1 Novembre 2024
 
Tutti i Santi
 
Ap 7,2-4.9-14; Salmo Responsoriale Dal Salmo 23 (24); 1Gv 3,1-3; Mt 5,12
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
che ci doni la gioia di celebrare in un’unica festa
i meriti e la gloria di tutti i Santi, concedi al tuo popolo,
per la comune intercessione di tanti nostri fratelli,
l’abbondanza della tua misericordia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Papa Francesco (Angelus 1 Novembre 2023): Oggi celebriamo la Solennità di Tutti i Santi. Alla luce di questa festa, soffermiamoci un po’ a pensare sulla santità, in particolare su due caratteristiche della vera santità: è un dono – è un regalo, non si può comprare – e al tempo stesso è un cammino. Un dono e un cammino.
Anzitutto un dono. La santità è un dono di Dio che abbiamo ricevuto con il Battesimo: se lo lasciamo crescere, può cambiare completamente la nostra vita (cfr Esort. ap. Gaudete et exsultate, 15). I santi non sono eroi irraggiungibili o lontani, ma sono persone come noi, sono i nostri amici, il cui punto di partenza è lo stesso dono che abbiamo ricevuto noi: il Battesimo. Anzi, se ci pensiamo, sicuramente ne abbiamo incontrato qualcuno, qualche santo quotidiano, qualche persona giusta, qualche persona che vive la vita cristiana sul serio, con semplicità… sono quelli che a me piace chiamare “i santi della porta accanto”, che abitano normalmente tra di noi. La santità è un dono offerto a tutti per una vita felice. E del resto, quando riceviamo un dono, qual è la prima reazione? È proprio che siamo felici, perché vuol dire che qualcuno ci vuole bene; e il dono della santità ci fa felici perché Dio ci vuole bene.
Ma, ogni dono, però, va accolto, e porta con sé la responsabilità di una risposta, un “grazie”. Ma come si dice questo grazie? È un invito a impegnarsi perché non vada sprecato. Tutti i battezzati abbiamo ricevuto la stessa chiamata a «mantenere e perfezionare con la loro vita la santità che abbiamo ricevuto» (Lumen gentium, 40). E per questo - veniamo al secondo punto – la santità è anche un cammino, un cammino da fare insieme, aiutandoci a vicenda, uniti a quegli ottimi compagni di cordata che sono i Santi.
Sono i nostri fratelli, le nostre sorelle maggiori, su cui possiamo contare sempre: i santi ci sostengono e, quando nel cammino sbagliamo strada, con la loro presenza silenziosa non mancano di correggerci; sono amici sinceri, di cui ci possiamo fidare, perché loro desiderano il nostro bene. Nella loro vita troviamo un esempio, nella loro preghiera riceviamo aiuto e amicizia, e con loro ci stringiamo in un vincolo di amore fraterno.
La santità è un cammino, è un dono. Allora possiamo chiederci: mi ricordo di aver ricevuto in dono lo Spirito Santo, che mi chiama alla santità e mi aiuta ad arrivarci? Io ringrazio lo Spirito Santo per questo, per il dono della santità? Sento vicini i santi, parlo con loro, mi rivolgo a loro? Conosco la storia di alcuni di essi? Ci fa bene conoscere le vite dei santi e lasciarci muovere dai loro esempi. E ci fa tanto bene rivolgerci a loro nella preghiera.
Maria, Regina di tutti i Santi, ci faccia sentire la gioia del dono ricevuto e accresca in noi il desiderio della meta eterna.
 
Prima Lettura: La prima lettura della solennità odierna ci aiuta a capire chi sono i santi. Essi sono coloro che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello. La santità è un dono, si riceve da Cristo, non è frutto dell’ingegno umano. Nell’Antico Testamento essere santi voleva dire essere separati da tutto ciò che è impuro, nella riflessione cristiana vuol dire il contrario e cioè essere uniti a Dio.
 
Seconda Lettura: Pochi versetti, ma colmi di grandi verità. Innanzi tutto, il mondo non conosce i cristiani perché non conosce Gesù Cristo. Come dire che il mondo odia, perseguita i credenti in Cristo perché odia Cristo. Ma questo non deve abbattere i cristiani, essi sono figli di Dio e quindi già al presente vivono nella certezza di essere amati da Dio come figli carissimi. Quando si compirà ogni cosa e Gesù verrà nella gloria, allora si manifesterà in pienezza il vero essere dei credenti e potranno così vedere Dio faccia a faccia. Nell’oggi dei cristiani c’è posto solo per il desiderio della patria celeste.  
 
Vangelo
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
 
Bibbia per la formazione cristiana: Per Gesù, le beatitudini non sono l’esposizione di una dottrina, ma la proclamazione della buona notizia che egli è venuto a portare e che possiamo riassumere in una frase: il regno di Dio è vicino!
Mentre annunciano la vicinanza del regno, le beatitudini indicano in che modo Dio esercita il suo potere sovrano su tutti gli uomini. Approfondendo questo aspetto potremo comprendere meglio il messaggio di Gesù raccolto dai Vangeli di Matteo e di Luca. Dio esercita la sua sovranità come un re che garantisce la giustizia ai suoi sudditi. il suo potere regale interviene a proteggere il povero, a difendere chi non sa o non può difendersi da solo, a fare giustizia «alla vedova e all’orfano», assicurando così a ciascuno il pieno rispetto dei suoi diritti in una società in cui si tenderà sempre a godere dei beni della terra dimenticando o calpestando i più deboli.
Affermare che il regno di Dio è vicino significa dunque dichiarare che sta per realizzarsi una situazione in cui regnerà la giustizia. Grazie ad essa, i deboli non dovranno più aver paura dei più forti.
Per questo Gesù esprime la sua profonda concinzione che il regno di Dio è vicino invitando i poveri e coloro che soffrono ad essere pieni di gioia.
Le beatitudini rivelano Dio come un re che non si disinteressa degli uomini, ma si leva a difendere i deboli, poveri e gli oppressi.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 5,1-12a
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
 
Parola del Signore.
 
Beati - L’evangelista Matteo ha nove beatitudini a differenza di Luca che ne ha quattro e alle quali fa seguire “quattro guai” (Cf. Lc 6,20-26).
Gesù salì sul monte: si pose a sedere. Due note da non trascurare. Il monte per i semiti è il luogo che Dio preferenzialmente sceglie per manifestarsi ai suoi eletti: ai lettori ebrei per assonanza sarà venuto in mente il monte Sinai. Su quella montagna Dio si era rivelato a Mosè e aveva dato al popolo d’Israele la Legge (Cf. Es 19). Il sedersi è invece la postura propria del Maestro ai cui piedi si congregano i discepoli. Le intenzioni dell’evangelista Matteo quindi sono chiare: Gesù è Dio che si manifesta ai suoi discepoli sul monte ed è il Maestro che dona al “nuovo Israele” la nuova Legge, la “Magna Charta” del Regno di Dio.
L’evangelista Matteo, «che presenta Gesù come il Maestro definitivo di Israele, lo colloca in questo stesso contesto del luogo della rivelazione di Dio e della sua Legge e gli attribuisce un’autorità superiore a quella di Mosé e di tutti i maestri [gli scribi] di Israele. È nel contesto del “discorso della montagna”, infatti, che Gesù è definito come “uomo che insegna con autorità e non come i loro scribi” [Mt 7,29]» (Don Primo Gironi).
Queste note comunque non cancellano la storicità dell’episodio evangelico realmente accaduto su «una delle colline vicino a Cafarnao» (Bibbia di Gerusalemme).
Beati è una formula ricorrente nei Salmi, nei libri sapienziali e nel Nuovo Testamento, soprattutto nel libro dell’Apocalisse. Beato è l’uomo che cammina nella legge del Signore e per questo è ricolmo delle benedizioni di Dio, dei suoi favori e delle sue consolazioni divine soprattutto nei momenti cruciali in cui deve sopportare umiliazioni, affanni e persecuzioni. Gesù apre il suo discorso proclamando beati i “poveri in spirito”, una aggiunta questa che fa bene intendere che il Maestro fa riferimento non agli indigenti, ma ai “poveri di Iahvé”, cioè a coloro che nonostante tutto restano fedeli al Signore, anzi le prove sono spinte a fidarsi di Dio, a chiudersi nel suo cuore, a rinserrarsi tra le sue braccia. I “poveri in spirito” sono coloro che fanno del dolore una scala per salire fino a Dio. Sono coloro che restano nonostante tutto saldi nelle promesse di Dio (Cf. Mt 27,39-44). In questa ottica sono beati quelli che sono nel pianto, i perseguitati per la giustizia, i diffamati. Ai miti fanno corona coloro che hanno fame e sete della giustizia, cioè coloro che amano vivere all’ombra della volontà di Dio, attuandola nella loro vita e mettendola sempre al primo posto. Beati sono i misericordiosi cioè coloro che imitano la bontà, la pietà e la misericordia di Dio soprattutto a favore dei più infelici e dei più bisognosi. I puri di cuore sono beati per la purezza delle intenzioni, l’onestà della vita, perché sempre disponibili ai progetti divini. E infine, gli operatori di pace, che «nella Bibbia esprime la comunione con Dio e con gli uomini ed è il dono che riassume il vangelo [Cf. Lc 2,14], sono i più evidenti figli del Padre celeste» (S. Garofalo).
Il “discorso della Montagna” si chiude con due beatitudini rivolte ai perseguitati. Israele in tutta la sua storia aveva dovuto fare i conti con numerosi persecutori e se, quasi sempre, aveva accettato l’umiliazione delle catene, della tortura fisica e  dell’esilio, come purificazione e liberazione dal peccato, mai avrebbe pensato alla persecuzione come a una fonte di gioia e di felicità. Il discorso di Gesù va poi collocato proprio in un momento doloroso della storia ebraica: Israele gemeva sotto il durissimo e spietato giogo di Roma.
Nel nuovo Regno bandito da Gesù di Nazaret invece la persecuzione, e anche la calunnia, l’ingiustizia o l’odio gratuito, sono sorgenti di felicità se sopportate per «causa sua». Ancora di più, la sofferenza vicaria dà «compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). Solo in questa prospettiva la persecuzione è la via grande, spaziosa e larga, spalancata al dono della salvezza e apportatrice di ogni bene e dono: «Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli». Un discorso che è rivolto a tutti: ai discepoli e alla folla, nessuno escluso.
 
La beatitudine e Cristo - J. L. D’Aragon e X. Léon-Dufour: Gesù non è semplicemente un sapiente di grande esperienza, ma è colui che vive pienamente la beatitudine che propone.
1. Le «beatitudini», poste all’inizio del discorso inaugurale di Gesù, offrono, secondo Mt 5, 3-12, il programma della felicità cristiana. Nella recensione di Luca, esse sono abbinate a delle constatazioni di sventura, esaltando in tal modo il valore superiore di certe condizioni di vita (Lc 6, 20-26). Queste due interpretazioni tuttavia non possono essere ricondotte alla beatificazione di virtù o stati di vita. Si compensano a vicenda; soprattutto esprimono la verità in esse contenuta solo a condizione che venga loro attribuito quel significato che Gesù aveva dato loro. Gesù infatti è venuto da parte di Dio a pronunciare un solenne si alle promesse del VT; il regno dei cieli è lì, le necessità e le afflizioni sono soppresse, la misericordia e la vita, concesse da Dio. Effettivamente, se certe beatitudini sono pronunciate al futuro, la prima («Beati i poveri...»), che contiene virtualmente le altre, intende attualizzarsi fin d’ora. C’è di più. Le beatitudini sono un sì detto da Dio in Gesù. Mentre il VT giungeva ad identificare la beatitudine con Dio stesso, Gesù si presenta a sua volta come colui che porta a compimento l’aspirazione alla felicità: il regno dei cieli è presente in lui. Più ancora, Gesù ha voluto «incarnare» le beatitudini vivendole perfettamente, mostrandosi «mite ed umile di cuore» (Mt 11, 29).
2. Le altre proclamazioni evangeliche tendono tutte parimenti a dimostrare che Gesù è al centro della beatitudine. Maria è «proclamata beata» per aver dato alla luce il Salvatore (Lc 1, 48; 11, 27), perché ha creduto (1, 45); con ciò essa annunzia la beatitudine di tutti coloro che, ascoltando la parola di Dio (11, 28), crederanno senza aver visto (Gv 20, 29). Guai ai farisei (Mt 23, 13-32), a Giuda (26, 24), alle città incredule (1, 21)! Beato Simone, al quale il Padre ha rivelato in Gesù il Figlio del Dio vivente (Mt 16, 17)! Beati gli occhi che hanno visto Gesù (13, 16)! Beati soprattutto i discepoli che, in attesa del ritorno del Signore, saranno fedeli, vigilanti (Mt 24, 46), tutti dediti al servizio reciproco (Gv 13, 17).
I valori di Cristo - Mentre il VT si sforzava timidamente di aggiungere ai valori terreni della ricchezza e del successo il valore della giustizia nella povertà e nell’insuccesso, Gesù, dal canto suo, denuncia l’ambiguità di una rappresentazione terrena della beatitudine. Ormai i beati di questo mondo non sono più i ricchi, i pasciuti, gli adulati, ma coloro che hanno fame e che piangono, i poveri e i perseguitati (cfr. 1 Piet 3, 14; 4, 14). Questo rovesciamento dei valori era possibile ad opera di colui che è ogni valore. Due beatitudini principali comprendono tutte le altre: la povertà con il suo corteo delle opere di giustizia, di umiltà, di mitezza, di purezza, di misericordia, di preoccupazione per la pace; e poi la persecuzione per amore di Cristo. Ma questi stessi valori non sono nulla senza Gesù che dà loro tutto il senso. Quindi soltanto colui che ha posto Cristo al centro della sua fede può intendere le beatitudini dell’Apocalisse. Beato se le ascolta (Apoc 1, 3; 22, 7), se rimane vigilante (16, 15), perché è chiamato alle nozze dell’agnello (19, 9), per la risurrezione (20, 6) Anche se deve dare la vita in testimonianza, non si perda d’animo: «Beati i morti che muoiono nel Signore!» (14, 13).
 
I santi - Jules De Vaulx: Usata in senso assoluto, questa parola [santi] era eccezionale nel Antico Testamento; era riservata agli eletti dei tempi escatologici. Nel Nuovo Testamento designai cristiani. Attribuita dapprima ai membri della comunità primitiva di Gerusalemme ed in modo speciale al piccolo gruppo della Pentecoste (Atti 9,13; 1Cor 16,1; Ef 3,5), essa fu estesa ai fratelli di Giuda (Atti 9,31-41), poi a tutti i fedeli (Rom 16,2; 2Cor 1,1; 13,12). Mediante lo Spirito Santo il cristiano partecipa di fatto alla santità stessa divina. Formando la vera «nazione santa» ed il «sacerdozio regale», costituendo il «tempio santo» (1Piet 2,9; Ef 2,21), i cristiani devono rendere a Dio il vero culto, offrendosi con Cristo in «sacrificio santo» (Rom 12,1; 15,16; Fil 2,17). Infine la santità dei cristiani, che proviene da una elezione (Rom 1,7; 1 Cor 1,2), esige da essi la rottura col peccato e con i costumi pagani (1Tess 4,3): essi devono agire «secondo la santità che viene da Dio e non secondo una sapienza carnale» (2Cor 1,12; cfr. 1Cor 6,9ss; Ef 4,30-5,1; Tito 3,4-7; Rom 6,19). Questa esigenza di vita santa sta alla base di tutta la tradizione ascetica cristiana; si fonda non sull’ideale di una legge ancora esterna, ma sul fatto che il Cristiano «afferrato da Cristo» deve «partecipare alle sue sofferenze ed alla sua morte per giungere alla sua risurrezione» (Fil 3,10-14).
 
Il peso dell’umanità e la grazia di Dio: “I santi si sentono ogni giorno decadere, sotto il peso di terreni pensieri, dalle altezze della contemplazione; contro la loro volontà, anzi senza saperlo, sono assoggettati alla legge del peccato e della morte, e sono distratti dalla presenza di Dio da opere terrene, per quanto buone e giuste. Hanno dunque delle buone ragioni per gemere continuamente presso il Signore, hanno ben motivo per cui veramente umiliati e compunti non solo a parole, ma di cuore, si dichiarino peccatori, chiedano sempre perdono per tutte le debolezze in cui, battuti dalla debolezza della carne, incorrono ogni giorno, e versano vere lacrime di penitenza, poiché vedono che fino alla fine della loro vita essi saranno tormentati dalle pene che li affliggono e che neanche possono offrire le loro suppliche senza il fastidio delle immaginazioni. Resisi conto, quindi, ch’essi non riescono, per il peso della carne, a raggiungere con le forze umane la meta desiderata e che non riescono a congiungersi, come desiderano, al sommo bene, ma che invece sono travolti, come prigionieri, verso le cose mondane, ricorrono alla grazia di Dio il quale fa giusti i malvagi (Rm 4,5) e gridano con l’Apostolo: Oh, me infelice! chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo del signor nostro Gesù Cristo [Rm 7,24-25]. Sentono che non possono portare a termine il bene che vogliono e che invece ricadono sempre nel male che non vogliono e odiano, cioè le immaginazioni e preoccupazioni delle cose terrene.” (Cassiano Giovanni, Collationes, 18,10).
 
Il Santo del Giorno - 1 Novembre 2024 - Tutti i santi. La meravigliosa varietà della fede: Un caleidoscopio di volti e voci, un catalogo infinito di storie e di avventure, umane e spirituali, l’elenco dei santi narra tutta la meraviglia della vita cristiana, in ogni sua sfaccettatura, con tutta la sua carica profetica. Quella odierna è una solennità liturgica di luce e speranza, che ci mostra una Chiesa capace di portare il Cielo in mezzo agli uomini. I santi e i beati sono coloro che hanno dato forma nella storia al Vangelo, aprendo, con il loro esempio, la strada verso il cuore di Dio nel segno del messaggio del Risorto. Celebrare la memoria di tutti i santi insieme significa non solo ricordare l’universale chiamata alla “perfezione”, ma anche riscoprire l’infinito nei piccoli gesti, nelle nostre storie ordinarie. Perché la “fantasia dello Spirito” si manifesta nei modi più inaspettati e chiede solo di essere pronti per accoglierla, vivendo ogni momento come il frammento di un cammino che porta al cuore della vita. Auguri a tutti quindi. (Matteo Liut)
 
O Dio, unica fonte di ogni santità,
mirabile in tutti i tuoi Santi,
fa’ che raggiungiamo anche noi la pienezza del tuo amore,
per passare da questa mensa,
che ci sostiene nel pellegrinaggio terreno,
al festoso banchetto del cielo.
Per Cristo nostro Signore.
 
 31 OTTOBRE 2024
 
GIOVEDÌ DELLA XXX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI)

Ef 6,10-20; Salmo Responsoriale Dal Salmo 143 (144); Lc 13,31-35
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
accresci in noi la fede, la speranza e la carità,
e perché possiamo ottenere ciò che prometti,
fa’ che amiamo ciò che comandi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Opere del diavolo - Catechismo della Chiesa cattolica 394 La Scrittura attesta la nefasta influenza di colui che Gesù chiama «omicida fin dal principio» (Gv 8,44), e che ha perfino tentato di distogliere Gesù dalla missione affidatagli dal Padre. «Il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo» (1 Gv 3,8). Di queste opere, la più grave nelle sue conseguenze è stata la seduzione menzognera che ha indotto l’uomo a disobbedire a Dio.  
395 La potenza di Satana però non è infinita. Egli non è che una creatura, potente per il fatto di essere puro spirito, ma pur sempre una creatura: non può impedire l’edificazione del regno di Dio. Sebbene Satana agisca nel mondo per odio contro Dio e il suo regno in Cristo Gesù, e sebbene la sua azione causi gravi danni – di natura spirituale e indirettamente anche di natura fisica per ogni uomo e per la società, questa azione è permessa dalla divina provvidenza, la quale guida la storia dell’uomo e del mondo con forza e dolcezza. La permissione divina dell’attività diabolica è un grande mistero, ma «noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Rm 8,28).  
Il primo peccato dell’uomo 397 L’uomo, tentato dal diavolo, ha lasciato spegnere nel suo cuore la fiducia nei confronti del suo Creatore e, abusando della propria libertà, ha disobbedito al comandamento di Dio. In ciò è consistito il primo peccato dell’uomo. In seguito, ogni peccato sarà una disobbedienza a Dio e una mancanza di fiducia nella sua bontà.
398 Con questo peccato, l’uomo ha preferito se stesso a Dio, e, perciò, ha disprezzato Dio: ha fatto la scelta di se stesso contro Dio, contro le esigenze della propria condizione di creatura e conseguentemente contro il suo proprio bene. Costituito in uno stato di santità, l’uomo era destinato ad essere pienamente «divinizzato» da Dio nella gloria. Sedotto dal diavolo, ha voluto diventare «come Dio» (Gn 3,5), ma «senza Dio e anteponendosi a Dio, non secondo Dio».  
«Ma liberaci dal male» 2851 In questa richiesta, il male non è un’astrazione; indica invece una persona: Satana, il maligno, l’angelo che si oppone a Dio. Il «diavolo» διά-βoλoς è colui che «si getta di traverso» al disegno di Dio e alla sua «opera di salvezza» compiuta in Cristo.  
2852 «Omicida fin dal principio [...], menzognero e padre di menzogna» (Gv 8,44), «Satana, che seduce tutta la terra» (Ap 12,9), è a causa sua che il peccato e la morte sono entrati nel mondo, ed è in virtù della sua sconfitta definitiva che tutta la creazione sarà «liberata dalla corruzione del peccato e della morte». «Sappiamo che chiunque è nato da Dio non pecca: chi è nato da Dio preserva se stesso e il maligno non lo tocca. Noi sappiamo che siamo nati da Dio, mentre tutto il mondo giace sotto il potere del maligno» (1 Gv 5,18-19):  «Il Signore, che ha cancellato il vostro peccato e ha perdonato le vostre colpe, è in grado di proteggervi e di custodirvi contro le insidie del diavolo che è il vostro avversario, perché il nemico, che suole generare la colpa, non vi sorprenda. Ma chi si affida a Dio non teme il diavolo. “Se infatti Dio è dalla nostra parte, chi sarà contro di noi?” (Rm 8,31)».  
 
Prima Lettura: Paolo invita i cristiani di Efeso a fortificarsi nel Signore per poter resistere alle insidie del diavolo. Bisogna essere attenti perché la battaglia è contro nemici assai potenti e molto astuti, contro i Principati e le Potenze infernali. I dominatori di questo mondo tenebroso sono “degli spiriti che, nell’opinione degli antichi, governavano gli astri e, per mezzo di loro, tutto l’universo. Risiedono «nei cieli» [Ef 1,20s; 3,10; Fil 2,10] o «nell’aria» [Ef 2,2], tra la terra e il soggiorno di Dio, e coincidono in parte con ciò che Paolo chiama altrove gli «elementi del mondo» [Gal 4,3]. Sono stati infedeli a Dio e hanno voluto assoggettarsi gli uomini nel peccato [Ef 2,2], ma il Cristo è venuto a liberarci dalla loro schiavitù [Ef 1,21; Col 1,13; 2,15; 2,20]; armati della sua forza liberante, i cristiani possono ormai lottare contro di essi con fiducia.” (Bibbia di Gerusalemme).

Vangelo
Non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme.
 
Gesù sta attraversando il territorio sotto la giurisdizione del re Erode Antipa, un uomo scaltro, una volpe, ma anche un uomo vile. Egli crede di sbarazzarsi di Gesù con l’astuzia, facendogli arrivare messaggi minacciosi. Pensa di fargli fare la stessa fine di Giovanni Battista. Ma Gesù va in Giudea non perché l’ha stabilito Erode, ma perché rientra nel piano di Dio: come tutti i profeti Gesù deve morire a Gerusalemme. Il cammino di Gesù non dipende da Erode né da nessun altro: è guidato da una divina necessità: È necessario (cfr. Lc 24,25-26). E nessuno, per quanto potente o astuto, può ostacolarla o sconvolgerla. 
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 13,31-35
 
In quel momento si avvicinarono a Gesù alcuni farisei a dirgli: «Parti e vattene via di qui, perché Erode ti vuole uccidere».
Egli rispose loro: «Andate a dire a quella volpe: “Ecco, io scaccio demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno la mia opera è compiuta. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io prosegua nel cammino, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”.
Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te: quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa è abbandonata a voi! Vi dico infatti che non mi vedrete, finché verrà il tempo in cui direte: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”».
 
Parola del Signore.
 
Alcuni farisei di buona pasta avvisano Gesù che Erode vuole ucciderlo, e le minacce di questo uomo non vanno prese alla leggera. Erode Antipa, tetrarca della Galilea e della Perea, è uomo dissoluto e sanguinario. Figlio di Erode il grande, al pari del padre, è un uomo lussurioso, scaltro, pronto a tutto. Di tal uomo si ricorderà una triste e perversa vicenda: accalappiato da una ballerina non esiterà a far decapitare Giovanni il Battista.
Il perché Erode voglia uccidere Gesù non viene detto, ma la notizia, conoscendo il personaggio, è da ritenere veritiera.
Invece di fuggire, Gesù manda un messaggio molte eloquente ad Erode: Andate a dire a quella volpe. Il lemma alopex (volpe) sia nella letteratura ellenistica che in quella rabbinica era sinonimo di astuzia e di malizia.
Ecco, io scaccio demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno la mia opera è compiuta, questa espressione molto comune in aramaico, esprime un breve lasso di tempo, e ricorda Os 6,2. La risposta ai farisei fa intendere che il destino di Gesù non appeso ai sotterfugi di Erode, la libertà di Gesù è piena.
Però è necessario, sarà Gesù, quando sul quadrante della volontà di Dio scoccherà l’ora, a consegnarsi nelle mani dei carnefici per portare a compimento il progetto di salvezza tracciato ab aeterno a favore di tutti gli uomini. Naturalmente i tre giorni  stanno ad indicare anche i giorni della passione-morte di Gesù, della sepoltura, e, al terzo giorno, della risurrezione.
Gerusalemme, Gerusalemme, Gesù ancora una volta denuncia la perfidia degli israeliti, sempre pronti ad armarsi di pietre per scagliare contro chi ragiona diversamente, è la sorte che è toccata ai profeti scomodi, la stessa sorte toccherà a Gesù. Il lamento su Gerusalemme è composto da un riferimento veterotestamentario, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto, un’immagine che ricorda l’affetto paterno di Dio verso il suo popolo (cfr. Sal 90 [91],4; Dt 32,11) e da una profezia la vostra casa è abbandonata a voi: una profezia oscura, indeterminabile, ma che si possono approntare due soluzioni. La prima, se l’affermazione allude a Ger 22,1-9, la casa non si riferirebbe al tempio di Gerusalemme, né “deserta” alla sua distruzione, avvenuta nel 70, ma alla casa del re di Giuda. La seconda ipotesi protenderebbe, molto probabilmente, al tempio, la casa di Dio, che sarà abbandonata dalla Gloria di Dio e abbandonato nelle mani dei pagani che lo distruggeranno, non lasciando pietra su pietra (cfr. Lc 21,5).
 
Parti e vattene via di qui, perché Erode ti vuole uccidere - Don Silvio Longobardi: È solo un frammento del ministero di Gesù ma permette di capire in quali condizioni egli realizza l’opera che il Padre gli ha affidato. Le folle lo cercano, il potere lo osserva. I discepoli lo ascoltano con fiducia perché lo considerano un profeta; i farisei, invece, lo ritengono un impostore. Sono proprio i farisei che lo invitano a partire per sfuggire all’ira di Erode. In apparenza è un gesto di amicizia, in realtà cercano pretesti per liberarsi di Gesù. Lo considerano un pericolo, un rabbi che stravolge la tradizione dei padri. La minaccia ha un suo nucleo di verità. È vero, Gesù non si presenta come un agitatore politico, ma è vero anche che l’entusiasmo popolare viene visto con diffidenza, anzi con un certo fastidio, una possibile causa di sommosse popolari. Meglio allontanare un uomo come Gesù, abbiamo meno problemi. Gesù si trova ancora in Galilea ma è in cammino verso Gerusalemme (Lc 9,51). Non può rinunciare ad andare nella città santa dove troverà compimento la sua missione. Gesù considera i farisei come gli ambasciatori di Erode e chiede loro di rispondere al re con queste parole: “è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io prosegua nel cammino, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme” (13,32-33). Gesù non si lascia intimidire dalle minacce, non si nasconde, non ha intenzione di rinunciare al compito che gli è stato affidato, anzi ribadisce che andrà fino in fondo.
Queste parole invitano anche noi ad evitare ogni forma di mediocrità. Lungo il cammino incontriamo spesso ostacoli, piccoli e grandi. A volte all’esterno ma tante altre volte all’interno. Il Signore ci chiede di rimanere fedeli al compito che ci è stato affidato. C’è una storia da costruire, ci sono ancora tante pagine da scrivere, nessuno deve fermarsi a metà. Un santo eremita diceva: “Non riposarci, dopo aver incominciato, non venir meno alle fatiche, non dire abbiamo coltivato a lungo l’ascesi; accresciamo invece la prontezza della nostra volontà, come se incominciassimo ogni giorno” (Sant’Antonio Abate).
 
Gesù, vincitore di Satana e dei demòni. - J. B. Brunon e P. Grelot  La vita e l’azione di Gesù si collocano nella prospettiva di questo duello tra due mondi, la cui posta è in definitiva la salvezza dell’uomo. Gesù affronta personalmente Satana e riporta su di lui la vittoria (Mt 4,11 par.; Gv 12,31). Affronta pure gli spiriti maligni che hanno potere sull’umanità peccatrice, e li vince nel loro dominio. Tale è il senso di numerosi episodi in cui sono di scena degli indemoniati: quello della sinagoga di Cafarnao (Mc 1,23-27 par.) e quello di Gadara (Mc 5,1-20 par.), la figlia della sirofenicia (Mc 7,25-30 par.) ed il ragazzo epilettico (Mc 9,14-29 par.), l’indemoniato muto (Mt 12,22 ss par.) e Maria di Magdala (Lc 8,2). Per lo più, possessione diabolica e malattia sono mescolate (cfr. Mt 17,15.18); quindi ora si dice che Gesù guarisce gli indemoniati (Lc 6,18; 7,21) ed ora che scaccia i demoni (Mc 1,34-39). Senza porre in dubbio i casi nettissimi di possessione (Mc 1,23s; 5,6) bisogna tener conto dell’opinione del tempo, che attribuiva direttamente al demonio fenomeni che oggi rientrano nella psichiatria (Mc 9,20ss). Bisogna soprattutto ricordare che ogni malattia è un segno della potenza di Satana sugli uomini (cfr. Lc 13,11). Affrontando la malattia, Gesù affronta Satana; dando la guarigione, trionfa di Satana. I demoni si credevano insediati quaggiù da padroni; Gesù è venuto a perderli (Mc 1,24). Dinanzi all’autorità che egli manifesta nei loro confronti, le folle sono stupefatte (Mt 12,23; Lc 4,35ss). I suoi nemici l’accusano: «Egli scaccia i demoni in virtù di Beelzebul, principe dei demoni» (Mc 3,22 par.); «non sarebbe per caso anch’egli posseduto dal demonio?» (Mc 3,30; Gv 7,20; 8,48s.52; 10,20s). Ma Gesù dà la vera spiegazione: egli scaccia i demoni in virtù dello Spirito di Dio, e ciò prova che il regno di Dio è giunto fino agli uomini (Mt 12,25-28 par.). Satana si credeva forte, ma è scacciato da uno più forte (Mt 12,29 par.). Ormai gli esorcismi si faranno quindi nel nome di Gesù (Mt 7,22; Mc 9,38s). Mandando in missione i suoi discepoli, egli comunica loro il suo potere sui demoni (Mc 6,7.13 par.). Di fatto essi constatano che i demoni sono loro soggetti: prova evidente della caduta di Satana (Lc 10,17-20). Questo sarà, in tutti i secoli, uno dei segni che accompagneranno la predicazione del vangelo, unitamente ai miracoli (Mc 16,17).

Contro i dominatori di questo mondo tenebroso«Paolo li chiama dominatori terreni non perché abbiano ricevuto l’autorità di regnare da Dio, ma perché hanno reso loro schiave queste persone dai facili costumi, come se fossero di spontanea volontà loro schiavi. Il santo apostolo ha imitato il migliore tipo di generale, infatti desiderando far andare via coloro che non erano idonei a far parte del suo esercito, da astuto generale descrive loro la forza eccezionale del nemico» (Teodoreto, Commento all’epistola agli Efesini, 6,12).
 
Il Santo del Giorno - 31 Ottobre 2024 - San Alfonso Rodriguez. Un istante, un incontro sulla via anche così si toccano i cuori: Chissà quante volte abbiamo cambiato il destino di una persona, magari qualcuno che abbiamo incontrato fugacemente nel nostro cammino esistenziale, qualcuno che abbiamo incontrato per un istante e poi mai più. E chissà se in quell’istante breve d’incontro siamo stati testimoni dell’Infinito, portatori di un messaggio di amore universale e di verità. Ecco la responsabilità di testimoniare in ogni istante della nostra vita il messaggio del Risorto: perché in ogni istante potremmo toccare il cuore di qualcuno e “salvarlo”.
Proprio come tanti, di passaggio, furono toccati da un semplice fratello portinaio a Palma di Maiorca: sant’Alfonso Rodriguez. Era nato a Segovia, in Spagna, nel 1533 in una famiglia di mercanti di lana e, con il desiderio di consacrarsi, studiò dai gesuiti di Alcalà. A 23 anni, dopo la morte del padre, dovette però occuparsi degli affari di famiglia. Si sposò ed ebbe tre figli, ma all’età di 31 anni rimase vedovo. Poco prima aveva perso anche due figli: il dolore fu troppo e per questo decise di lasciare tutti i beni al fratello, riprendendo gli studi presso i gesuiti. La Compagnia di Gesù, nella quale Alfonso volle restare sempre fratello coadiutore, lo accolse e lo inviò a Palma di Maiorca, dove svolse con attenzione e delicatezza il ruolo di portinaio del convento dal quale all’epoca passavano i missionari diretti in America. Padre spirituale e mistico, per molti l’incontro con Rodriguez sulla strada verso le terre di missione fu un’esperienza preziosa, come accadde a san Pietro Claver, l’«apostolo degli schiavi». Rodriguez morì nel 1617. (Avvenire)
 
Si compia in noi, o Signore,
la realtà significata dai tuoi sacramenti,
perché otteniamo in pienezza
ciò che ora celebriamo nel mistero.
Per Cristo nostro Signore.
 

 30 OTTOBRE 2024
 
MERCOLEDÌ DELLA XXX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
 
Ef 6,1-9; Salmo Responsoriale Dal Salmo 144 (145); Lc 13,22-30
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
accresci in noi la fede, la speranza e la carità,
e perché possiamo ottenere ciò che prometti,
fa’ che amiamo ciò che comandi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Venuta di Cristo per la salvezza degli uomini  - Catechismo della Chiesa Cattolica 456 Con il Credo niceno-costantinopolitano rispondiamo confessando: «Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo».  
457 Il Verbo si è fatto carne per salvarci riconciliandoci con Dio: è Dio «che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1 Gv 4,10). «Il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo» (1 Gv 4,14). «Egli è apparso per togliere i peccati» (1 Gv 3,5):  
«La nostra natura, malata, richiedeva d’essere guarita; decaduta, d’essere risollevata; morta, di essere risuscitata. Avevamo perduto il possesso del bene; era necessario che ci fosse restituito. Immersi nelle tenebre, occorreva che ci fosse portata la luce; perduti, attendevamo un salvatore; prigionieri, un soccorritore; schiavi, un liberatore. Tutte queste ragioni erano prive d’importanza? Non erano tali da commuovere Dio sì da farlo discendere fino alla nostra natura umana per visitarla, poiché l’umanità si trovava in una condizione tanto miserabile ed infelice?». 
519 Tutta la ricchezza di Cristo è destinata ad ogni uomo e costituisce il bene di ciascuno. Cristo non ha vissuto la sua vita per sé, ma per noi, dalla sua incarnazione «per noi uomini e per la nostra salvezza» fino alla sua morte «per i nostri peccati» (1 Cor 15,3) e alla sua risurrezione «per la nostra giustificazione» (Rm 4,25). E anche adesso, è nostro avvocato «presso il Padre» (1 Gv 2,1), «essendo sempre vivo per intercedere» a nostro favore (Eb 7,25). Con tutto ciò che ha vissuto e sofferto per noi una volta per tutte, egli resta sempre «al cospetto di Dio in nostro favore» (Eb 9,24).  
1019 Gesù, il Figlio di Dio, ha liberamente subìto la morte per noi in una sottomissione totale e libera alla volontà di Dio, suo Padre. Con la sua morte ha vinto la morte, aprendo così a tutti gli uomini la possibilità della salvezza.   
 
I Lettura: La pericope paolina è una nota comportamentale rivolta a regolare i rapporti tra figli e padri. Ai figli si chiede obbedienza, citando il quarto comandamento: “Onora tuo padre e tua madre!”. Ai padri di non esasperare i figli, ma farli crescere nella sana disciplina e negli insegnamenti del Signore. Si fa riferimento a un dovere naturale e sacro dei figli nei confronti dei genitori e poi si cerca di attenuare un’educazione troppo severa, così come era attuata ai tempi di san Paolo. 
 
Vangelo
Verranno da oriente e da occidente e siederanno a mensa nel regno di Dio.
 
La domanda del tale, Signore, sono pochi quelli che si salvano?, era un tema molto presente nelle discussioni rabbiniche. Gesù non risponde a questa domanda, certamente oziosa e capziosa, e si limita a mettere l’interlocutore in guardia da simili considerazioni che non portano a nulla di concreto.
Comunque, la risposta di Gesù, pur non appagando la curiosità dell’interlocutore, è chiara ed esauriente, e offre una traccia che aiuta a comprendere se si è nel numero dei salvati. La risposta di Gesù si articola su tre moduli. Il primo è un assunto che troviamo bene espresso in questa affermazione dell’apostolo Paolo:  “… è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio” (At 14,22). 
Il secondo suggerisce che l’appartenenza al popolo d’Israele non giova a nulla se non vi sono frutti di sincera conversione e piena obbedienza al patto di alleanza, né tanto sarà un passaporto l’aver mangiato e bevuto in presenza di Gesù, o l’aver ascoltato i suoi insegnamenti, perché a questo deve essere seguire conversione di vita e pienezza di sequela. Infine, la presunzione di avere il diritto di entrare nella casa del Padre sarà cassata quando i sedicenti aventi diritto si vedranno fuori e altri, quelli che erano creduti perduti per sempre, entreranno nel regno d Dio: “Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti” (Mt 21,44). È una nota che mette bene in evidenza l’universalità della salvezza, nessuno a priori è escluso, ma vi sono regole da ottemperare.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 13,22-30
In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».
Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio.
Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

Parola del Signore.
 
Signore, sono pochi quelli che si salvano? Gesù non risponde a questa domanda,  ma ne prende spunto per suggerire che per salvarsi è necessario sforzarsi di entrare per la porta stretta.
Più che sforzo il testo greco ha lotta: come dire che tutta la vita cristiana è milizia. La «lotta [agon] accentua l’impegno cosciente delle proprie forze per raggiungere una meta [...]. Il lavoro dell’apostolo non è solamente un adempi­mento fedele del dovere, ma un agon, collegato a pesi e strapazzi [Col 1,29; lTm 4,10]. Si tratta della meta ultima e immutabile, la sola che valga: [...] il premio della vittoria, che il cristiano sarà in grado di raggiungere solo se si impegna, talvolta con il sacrificio di tutta la vita e mediante la comunione con le sofferenze di Cristo [Cf. Fil 3,15]» (A. Ringward).
All’anonimo interlocutore, Gesù sta dicendo, con estrema chiarezza, che per entrare nel regno di Dio non è solo richiesto il massimo impegno, ma anche la massima rinuncia. Qui siamo molto lontano da quel Vangelo edulcorato, infantile, dove tutto si poggia su un preteso buonismo di Dio che perdona tutti e tutto. Per salvarsi non basterà aver mangiato e bevuto in sua presenza, non sarà sufficiente aver avuto l’onore di averlo ospitato come maestro nelle nostre piazze, non serviranno nemmeno i legami di etnia, essere figli di Abramo non servirà a nulla per evitare l’esclusione meritata da una condotta iniqua (Cf. Lc 3,7-9; Gv 8,33s).
Quando il padrone di casa si alzerà... Il padrone di casa è Cristo Gesù, il quale «chiude la porta alla morte di ogni peccatore, il cui tempo per accumulare meriti è ormai finito, poiché la penitenza dopo la morte è infruttuosa. Per questo Egli dirà ai peccatori: Non vi conosco!» (Nicola di Lira, Postilla super Lucam, XIII).
In Luca, gli operatori di ingiustizia non sono i falsi profeti e guaritori come in Mt 7,21-23, ma i Giudei increduli e i pagani convertiti che non fanno la volontà del Padre.
Gli esclusi, quei Giudei che ritenevano di essere giusti davanti agli uomini (Lc 16,15), piangeranno come disperati e saranno in preda del risentimento e della rabbia quando vedranno i pagani sedere a mensa nel regno di Dio.
Verranno da oriente e da occidente... Quanto sognato dai profeti, cioè il raduno di tutte le genti nell’unico ovile di Cristo (Cf. Is 2,2-5; 25,6-8; 60,1ss; 66,18-21; Gv 10,16), incomincia a realizzarsi fin d’ora, nel ministero pubblico di Gesù [Cf. Lc 14,21.23,26; 15,32; 16,9], e troverà più pieno compimento nel ministero apostolico della Chiesa.
In questo modo e con queste immagini (pianto e stridore di denti... siederanno a mensa), Gesù proclama ai Giudei, che ritenevano di essere i primi e gli unici destinatari delle promesse messianiche fatte ai profeti, l’universalità della salvezza. L’unica condizione che viene chiesta è la libera e gioiosa risposta alla chiamata misericordiosa di Dio.
Alla fine, sarebbe facile metterci noi cristiani al posto dei Giudei e credere, come lo credeva Israele, che le porte ormai sono per sempre spalancate per tutti. Chi dà per scontata la propria salvezza è un illuso e un povero stolto: non «ci sarà neanche salvezza automatica per i cristiani che rimanderan­no al domani la riforma, sempre da riprendere, del loro comportamento. La porta è stretta per tutti: quelli che commettono il male non potranno appellarsi alla loro familiarità superficiale con il Cristo per farsi aprire, quando la porta sarà chiusa» (Hugues Cousin).

Bibbia per la formazione cristiana (cfr. I Lettura): Figli e genitori; schiavi e padroni: E opportuno dire una parola anche a proposito del rapporto tra figli e genitori e tra schiavi e padroni.
Chi accoglie l’esortazione di Paolo: «Padri, non inasprite i vostri figli», come potrebbe mettere in pratica i consigli educativi del Siracide: «Piega il collo a tuo figlio in gioventù e battigli le costole finché è fanciullo»?
Le parole dell’apostolo abbozzano una linea pedagogica nuova che non manca di avere ripercussioni sull’educazione dei figli alla fede. Un padre che non sa dominare se stesso e ordina o rimprovera sotto la spinta del suo egoismo o della sua impulsività ferisce la sensibilità del bambino, che dietro alla durezza del padre scopre una mancanza di vero amore.
Come annunciare a un bambino che Dio ci ama come un padre, quando il suo non gli dà né affetto né sicurezza, anzi, ha un comportamento che provoca amarezza, irritazione, paura e rifiuto?
È sconcertante per noi oggi constatare la naturalezza con cui Paolo raccomanda agli schiavi la sottomissione ai loro padroni. È evidente che l’ apostolo presuppone in loro un grande spirito di fede, in base al quale li invita a
vedere nei padroni il Cristo e a servirli con semplicità e con sincerità, senza esitazioni e senza secondi fini, di cuore, con dedizione totale. Gli schiavi sono «servi di Cristo»: anche se possono sembrare strumenti di una volontà estranea, in realtà lavorano per sé (li ripagherà il Signore). Paolo chiaramente non intende sostenere con la sua esortazione una situazione sociale che col passare degli anni si rivelerà ingiusta e degradante. Ciò che gli importa è richiamare l’attenzione degli schiavi e dei padroni sul fatto che l’unica cosa che conta è agire sotto lo sguardo e secondo la volontà del Signore, al quale sia gli uni che gli altri appartengono.
Per fare meno fatica a comprendere certe affermazioni concrete della sacra Scrittura che possono provocare stupore o perplessità, dobbiamo evitare di prendere alla lettera tutte le singole affermazioni della Bibbia senza fare lo sforzo di distinguere ciò che è legato a un contesto culturale o a consuetudini che possono cambiare col tempo da ciò che costituisce il messaggio permanente di Dio. Una delle affermazioni centrali della dottrina di Paolo è quella secondo cui «non c’è piu giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti siamo uno in Cristo Gesù». Tuttavia, nelle situazioni di asservimento in cui possiamo trovarci nel corso della vita, un’umile obbedienza sarà la chiave per trasformare tali situazioni in autentici strumenti della nostra realizzazione personale, come fratelli di colui che «umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce».
 
La virtù sta sempre all’erta: “Non deve sembrare né strano né fuor di luogo se, chi va per una via stretta, si sente schiacciare. È proprio della virtù che sia piena di fatiche, sudori, insidie e pericoli. Però, se questo è il cammino, poi verranno la corona, il premio e beni arcani, che non avranno fine. Consolati, dunque, con questo pensiero: le gioie e avversità di questa vita scorrono insieme con la vita presente e con essa finiscono. Nessuna gioia, quindi, gonfi vanamente il tuo cuore, ma neppure nessuna avversità ti avvilisca. Il buon timoniere non cessa d’essere vigilante se il mare è tranquillo, e non si conturba, quando la tempesta imperversa.” (Crisostomo Giovanni, Epist., 45).
 
 
Il Santo del Giorno - 30 Ottobre 2024 - San Marciano da Siracusa. Le radici apostoliche della fede in Sicilia: Un sottile filo rosso lungo le pieghe dei secoli collega la nostra storia a quella degli Apostoli e quindi a quella del Figlio di Dio, incarnato, morto e risorto. Siracusa in san Marciano ritrova proprio le radici apostoliche e quindi il legame profondo con Cristo. Le fonti sulla vita di questo santo martire in realtà sono tardive, ma questo non sminuisce la portata storica e di fede della figura di Marciano, che, secondo la tradizione, ad Antiochia era divenuto discepolo di san Pietro. Quest’ultimo lo inviò poi in Sicilia a portare il Vangelo. A Siracusa l’impegno di Marciano ebbe un notevole successo, portando a numerose conversioni, ma attirandosi l’inimicizia e l’odio di «coloro che in quel tempo avevano indegnamente lo scettro del comando». Per questo il protovescovo di Siracusa venne catturato e martirizzato. Alcune sue reliquie, poi, giunsero fino in Lazio, forse per mare, e sono conservate nella cripta della Cattedrale di Gaeta, che lo celebra come compatrono. (Matteo Liut)
 
Si compia in noi, o Signore,
la realtà significata dai tuoi sacramenti,
perché otteniamo in pienezza
ciò che ora celebriamo nel mistero.
Per Cristo nostro Signore.
 

 29 OTTOBRE 2024
 
Martedì XXX Settimana T. O.
 
Ef 5.21-33; Salmo Responsoriale dal Salmo 127 (128); Lc 13,18-21
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
accresci in noi la fede, la speranza e la carità,
e perché possiamo ottenere ciò che prometti,
fa’ che amiamo ciò che comandi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Papa Francesco - Udienza Generale (6 maggio 2015): Il matrimonio cristiano è un sacramento che avviene nella Chiesa, e che anche fa la Chiesa, dando inizio ad una nuova comunità familiare.
É quello che l’apostolo Paolo riassume nella sua celebre espressione: «Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa» (Ef 5,32). Ispirato dallo Spirito Santo, Paolo afferma che l’amore tra i coniugi è immagine dell’amore tra Cristo e la Chiesa. Una dignità impensabile! Ma in realtà è inscritta nel disegno creatore di Dio, e con la grazia di Cristo innumerevoli coppie cristiane, pur con i loro limiti, i loro peccati, l’hanno realizzata!
San Paolo, parlando della nuova vita in Cristo, dice che i cristiani – tutti – sono chiamati ad amarsi come Cristo li ha amati, cioè «sottomessi gli uni agli altri» (Ef 5,21), che significa al servizio gli uni degli altri. E qui introduce l’analogia tra la coppia marito-moglie e quella Cristo-Chiesa. E’ chiaro che si tratta di un’analogia imperfetta, ma dobbiamo coglierne il senso spirituale che è altissimo e rivoluzionario, e nello stesso tempo semplice, alla portata di ogni uomo e donna che si affidano alla grazia di Dio.
Il marito – dice Paolo – deve amare la moglie «come il proprio corpo» (Ef 5,28); amarla come Cristo «ha amato la Chiesa e ha dato sé stesso per lei» (v. 25). Ma voi mariti che siete qui presenti capite questo? Amare la vostra moglie come Cristo ama la Chiesa? Questi non sono scherzi, ma cose serie! L’effetto di questo radicalismo della dedizione chiesta all’uomo, per l’amore e la dignità della donna, sull’esempio di Cristo, dev’essere stato enorme, nella stessa comunità cristiana.
Questo seme della novità evangelica, che ristabilisce l’originaria reciprocità della dedizione e del rispetto, è maturato lentamente nella storia, ma alla fine ha prevalso.
Il sacramento del matrimonio è un grande atto di fede e di amore: testimonia il coraggio di credere alla bellezza dell’atto creatore di Dio e di vivere quell’amore che spinge ad andare sempre oltre, oltre sé stessi e anche oltre la stessa famiglia. La vocazione cristiana ad amare senza riserve e senza misura è quanto, con la grazia di Cristo, sta alla base anche del libero consenso che costituisce il matrimonio.
 
I Lettura: Ai tempi di Paolo, nell’antico Oriente, il matrimonio era un giorno di festa e di gioia che coinvolgeva tutta la comunità. Il cerimoniale era pedissequamente seguito da tutti: la fidanzata era lavata e ornata con gioielli, poi i «figli delle nozze» andavano a presentarla al fidanzato. Nel caso mistico della Chiesa, il cerimoniale viene stravolto: è il Cristo che lava la sua fidanzata da ogni nefandezza con il bagno del battesimo per presentarla a se stesso. Il testo paolino, come ci suggerisce la Bibbia di Gerusalemme, stabilisce «tra il matrimonio umano e l’unione del Cristo con la chiesa un parallelo da cui i due termini raffrontati si rischiarano a vicenda: il Cristo può essere detto sposo della Chiesa perché è suo capo e la ama come il suo proprio corpo, così come avviene tra marito e moglie; questo paragone, una volta ammesso, fornisce in cambio un modello ideale al matrimonio umano. Un tale simbolismo immerge le sue radici nell’Antico Testamento, che rappresenta spesso Israele come la sposa di Jahve [Os 1,2]».
 
Vangelo
Il granello crebbe e divenne un albero.
 
Israele, i profeti, i giusti avevano atteso con trepidazione il Regno di Dio: era il sogno di tutti, il sogno di ogni uomo, ma le legioni romane avevano travolto tutto, avevano piegato con la violenza ogni resistenza e la pace era stata imposta con le armi. Quando tutto sembrava perduto, nella pienezza del tempo (Gal 4,4), Gesù, il missionario del Padre, viene ad annunciare la buona novella, cioè l’avvento del regno di Dio da secoli promesso nella Scrittura: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino (Mc 1,15), è vicino, non possiede gli alamari della potenza romana, è un piccolo seme. Un piccolo seme che può crescere e diventare gigantesco, sconvolgente, immenso e straordinario. Per entrare nel regno e per farlo crescere fino ai confini della terra (At 1,8) bisogna farsi piccoli, occorre farsi seme, lievito, ma il seme deve cadere a terra e morire (Gv 12,24), e il lievito deve impastarsi con la farina. È in questo annichilimento che sta nascosto il tutto, lo straordinario, l’inaspettato, l’assoluto! Il seme diventa albero perché la nostra piccolezza, la nostra limitatezza, il nostro “niente” viene innaffiato dalla potenza di Dio (2Cor 12,9). Ora nel nascondimento, in attesa che giunga alla perfezione, il regno di Dio vive di speranza, e nella luce del Risorto si fa segno di realtà lontane, ma già vicine: è vicino il grande giorno del Signore, è vicino e avanza a grandi passi (Sof 1,14).
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 13,18-21

In quel tempo, diceva Gesù: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami».
E disse ancora: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».

Parola del Signore.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): vv. 8-19 La breve parabola, narrata anche dagli altri due Sinottici, trova in Luca un’esposizione ancora più concisa ed una pointe differente; nel terzo vangelo infatti il contrasto tra la piccolezza del seme e lo sviluppo rigoglioso di esso è passato sotto silenzio. Luca insiste sull’idea della crescita, più che su quella della differenza tra i modesti inizi e la esuberante espansione del regno di Dio (cf.Mt., 13, 31-32; Mc.,4, 30-32 e relativo commento). Nel suo giardino; elemento descrittivo proprio del racconto lucano con il quale l’autore abbellisce l’immagine.
vv. 20-21 Testo parallelo a Matteo, 13, 33; Luca introduce la parabola richiamando la formula usata in quella precedente (cf. vers. 18); questa formula comune stabilisce un nesso più stretto tra le due immagini. Probabilmente, dato l’intimo legame esistente nel terzo vangelo tra le due parabole, il paragone del lievito accentua la stessa idea esposta in quello del chicco di senape, l’idea cioè che il regno dei cieli possiede una forza intrinseca di espansione. In Matteo invece le due parabole illustrano due verità distinte: la prima indica la forza vitale di espansione; la seconda invece, la forza di penetrazione e di trasformazione dell’intera massa di farina.
 
Il regno di Dio nella predicazione di Gesù - Bertold Klappert (Regno in Dizionario dei Concetti Biblici del Nuovo Testamento): Il regno di Dio è trascendente e soprannaturale: proviene solo da Dio, solo dall’alto. Ma allo stesso tempo è completamente immanente. Dove arriva il regno di Dio, là gli affamati vengono saziati, gli afflitti consolati (Mt 5,3-10: le beatitudini), si amano i nemici (Mt 5,38-42) e sull’esempio degli uccelli del cielo e dei fiori del campo non ci si preoccupa più del cibo o del vestito (Mt 6,25-33). Anche qui solo la persona di Gesù può rendere presente il regno di Dio che deve venire, nelle cui parole e opere la sovranità di Dio è un fatto concreto. Il regno è già qui in quanto Gesù cerca la compagnia dei pubblicani e dei peccatori e siede con essi a tavola e a essi dichiara il perdono dei peccati. Come colui che ha preparato il pranzo invita a tavola i mendicanti e i senza tetto (Mt 22,1-10), come l’amore del padre riaccoglie il figlio perduto (Lc 15, 11-32), come il pastore va in cerca della pecora smarrita (Lc 15,4-7), come la donna ricerca la moneta perduta (Lc 15,8-10), come il padrone dà per sua bontà la paga completa agli operai dell’ultima ora (Mt 20, 1-15), così Gesù va verso i peccatori, per dichiarare loro il perdono, «poiché è per essi il regno dei cieli» (Mt 5,3). Solo i peccatori, coscienti di grosse colpe (Lc 7,41-43), sono in grado di misurare il significato del perdono, della bontà di Dio, perché «non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati» (Mc 2, 17).
La caratteristica della predicazione di Gesù sul regno di Dio non consiste dunque nel fatto che Gesù abbia portato una nuova dottrina circa il regno di Dio, oppure radicalizzato le attese escatologico-apocalittiche, bensì nel fatto che egli ha creato un rapporto inscindibile tra il regno di Dio e la sua persona. L’aspetto nuovo della predicazione del regno di Dio da parte di Gesù « è lui stesso, semplicemente la sua persona» (Schniewind).
 
La concezione cristiana del Regno - Bruno Maggioni: Nella concezione cristiana il Regno è al tempo stesso presente e futuro. E già presente nella storia, ma - come dicono le parabole - è un seme posto sotto le zolle. Il presente è il tempo in cui il Regno matura nel segreto della terra.
Importante è ricordare che la pienezza futura non costituisce un regno diverso da quello che è apparso in Gesù. I tratti fondamentali della sua figura - la dedizione, la misericordia, l’universalità - non sono semplicemente i connotati della fase terrena del Regno, ma della sua natura permanente. “Venga il tuo Regno” non esprime il desiderio di una seconda venuta del Signore che capovolga lo stile della prima, sostituendo la dedizione e l’amore con la potenza e la gloria. “Venga il tuo Regno” è il desiderio della piena manifestazione di colui che è già venuto. Ma la medesima invocazione dice anche un’altra importante verità: è il Regno che viene, non l’uomo che lo costruisce, anche se - ovviamente - occorre l’accoglienza da parte dell’uomo. È Dio il protagonista del Regno, non l’uomo. Il Regno è di Dio (il tuo Regno), non cosa dell’uomo. All’uomo spetta accoglierlo, non progettarlo. Dio è il signore del mondo, non l’uomo né la Chiesa. E perciò la prima conseguenza è che l’attesa del Regno dovrà anzitutto esprimersi nel non fare del mondo la nostra proprietà. Le parabole evangeliche sul Regno mostrano che il vero protagonista è il seme, non il seminatore (Mc 4). E la parabola della zizzania nel campo di grano dice che il giudizio sull’appartenenza al Regno spetta a Dio, non agli uomini (Mt 13,24-30). Già la predicazione di Gesù, e successivamente la coscienza della comunità cristiana, hanno messo in luce che fra la Chiesa e il Regno ci sono profonde e strette correlazioni. Tuttavia le due realtà non sono sovrapponibili. La Chiesa non si identifica con il Regno, tanto che prega: “Venga il tuo Regno”. Neppure però semplicemente lo annuncia e lo propone. Ne è la storica anticipazione. Il Regno sovrasta la Chiesa almeno in due direzioni: perché abbraccia tutta l’azione di Dio presente nel mondo, non soltanto quella nella Chiesa e attraverso la Chiesa; e perché la sua pienezza è alla fine, quando Cristo sarà tutto in tutti.  
 
Bibbia per la formazione cristiana (I Lettura): Come Cristo ha amato la chiesa: Volendo parlare del matrimonio cristiano, Paolo mette in luce la realtà profonda dell’unione coniugale paragonandola all’unione del Cristo e della sua chiesa. Ogni matrimonio umano, secondo il progetto divino originario, riflette in qualche modo l’intima unione di Dio con l’uomo e trova in essa il proprio modello e la sorgente della propria realizzazione. Il matrimonio fra cristiani, contratto «nel Signore», realizza compiutamente ciò che «prima» era soltanto abbozzato. il Signore stesso unisce i coniugi credenti perché vivano un amore reciproco fedele e generoso, ordinato al servizio della comunione nella chiesa.
Per descrivere la dimensione cristiana del matrimonio, l’apostolo si serve di due immagini: Cristo è il capo della chiesa e anche il suo sposo. Da queste due immagini ricava quindi due applicazioni: la moglie deve essere docile nei confronti del marito come nei confronti del «Signore» (v. 22) e il marito deve amare la moglie come il Cristo ama la chiesa (v. 25); deve amarla «come il proprio corpo», come se stesso (v. 28).
Ai mariti cristiani, che maggiormente rischiano di comportarsi come despoti insensibili nei confronti delle proprie mogli, Paolo presenta innanzitutto l’ esempio del Cristo, che ha amato la chiesa fino a dare se stesso per lei. In secondo luogo porta loro l’esempio dell’amore come nutrono per se stessi.
Alle mogli cristiane, che rischiano piuttosto di lasciarsi dominare e di sottomettersi come schiave, Paolo insegna che c’è una docilità che non è asservimento ma servizio di Dio.
Questa docilità non solo non degrada, ma può essere una manifestazione di maturità e di amore. (Lo stesso si potrebbe dire della successiva esortazione agli schiavi; cf. 6,5).
Dobbiamo ricordare che Paolo vive in una società che pone al centro il maschio (il marito e il padre di famiglia) e non si preoccupa molto dei diritti della donna (la moglie e la madre). Era comunemente accettato che le donne fossero considerate come «inferiori» e non come compagne.
Senza mettere in discussione certi tipi di rapporto che esistono nel mondo e nella cultura del suo tempo, Paolo introduce tuttavia un principio capace di trasformarli radicalmente dal di dentro: l’unione coniugale si costituisce «nel Signore» (1Cor 7), la moglie deve sottomettersi al marito «come al Signore». Paolo conosce bene tutta la forza di questa vita «nel Signore», cioè in colui che ha esercitato la sua signoria attraverso la rinuncia a qualsiasi forma di dominio, attraverso un amore spinto fino alla donazione totale di sé e attraverso il servizio.
 
Aderire a Cristo è come unirsi alla sposa in matrimonio: “Qualsiasi anima che aderisce a Cristo è come una moglie che vive fedelmente con suo marito. Anche in un matrimonio casto lei può addolorarsi delle intenzioni di suo marito, ma preserva la fede del letto matrimoniale con casta purezza. Prudentemente e con modestia mette in ordine la casa del marito. Anche quando non riesce a soddisfare i suoi bisogni, vive castamente e fedelmente con lui. Sebbene la fragilità umana spesso la spinge a trasgredire contro di lui, la castità coniugale la fa aderire con piacere a suo marito.” (Fulgenzio, L’incarnazione 41).
 
Il Santo del giorno - 29 Ottobre 2024 - San Narciso: Aveva quasi cent’anni quando venne eletto 30° vescovo di Gerusalemme. Era nato nel 96 da famiglia non israelita. Nonostante l’età, governò a lungo e con fermezza. Presiedette il Concilio in cui si decise che la Pasqua dovesse cadere di domenica. E a lui si attribuisce, proprio nel giorno di Pasqua, il miracolo di aver mutato l’acqua in olio per le lampade della sua chiesa, rimaste a secco. Per il suo rigore furono sparse calunnie sul suo conto. Si allontanò da Gerusalemme e, creduto morto, vennero eletti uno dopo l’altro due successori. Ma lui, alla morte del secondo, ricomparve. L’ultima notizia su di lui è in una lettera del coadiutore sant’Alessandro: si dice che aveva compiuto 116 anni. (Avvenire)
 
Si compia in noi, o Signore,
la realtà significata dai tuoi sacramenti,
perché otteniamo in pienezza
ciò che ora celebriamo nel mistero.
Per Cristo nostro Signore.