24 Luglio 2025
Giovedì XVII Settimana T. O.
Es 19,1-2.9-11.16-20b; Salmo Responsoriale Dn 3,52-56; Mt 13,10-17
Colletta
Sii propizio a noi tuoi fedeli, o Signore,
e donaci in abbondanza i tesori della tua grazia,
perché, ardenti di speranza, fede e carità,
restiamo sempre vigilanti nel custodire i tuoi comandamenti.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Papa Leone XIV - (Udienza generale, 21 maggio 2025): Continuiamo oggi a meditare sulle parole di Gesù che ci aiutano a ritrovare la speranza perché ci mostrano come Dio opera nella storia. Possiamo riconoscere il modo di comunicare di Gesù che ha tanto da insegnarci per l’annuncio del Vangelo oggi. Ogni parabola racconta una storia che è presa dalla vita di tutti i giorni, eppure vuole dirci qualcosa in più, ci rimanda a un significato più profondo. La parabola fa nascere in noi delle domande, ci invita a non fermarci all’apparenza. Davanti alla storia che viene raccontata o all’immagine che mi viene consegnata, posso chiedermi: dove sono io in questa storia? Cosa dice questa immagine alla mia vita? Il termine parabola viene infatti dal verbo greco paraballein, che vuol dire gettare innanzi. La parabola mi getta davanti una parola che mi provoca e mi spinge a interrogarmi.
Prima Lettura: La Bibbia di Navarra: 19,1-2. La precisazione cronologica (v. 1) è una delle tracce della «tradizione sacerdotale», se incline a fissare simbolicamente le date (cfr 16,1 e 17,1).
I tre mesi definiscono una prima tappa assai breve, se paragonata alla lunga permanenza nel Sinai: in questo modo, anche il tempo è segno dell’importanza religiosa degli avvenimenti.
La descrizione della solenne liturgia intesa a porre in risalto la maestà e la trascendenza di Dio. E possibile distinguervi la preparazione (vv. 10-15) e il grandioso evento (vv. 16-20).
La preparazione è minuziosa: purificazioni rituali durante i giorni precedenti, abluzioni e quanto favorisce le disposizioni dei partecipanti, compreso il divieto dei rapporti sessuali (cfr Lv 15,16ss.), in segno di accoglienza esclusiva del Signore che fa visita a Israele, D’altra parte, la delimitazione di spazi per il popolo è una maniera icastica per insegnare la trascendenza di Dio. Con la venuta di Cristo, Dio fatto uomo, non vi saranno più limiti di separazione.
La manifestazione di Dio avvenne il terzo giorno. II fumo, il fuoco, il tremore della montagna , sono segni esteriori della presenza di Dio come padrone della natura.
Il suono della tromba tre volte (vv. 16.19), la marcia degli sraeliti alle falde della montagna e la lor posizione in piedi sono elementi che conferiscono rilievo liturgico al riconoscimento del Signore quale unico sovrano. Tutti questi dati e la voce di Dio in mezzo al tuono rendono l’idea che la tempesta sopraggiunta era un fatto unico, perché ciò che stava avvenendo, la speciale presenza del Signore sul monte Sinai, era anch’esso un evento irripetibile.
Israele non dimenticherà mai questa esperienza religiosa, così come è incisa nel salterio (cfr Sal 17,8-9; 28,3-4; 76,17-18; 96,2ss.). Anche nel Nuovo Testamento le manifestazioni divine straordinarie conserveranno l’eco di questa teofania sinaitica (cfr Mt 27,45.51; At 2,24).
Vangelo
A voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato.
Gesù “insegnò molte verità per mezzo di parabole, cioè di brevi racconti che potevano essere interpretati a due livelli, uno superficiale e uno più profondo. Esse gli servivano per selezionare i suoi seguaci, per scoprire chi andava a lui solo perché attratto dai miracoli e chi desiderava realmente capire il suo insegnamento. I primi si accontentavano di ascoltare il racconto, i secondi erano preparati ad andare più a fondo e gli chiedevano di spiegarne il significato. Tanti fraintendevano la natura del suo regno - anche tra i discepoli -, per questo occorreva chiarirne loro un punto alla volta.” (Guida alla Bibbia, Ed. Paoline). L’affermazione di Isaia, udrete sì, ma non comprenderete, guarderete sì, ma non vedrete, va intesa come un indurimento volontario e spiega il ritiro della grazia. La cecità spirituale non è un castigo di Dio o sua opera, ma libera scelta dell’uomo, la volontà di Dio è che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità (1Tm 2,4).
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 13,10-17
n quel tempo, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?».
Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono.
Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice:
“Udrete, sì, ma non comprenderete,
guarderete, sì, ma non vedrete.
Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,
sono diventati duri di orecchi
e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi
e non comprendano con il cuore
e non si convertano e io li guarisca!”.
Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!
Parola del Signore.
Wolfgang Trilling (Vangelo secondo Matteo): La risposta di Gesù: A voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato, è facile a capirsi. Si parla di misteri, di segreti. Che il regno di Dio sia reale non significa che sia facile da cogliere, perché non s’impone né costringe l’uomo. È un mistero che viene conosciuto soltanto da chi ascolta con buona volontà. Certo, Gesù chiama tutti, nessuno escluso; la sua parola si rivolge senza distinzione a ogni categoria di persone. Ma è la diversità del terreno che decide se essa verrà accolta o rifiutata, se potrà mettere radici e portar frutto o invece abbia a guastarsi subito o con il passare del tempo.
Ma c’è di più. Non viene detto che cosa siano questi segreti, questi misteri del regno di Dio. Nel presente contesto viene da pensare che si alluda all’interpretazione della parabola, e il capitolo contiene due di queste spiegazioni (13, 18-23; 13, 36-43). Questi testi hanno evidentemente un ruolo molto importante per Matteo e per il suo modo di intendere il capitolo nel suo insieme. Tutte e due le volte si sottolinea che la spiegazione viene confidata soltanto ai discepoli: «Voi dunque intendete la parabola del seminatore» (13, 18); più avanti leggiamo: «Gesù lasciò la folla ed entrò in casa» (13, 36).
Queste spiegazioni servono a presentare il vero contenuto dei racconti; la realtà a cui si riferiscono viene comunicata soltanto a coloro che sono aperti al messaggio di Gesù, cioè ai suoi «discepoli». Il rapporto fra parabola e spiegazione appare così un rapporto fra catechesi preparatoria e catechesi vera e propria. Anche nella frase conclusiva del capitolo si legge che il vero scriba è istruito sul regno dei cieli e, in quanto tale, assomiglia a un padrone di casa (13, 52). L’iniziato, l’istruito, il discepolo di Gesù conosce il regno di Dio, cioè i suoi misteri, la sua autentica realtà.
I vv. 16-17 ci portano più avanti: i discepoli vengono dichiarati beati perché vedono e ascoltano; nel presente contesto significa che essi vedono e ascoltano nel modo giusto. Ciò che essi vedono e ascoltano è la persona e la parola di Gesù: il mistero più profondo del regno di Dio è contenuto nella sua parola e nella sua persona e non in un insegnamento dottrinale o nella spiegazione di una parabola. Questo mistero centrale si è illuminato davanti ai loro occhi ed è entrato nei loro cuori. Essi possono e devono sentirsi «discepoli», perché ad essi, nella persona del Maestro, si è dischiuso il regno di Dio. Nasce così necessariamente anche la distinzione fra i discepoli, che lo seguono e comprendono, e le folle che restano fuori e non comprendono.
Per noi è duro ascoltare ciò che segue: «A voi è dato ... ma a loro non è dato». C’è qui un ultimo mistero, non chiarito neppure da questa frase, il mistero della chiamata, dell’elezione in merito alla quale l’uomo non può dare alcuna spiegazione. Questo mistero si trova racchiuso solo in Dio, nella sua volontà assolutamente sovrana, e non spetta all’uomo chiedergli una spiegazione o pretenderne il rendiconto. Certo, a colui che ascolta con buona volontà è aperta la possibilità di portar frutto, ma questa non è la conseguenza necessaria di un presupposto, quasi che l’uomo potesse contarvi o addirittura avanzare delle pretese, una volta adempiuta la condizione. Anche allora la conoscenza del regno di Dio e l’essere accolto fra i discepoli rimane un mistero di Dio; anche allora elezione e grazia rimangono un puro dono. «Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia» (Es 33, 19).
Le parole raggiungono il cuore, la comprensione delle parabole è alla portata di tutti, ma non tutti comprendono perché maldisposti. Questa è l’amarezza che tracima dal cuore di Gesù. Vedere immense turbe di uomini alla deriva perché volutamente si sono fatte sorde alla Parola, hanno chiuso deliberatamente il loro cuore alla grazia, hanno messo pesanti e scure lenti sugli occhi per non vedere la Luce. E pensare che molti profeti e molti giusti desiderarono vedere ciò che le folle guardavano, e ascoltare ciò che esse ascoltavano. Ma non è un capitolo chiuso, da delimitare all’esperienza terrena di Gesù, anche oggi, povera Europa che ha rigettato le radici cristiane!, in mezzo a noi vi sono innumerevoli sordi e ciechi, e forse lo siamo anche noi, sordi al Vangelo ma con le orecchie ben aperte all’affascinante tintinnio del denaro, ciechi alla Luce ma ben occhiuti a guardare e a mirare spettacoli osceni e perversamente immorali. E non pensiamo che tutto questo sia solo amaro retaggio del povero mondo, ma anche nella Chiesa, nelle comunità cristiane, alligna il vezzo di seguire “idoli inutili, che non aiutano” (Ger 2,11.8). Anche noi spesso abbiamo abbandonato il Signore “sorgente di acqua viva e ci siamo scavati cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua” (cfr. Ger 2,13). La parola di Gesù è un invito alla conversione perché siamo diventati duri di orecchi e ciechi, e non basta gridare “misericordia, misericordia”; serve a nulla o a poco, se l’uomo non prende coscienza del suo peccato, e faccia nascere rigogliosamente nel suo cuore il desiderio di abbandonare i traviamenti e le depravazioni, se non mette in atto il proposito di convertirsi e di ritornare nella casa del Padre. La perdita del senso del peccato è quello che ha reso gli uomini sordi e ciechi, perdendo il senso del peccato gli uomini hanno smarrito la Via, perdendo il senso del peccato gli uomini hanno cassato violentemente Dio dalla loro esistenza, “se si elimina Dio dall’orizzonte del mondo, non si può parlare di peccato. Come quando si nasconde il sole, spariscono le ombre; l’ombra appare solo se c’è il sole; così l’eclissi di Dio comporta necessariamente l’eclissi del peccato. Perciò il senso del peccato - che è cosa diversa dal “senso di colpa” come lo intende la psicologia - si acquista riscoprendo il senso di Dio” (Benedetto XVI, Angelus, 13 Marzo 2011). Facciamoci allora raggiungere dalla beatitudine tutta cristiana dell’eterna salvezza aprendo le orecchie del cuore alla Parola di Dio, e spalancando gli occhi dell’anima alla luce della Verità.
Guardare ma non vedere: «Gesù ha pronunciato queste parole con l’intento di attirare a sé i suoi ascoltatori e di sollecitarli assicurando che, se si rivolgeranno a lui, egli li guarirà. È come se qualcuno dicesse: non ha voluto vedermi e io gli faccio ugualmente grazia; se infatti egli si degnasse di guardarmi, io sarei disposto a cedere immediatamente. E dichiarando questo, mostra di essere pronto alla riconciliazione. Così Gesù, con le parole “per paura di convertirsi e che io li risani”, mostra loro che possono convertirsi e che, pentendosi, si salvano; vuol far capire inoltre che egli compie ogni cosa non per la sua gloria, ma per la loro salvezza. Se non volesse che i giudei ascoltando si salvino, tacerebbe senza proporre loro queste parabole. Ma è proprio parlando con espressioni che adombrano un significato più profondo, che egli si sforza di sollecitare in loro il desiderio di intendere quanto sotto di esse si nasconde. Noi sappiamo infatti che “Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva”» (Giovanni Crisostomo, Commento al vangelo di Matteo 45, 1-2).
Santo del giorno - 24 Luglio 2025 - Santa Cristina di Bolsena, vergine e Martire: Le varie versioni della «Passio» di Cristina sono discordanti. Quelle greche la dicono originaria di Tiro, le latine di Bolsena. A suffragare questa seconda ipotesi sta il fatto che nella cittadina laziale - di cui la santa è patrona - fin dal IV secolo si è sviluppato un cimitero sotterraneo intorno al sepolcro di una martire Cristina. Il racconto della «Passio» è considerato favoloso e narra di una undicenne che il padre fece rinchiudere in una torre con dodici ancelle per preservarne la bellezza. In realtà questa misura venne adottata dal genitore, di nome Urbano, ufficiale dell’imperatore, per costringere la figlia ad abiurare la fede che aveva abbracciato: il cristianesimo. Alla morte del padre - che già aveva fatto più volte torturare la figlia, pur di farla ritornare agli antichi culti - le autorità si accanirono ancora di più su di lei, mettendola a morte. (Avvenire)
Assisti con bontà il tuo popolo, o Signore,
e poiché lo hai colmato della grazia di questi santi misteri,
donagli di passare dall’antica condizione di peccato
alla pienezza della vita nuova.
Per Cristo nostro Signore