5 Gennaio 2020

II DOMENICA DOPO NATALE

Sir 24,1-4.12-16; Sal 147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18

Colletta: Dio onnipotente, il Salvatore che tu hai mandato, luce nuova all’orizzonte del mondo, sorga ancora
e risplenda su tutta la nostra vita. Egli è Dio, e vive e regna con te... 

I Lettura: A differenza dell’Antico Testamento che non assimila mai la Sapienza al Dio unico, il Nuovo Testamento individua nella Sapienza una prefigurazione del Verbo di Dio attraverso il quale il Signore Dio ha creato tutte le cose (Cf. Gv 1,3; Col 1,16-17; Eb 1,2). La Sapienza, nel Nuovo Testamento, si contrappone alla sapienza umana: la prima è feconda di salvezza, la seconda è invece sterile. Gesù sarà ripieno di Sapienza: una pienezza che susciterà l’ammirazione dei dottori della Legge e lo stupore dei suoi uditori (Cf. Lc 2,41ss). Gesù è «più di Salomone» (Mt 7,12; Lc 11,31) e in lui «sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza» (Col 2,3). Così, il mistero della croce è «stoltezza e scandalo» (1Cor 1,18.23) agli occhi del mondo perché esso non ha riconosciuto Dio con gli strumenti della propria sapienza (Cf. 1Cor 1,21; Ef 4,17-18), invece per coloro che sono «chiamati» (1Cor 1,24) la croce è sapienza e «potenza di Dio» (1Cor 1,18). Cristo Gesù, infine, è diventato per noi, suoi discepoli, «sapienza, giustizia, santificazione e redenzione» (1Cor 1,30).

Salmo Responsoriale: «Lo Spirito Santo genera in noi l’amore di questa città. Amiamola: amarla è già un camminare verso di lei. Coloro che ancora sono in esilio, vedono l’immensa folla di tutti i cittadini raccolti da ogni dove e già entrati in quella città; vedono la gioia di questa messe stritolata, vagliata, ormai introdotta nel granaio, che non ha più nulla da temere. Coloro che vivono ancora sotto il peso della tribolazione, ne anticipano il gaudio nella speranza e anelano verso di lei congiungendo il loro cuore con gli angeli di Dio e con tutto il popolo col quale saranno eternamente beati: Loda, Gerusalemme, il Signore! Che altro devi fare, Gerusalemme? Arare, seminare, compiere opere di misericordia? Considera la moltitudine che ti compone! C’è forse qualcuno che abbia fame o sete? C’è qualche malato che tu debba visitare o qualche morto da seppellire? [Cf. Mt 25,35s]. Che farai allora? Lauda, Ierusalem, Dominum! Questo è ciò che devi fare» (Sant’Agostino).

II Lettura: Soltanto Dio, che è il solo sapiente, può donare quella sapienza che rende l’uomo capace di conoscere e di accogliere la sua volontà divina. Coloro che accoglieranno la volontà di Dio e la metteranno in pratica saranno «santi e immacolati», partecipi della «eredità fra i santi».

Vangelo: Gesù Cristo «è per essenza la Verità increata, quindi è la Verità eterna, non creata ma generata dal Padre. Per mezzo di lui però sono venute tutte le verità create, che sono partecipazioni e riflessi della prima Verità, e che risplendono nelle anime sante» (San Tommaso d’Aquino).

Dal libro della Sapienza 24,1-4.12-16 (I Lettura): La sapienza fa il proprio elogio, in Dio trova il proprio vanto, in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria. Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca, dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria, in mezzo al suo popolo viene esaltata, nella santa assemblea viene ammirata, nella moltitudine degli eletti trova la sua lode e tra i benedetti è benedetta, mentre dice: «Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele, affonda le tue radici tra i miei eletti”. Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l’eternità non verrò meno. Nella tenda santa davanti a lui ho officiato e così mi sono stabilita in Sion. Nella città che egli ama mi ha fatto abitare e in Gerusalemme è il mio potere. Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso, nella porzione del Signore è la mia eredità, nell’assemblea dei santi ho preso dimora».

Vari aspetti della sapienza - Roberto Tufariello: Secondo la bibbia, la vera sapienza viene da Dio: egli dà all’uomo un cuore capace di «comprendere la differenza fra il bene e il male» (1Re 3,9). Ma gli uomini, come il loro padre Adamo, sono tentati di acquisire da sé la conoscenza del bene e del male (Gen. 3,5-6); a tale sapienza fallace, fondata sulle forze umane, li attira l’antico avversario. A questa tentazione cedono gli scribi, che giudicano ogni cosa con criteri umani e non in base alla legge di Dio (Cf. Ger. 8,8), e i consiglieri del re, che invece di ispirarsi a una retta sapienza fanno una politica del tutto umana (Cf. Is. 29,15ss.; 30,1ss.).
Contro questi sapienti menzogneri e ingannatori insorgono i profeti risolutamente (Is. 5,21); affermano che Dio farà perire la loro sapienza (Is. 29,14), perché non è fondata sulla parola divina (Ger. 8,9); tale parola, infatti, è la sola sorgente di autentica sapienza: gli insensati se ne accorgeranno a proprie spese, ma troppo tardi (Is. 29,24).
Il sapiente della bibbia cerca di condurre la propria vita in modo da ottenere la felicità. Egli conosce il mondo circostante e i suoi limiti (Cf. Prov. 13,7; Eccli. 13,21 ss.); conosce il cuore umano e ciò che gli pro­cura gioia o dolore (Cf. Prov. 13,12; 14,13; Eccle. 1,2-6). Egli traccia regole di condotta per i suoi discepoli: prudenza, moderazione nei desideri, lavoro, umiltà, ponderazione, modestia, lealtà... Tutta la morale del decalogo passa nei suoi consigli pratici: insegna l’elemosina (Eccli. 7,32 ss.), il rispetto della giustizia (Prov. 11,1; 17,15), l’amore dei poveri (Prov. 14,31; 17,5; Eccli. 4,1-10). Coloro che accolgono il consiglio del saggio acquistano la sapienza (Prov. 8,33; 19,20; 28,26). Questa è come un tesoro nascosto (Giob. 28,18; Prov. 3,15), che si deve acquistare vendendo tutto il resto (Prov. 4,7; 16,16). Tale sapienza però è frutto non solo dello sforzo e dell’esperienza, ma viene dall’alto.
Il saggio si è formato una sua concezione della vita. Senza cessare di essere attento alle sorti del popolo di Dio (Eccli. 44-50; 36,1-17; Sap. 10-12; 15-19), egli si interessa soprattutto della vita degli individui. Esalta la grandezza dell’uomo (Eccli. 16,24-17,14), ma è cosciente anche della sua miseria (40,1-11), della sua angoscia di fronte al dolore e alla morte (Giob. 7, 6; Eccle. 3; Eccli. 41,1-4), della sua inquietudine di fronte ai problemi che pone l’esistenza (Giob. 14, 1-12; 17; Eccle. 1,4-8; Eccli. 18,8-14) o che suscita la realtà stessa di Dio (Giob. 10; 23; 30,20-23).
Anche il problema della retribuzione viene affrontato dai saggi d’Israele. Consapevoli che le soluzioni tradizionali apparivano in parte ingiuste (Giob. 9,22-24; 21,7-26; Eccle. 7,15; 8,14; 9,2-3), essi hanno cercato una più valida risposta: l’hanno formulata gli ultimi autori sapienziali, invitando alla fede nella vita eterna (Sap. 5,15) e nella risurrezione dei corpi (Dan. 12,2-3).
  
Aspetti della sapienza cristiana - A. Barucq e P. Grelot: 1. Sapienza e rivelazione. - La sapienza cristiana, qual è stata descritta, presenta nette affinità con le apocalissi giudaiche: non è in primo luogo regola di vita, ma rivelazione del mistero di Dio (1Cor 2,6ss), vertice della conoscenza religiosa che Paolo chiede a Dio per i fedeli (Col 1,9) e di cui questi possono istruirsi reciprocamente (3,16), «con un linguaggio insegnato dallo Spirito» (1Cor 2,13).
2- Sapienza e vita morale. - Tuttavia l’aspetto morale della sapienza non e eliminato. Alla luce della rivelazione di Cristo, sapienza di Dio, tutte le regole di Condotta, che il VT collegava alla sapienza secondo Dio, acquistano al contrario la pienezza del loro significato. Non soltanto ciò che deriva dalle funzioni apostoliche (1Cor 3,10; 2Piet 3,15); ma anche ciò che concerne la vita cristiana di ogni giorno (Ef 5,15; Col 4 5), in cui bisogna imitare la condotta delle vergini prudenti, non quella delle vergini stolte (Mt 5,1-12). I consigli di morale pratica, enunziati da S. Paolo nelle finali delle sue lettere, sostituiscono qui l’insegnamento dei sapienti antichi. Il fatto è ancora più evidente per la lettera di Giacomo, che, su questo preciso punto, oppone la falsa sapienza alla «sapienza dall’alto» (Giac 3,13-17). Quest’ultima implica una perfetta rettitudine morale. Bisogna sforzarsi di conformarvi i propri atti, pur domandandola a Dio come un dono (Giac 1,5). Questa è la sola prospettiva in cui le conquiste dell’umanesimo possono inserirsi nella vita e nel pensiero Cristiani. L’uomo peccatore deve lasciarsi crocifiggere Con la sua sapienza orgogliosa, se vuol rinascere in Cristo. Se lo fa, tutto il suo sforzo umano assumerà un senso nuovo, perché si effettuerà sotto la guida dello spirito.

Bruno Maggioni: “Il Verbo si è fatto carne”, si legge nel prologo al Vangelo (1,14), “e abitò fra noi e noi abbiamo contemplato la sua gloria”. Per capire questa fondamentale affermazione può essere utile ricostruire l’ambiente che essa suppone e nei confronti del quale è fortemente polemica. Il mondo greco parlava di una radicale separazione fra l’umano e il divino, lo spirito e la materia. Per il greco l’assunzione della natura umana da parte di Dio era un’assurdità. L’uomo stesso era invitato a liberare il proprio spirito considerato una scintilla divina  imprigionata nella materia e a disagio in un’esistenza che non le è conforme. Non dunque un movimento di immersione nella storia, che è appunto, il cammino del Verbo che si fa carne, ma al contrario un movimento di ascesa verso l’alto. A questo modo di ragionare Giovanni oppone la sua lapidaria affermazione “Il Verbo si è fatto carne”. Nel linguaggio biblico la parola carne non indica il corpo dell’uomo contrapposto all’anima, ma l’uomo intero colto nei suoi risvolti di caducità, debolezza, divenire, sofferenza e morte. Per Giovanni, la serietà dell’incarnazione e un dato centrale per comprendere l’identità di Cristo: vero Dio e vero uomo, si direbbe oggi in altri termini. Nella sua Prima lettera (4,1-6) Giovanni polemizza anche contro alcune tendenze interne alla stessa comunità cristiana, tendenze che probabilmente venivano sollecitate dal desiderio di aggiornare il dato tradizionale della fede per poter più facilmente dialogare con la cultura dell’epoca. Certuni sostenevano che il Cristo non avesse veramente assunto la natura umana, ma se ne fosse semplicemente rivestito per rendersi visibile e mostrarsi all’uomo. A queste tendenze teologiche Giovanni oppone il dato della tradizione: “Ogni spirito che riconosce che Gesù è venuto nella carne è da Dio”.
La piena solidarietà del divino e dell’umano, non è, però, ancora sufficiente a definire l’identità della persona di Gesù. C’è un altro aspetto essenziale da prendere in considerazione: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio” (1,1). Affermazione che si può parafrasare in questo modo: il Verbo esiste da sempre (di quel tipo di esistenza - “era” - che è proprio di Dio e si distingue dall’esistenza della creatura, che è espressa col verbo essere fatto, divenire) ed esiste vicino e rivolto al Padre. “Rivolto al Padre”, e non soltanto vicino, è una sfumatura che è presente nel testo greco, e che purtroppo le traduzioni italiane generalmente trascurano. L’evangelista vuol dirci che nella sua essenza più intima il Figlio è relazione, ascolto, slancio, obbedienza, perennemente rivolti al Padre. Questo è talmente importante che l’evangelista lungo il Vangelo approfitta di ogni occasione per metterlo in luce. Il Gesù di Giovanni non è solo il Figlio incarnato, inviato al mondo e che ha assunto pienamente la condizione di uomo, è il Figlio obbediente che - divenuto uomo - continua a vivere nella sua esistenza umana la sua più intima vocazione, che è l’obbedienza e l’ascolto del Padre. L’obbedienza dell’uomo Gesù è la trascrizione storica della sua condizione di Figlio, la riproduzione fra noi di quell’atteggiamento di “rivolto al Padre” che egli vive da sempre in seno alla Trinità. Per questo Gesù è la “trasparenza” del Padre. E per questo è portatore di una rivelazione decisiva, nell’ascolto o nel rifiuto della quale l’uomo gioca il proprio destino.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Secondo la bibbia, la vera sapienza viene da Dio: egli dà all’uomo un cuore capace di «comprendere la differenza fra il bene e il male»” (Roberto Tufariello).  
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Questo sacramento agisca in noi, Signore Dio nostro,
ci purifichi dal male e compia le nostre aspirazioni
di giustizia e di pace.
Per Cristo nostro Signore.