7 Gennaio 2020

FERIA PROPRIA 7 GENNAIO

1Gv 3,22-4,6; Sal 2; Mt 4,12-17.23-25

Colletta: Lo splendore della tua gloria illumini, Signore, i nostri cuori, perché attraverso le tenebre di questo mondo possiamo giungere alla luce della tua dimora. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Gesù lascia Nàzaret: abbandona la sua casa, gli affetti più cari, sua madre e i suoi parenti. A Nàzaret ha vissuto trent’anni, ha lavorato nella bottega di Giuseppe, suo padre putativo, è cresciuto in “sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,52), ora lascia tutto questo dietro le spalle, e va ad abitare a Cafàrnao. Un distacco doloroso che rimarrà nella sua mente e si trasfonderà in una promessa: “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (Mt 19,29). Nella misura in cui egli è stato provato, può consolare e aiutare coloro che sono nella afflizione e nella prova.
Matteo fa un quadro della attività apostolica di Gesù imperniata sulla conversione: “Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo”. 
L’accenno alle “grandi folle” forse è un’iperbole, ma bene sta a documentare l’ansia appagata dei malati: avevano finalmente trovato il “medico” che li sollevava da ogni forma di infermità.
Isaia chiama “Galilea delle genti” (Is 8,23-9,1), cioè dei pagani, la regione di Zàbulon e di Nèftali perché gli abitanti di queste zone erano i più esposti al pericolo di cadere nella idolatria. Proprio di qui Gesù inizia la sua predicazione. Si comincia così a intravedere la futura missione degli apostoli che saranno inviati a “tutte le genti”.

Dal Vangelo secondo Matteo 4,12-17.23-25: In quel tempo, quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta». Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. La sua fama si diffuse per tutta la Siria e conducevano a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guarì. Grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano.

In quel tempo, quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao - Ortensio da Spinetoli (Matteo): L’intento dell’evangelista, con questi sguardi riassuntivi, è fornire un quadro della prima attività missionaria di Gesù in Galilea e nei dintorni, a cominciare dalla cattura del Battista: solo quel tanto che è necessario per creare una base e trovare un uditorio all’imminente discorso. Il periodo di tempo ricapitolato abbraccia, può darsi, alcuni mesi, ma buona parte degli episodi accaduti sono passati sotto silenzio. Gli incontri con i discepoli, all’opposto che in Gv. 1,35-51, sono rievocati succintamente; gli altri fatti narrati dal quarto evangelista, il miracolo di Cana, la visita a Gerusalemme (prima pasqua), il colloquio con Nicodemo, l’incontro con la samaritana e l’ufficiale regio (Gv. 2,1-4,54), sono omessi del tutto. Matteo inizia dalla « seconda » partenza di Gesù da Nazaret, dalla seconda fase, se così si può dire, del ministero galilaico che ha sede a Cafarnao. Come al solito, l’evangelista illustra questo cambiamento di residenza, o più giustamente l’inizio della predicazione messianica, con un riferimento scritturistico (Is. 8,23).
[...].  Da Cafarnao Gesù comincia i suoi primi giri missionari annunciando, sulle orme del Battista, la penitenza e il regno di Dio. La penitenza e il regno non sono un suo intercalare o uno slogan ma il tema dei suoi discorsi. La penitenza ([xeràvota) è un invito a cambiare modo di pensare e di agire, soprattutto nei riguardi del messia e del regno. Occorre assumere un atteggiamento nuovo, distaccato dalle proprie inclinazioni disordinate e dagli orientamenti della propria intelligenza. Bisogna rinunciare ai propri idoli, ma più ancora al proprio credo, persino alle proprie idee religiose se si desidera far parte del regno. Nella società che Gesù intende realizzare non si entra solo col corpo ma prima di tutto con la mente e col cuore. La metànoia (conversione) non è una virtù particolare, è una disposizione d’animo, una rinuncia e conseguentemente un’apertura verso Dio. L’uomo nasce peccatore, con una carica di forza centrifuga da Dio, la conversione è un movimento di ritorno, un cambiamento di rotta, un cammino a ritroso. Sulla bocca di Gesù la parola conversione ha un senso più profondo, ma per il momento l’evangelista non vi si sofferma.

Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino - Alfonso Colzani: Conversione: Termine che nel linguaggio biblico esprime l’idea di un radicale cambiamento di direzione. È la traduzione dell’ebraico teshuvà, dalla radice shuv, che indica l’“andare nella direzione opposta”. Nel greco del Nuovo Testamento l’idea di conversione è resa da due termini: metànoia, che designa il cambiamento di mentalità dell’uomo desideroso di allontanarsi dal male (tradotto anche con “pentirsi”, con sfumatura più intellettuale), ed epistrophé (ritorno, conversione), che corrisponde al teshuvà ebraico.
L’Antico Testamento. La conversione è una tematica centrale del messaggio biblico: la storia del popolo ebraico è continuamente segnata da infedeltà individuali e collettive all’alleanza con Dio, che segneranno la rovina della casa di Israele. Il secondo libro dei Re (17,7-18) lega chiaramente la tragedia della deportazione in Assiria (721 a.C.) alla mancata conversione del popolo, secondo una chiave di lettura della storia tipica dello spirito del Deuteronomio. I profeti, chiamando in causa la responsabilità individuale, fanno appello alla coscienza di ognuno e a quella di tutto il popolo. Dice il profeta Ezechiele: “Convertitevi e desistete da tutte le vostre iniquità, e l’iniquità non sarà più causa della vostra rovina. [..,] Perché volete morire o Israeliti? Io non godo della morte di chi muore. Parola del Signore Dio. Convertitevi e vivrete” (18,30-31). La conversione è fonte di salvezza a motivo della misericordia di Dio, che gioisce solo per essa e non per la morte del malvagio; salvezza che non è destinata al solo popolo di Israele, ma riguarda tutta l’umanità, che è anch’essa chiamata alla conversione, come intuisce il vecchio Tobia, morente: “Tutte le genti che si trovano su tutta la terra si convertiranno e temeranno Dio nella verità” (Tb 14,6).
Nel Nuovo Testamento. Nel Nuovo Testamento la conversione è tematica centrale dell’insegnamento di Gesù; il Vangelo di Marco la inserisce nel nucleo della predicazione di Gesù e come condizione preliminare per abbracciare l’Evangelo: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15). L’evangelista Luca (15,4-31) ne sottolinea particolarmente l’importanza nelle tre parabole della misericordia divina (la pecorella smarrita, la dracma perduta, il figlio prodigo). Il pentimento che permette di ottenere il perdono dei peccati non è solo un atto intellettuale, ma riguarda tutto l’uomo e deve condurre ad un radicale cambiamento di vita. San Paolo negli Atti degli apostoli (26,20) richiama i due elementi fondamentali della conversione, il ritorno a Dio e il mutamento dei modi di vita: “Predicavo di convertirsi (metanóein) e di rivolgersi (letteralmente ‘ritornare’, epistréfein) a Dio, comportandosi in maniera degna della conversione”. Paolo sottolinea qui che in mancanza di un reale cambiamento di vita la conversione è illusoria e vana. San Giovanni presenta la conversione come nuova nascita, passaggio dalle tenebre alla luce. La parabola del buon Pastore, “venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10) manifesta l’universalità della chiamata divina alla conversione, come afferma anche san Paolo: “Dio nostro salvatore vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1Tm 2,3-4).

Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta - A. Feuillet P. Grelot: Cristo, luce del mondo: 1. Compimento della promessa. - Nel Nuovo Testamento la luce escatologica promessa dai profeti è diventata realtà: quando Gesù incomincia a predicare in Galilea, si compie l’oracolo - di Is 9,1 (Mt 4,16). Quando risorge secondo le profezie, si è per «annunziare la luce al popolo ed alle nazioni pagane» (Atti 26,23). Perciò i cantici conservati da Luca salutano in lui sin dall’infanzia il sole nascente che deve illuminare coloro che stanno nelle tenebre (Lc 1,78 s; cfr. Mal 3,20; Is 9,1; 42,7), la luce che deve illuminare le nazioni (Lc 2,32; cfr. Is 42,6; 49,6). La vocazione di Paolo, annunziatore del vangelo ai pagani, si inserirà nella linea degli stessi testi profetici (Atti 13,47; 26,18).
2. Cristo rivelato come luce. - Tuttavia vediamo che Gesù si rivela come luce del mondo soprattutto con i suoi atti e le sue parole. Le guarigioni di ciechi (cfr. Mc 8,22-26) hanno in proposito un significato particolare, come sottolinea Giovanni riferendo l’episodio del cieco nato (Gv 9). Gesù allora dichiara: «Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo» (9,5). Altrove commenta: «Chi mi segue non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (8,12); «io, la luce, sono venuto nel mondo affinché chiunque crede in me non cammini nelle tenebre» (12, 46). La sua azione illuminatrice deriva da ciò che egli è in se stesso: la  parola stessa di Dio,  vita e luce degli uomini, luce vera che illumina ogni uomo venendo in questo mondo (1,4.9). Quindi il dramma che si intreccia attorno a lui è un affrontarsi della luce e delle tenebre: la luce brilla nelle tenebre (1,4), ed il  mondo malvagio si sforza di spegnerla, perché gli uomini preferiscono le tenebre alla luce quando le loro  opere sono malvagie (3,19). Infine, al momento della passione, quando Giuda esce dal cenacolo per tradire Gesù, Giovanni nota intenzionalmente: «Era  notte» (13,30); e Gesù, al momento del suo arresto, dichiara: «È l’ora vostra, ed il potere delle tenebre» (Lc 22,53).
3. Cristo trasfigurato. - Finché Gesù visse quaggiù, la luce divina che egli portava in sé rimase velata sotto l’umiltà della carne. C’è tuttavia una circostanza in cui essa divenne percepibile a testimoni privilegiati, in una visione eccezionale: la trasfigurazione. Quel volto risplendente, quelle vesti abbaglianti come la luce (Mt 17,2 par.), non appartengono più alla condizione mortale degli uomini: sono un’anticipazione dello stato di Cristo risorto, che apparirà a Paolo in una luce radiosa (Atti 9,3; 22,6; 26,13); provengono dal simbolismo proprio delle teofanie del Vecchio Testamento. Di fatto la luce che risplendette sulla faccia di Cristo è quella della gloria di Dio stesso (cfr. 2Cor 4,6): in qualità di Figlio di Dio egli è «lo splendore della sua gloria» (Ebr 1,3). Così, attraverso Cristo-luce, si rivela qualcosa della essenza divina. Non soltanto Dio «dimora in una luce inaccessibile» (1Tim 6,16); non soltanto lo si può chiamare «il Padre degli astri» (Giac 1,5), ma, come spiega san Giovanni, «egli stesso è luce, ed in lui non ci sono tenebre» (1Gv 1,5). Per questo tutto ciò che è luce proviene da lui, dalla creazione della luce fisica nel primo giorno (cfr. Gv 1,4) fino alla illuminazione dei nostri cuori ad opera della luce di Cristo (2Cor 4,6). E tutto ciò che rimane estraneo a questa luce appartiene al dominio delle tenebre: tenebre della notte, tenebre dello sheol e della morte, tenebre di Satana.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato” (I Lettura). 
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

 O Padre, che ci hai nutriti
del corpo e del sangue del tuo Figlio,
fa’ che riconosciamo nel Cristo il nostro Salvatore
e testimoniamo con la vita
la fede che professiamo.
Per Cristo nostro Signore.