8 Marzo 2025
 
Sabato dopo le Ceneri
 
Is 58,9b-14; Salmo Responsoriale Dal Salmo  85 (86); Lc 5,27-32
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
guarda con paterna bontà la nostra debolezza,
e stendi la tua mano potente a nostra protezione.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Gesù vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì: Benedetto XVI (Udienza Generale, 30 agosto 2006): [...] Gesù accoglie nel gruppo dei suoi intimi un uomo che, secondo le concezioni in voga nell’Israele del tempo, era considerato un pubblico peccatore. Matteo, infatti, non solo maneggiava denaro ritenuto impuro a motivo della sua provenienza da gente estranea al popolo di Dio, ma collaborava anche con un’autorità straniera odiosamente avida, i cui tributi potevano essere determinati anche in modo arbitrario. Per questi motivi, più di una volta i Vangeli parlano unitariamente di “pubblicani e peccatori” (Mt 9,10; Lc 15,1), di “pubblicani e prostitute” (Mt 21,31).
Inoltre essi vedono nei pubblicani un esempio di grettezza (cfr. Mt 5,46: amano solo coloro che li amano) e menzionano uno di loro, Zaccheo, come “capo dei pubblicani e ricco” (Lc 19,2), mentre l’opinione popolare li associava a “ladri, ingiusti, adulteri” (Lc 18,11). Un primo dato salta all’occhio sulla base di questi accenni: Gesù non esclude nessuno dalla propria amicizia. Anzi, proprio mentre si trova a tavola in casa di Matteo-Levi, in risposta a chi esprimeva scandalo per il fatto che egli frequentava compagnie poco raccomandabili, pronuncia l’importante dichiarazione: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati: non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori” (Mc 2,17). Il buon annuncio del Vangelo consiste proprio in questo: nell’offerta della grazia di Dio al peccatore!
 
Prima Lettura: Il profeta Isaia ci fa conoscere quali opere sono veramente gradite a Dio. La carità deve animare ogni opera penitenziale e deve essere il suo fine: dobbiamo amare i nostri fratelli compiendo sinceri atti di giustizia e di carità; e dobbiamo amare Dio, rendendogli l’onore e la gloria, con il rispetto anche e sopra tutto accogliendo con gioia la sua paternità amorevole mettendo tutto nelle sue mani.
 
Vangelo
Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano.
 
Gesù è venuto a portare salvezza: la sua salvezza è per tutti. E a sottolinearlo è la chiamata di Matteo-Levi unanimemente considerato un peccatore pubblico. Chi si crede a posto con Dio, chi pone sicurezza e vanto nelle sue opere, rischia di diventare sordo e non udire la voce di Dio che lo chiama a salvezza.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 5,27-32
 
In quel tempo, Gesù vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!».
Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì.
Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa.
C’era una folla numerosa di pubblicani e d’altra gente, che erano con loro a tavola.
I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: «Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Gesù rispose loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano».
 
Parola del Signore.
 
Lo scandalo - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Luca): I farisei hanno una triplice occasione per scandalizzarsi di Gesù. Egli infatti chiama un pubblicano alla sua sequela, a seguirlo particolarmente da vicino. Quindi: scelta e missione.
Questo pubblicano, però, a motivo del suo ufficio, è immerso nel denaro e di conseguenza ha scarsa sensibilità spirituale e religiosa. È poi quasi necessitato ad ingannare gli altri perché gli torni il conto e possa farvi il guadagno necessario. Ed infine è costretto ad avere rapporto con i non giudei; è esposto quindi al pericolo del contagio antireligioso o pagano. In tutte le occoccasioni è continuamente esposto a contrarre impurità legali, venendo in stretto contatto con persone estranee alla legge. Come può scegliiere un tale uomo?
C’è poi una seconda occasione. Questo pubblicano per manifestare la gioia di essere stato chiamato e per congedarsi dagli amici, imbandisce un gran banchetto. La sua casa è piena la di colleghi. Gesù e i discepoli stanno in mezzo a questi pubblicani e peccatori, seggono con loro a tavola, chiacchierano e banchettano con loro con perfetta tranquillità. Come può un maestro religioso d’Israele osare una cosa del genere?
A questo rimprovero in apparenza giusto, Gesù, lungi dallo scolpare se stesso e i discepoli, rileva invece che Egli è venuto a chiamare i peccatori e non i giusti. Questo contraddice in pieno alla mentalità farisaica.
I farisei si considerano come dei segregati, perché vogliono vivere una vita particolarmente austera. Vogliono essere santi, senza avere nulla che fare con i non santi. Per delicatezza di coscienza, schivano ogni contatto con quelli che non prendono sul serio la legge. Essi sono radicali che non ammettono nessun compromesso; tanto così integralisti che non hanno nulla che fare con le mezze misure.
Di conseguenza pensano che se Gesù prende sul serio la santità debba chiamare di preferenza loro, che sono santi, e non i pubblicani, che sono empi. Si comprende il loro scandalo. Non si può infrangere con semplicità ogni barriera ed entrare in relazione con questa «canaglia», Rabbi Hillel ha scritto: «Non c’è nessun uomo di scarsa cultura che tema il peccato, nessun uomo del popolo che sia pio».In Giovanni (7,49), un fariseo parla di «gente maledetta che non comprende la legge». Ora è proprio con questa canaglia, con questa plebaglia che si intrattengono i discepoli di Gesù e il Maestro stesso.
Per la difesa della vera pietà e per il rispetto alla santità non ci si può allontanare da questa scena che con sdegno. Così pensano i farisei.
 
Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori? - Javer Pikaza (Commento della Bibbia Liturgica): Mangiare insieme era in quel tempo, il segno più profondo e più prezioso di amicizia c di comunione non solo a livello semplicemente umano, ma anche sul piano religioso. Perciò i giudei evitavano, nei conviti, il contatto con i membri peccatori del loro popolo. Gesù tenne un comportamento. diverso: non solo chiamò Levi, il pubblicano, non solo offrì il perdono a quelli che erano i peccatori di allora, ma li accolse nella sua amicizia e sedette a tavola con loro. Per quanto il suo atteggiamento ci sembri umano, per quanto il suo gesto possa essere considerato misericordioso, agli occhi d’Israele fu motivo di scandalo. Gesù si è messo al posto di Dio, portando il segno della sua grazia e della sua comunione agli uomini perduti, ai colpevoli di questa terra.
Ricordiamo che questi banchetti con i peccatori sono un segno e un’anticipazione della festa del banchetto pieno (il regno); in essi si è resa visibile la nota peculiare del messaggio di Gesù, cioè l’offerta del perdono e l’inaugurazione d’un nuovo tipo di relazioni con Dio e col prossimo («sono venuto a chiamare i peccatori»). Per tutto questo, i giudei che hanno portato Gesù fino al Calvario accusandolo di bestemmia (rompere l’ordine stabilito da Dio sulla terra), lo hanno compreso meglio di coloro che, nel suo messaggio, hanno visto solo una specie di bontà universale e di affetto sentimentale fra gli uomini.
Ricordiamo, in fine, che tutto il testo è formulato in una prospettiva ecclesiale: i giudei accusano i discepoli di Gesù, cioè i cristiani, di mangiare con i pubblicani e con i peccatori. Questo significa che l’atteggiamento di Gesù è continuato nella Chiesa e si è trasformato, per essa, in segno di novità e di grazia. Io mi chiederei semplicemente: Si può rivolgere quella vecchia accusa ai cristiani di oggi? I cristiani sono caratterizzati dal fatto che rompono tutte le barriere creando fraternità e comunione (mangiando) con gli uomini più dimenticati della terra? Più ancora, si potrebbe lanciare quella vecchia accusa a ciascuno di noi? Forse Gesù non ha bisogno di difenderci come difendeva i suoi primi discepoli (5.31), perché abbiamo preferito abbandonare la sua via.
 
Gesù ed i peccatori - Stanistals Lyonnet (Dizionario di Teologia Biblica): a) Fin dall’inizio della catechesi sinottica vediamo Gesù in mezzo ai peccatori. Egli infatti è venuto per essi, non per i giusti (Mc 2,17). Servendosi del vocabolario giudaico dell’epoca, egli annunzia loro che i loro peccati sono «rimessi ». Non già che, assimilando in tal modo il peccato ad un «debito», anzi, usandone talvolta il termine (Mt 6,12; 18,23 ss), egli intenda suggerire che esso poteva essere perdonato con un atto di Dio che non avrebbe richiesto la trasformazione dello spirito e del cuore dell’uomo. Al pari dei profeti e di Giovanni Battista (Mc 1,4), Gesù predica la conversione, un mutamento radicale dello spirito che ponga l’uomo nella disposizione di accogliere il favore divino, di lasciarsi manovrare da Dio: «Il regno di Dio è vicino: pentitevi e credete alla buona novella» (Mc 1,15). Per contro, dinanzi a chi rifiuta la luce (Mc 3,29 par.) o immagina di non aver bisogno di perdono, come il fariseo della parabola (Lc 18,9ss), Gesù rimane impotente.
b) Perciò, come già i profeti, egli denunzia il peccato dovunque si trovi, anche in coloro che si credono giusti perché osservano le prescrizioni di una legge esterna. Infatti il peccato è dentro il cuore, donde «escono i disegni perversi: fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, frodi, lascivia, invidia, diffamazione, orgoglio, stoltezza; sono tutte queste cose cattive che escono dal di dentro e contaminano l’uomo» (Mc 7,21ss par.). E questo perché egli è venuto «a portare a compimento la legge» nella sua pienezza, ben lungi dall’abolirla (Mt 5,17); il discepolo di Gesù non può accontentarsi della «giustizia degli scribi e dei farisei» (5,20); senza dubbio la giustizia di Gesù si riduce in definitiva al solo precetto dell’amore (7,12); ma il discepolo, vedendo agire il suo maestro, conoscerà a poco a poco quel che significhi «amare» e correlativamente ciò che è il peccato, rifiuto d’amore.
c) Lo conoscerà specialmente sentendo Gesù che gli rivela l’inconcepibile misericordia di Dio per il peccatore.
Pochi passi del NT meglio della parabola del figliuol prodigo o piuttosto del padre misericordioso (Lc 15,11ss), cosi vicina d’altronde all’insegnamento profetico, manifestano in qual senso il peccato è un’offesa di Dio e quanto sarebbe assurdo concepire un perdono di Dio che non comportasse il ritorno del peccatore.
Al di là dell’atto di disobbedienza che si può supporre - benché il solo fratello maggiore vi faccia allusione per opporlo alla sua propria obbedienza (v. 29 s) -, ciò che ha «contristato» il padre è la partenza del figlio suo, la volontà di non essere più figlio, di non più permettere al padre di amarlo efficacemente: ha «offeso» il padre privandolo della sua presenza di figlio. Come potrebbe «riparare» questa offesa se non col suo ritorno, accettando nuovamente di essere trattato come un figlio? Perciò la parabola sottolinea la gioia del padre. Escluso un simile ritorno, non si potrebbe concepire alcun perdono; o meglio, il padre aveva perdonato da sempre; ma il perdono non raggiunge efficacemente il peccato del figlio se non nel ritorno e mediante il ritorno di questi.
 
Il Medico delle nostre passioni: “Questo nuovo antidoto l’ha procurato un nuovo Maestro. Non è germogliato dal terreno; infatti, nessuna creatura aveva potuto prevedere come sarebbe stato preparato. Venite, voi tutti che siete incorsi nelle contrastanti passioni dei peccati, adoperate questo antidoto venuto da lontano, col quale si espelle il veleno del serpente, e che non solo fece sparire la piaga delle passioni, ma estirpò anche la causa della terribile ferita... Ascoltatemi, uomini fatti di terra, che nutrite ebbri pensieri con i vostri peccati. Anch’io, come Levi, ero piagato dalle vostre stesse passioni. Ho trovato un Medico, il quale abita in Cielo e diffonde sulla terra la sua medicina. Lui solo può risanare le mie ferite, perché non ne ha di proprie. Lui solo può cancellare il dolore del cuore, il pallore dell’anima, perché conosce i mali nascosti” (Ambrogio, In Luc., 5,19.27).
 
Il Santo del giorno - 8 Marzo 2025 - San Giovanni di Dio, Religioso e Fondatore: Nato a Montemoro-Novo, poco lontano da Lisbona, nel 1495, Giovanni di Dio - allora Giovanni Ciudad - trasferitosi in Spagna, vive una vita di avventure, passando dalla pericolosa carriera militare alla vendita di libri. Ricoverato nell’ospedale di Granada per presunti disturbi mentali legati alle manifestazioni “eccessive” di fede, incontra la drammatica realtà dei malati, abbandonati a se stessi ed emarginati e decide così di consacrare la sua vita al servizio degli infermi. Fonda il suo primo ospedale a Granada nel 1539. Muore l’8 marzo del 1550. Nel 1630 viene dichiarato Beato da Papa Urbano VII, nel 1690 è canonizzato da Papa Alessandro VIII. Tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900 viene proclamato Patrono degli ammalati, degli ospedali, degli infermieri e delle loro associazioni e, infine, patrono di Granada. (Avvenire)
 
O Signore, che ci hai nutriti alla tua mensa,
fa’ che il sacramento celebrato in questa vita
sia per noi pegno di salvezza eterna.
Per Cristo nostro Signore.