XXXIII Domenica Tempo Ordinario
Dn 12,1-3; Salmo Responsoriale Dal Salmo 15 (16); Eb 10,11-14.18; Mc 13,24-32
accresci in noi la fede, ravviva la speranza
e rendici operosi nella carità,
mentre attendiamo
la gloriosa manifestazione del tuo Figlio.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria - Giovanni Paolo II (Omelia, 14 novembre 1982): Il “mondo” mostra quotidianamente all’uomo l’ineluttabilità del morire. Contemporaneamente vuole chiuderlo, in un certo senso, nei limiti della vita che passa insieme con lui. La Parola del Dio Vivente dimostra all’uomo medesimo la prospettiva della vita che non passa: “Mi indicherai il sentiero della vita, / gioia piena nella tua presenza, / dolcezza senza fine alla tua destra” [Sal 15 [16],11]. Nella stessa prospettiva della vita che non passa, sta oggi davanti a noi Cristo, quale unico ed eterno sacerdote: il mediatore tra il tempo e l’eternità, tra l’uomo e Dio. Nella lettera agli Ebrei leggiamo: Gesù Cristo “avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso alla destra di Dio, aspettando ormai soltanto che i suoi nemici vengano posti sotto i suoi piedi” (Eb 10,12-13). Sappiamo che la vittoria nella lotta tra il bene e il male è stata riportata mediante la Croce. Cristo ha vinto con il sacrificio. E il suo sacrificio sulla Croce per i peccati dura. Non passa, così come non passa la sua parola. Nel raggio di questo Sacrificio si svolge la storia dell’umanità e la storia di ogni uomo. “Poiché con un’unica oblazione egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati” (Eb 10,14). Il Sacrificio di Cristo porta in sé la speranza della vittoria definitiva del bene sul male: sul peccato, sulla sofferenza e sulla morte. Esso ci mostra la “via della vita”. Il mondo cammina verso il suo termine. Quanto al giorno della fine, nessuno lo conosce, “neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre” (Mc 13,32). Alla luce delle parole dell’odierno Vangelo, questa “fine” o “termine” non chiude la storia dell’uomo, ma l’apre nella dimensione definitiva, l’apre mediante il Figlio dell’uomo, mediante la seconda venuta di Cristo. “Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria” (Mc 13,26). Egli verrà per riunire “i suoi eletti dai quattro venti” (Mc 13,27): coloro che sono maturati mediante la verità della sua parola e la potenza della sua Croce.
I Lettura: Questa pagina di Daniele è uno dei testi dell’Antico Testamento più significativi sulla resurrezione della carne. Il libro della vita, nel sentire comune e nella letteratura antica, era il libro divino dove venivano segnati i predestinati (cf. Es 32,32-33; Sal 69,29; Sal 139,16; Is 4,3; Dn 7,10; Lc 10,20; Ap 20,12). Una contabilità necessaria nel giorno del giudizio universale: infatti, chi non sarà trovato scritto nel libro della vita sarà gettato nello stagno di fuoco (cf. Ap 20,15). Coloro che avranno indotto alla giustizia sono i «maestri di giustizia». Per loro è riserbato un destino di gloria.
II Lettura: Il sacrificio consumato da Cristo è unico ed irrepetibile. Seduto alla destra del Padre, Gesù aspetta «ormai solo che i suoi nemici vengano posti sotto i suoi piedi» e l’ultimo «nemico ad essere annientato sarà la morte» (1Cor 15,26). Il cristiano in virtù dell’oblazione del Cristo è già perdonato e riconciliato col Padre e in virtù del Battesimo è già santo, ma nella sua carne non potrà non sentire il pungolo del peccato: «Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rom 7,18-19).
Sembra che il brano marciano voglia riferirsi esclusivamente alla rovina di Gerusalemme. Inoltre, numerosi critici credono che questa pagina di Marco si sia ispirata a Daniele. I prodigi cosmici, le persecuzioni, i disastri e i cataclismi servono nel linguaggio tradizionale dei profeti a descrivere i potenti interventi di Dio nella storia. Per la Bibbia di Gerusalemme, niente impone «di applicarli alla fine del mondo, come si fa spesso a causa del contesto in cui sono stati inseriti da Matteo [cf. Mt 24,1]». Comunque, nulla vieta di pensare che Gesù annunci un fatto storico più o meno prossimo, intendendo per suo mezzo di annunciarne altri più lontani nel tempo. Così l’imminente distruzione del tempio e di Gerusalemme è preludio della fine delle cose. Il primo evento è segno e pegno degli altri.
La parusia - Giuseppe Barbaglio (Parusia in Schede Bibliche): Nell’Antico Testamento il libro di Daniele aveva annunciato la venuta gloriosa del Figlio dell’uomo. Si trattava di una figura celeste e regale. Da Dio avrebbe ricevuto un regno eterno (Dan 7,13-14). Il Nuovo Testamento scopre l’identità tra il Figlio dell’uomo di Daniele e dell’apocalisse giudaica e la persona di Cristo. Alla fine della storia Gesù si ammanterà di gloria, si rivelerà come re maestoso, apparirà circondato dai santi e dagli angeli che formeranno la sua corte celeste. Le descrizioni fantastiche di Matteo e di Marco non vogliono significare altro (Mt 25,31; Mc 13,26). La tradizione cristiana più antica è testimoniata dalle prime lettere di Paolo (1Tess 4,16; 2Tess 1,6). L’apostolo Pietro trova nella gloriosa trasfigurazione di Gesù sul monte un segno profetico dell’apparizione gloriosa del Signore nell’ultimo giorno (2 Pt 1,16). L’accento è posto sulla gloria, la maestà, lo splendore celeste della apparizione di Cristo alla fine. Il contrasto con la prima venuta in terra è evidente. Il Verbo si era fatto carne (Gv 1,14). Lo splendore della divinità era nascosto dall’umanità fragile, debole, mortale di Gesù di Nazareth. Gesù era il Figlio di Dio diventato in tutto uguale agli uomini, di cui aveva assunto l’aspetto servile (Fil 2,7-8). La gloria divina della sua persona era apparsa, per un istante, sulla montagna della trasfigurazione. Nella risurrezione Dio Padre lo aveva glorificato e lo aveva costituito messia e Signore (Atti 2,36). La fine dei tempi rivelerà davanti a tutti, in forma ufficiale, la gloria divina di Gesù. La sua regalità, acquisita nella risurrezione, sarà proclamata e realizzata pienamente. Gesù apparirà come il Figlio dell’uomo, intronizzato re messianico dal Padre. La storia della rivelazione divina si concluderà nella manifestazione chiara di Cristo alla fine (1Tim 6,14-15). Il tutto, però, non riguarda esclusivamente Cristo.Egli non è separato dai suoi, anzi vi è unito indissolubilmente. La glorificazione regale del Signore è accompagnata dalla rivelazione gloriosa dei santi. La fine dei tempi è manifestazione cristologica e, insieme, ecclesiologica. La Chiesa di Cristo parteciperà alla gloriosa apparizione del suo Signore. Il popolo santo sarà glorificato, insieme con il suo messia. Già il libro di Daniele parlava di «santi dell’Altissimo», beneficiari del Regno. La figura del figlio dell’uomo non è separata dal popolo di Dio (Dan 7,27). La tradizione evangelica conosce l’entrata delle vergini sagge nella sala delle nozze dello sposo (Mt 25,1-13). La grandiosa pagina del giudizio finale è significativa (Mt 25,34). Le lettere ai Tessalonicesi notano la partecipazione dei credenti alla glorificazione di Cristo. Neppure la morte toglierà loro la possibilità di prender parte alla grande festa della venuta maestosa e trionfale del Signore (1Tess 4,15-17; 2Tess 1,6ss.). L’apostolo Paolo si dice certo di ricevere la corona del trionfo dalle mani del Signore che ritornerà; e con lui saranno coronati i fedeli (2Tim 4,8; cf. 1Pt 5,4). La prima lettera di Pietro mette in rapporto causale la partecipazione alle sofferenze di Cristo e la partecipazione alla sua gloria finale (1Pt 4,13). Il rapporto sofferenze-gloria non è di perfetta uguaglianza: Paolo afferma che c’è sproporzione a favore della gloria: questa sarà assai superiore alle sofferenze (Rom 8,17-18). Sempre in forza del parallelismo Cristo-cristiano l’apostolo parla della rivelazione gloriosa dei cristiani in unione alla rivelazione gloriosa di Cristo (Col 3,3-4). Il tema porta, infine, alle due immagini celebri della Chiesa vista da Giovanni nell’Apocalisse come Gerusalemme celeste e come sposa adorna per le nozze (Ap 21,2.9-12). Alla fine dei tempi, insieme con Cristo, anche il popolo messianico avrà la sua rivelazione di gloria. Apparirà nello splendore di popolo purificato dal sangue del suo Signore e santificato dal suo Spirito. La sposa di Cristo risplenderà bella e immacolata, senza macchia né ruga (Ef 5,27).
Quanto però a quel giorno - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Circa a quel giorno e a quell’ora nessuno sa nulla; tale dichiarazione non è in contrasto con quella fatta poco sopra (versetto 30), poiché al versetto 30 Gesù aveva indicato in modo generico il periodo nel quale sarebbe venuta la distruzione di Gerusalemme («questa generazione», cf. versetto 30); in questo versetto invece egli afferma che nessuno conosce la data esatta del terribile evento (quel giorno e quell’ora). Né il Figlio; Cristo, come uomo, ignorava il momento della caduta di Gerusalemme, o meglio ancora, egli non aveva il compito di svelare agli uomini il giorno che il Padre aveva decretato per la rovina della città santa. Comunemente gli esegeti ritengono che questa dichiarazione del Salvatore vada riferita al giorno dell’ultimo giudizio e che tra il versetto 30 ed il versetto 32 vi sia un cambiamento di prospettiva, poiché le affermazioni toccano due fatti differenti e distanziati, cioè: la caduta di Gerusalemme e l’ultimo giudizio alla fine del mondo. Noi, seguendo il Feuillet ... pensiamo che la dichiarazione di Cristo riguarda ancora la rovina di Gerusalemme e che nel versetto non vi è una mutazione, né un passaggio di prospettiva, ma la continuazione dello stesso argomento; ciò non toglie che la punizione della città santa possa essere il tipo del grande giudizio che si avrà alla fine del mondo per tutti gli uomini.
Il Santo del Giorno - 17 Novembr 2024 - Sant’Elisabetta d’Ungheria. Sovrana dal cuore aperto a Dio, madre per i poveri e per i bisognosi: È ciò che portiamo nel cuore a qualificarci: se sappiamo aprirlo all’amore di Dio saremo testimoni dell’infinito nella storia, in qualsiasi angolo di mondo viviamo, qualsiasi posizione ci troviamo a occupare. Perché alla fine regine, governanti o semplici “popolani”, tutti possiamo essere costruttori dell’unico regno che conta, quello di Dio. Così fu per santa Elisabetta di Ungheria, la sovrana di Turingia che fece della propria posizione un’occasione per prendersi cura dei bisognosi. Nata nel 1207 a Sárospatak, figlia del re Andrea II d’Ungheria e della regina Gertrude, fu data in sposa nel 1221, giovanissima, all’erede del trono di Turingia, Ludovico IV. Nel 1222 nacque il loro primo figlio, Ermanno, seguito da Sofia nel 1224 e, nel 1227, Gertrude, che però viene alla luce quando il padre era già morto a causa di una malattia a Otranto, sulla via verso la Terrasanta durante la sesta crociata. A quel punto Elisabetta, che avrebbe potuto risposarsi, decise di ritirarsi prima ad Eisenach e poi nel castello di Pottenstein. Seguendo lo spirito francescano donò le proprie ricchezze, con le quali si costruì un ospedale, e infine elesse a dimora una modesta casa di Marburgo, inimicandosi così i parenti che la privarono dei figli. In questo clima di ostilità Elisabetta portò avanti il progetto di una vita offerta a Dio e ai poveri: fece costruire un ospedale ed entrò nel Terz’ordine francescano. Visse da mendicante fino alla morte nel 1231: quattro anni dopo fu proclamata santa. (Matteo Liut)
Nutriti da questo sacramento,
ti preghiamo umilmente, o Padre:
la celebrazione che il tuo Figlio
ha comandato di fare in sua memoria,
ci faccia crescere nell’amore.
Per Cristo nostro Signore.