11 SETTEMBRE 2019
Mercoledì XXIII Settimana T. O. - Anno C
Col 3,1-11; Sal 144 (145); Lc 6,20-26
Colletta: O Padre, che ci hai donato il Salvatore e lo Spirito Santo, guarda con benevolenza i tuo figli di adozione, perché a tutti i credenti in Cristo sia data la vera libertà e l’eredità eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
La pericope lucana delle Beatitudini è presente anche nel vangelo di Matteo (Cf. 5,1-12), ma con nette divergenze. Luca, a differenza di Matteo, fa scendere Gesù in un luogo pianeggiante, una possibile allusione alla discesa di Mosè dal monte Sinai per comunicare al popolo d’Israele la parola di Dio (Cf. Es 19; 32; 34).
Mentre in Matteo (Cf. 5,1) Gesù rivolge il discorso alla folla, in Luca lo indirizza ai discepoli, a quanti cioè hanno già fatto una scelta, ponendosi alla sua sequela. Si doveva «trattare di credenti che vivevano in situazioni di povertà materiale e di oppressione, come testimoniano le maledizioni rivolte agli oppressori. Ebbene Luca dice: proprio loro si devono considerare beati e felici» (Giovanni Bernini).
Inoltre, il testo lucano contiene quattro beatitudini, a differenza delle otto riportate da Matteo, e quattro guai. Questa opposizione, beati-guai, che ricorda le due vie «Vita e bene, morte e male» (Cf. Dt 30,15-20), mette il discepolo di fronte a una radicale scelta a cui seguono precise conseguenze: o la benedizione o la maledizione (Cf. Mt 12,30).
La concisione della pericope può attestare che probabilmente Luca, a differenza di Matteo, descrive l’insegnamento di Gesù in una forma che verosimilmente è molto più vicina allo stile del Maestro.
Anche per quanto riguarda il messaggio i due evangelisti si diversificano. Mentre Matteo «compone le beatitudini in vista soprattutto di una catechesi che vuole descrivere le condizioni etiche per entrare nel regno dei cieli, Luca considera piuttosto la situazione del mondo nel quale la Chiesa si trova a vivere: il punto di vista sociale sta per Luca in primo piano [Cf. beati voi poveri]. Anche l’opposizione tra adesso dei vv. 21 e 25, che indica appunto un’epoca storica ben determinata, e in quel giorno del v. 23, oltre ai futuri, è degna di essere sottolineata: essa infatti mette in grande rilievo il carattere messianico ed escatologico delle beatitudini-maledizioni per Luca» (Carlo Ghidelli).
Dal Vangelo secondo Luca 6,20-26: In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:«Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».
La beatitudine dei poveri - Roberto Tufariello (Povero in Schede Bibliche Pastorali, Vol VI): Abbiamo due versioni di questa beatitudine, ambientata nel discorso del monte: quella lucana, caratterizzata dal discorso diretto e dalla menzione dei poveri senza alcuna aggiunta: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio» (Lc 6,20). In altre parole: mi congratulo con voi che versate in situazione obiettiva di disagio, miseria, oppressione, distretta, perché Dio sta per diventare re, difensore e protettore vostro. Si tratta di una proclamazione messianica di gioia, per l’imminente intervento regale e liberatore di Dio.
La versione di Matteo invece si caratterizza per il discorso in terza persona e soprattutto per la precisazione dei destinatari: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (5,3). La beatitudine viene così spiritualizzata: beneficiari sono quanti realizzano la virtù della povertà spirituale, cioè dell’umiltà: essere curvi davanti a Dio. A loro è promesso l’ingresso nel regno finale di Dio.
La dimensione messianica della beatitudine dei poveri, presente a livello di Gesù di Nazaret, emerge di nuovo nel detto testimoniato da Mt 11,6 e Lc 7,23, in cui rispondendo alla delegazione del Battista, Gesù rimanda ai segni da lui compiuti, segni messianici preannunciati da Isaia: i ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi vengono mondati, i sordi odono, i morti risuscitano; il tutto sintetizzato nel lieto annuncio proclamato ai poveri: «Ai poveri è predicata la buona novella» (Mt 11,5; Lc 1,11). Il Vangelo (euaggelizesthai) proclamato da Gesù ha quali destinatari e beneficiari i poveri, intesi come persone bisognose, che l’intervento di grazia di Dio, mediato da Gesù, toglie dal bisogno e dalla miseria, in concreto dalla cecità, dall’essere storpio, dalla lebbra, dalla sordità, dalla morte.
Analogo è il pronunciamento profetico di Gesù nella sinagoga di Nazaret, all’inizio della sua missione. Dopo aver letto il brano isaiano: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19), afferma: «Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi» (Lc 4,21).
In breve, il messaggio di gioia proclamato ai poveri non consiste in una parola consolatoria, destinata a rafforzare la rassegnazione, ma in un’azione efficace di liberazione e di giustizia resa a coloro che giustizia non hanno.
Le beatitudini lucane sono simmetriche alle condanne o guai: da una parte i poveri, dall’altra i ricchi; da una parte quelli che piangono, dall’altra i gaudenti, ecc. I poveri, a cui allude Luca, sono coloro ai quali è destinata la buona novella della liberazione, dell’anno di grazia, del perdono (Cf. Is 61,1; Lc 4,14ss). Essi, insieme agli storpi, agli zoppi, ai ciechi, ecc., sono i veri privilegiati di Dio.
Il povero «è caratterizzato non solo da uno stato d’indigenza o di afflizione ma soprattutto dall’umile consapevolezza di poter confidare in Dio, da una insoddisfazione nei confronti dei beni del mondo, dalla tristezza a causa delle miserie proprie e degli uomini, per cui orienta tutte le sue attese verso Dio. In questo senso i poveri si oppongono ai sazi, a coloro che si sentono contenti di se stessi, autosufficienti e paghi dei loro attuali godimenti» (P. Rosario Scognamiglio).
I guai rivolti ai ricchi non devono fare pensare a una condanna tout court della ricchezza. Per il mondo biblico, la ricchezza è semplicemente un dono di Dio (Cf. Gn 31,5-9; Dt 28,3-7) e nella letteratura sapienziale a volte è lodata. Infatti, grandi sono i vantaggi che la ricchezza porta con sé: amicizie (Pro 14,20; 19,4), onore (Sir 10,30), pace (Sir 44,6), una vita beata e piena di sicurezza (Pro 10,5; 18,11.16; Sir 31,8.11), possibilità di praticare l’elemosina (Tb 12,8). Le condanne sono rivolte ai ricchi avari, rapaci e senza scrupoli nei loro affari.
La condanna è per chi idolatra la ricchezza ponendola al posto di Dio. E in questo senso, va compreso l’insegnamento di Paolo: «... Quelli invece che vogliono arricchirsi, cadono nella tentazione, nell’inganno di molti desideri insensati e dannosi, che fanno affogare gli uomini nella rovina e nella perdizione. L’avidità del denaro infatti è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti» (1Tm 6,10).
Nelle parole di Gesù si viene ad evidenziare così un conflitto tra il discepolo, il credente, il quale pone la sua fiducia unicamente in Dio, e l’empio, il miscredente, colui che ha posto la speranza nei beni caduchi e transitori, come il denaro, il piacere. Nelle Beatitudini, ancora una volta, emerge il modo di agire di Dio che stride formalmente e sostanzialmente con l’agire del mondo: l’uomo è beato non a motivo di una felice sorte, ma a motivo di una cattiva sorte quale la povertà, la persecuzione, il dolore.
Ma tutto sopportato per Cristo e il suo regno, altrimenti si scivolerebbe in un dolorismo inutile.
I poveri - Costante Brovetto: Poveri e povertà nell’Antico Testamento. Dio dà il possesso della terra a tutto il genere umano, perché tutti abbiano il loro sostentamento. La prospettiva biblica iniziale è dunque quella della ricchezza come sinonimo di benedizione divina. La privazione dei beni materiali non è per se stessa un valore. Anzi, se minaccia la dignità della vita umana, è in flagrante contraddizione con il piano divino. La povertà compare perciò anzitutto come problema, sia che derivi da disgrazie della vita o, peggio ancora, da ingiuste sperequazioni. Il fedele avverte la responsabilità di porvi rimedio, poiché Dio stesso prende le parti dei poveri. Così il Pentateuco considera sacra la solidarietà sociale: per esempio, nella mietitura e nella vendemmia qualcosa va lasciato per “il povero e il forestiero” (Lv 19,9s.): “poiché i bisognosi non mancheranno mai nel paese perciò io ti do questo comando e ti dico: apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese” (Dt 15,11). I re d’Israele, pur nella contraddizione di chi detiene il dominio sul popolo, hanno soprattutto la funzione di rappresentare Dio come padre dei poveri. “Egli libererà il povero che grida e il misero che non trova aiuto, avrà pietà del debole e del povero e salverà la vita dei suoi miseri” (Sal 72,12-13). Non la povertà, ma la capacità di tradurla in occasione di crescita spirituale, è un valore. Il povero sperimenta positivamente di essere prediletto da Dio. “Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo libera da tutte le sue angosce” (Sal 34,7). I poveri dei salmi (in ebraico: ‘anawim) sono gli indigenti, ma soprattutto i miti, gli umili, fiduciosi solo nell’intervento di Dio, a cui va l’incessante preghiera: “Non dimenticare mai la vita dei tuoi poveri. Sii fedele alla tua alleanza” (Sal 74,19-20). Tale esperienza diviene collettiva dopo la scomparsa della monarchia: il popolo intero è travolto dalle sconfitte militari, le deportazioni, la carestia. I profeti proclamano però che proprio dai poveri sarebbe spuntato il Messia. La dinastia davidica è come un grande albero abbattuto, ma “un germoglio spunterà dal tronco di Jesse... Su di lui si poserà lo spirito del Signore…” (Is 11,1-2). Poveri e povere nel Nuovo Testamento. Gesù si presenta come Messia dei poveri, inviato dallo Spirito a portare loro la buona novella (Is 61) e la consolazione (v). Si dichiara “mite ed umile di cuore” (Mt 11,29), come i “poveri” di IHWH. Proclama beati i “poveri in spirito” (Mt 5,3), cioè coloro che hanno animo da poveri e vivono con piena fiducia nella Provvidenza di Dio, che viene incontro a tutte le umane necessità. Prova l’autenticità del suo messianesimo con la premura taumaturgica verso i bisognosi nel corpo e nello spirito c mostrando che così giunge il Regno di Dio (cfr. Mt 12,28). Infine annuncia che il giudizio finale avverrà in base alle opere di misericordia (Mt 25,31-46). Gesù, chiamando i discepoli a seguirlo, esige da loro che lascino tutto (cfr. Mt 19,21), dando così inizio alla pratica della povertà evangelica volontaria, finalizzata all’avvento del Regno.
La povertà spirituale - Luois Roy: Se già nel Vecchio Testamento una élite religiosa considerava la povertà come un atteggiamento spirituale, è normale che lo stesso avvenga per i discepoli di Gesù, e tale è appunto l’aspetto sottolineato da san Matteo: «Beati i poveri in spirito» (5,3), cioè «coloro che hanno un animo di povero». - Gesù esige dai suoi il distacco interno nei confronti dei beni temporali (sia che li posseggano oppure ne siano sprovvisti), per essere capaci di desiderare e di ricevere le vere ricchezze (cfr. Mt 6,24.33; 13,22). Nella prosperità economica, si rischia considerevolmente di farsi delle illusioni sulla propria indigenza spirituale (Apoc 3,17); ad ogni modo, conviene usare di questo mondo come se in realtà non se ne usasse, «perché la figura di questo mondo passa» (1Cor 7,31). D’altronde i possessi materiali non sono che uno degli oggetti della rinunzia totale, alla quale bisogna acconsentire, almeno internamente, per essere discepoli di Gesù (cfr. Lc 14,26.33). Ma per abbozzare la fisionomia completa dei «poveri in spirito», eredi degli anawim, occorre pure -notare la coscienza che essi hanno della loro miseria personale sul piano religioso, del loro bisogno dell’aiuto di Dio. Lungi dal manifestare la sufficienza illusoria del fariseo fiducioso nella propria giustizia, essi condividono l’umiltà del pubblicano della parabola (Lc 18,9-14). Mediante il sentimento della loro indigenza e della loro debolezza, essi si avvicinano così ai bambini, e, come a questi ultimi, il regno di Dio appartiene loro (cfr. Lc 18,15ss; Mt 19,13-24).
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. (Vangelo)
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
O Padre, che nutri e rinnovi i tuoi fedeli
alla mensa della parola e del pane di vita,
per questi doni del tuo Figlio
aiutaci a progredire costantemente nella fede,
per divenire partecipi della sua vita immortale.
Per Cristo nostro Signore.
alla mensa della parola e del pane di vita,
per questi doni del tuo Figlio
aiutaci a progredire costantemente nella fede,
per divenire partecipi della sua vita immortale.
Per Cristo nostro Signore.