaica (Lv 18,16) secondo le quali il matrimonio fra cognati era invalido.
Perché l’evangelista ha inserito nel suo scritto questo vivace racconto popolare? In primo luogo, per mettere in rilievo l’atteggiamento ridicolo di quel discusso monarca, schiavo, da una parte, delle sue passioni, e dall’altra, interessato alla figura austera del Battista. In fin dei conti, quell’Erode era più coerente con se stesso che non i farisei benpensanti i quali collaboravano con lui, simulando un’estrema dignità morale.
In secondo luogo possiamo pensare che l’evangelista, inserendo questo racconto nel contesto teologico della proclamazione del regno di Dio (4,1-6.29), abbia voluto presentare lo scioglimento del gruppo del Battista per indicare che la comunità creata da Gesù era totalmente nuova, pur conservando la veneranda memoria del grande profeta scomparso.
 
Giovanni Battista - Alice Baum: Secondo il Nuovo Testamento è il precursore di Gesù. Consacrato a Dio sin dall’infanzia, fu destinato ad annunciare l’irruzione della signoria di Dio. La sua comparsa pubblica fu preceduta da una lunga permanenza “nel deserto”. Sono possibili relazioni con Qumran. Verso il 28 d.C. (Lc 3,1ss) è raggiunto dalla chiamata di Dio. Predica un battesimo per la remissione dei peccati ed esorta insistentemente alla conversione radicale, perché il giudizio di Dio è imminente. L’affluenza della gente è massiccia, molti si convertono e si fanno battezzare. Giovanni però è rifiutato nelle cerchie dei farisei e dei sacerdoti. Quando stigmatizza pubblicamente l’adulterio del re Erode, viene da questi arrestato e poi decapitato. Anche Giovanni, che dal popolo era considerato un profeta e che Gesù chiama il “più grande fra i nati di donna” dovette sperimentare la lotta interiore per la fede (Mt 11,2-6). Alcuni dei suoi discepoli seguirono Gesù, altri si fecero battezzare più tardi “nel nome di Gesù” (At 19,5). Un gruppo di discepoli di Giovanni, che vedevano nel Battista il messia, sopravvisse come setta fino al II sec. I brani neotestamentari sull’opera di Giovanni e sul suo rapporto con Gesù vanno compresi sullo sfondo della controversia della comunità cristiana con questi discepoli di Giovanni Se i discepoli del Battista potevano richiamarsi al fatto che Gesù si era fatto battezzare da Giovanni - secondo loro - e sottomettendosi in tal modo a lui, la chiesa replicava che lo stesso Giovanni non considerava se stesso messia, ma sviando da sé, indirizzava verso il più grande che doveva venire (Mc 1,7-8 par.), e che egli stesso proclamò espressamente Gesù come questo “più grande” (Mt 13,14; Gv 1,19.34).
 
Il martirio di san Giovanni Battista -  Messaggio e attualità - Enzo Lodi (I Santi del Calendario Liturgico): Le orazioni della Messa sono un richiamo alla grandezza di questo che «è il più grande fra i nati di donna» (cfr. prefazio) e che è chiamato pure «giusto e santo» (cfr. seconda antifona alle lodi).
a) Anzitutto nella colletta si sottolinea che «Dio ha dato al Cristo suo Figlio come precursore nella nascita e nella morte san Giovanni Battista». Questa tematica del martirio profetico è sviluppata nellomelia di san Beda, nell’ufficio di lettura, quando scrive: «Mentre predicando e battezzando offriva la testimonianza a lui che stava per nascere, che avrebbe predicato, che avrebbe battezzato, soffrendo per primo indicò che quegli pure avrebbe sofferto ... Riteneva cosa desiderabile, dopo aver reso manifesto il nome di Cristo, ricevere, assieme con la palma della vita eterna, la morte che per l’ordine immutabile della natura pendeva inevitabile sul suo capo». L’intercessione della colletta invoca «anche per noi da Dio, di impegnarci generosamente nella testimonianza del suo Vangelo, come egli immolò la sua vita per la giustizia e la verità». Queste due virtù sono dunque le insegne del grande testimone, come canta lo stesso Beda nell’inno dei vespri (quarta strofa): «Con il presagio del suo sangue, il Battista martire ha segnato la morte innocente di Cristo, con la quale è stata restituita la vita al mondo».
b) Nell’orazione sulle offerte, viene posto in rilievo l’annuncio della predicazione del Battista, chiedendo «a Dio che camminiamo sempre nella via della santità, che san Giovanni Battista proclamò con voce profetica nel deserto e confermo col suo sangue». L’antifona del Magnificat, ai vespri, ricorda l’umiltà di colui che ha affermato di non essere il Cristo, ma soltanto di essere stato inviato davanti a lui, perché «egli doveva diminuire davanti al Cristo che doveva crescere». La santità del profeta di Cristo, che nel deserto richiamava la voce di Isaia quasi per annunciare che tutto si stava per compiere con la venuta del Messia, è dunque un atto di verità totale, nella sua umiltà di precursore destinato a scomparire come una lucerna ardente e luminosa davanti alla verità splendente del sole (cfr. responsorio breve alle lodi).
c) L’orazione dopo la comunione sembra generica, perché chiede che nella venerazione del mistero celebrato possiamo «raccogliere con gioia il frutto di salvezza».
Ma di fatto il tema della gioia evoca il tema dell’antifona al Benedictus nelle lodi, cioè dell’amico dello sposo che ama ascoltarlo e gode per la voce dello sposo, perché in tale ascolto la sua gioia è piena. Anche per noi l’Eucaristia può essere un’esperienza di comunione intima e nuziale, dove attingiamo la gioia profonda di essere salvati.
d) Nel prefazio si riassumono i quattro eventi che hanno caratterizzato la missione del Precursore, profeta del giudice universale, che il quarto Vangelo ha fatto testimone del Messia. Anzitutto il concepimento e la nascita, come un preannunzio profetico immediato della gioia della redenzione. Poi il privilegio unico di indicare, solo fra tutti i profeti, l’Agnello del nostro riscatto. Inoltre il battesimo di Cristo nelle acque del Giordano, che diventa il protoevento simbolico dello stesso sacramento del battesimo, di cui Cristo è autore. Infine il sigillo della sua testimonianza a Cristo con l’effusione del sangue.
L’attualità per noi di tale martirio può essere colta nel collegamento inscindibile, posto da Gesù stesso nel Vangelo (Mc 10,38; Lc 12,50), fra il battesimo e la sua morte sacrificale per noi. Ora «il più grande dei profeti, il martire potente e il cultore dell’eremo, che non ha conosciuto la macchia del candido pudore», come canta la prima strofa dell’inno delle lodi (di Paolo Diacono), ci invita a vivere il nostro battesimo come un’offerta permanente di vita, fino al sacrificio di noi stessi.
 
Cipriano di Cartagine (Lettere, 12 [ai presbiteri e diaconi]): Si abbia grande cura e grandi attenzioni anche per i corpi di tutti coloro che, sebbene non torturati, in carcere giungono al glorioso passo della morte. Il loro valore infatti e il loro onore non sono troppo piccoli, perché anche essi non vengano annoverati fra i beati martiri. Per quanto fu in loro, sostennero tutto ciò che erano pronti e preparati a sostenere. Chi sotto gli occhi di Dio si è offerto ai tormenti e alla morte, ha sofferto tutto ciò che intendeva soffrire. Non furono essi che vennero meno ai tormenti, ma i tormenti vennero meno a loro. Chi mi confesserà davanti agli uomini, io lo confesserò davanti al Padre mio [Mt 10,32], dice il Signore: essi lo hanno confessato. Chi persevererà sino alla fine questi si salverà [Mt 10,22]; dice ancora il Signore: hanno perseverato, e hanno conservati integri e immacolati sino alla fine i loro meriti e il loro valore. Sta scritto ancora: Sii fedele sino alla morte, e ti darò la corona della vita [Ap 2,10]: sono giunti fino alla morte fedeli, saldi e inespugnabili. Quando alla nostra volontà e alla nostra confessione di fede si aggiunge anche la morte in carcere e tra i ceppi, allora la gloria del martirio è perfetta. Perciò prendete nota del giorno in cui essi ci lasciano, perché ci sia dato di celebrare il loro ricordo tra le memorie dei martiri.
 
Il Santo del Giorno - 29 Agosto 2025 - Martirio di Giovanni Battista. Il coraggio di affrontare la prepotenza del mondo: Giovanni Battista è l’icona del coraggio dei cristiani, che non temono la prepotenza del mondo, forti dell’annuncio del Regno di Dio portato prima dai profeti e poi da Cristo. Eppure anche i battezzati non possono non riconoscersi in Erode Antipa, che ascoltava Giovanni ma restava sempre perplesso. A vincere le resistenze è il martirio del cugino di Gesù, ultimo dei profeti e primo degli apostoli. La storia è nota: il re si sentì minacciato dal Battista, che lo accusò di aver compiuto un atto illecito sposando Erodiade, moglie di suo fratello. Erode lo imprigionò a Macheronte ma in qualche modo continuava a sentirne il fascino. A eliminare il “pericolo” ci pensò la stessa Erodiade che, alla festa di compleanno del sovrano, spinse la figlia, che aveva ammaliato Erode con la sua danza, a chiedere la testa di Giovanni, ottenendola. «Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista», fu la richiesta. «Il re si rattristò - annota il Vangelo di Matteo -, ma a motivo del giuramento e dei commensali lo mandò a decapitare». (Avvenire)
 
O Dio, che ci hai riuniti alla tua mensa
nel glorioso ricordo
del martirio di san Giovanni Battista,
donaci di venerare con fede viva
il mistero che abbiamo celebrato
e di raccoglierne con gioia il frutto di salvezza.
Per Cristo nostro Signore.